Smau 2012, le interviste: Maria Isabella Bressan, Provincia Autonoma di Trento

Infoiva, media partner di Smau 2012, incontra startupper e realtà istituzionali al salone milanese della teconologia. La videointervista a Maria Isabella Bressan, che ha l’incarico speciale per l’innovazione dalla Direzione generale della Provincia Autonoma di Trento.

Ict italiano tra luci e ombre

Com’è lo stato di salute dell’Ict italiano? Stando al rapporto Assinform 2012 appena presentato alla vigilia di Smau, le cose potrebbero andare meglio. Il primo semestre dell’anno si è infatti chiuso con un calo del 3,8%, a 8,42 miliardi di euro, mentre la previsione sul 2012 è di un -4,4%. Cifre contenute, per carità, nulla a che vedere con i cali a doppia cifra che caratterizzano un po’ tutti i comparti dell’economia del Paese. Però… però di calo si tratta, è innegabile.

Il mercato dell’Ict italiano vale 68,6 miliardi di euro e al suo interno, secondo Assinform, crescono solo le componenti legate a internet: cloud computing +41,6%, tablet +78,5%, smartphone +30%. Nei comparti tradizionali, invece, solo segni meno: pc e server -7,1%, servizi -3,3%, software, -0,6%. In particolare merita di essere sottolineato il boom dei tablet, al di là della percentuale di crescita: nel primo semestre 2012 sono state vendute 705mila nuove unità, rispetto alle 398mila del primo semestre 2011. Rallenta la flessione delle Tlc: -1,3%, grazie alla inversione di marcia dei capitoli relativi a infrastrutture (+2,2%) e terminali (+4,4%).

Insomma, segnali positivi ce ne sono, ma come agire per fare in modo che i meno diventino più? Secondo Paolo Angelucci, presidente di Assinform, la ricetta è tanto semplice quanto coraggiosa, almeno in un momento come questo: investire.Per invertire il trend negativo e aprire il Paese alle opportunità dell’economia digitale – sostiene Angeluccioccorre una cura shock che, in realtà, è già nelle potenzialità del pacchetto di misure sull’Agenda digitale varato dal Governo con il recente decreto legge Crescita 2.0. E’ importantissimo, quindi, che tali misure diventino legge al più presto, senza cedimenti rispetto allo spirito e agli obiettivi innovativi del provvedimento. E’ necessario, infatti, stabilizzare le condizioni quadro, per far partire un nuovo importante ciclo di investimenti in Ict, di cui già si vedono i segnali per le infrastrutture Tlc, che potrà fare da volano per la crescita dell’intera economia“.

E chi può investire, se non le imprese? Imprese alle quali si chiede un atto di lungimiranza, imprese che non possono sottrarsi al loro ruolo. “In questo scenario difficile, ma non privo di potenziali vie d’uscita – ha detto Angelucci, anche le imprese sono chiamate a fare la loro parte. Nella prospettiva di una nuova domanda che chiede all‘Ict di essere ancora più trasversale, più penetrante, più capace di dare soluzione ai problemi strutturali del Paese, il settore deve essere pronto a mettere in campo più innovazione, più best practices, più capacità di intervento. In questa chiave è fondamentale garantire l’accesso al credito alle imprese che vogliono investire in innovazione. Puntare sul modello di crescita 2.0 vuol dire anche abbattere il credit crunch per l’innovazione, stabilendo percorsi facilitati agli investimenti in nuove tecnologie“.

Insomma, se la tecnologia deve essere il traghetto che porta le imprese e l’economia fuori dalle secche della crisi, gli imprenditori devono tornare a fare quello che meglio sanno fare: investire sull’impresa e sul futuro. Smau 2012, al via oggi, può essere l’occasione buona che tante di loro cercavano per far partire questa rinascita.

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Mercato dell’Ict in calo, la parola d’ordine è innovazione

 

Il mercato italiano dell’Ict ha segnato un calo nelle vendite significativo nel 2011: per quanto riguarda le sue componenti tradizionali (hardware, software e servizi) la contrazione è stata del 3,6% rispetto al 2010, mentre sul versate It si è passati dal – 1,4% di fine 2010 al -4,1% (Tlc da – 3,0% a -3,4%) del 2011. Nel dettaglio sono stati venduti 4.559 milioni di euro di hardware (- 9%), su cui ha pesato il calo nelle vendite di PC (6.370.000, -16,2%), non compensato dal boom dei tablet (858.000 pezzi, +100,2%), mentre il software ha dato prova di maggior tenuta (4.226 milioni di euro, 1%).

I dati sono il frutto del 43mo Rapporto Assinform relativo alle performance del settore Ict nel 2011: “a fronte di un aumento medio mondiale della domanda di Ict di + 4,4%, questi risultati mettono in luce in modo drammatico le difficoltà di ripresa della nostra economia, che fa ancora troppa, estrema, fatica ad agganciarsi all’innovazione digitale come motore della crescita” ha sottolineato Paolo Angelucci, presidente di Assinform.

I trend mondiali parlano chiaro: nel resto del mondo l’informatica è salita del 2,4% e le Tlc del 5,7% nel 2011; il mercato trainante resta quello degli Usa con l’It a +3,1% (+ 5,1 nel 2010) e la Germania con + 2,3% (+ 2,6% nel 2010). Fanalino di coda in Europa la Spagna con – 5,3%. E’ importante sottolineare però che, a differenza dell’Italia, il rapporto Spesa It/Pil nel 2011 nei Paesi sopracitati è stato molto più elevato (Usa 4,2%, Francia 3,4%, Germania e Uk 3,3%), mentre l’Italia, come la Spagna, si è fermato all’1,8%. La forbice tra innovazione e Italia si va allargando, diventando sempre più ampia.

Veniamo al 2012: nel primo trimestre il mercato delle telecomunicazioni ha totalizzato 9.960 milioni di euro, con un calo del 3,1% rispetto al 2011, mentre quello dell’IT è arrivato a quota 4.085 milioni di euro, segnando una contrazione del 3,4%, per un mercato complessivo dell’ICT pari a 14.045 milioni, in calo del 3,2%. Le previsioni per il 2012 parlano di un business complessivo pari a 56.599 milioni (-2,5%) con la componente telecomunicazioni a 39.530 milioni (-2,1%) e la componente IT a 17.119 milioni (-3, 1%).

Se il calo sembra contrarsi, a ciò si aggiunge una buona notizia, almeno secondo Paolo Angelucci, presidente di Assinform: “al calo della domanda Ict tradizionale, si sta contrapponendo l’emersione di un nuovo perimetro del mercato digitale, che tende ad ampliarsi in virtù della crescita delle componenti più innovative, legate alla penetrazione del web, allo sviluppo del cloud, all’Internet delle cose, all’uso di tablet, e-reader e smartphone”. Si tratta di un settore che è il frutto della convergenza fra tecnologie informatiche e di telecomunicazione, e che nel solo 2011 è stato di 69.313 milioni di euro, con un trend negativo più attenuato, dell’ordine di – 2,2 % rispetto al 2010.

Un nuovo trend in grado di compensare le perdite subite dal mercato tradizionale dell’Ict? Sembra proprio di si: “se il 2012 vedrà, secondo le nostre previsioni, un trend delle componenti tradizionali dell’Ict ancora in discesa, anche se con velocità attenuata, dell’ordine di – 2,5% , con le Tlc a -3,1% e l’It a -2,1%, prevediamo una crescita delle componenti innovative di +6,7% continua Angelucci.

Puntare su ricerca, sviluppo e innovazione sembra l’unica soluzione per salvare il mercato: rifocalizzarsi sugli asset innovativi e rimodellarsi in maniera efficiente su quelli tradizionali; crescere dimensionalmente sfruttando tutti gli strumenti a disposizione, innanzitutto capitale di rischio e reti d’imprese, investire massicciamente in Ricerca e Sviluppo. E a proposito di Agenda Digitale e Riforme dello Stato Angelucci sottolinea come sia necessario agire su latri 5 fronti:

  • risolvere il credit crunch: per le imprese It è fondamentale, perché essendo labour intensive sono particolarmente esposte alle problematiche finanziarie
  • riforma del lavoro: non deve essere piu “tossica” dell’attuale dell’art.18 bloccando la capacità di affrontare le sfide che pone il Global Digital Market
  • appalti: è indispensabile rivisitare la materia per l’It, eliminando le gare al massimo ribasso e rispettando i tempi di pagamento
  • riformare l’in-house per eliminare distorsioni di mercato e rivitalizzare la concorrenza nell’informatica pubblica
  • introduzione del Chapter 11 italiano per permettere la ristrutturazione delle imprese

L’Italia vive ancora in una dimensione di arretratezza dal punto di vista dell’utilizzo delle tecnologie informatiche, e questo colpisce anche le piccole e medie aziende che molto spesso puntano troppo poco a innovazione e imprese digitali. Per fare qualche esempio, nel nostro Paese le imprese italiane che acquistano on-line sono meno del 20%, contro la media europea del 30%, e ancora, è bassissimo il numero delle aziende che vendono on-line, raggiungendo valori del 2%, contro il 12-13% europeo. Colpa degli acquirenti? La popolazione italiana che usa spesso Internet non supera il 54%, mentre in Europa va oltre 71%), e fra questi, la popolazione che acquista on-line è meno del 15% (Europa 40%), senza dimenticare che le famiglie italiane con accesso alla banda larga sono poco più del 53%.

Parole d’ordine: investire e innovare. Magari dandosi appuntamento al Salone Smau 2012, in programma dal 17 al 19 ottobre a FieraMilanoCity, per fare il punto all’information e communication technology.

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Alessia CASIRAGHI

Un antidoto alla crisi? Investire nell’ICT

di Manuele MORO

Mentre l’Italia attraversa una delle peggiori crisi economiche di tutti i tempi, i maggiori luminari del settore si interrogano su quali misure adottare per riuscire nell’ardua impresa di ridurre il sempre più preoccupante debito pubblico accumulato e, al tempo stesso, incentivare la crescita.

Ecco, una piccola risposta in questo senso, sicuramente parziale ma non per questo meno significativa, arriva dal convegno Crisi finanziaria e rilancio dell’economia: quello che l’Ict può fare, organizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano insieme a Cefriel, con il patrocinio di Assinform, Aused e ClubTI.

Come chiaramente evidenziato dal titolo, scopo dell’iniziativa era fornire dati attendibili a sostegno di quella tesi ampiamente condivisa, ma mai supportata da numeri chiari e inequivocabili, che vede nella capillare diffusione delle tecnologie digitali in ambito business una delle chiavi per il rilancio delle imprese e dell’economia nel suo complesso.

E i risultati dell’indagine, presentati lo scorso 30 novembre al Politecnico di Milano, parlano chiaro:   maggiori investimenti nell’ICT renderebbero possibile non solo un incremento del PIL tra lo 0,4 e lo 0,9%, ma anche un notevole risparmio di risorse, fino a 43 miliardi di euro all’anno. E tutto questo solo nella Pubblica Amministrazione.

L’eProcurement, ad esempio, consentirebbe di ridurre la spesa che la PA sostiene annualmente per gli acquisti di ben 4 miliardi di euro, mentre con la digitalizzazione di alcuni processi burocratici e la semplificazione delle procedure di pagamento si recupererebbero addirittura 24 miliardi di euro. Allo stesso tempo, la maggiore produttività del personale permetterebbe di liberare altri 15 miliardi.

A stupire è soprattutto la (relativa) esiguità degli investimenti necessari nell’immediato per ottenere risultati di questa portata: poco meno di 3 miliardi di euro, da indirizzare soprattutto allo sviluppo della banda larga e ultralarga, ma anche al finanziamento delle start-up più promettenti in ambito hi-tech.

Fin qui, tutto bene. Ma i soggetti direttamente interessati, ossia le imprese italiane, sono davvero consapevoli dell’importanza strategica delle nuove tecnologie digitali? Non a sufficienza purtroppo, perlomeno a giudicare dalle risposte raccolte dai ricercatori della School of Management su un campione di oltre 170 aziende: nel 2012, infatti, la maggioranza è intenzionata a mantenere invariato il budget ICT, che viene però in larga parte assorbito dai costi di gestione.

La parte più consistente di questi fondi, in ogni caso, sarà destinata alla razionalizzazione dei sistemi informativi (sviluppo dei data center e delle soluzioni cloud) e alla digitalizzazione dei processi aziendali: una decisione che, secondo Mariano Corso, responsabile scientifico della ricerca, è indice del tentativo da parte delle divisioni ICT di “autofinanziare l’innovazione attraverso il recupero di risorse”.

d.S.

Il sindacato viaggia a fil di rete

Si chiama Sindacatonetworkers.it e la sua missione è la tutela individuale dei professionisti e dei lavoratori del web, i networkers.

Promosso dalla UIiltucs nazionale, la categoria della Uil che si occupa della rappresentanza del terziario, il primo sindacato interamente online si rivolge a tutti i professionisti e lavoratori dell’Ict, con contratto di lavoro dipendente, autonomo o atipico.

Ma quali sono i servizi offerti? Si va dalla consulenza online sul lavoro ai servizi di formazione professionale in e-learning sui principali skills digitali. Il network ha l’obiettivo anche di mettere in contatto domanda e offerta di lavoro nell’Ict tramite la Borsa delle professioni, e un servizio di news per rimanere sempre aggiornati.

“Il sindacato italiano, con questo nuovo progetto, fa un salto nel futuro e punta su Internet e la tutela individuale” ha dichiarato Filippo Di Nardo, ideatore e coordinatore nazionale di SindacatoNetworkers.it . “I professionisti e i lavoratori dell’Ict, che in Italia sono oltre un milione, hanno bisogno di un sindacato 2.0 che sposta la propria attività sulla Rete e sia in grado di dare risposte innovative alla esigenze di tutela individuale oltre a parlare il linguaggio dei nativi digitali”.

SindacatoNetworkers.it si propone di diventare il sindacato di riferimento dei networkers in Italia. “Il sindacato tradizionale per poter dare risposte alle domande di riconoscimento e tutela -sottolinea Brunetto Boco, segretario generale della Uiltucs – che provengono dalle nuove aree professionali e lavorative, deve sapersi modificare profondamente nella sua struttura interna e nelle sue modalità operative”.

Alessia Casiraghi

Microsoft investe sulle PMI: pronti 130 milioni di euro in tre anni

In questi tempi di crisi uno spiraglio di luce viene da Microsoft che ha dichiarato pubblicamente di voler investire 130 milioni di euro sulle PMI italine; durata dell’impegno triennale.

La casa di Redmond afferma di voler puntare forte sulla digitalizzazione delle aziende del vecchio stivale, ma non solo su di esse, l’impegno infatti è esteso anche a scuola e sanità.

In uno scenario aspro come quello attuale, dove molte PMI riversano in uno stato di profonda anossia, le intenzioni di Microsoft potrebbero apparire come una vera e propria manna dal cielo. In questo modo molte imprese potranno rinnovare le proprie infrastrutture software e formarsi sulle nuove tecnologie.

Il pacchetto di aiuti della casa americana è così suddiviso: il 60 % circa del denaro investito sarà destinato per incrementare il business dei partner Microsoft, che si traduce in 25mila aziende a cui verranno forniti software e servizi; il 30% verrà invece destinato per la consulenza alle aziende che intendono migrare verso un tipo di infrastruttura cloud.

Per coloro che non conoscessero questa tecnologia, il cloud computing permette ad un’azienda di eseguire le applicazioni necessarie per il suo business in un data center condiviso, attraverso un semplice collegamento internet. Tutto questo significa una drastica riduzione dei costi, perché comunque vengono abbattute le spese necessarie per pagare il personale destinato alla gestione delle applicazioni.

Il modello di Cloud computing è molto vantaggioso sia per le applicazioni consumer che per quelle aziendali, soprattutto perché bastano pochi giorni per essere operativi e perché l’azienda può personalizzare l’applicazione secondo le proprie esigenze. Secondo Microsoft sarebbero circa 500 mila le imprese che dovrebbero digitalizzarsi. Pietro Scott Jovane, CEO di Microsoft Italia, ha dichiarato che il progetto Microsoft è ambizioso e non riguarda solo il mettere online le aziende, ma offrire loro servizi consulenziali a 360° su come sviluppare infrastrutture informatiche performanti che possano costituire per l’azienda un valido strumento di sviluppo.

A tal proposito Microsoft ha inoltre dichiarato di aver completato l’acquisizione di Skype, che contribuirà ulteriormente a delineare la volontà della casa americana di mettere a disposizione delle aziende una soluzione capace di agevolare il processo comunicativo infra e intra aziendale.

Emiliano Ragoni

Il cloud computing fa volare le aziende

Il cloud computing fa bene alle Pmi e le fa volare alto. Questo è quanto emerge dall’indagine “Cloud adoption, benefits and strategy” condotta da IDG per NetApp, secondo la quale sempre più aziende scelgono il cloud computing per aumentare il proprio business.

Il sondaggio ha coinvolto 113 membri del CIO Forum su Linkedin e ha mostrato una forte crescita di interesse per il cloud all’interno di aziende grandi e piccole. I vantaggi che ne derivano sono maggiore flessibilità, riduzione dei costi, rapido provisioning di nuovi servizi e applicazioni.

L’86% degli intervistati ha sostenuto di essere in fase di implementazione o sviluppo di progetti di cloud computing e il 37% del campione ha dichiarato di aver dato molta importanza alle strategie cloud a livello aziendale, anziché a livello di business unit o dipartimento.

Secondo quanto riporta lo studio, le aziende sarebbero molto interessate a un “approccio concreto e meditato al cloud computing che comprenda modelli di cloud privato e pubblico in base alle necessità delle applicazioni e il supporto di partner competenti. È ormai evidente infatti che un’infrastruttura cloud mal progettata non può avere successo nel lungo termine”. Con il risultato che “una strategia cloud efficace permette di ridurre i costi, migliorare la flessibilità del business e assicurare una veloce risposta alle esigenze del business. Ma per ottenere risultati significativi è essenziale adottare un approccio olistico e globale, in grado di sfruttare al meglio le competenze sia dal lato IT sia dal lato business dell’azienda”.