Gli imprenditori stranieri in Italia

Gli imprenditori stranieri in Italia sono una benzina importantissima per il motore della piccola e media impresa. Se nel 2014 risultavano oltre 335mila imprese individuali registrate da imprenditori stranieri, capiamo bene come i flussi migratori non generino solo tragedie, frustrazione e povertà, ma anche ricchezza.

Quali sono, però, gli imprenditori stranieri che hanno davvero trovato l’America in Italia? Ce lo racconta sempre l’indagine trimestrale di Unioncamere/InfoCamere, dalla quale emerge che Marocco, Cina, Albania e Bangladesh sono i Paesi d’origine del maggior numero di imprenditori stranieri operanti in Italia.

Gli imprenditori stranieri arrivati dal Marocco, le cui imprese rappresentano il 19,1% del totale delle ditte individuali guidate da extracomunitari in Italia, dominano in 11 regioni su 20, e sono i padroni assoluti nei settori dei trasporti e del commercio.

Dalla Cina arrivano invece 47mila imprenditori individuali, stando alle stime relative a dicembre 2014. La maggior parte di queste comunità di imprenditori stranieri si è stabilita in Toscana e Veneto, dove si dedicano principalmente alla loro vocazione manifatturiera (in special modo tessile), ma sono anche molto attivi nella ristorazione, nell’ospitalità e nei servizi alle persone.

Se un tempo, poi, almeno al Nord Italia muratore era sinonimo di bergamasco, ora gli orobici cedono il posto agli albanesi. Dal Paese delle aquile provengono infatti più di 30mila imprenditori stranieri, molti dei quali operanti nel settore delle costruzioni.

La Top 4 si chiude con gli imprenditori stranieri provenienti dal Bangladesh, titolari di quasi 26mila imprese, la maggior parte delle quali nel Lazio, che la fanno da padroni soprattutto nel settore del commercio (con più di 16mila imprese), ma non disdegnano, secondo Unioncamere, nemmeno i settori delle Tlc, dell’informatica, delle agenzie di viaggio e dei servizi alle imprese.

Meno numerosi ma comunque in forte crescita, sempre secondo Unioncamere, gli imprenditori stranieri provenienti da Pakistan (10.742 imprese, +1.490 sul 2013), Nigeria (10.563, +1.437), Senegal (18.192, +1.299) e India (4.730, +860). Insomma, per i migranti, oltre il Canale di Sicilia c’è di più, se il destino o la barbarie degli scafisti non decidono diversamente.

Immigrati e ricchezza prodotta: le cifre

Da qualche giorno, sull’onda dell’emozione che le tragedie dell’immigrazione delle ultime settimane provocano in moltissimi italiani, Infoiva ha iniziato un focus dedicato a impresa, lavoro e immigrati nel nostro Paese.

Ci siamo occupati degli imprenditori stranieri in Italia, dei loro settori merceologici, di quanta ricchezza producono i lavoratori immigrati e di questa, quanta viene girata nei rispettivi Paesi d’origine. Oggi, partendo dai dati del Rapporto annuale sull’Economia dell’Immigrazione 2014 della Fondazione Leone Moressa, vogliamo capire se e quanto costano alla nostra economia gli immigrati.

Partiamo dunque dalla notizia: secondo i dati del Rapporto, se si comparano le uscite necessarie per “mantenere” gli immigrati regolari e quelle per tutte le operazioni di soccorso e accoglienza dei clandestini con le entrate derivanti da tasse e contributi versati dagli immigrati regolari, l’Italia è in utile di 3,2 miliardi. Stando ai conti relativi al 2012.

La cifra deriva appunto dalla differenza tra contributi previdenziali e Irpef versati dai cittadini immigrati regolari in Italia (15,6 miliardi, di cui 8,9 di contributi e 6,7 di Irpef), e le spese di welfare per gli immigrati e di remunerazione delle forze dell’ordine impiegate sul campo per combattere l’immigrazione clandestina (12,4 miliardi).

Se si volesse fare un calcolo sull’unità, i numeri della Fondazione Moressa ci dicono che mediamente gli immigrati versano a testa poco più di 7mila euro all’anno tra contributi e Irpef (3800 euro all’Inps e 3250 al fisco, per la precisione), mentre dallo Stato ricevono servizi per un controvalore pari a circa 2500 euro.

Tra gli immigrati, la classifica di coloro che versano più soldi allo Stato italiano riflette da vicino la classifica per etnie di provenienza che abbiamo delineato nei giorni scorsi. I più generosi verso Inps e fisco sono i romeni, che versano il 18,4% del totale e hanno una media pro capite di quasi 1800 euro (1793); vengono poi gli albanesi (7,3%, 1961 euro) e i marocchini (5,7%, 1683 euro).

Come si vede, quindi l’universo degli immigrati regolari in Italia ha sfaccettature diverse, senza contare che per tanti di loro l’avventura in Italia è iniziata proprio da un barcone. E, come riconoscimento per il Paese che li ha ospitati dando loro un futuro, da lavoratori o da imprenditori, gli immigrati contribuiscono per una parte non indifferente alla ricchezza dell’Italia.

Sempre secondo i dati della Fondazione Moressa, i lavoratori immigrati incidono per l’8,8% sul Pil italiano; spacchettata per settori, questa ricchezza arriva per il 45,8% arriva dai servizi, per il 18,4% dal manifatturiero, per il 13,3% dalle costruzioni. Senza contare che le 497mila imprese condotte da stranieri (di cui 335mila imprese individuali) producono un giro d’affari annuo di 85 miliardi, pari al 6,5% del Pil nazionale.

I trasferimenti dei lavoratori stranieri nei Paesi d’origine

Nei giorni scorsi abbiamo visto quanti sono gli imprenditori stranieri in Italia, soprattutto quelli che possiedono una impresa individuale, da quali Paesi vengono e in quali settori merceologici hanno specializzato le loro attività

Tra di essi, ma soprattutto tra i lavoratori stranieri che operano regolarmente in Italia, sono in molti coloro i quali, oltre a generare ricchezza per l’Italia, inviano al Paese d’origine parte del proprio stipendio o dei propri guadagni per mantenere le famiglie o sostenere chi li ha aiutati a trovare fortuna da noi.

Si tratta di un fiume di denaro, che i lavoratori stranieri mandano ogni mese oltre i confini italiani; soldi che il Centro Studi Impresa Lavoro ha provato a contare e, soprattutto, ha provato a vedere dove va a finire. Le cifre che escono sono da questa analisi, condotta su lavoratori stranieri di 176 nazionalità, sono di tutto rispetto.

Secondo le stime elaborate dal Centro Studi Impresa Lavoro, la cifra che i lavoratori stranieri hanno inviato nei rispettivi Paesi d’origine nel periodo 2005-2014 è stata di circa 60 miliardi. Un periodo caratterizzato per la maggior parte dagli effetti della crisi economica che, secondo quanto si legge nel rapporto, ha inciso anche sui trasferimenti monetari dei lavoratori stranieri.

Osservando la ripartizione per anno – scrive il Centro Studi Impresa Lavoro -, si osserva come la crisi economica italiana abbia comportato negli ultimi anni una significativa contrazione delle somme inviate da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: dai 7,394 miliardi del 2011 ai 6,833 miliardi del 2012 (-7,6%) fino ai 5,533 miliardi del 2014 (-38%)”.

Limitandosi alle cifre dello scorso anno, l’analisi mostra che i lavoratori stranieri che hanno inviato più denaro al proprio Paese di origine sono stati di gran lunga i romeni (876 milioni) e i cinesi (819 milioni). Non c’è paragone con le altre etnie, visto che i terzi, i lavoratori stranieri provenienti dal Bangladesh sono stati più che doppiati (hanno inviato 360 milioni). Seguono poi i lavoratori originari delle Filippine (324 milioni), del Marocco (250), del Senegal (245), dell’India (225), del Perù (193), dello Sri Lanka (173) e dell’Ucraina (144).

Secondo quanto ha rilevato il Centro Studi Impresa Lavoro, il fenomeno dei trasferimenti ai Paesi d’origine riguarda trasversalmente tute le regioni d’Italia, anche se predominano quelle nelle quali la presenza degli stranieri è più massiccia. Sempre stando al 2014, i lavoratori stranieri che hanno trasferito in più denaro sono stati quelli residenti in Lombardia (1 miliardo e 119,4 milioni), nel Lazio (985,1 milioni), in Toscana (587,1), in Emilia-Romagna (459,7), in Veneto (426,3) e in Campania (306,7).

Qualcuno potrà obiettare che si tratta di ricchezza sottratta al Paese o al territorio, ma non bisogna dimenticare la quota di Pil che i lavoratori stranieri producono per l’Italia, numeri che troppo spesso si finge di dimenticare.

Immigrati fra tragedie e impresa

In questi giorni l’immigrazione è ovunque in prima pagina per le tragedie che si consumano quotidianamente nel Canale di Sicilia. Al di là delle strumentazioni politiche, degli scenari internazionali, della compassione che possono generare queste ecatombi, non dobbiamo dimenticare che gli immigrati regolari sono una risorsa per la nostra economia. Specialmente quando gli immigrati si trasformano in imprenditori.

Secondo l’indagine trimestrale di Unioncamere/InfoCamere su dati del Registro imprese delle Camere di commercio, nel 2014 le imprese individuali costituite da immigrati extracomunitari hanno superato le 335mila unità, +23mila sul 2013. Una impresa individuale su 10 è costituita da immigrati.

La geografia di queste imprese condotte da immigrati, che danno un grande contributo all’economia italiana, è la più variegata. Vincono gli immigrati marocchini (64mila imprese, soprattutto nel commercio), seguiti dai cinesi (47mila, soprattutto nel commercio e nel tessile), dagli egiziani e dagli immigrati albanesi (23mila imprese, soprattutto nelle costruzioni).

Quella che l’indagine di Unioncamere mette in luce è anche una caratteristica delle imprese capitanate da immigrati che fa invidia a quelle italiane: la maggiore capacità di resistere alla crisi, soprattutto grazie a una diversa dinamica di iscrizioni e cessazioni. Lo scorso anno, le imprese guidate da immigrati, hanno fatto registrare 4.264 unità in più rispetto al 2013, e 1.533 cessazioni in meno. Le imprese guidate da italiani, infatti, hanno sì frenato in quanto a numero di cessazioni (28.619 in meno rispetto al 2013), ma sono calate anche le iscrizioni (-12.540 rispetto al 2013).

Dinamiche chiare, che non sono sfuggite a Unioncamere, che ha così commentato i risultati dell’indagine per bocca del presidente Ferruccio Dardanello: “Le trasformazioni che sta subendo il nostro sistema produttivo rispecchiano chiaramente l’evoluzione in corso della nostra società, sempre più sollecitata dall’arrivo di persone provenienti da Paesi stranieri. La crescente diffusione di queste iniziative imprenditoriali dimostra che l’impresa resta una delle strade migliori per l’integrazione e la coesione sociale. Teniamo conto che, considerando anche le società di capitali, la presenza di immigrati in Italia nel mondo imprenditoriale sale ancora, raggiungendo le 500mila unità“.