La crisi abbatte il lavoro, in 5 anni crollati i contratti a tempo indeterminato

 

Mai che dagli studi del Servizio Politiche del Lavoro della Uil arrivassero buone notizie… Ma per quanto drammatici siano i dati comunicati nei giorni scorsi segretario confederale Guglielmo Loy, coordinatore dello studio, mai numeri furono più scontati: in 5 anni di violenta crisi economica i contratti a tempo indeterminato sono crollati del 46,4% con un progressivo e inevitabile spostamento dell’offerta verso i contratti a tempo determinato, aumentati del 19,7% nell’ultimo quinquennio.

Nell’ultimo anno preso in considerazione dallo studio, il 2013, è il Lazio la regione in cui si concentra il maggior numero di attivazioni, circa 1,4 milioni, sorpassando così la Lombardia che ne denuncia 1,3 milioni seguita dalla Puglia con 1 milione di contratti a tempo determinato.

Il trend non si interrompe nel primo trimestre di quest’anno: addirittura il 67% dei contratti sono a termine, circa 1.600.000. Sono state invece, tra gennaio e marzo di quest’anno, solo 420mila le assunzioni con contratti a tempo indeterminato e quasi 190mila, quelle con contratti di collaborazione, mentre i rapporti di apprendistato sono stati poco più di 50mila, il 2,4% del totale.

JM

Co.co.pro? No, grazie

di Vera MORETTI

Alla faccia di chi vuol farci credere che tra lavoratore dipendente e lavoratore precario la differenza è poca. Non si tratta solo di sicurezza e certezza nel futuro, ma anche di retribuzione.
A questo proposito, il gap tra precario e dipendente è di 5.000 euro e sale a 6.800 se si tratta di una donna. Come se ci fosse bisogno di altri motivi per diffidare dei contratti co.co.pro.

Se, poi, si ha meno di 24 anni, la penalizzazione è quasi raddoppiata, dal momento che il divario raggiunge 8.221 euro, ovvero la differenza tra gli 11.400 euro medi annui di un dipendente e i 3.179 euro di un co.co.pro. e un collaboratore coordinato e continuativo.

Questi dati sono stati resi noti da Isfol, la cui direttrice generale, Aviana Bulgarelli ha commentato così: “Una situazione che per le lavoratrici diventa paradossale. Le donne hanno in genere tassi di istruzione più elevati degli uomini. E invece sul fronte salariale continuano a subire una forte disparità di genere. Sia se inquadrate come co.co.pro. che come lavoratrici dipendenti“.

I collaboratori a progetto sono un esercito di 676mila, ai quali si aggiungono i 50mila collaboratori coordinati e continuativi che ci sono nella Pubblica amministrazione e tutti sono accomunati da un reddito medio annuo di 9.885 euro contro i 16.290 euro di busta paga media l’anno degli oltre 17 milioni di occupati dipendenti.
Per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, in Italia sono 1 milione e 442mila unità. Tra loro, il 46,9% sono co.co.pro. Mentre il 35,1% dei collaboratori a progetto ha un’età inferiore ai 30 anni e il 28,7% tra i 30 e 39 anni.
L’84,2% dei co.co.pro. è caratterizzato poi da un regime contributivo esclusivo, ovvero non svolge un’altra occupazione: si tratta di 569mila lavoratori il cui reddito medio scende a 8.500 euro l’anno. Per ricevere uno stipendio pari a quello di un dipendente, un co.co.pro. e un co.co.co. deve superare i 60 anni e arrivare a fine carriera, quanto il reddito annuale medio ammonta a 19.797 euro contro i 19.462 euro per un dipendente.

Una recente indagine di Isfol-Plus, poi, informa che, per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, il 70% dei collaboratori deve garantire la presenza presso la sede di lavoro, il 67% ha concordato un orario giornaliero con il datore e il 71% utilizza, nello svolgimento della prestazione, mezzi e strumenti del datore di lavoro.

Chi decide il tipo di contratto? Di certo non i diretti interessati ma, guarda caso, i datori di lavoro stessi. Per questo, è richiesto a gran voce l’intervento di Elsa Fornero, ministro del Lavoro e del Welfare, che dovrebbe, secondo Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, “equiparare i contributi, garantendo contestualmente le stesse tutele e dando certezza di un salario corrispondente al lavoro che si svolge“.

Una soluzione alternativa, per Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, potrebbe essere quella di utilizzare queste forme contrattuali per “assumere lavoratori per qualifiche medio-alte“.