Immigrati, risorsa d’impresa

Se non ci fossero gli immigrati… Negli ultimi 5 anni le imprese individuali dell’artigianato guidate da immigrati sono più che raddoppiate nelle sartorie (+129,7%), dove guidano i cinesi, nelle pulizie (+108,8%, rumeni, egiziani e albanesi) e nel giardinaggio (+74,5%), la metà delle quali ha come capi rumeni o albanesi.

Sono dati che emergono da un’indagine di Unioncamere e Infocamere sull’imprenditoria artigiana straniera in Italia tra giugno 2011 e giugno 2016. In questo arco di tempo, le attività artigiane guidate da immigrati sono cresciute dell’8,3%, in un contesto globale che ha invece registrato un -7,8%.

Unioncamere – Infocamere rilevano che gli imprenditori immigrati guidano poco più di 181mila aziende il 13,5% dell’intero comparto. Romania, Albania e Cina sono i principali Paesi da cui provengono gli imprenditori, ai quali si deve il 43,7% del tessuto produttivo nazionale.

Egiziani (27,7%), pakistani (8,2%) e turchi (6,5%) vincono nella ristorazione da asporto. Mentre tra parrucchieri ed estetisti sono in aumento svizzeri e tedeschi, che detengono rispettivamente il 19,2% e il 12,2% di queste imprese, con un 7,6% di cinesi.

Oltre la metà del tessuto imprenditoriale artigiano gestito da immigrati è composto da imprese specializzate in lavori di muratura e imbiancatura, dove primeggiano rumeni e albanesi (rispettivamente il 28,1%. e il 22% del totale) e a distanza i marocchini (7,4%).

Il commento di Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere: “I dati mostrano l’importanza del contributo degli immigrati per la crescita della nostra economia, un contributo che passa sempre più anche dalla capacità di molti extracomunitari di fare impresa e, attraverso questa, di integrarsi nel nostro Paese. Per questo è indispensabile supportare l’avvio di nuove realtà imprenditoriali. Un punto quest’ultimo sul quale le Camere di commercio possono dare un apporto prezioso per far nascere imprese più forti e aiutarle a diventare grandi prima“.

Imprenditori stranieri, qualche cifra

Come stanno messe le imprese italiane guidate da imprenditori stranieri? Una fotografia aggiornata l’ha scattata CRIF, società specializzata in sistemi di informazioni creditizie, business information e soluzioni per la gestione del credito, utilizzando le informazioni del CRIF Information Core per analizzare l’andamento tendenziale e le specificità delle aziende gestite da imprenditori stranieri.

CRIF ha rilevato come in Italia siano quasi 500mila le imprese guidate da imprenditori stranieri, la maggioranza delle quali è costituita da ditte individuali (74,1%), seguite da società di capitali (16,1%) e società di persone (meno del 10%).

CRIF ha anche analizzato le percentuali dei Paesi di provenienza degli imprenditori stranieri, rilevando come la maggior parte di loro arrivi dalla Romania (13,7%), seguita dalla Cina (13,3%), dal Marocco (12,9%) e dall’Albania (7,8%).

Il maggior numero di aziende con a capo imprenditori stranieri si concentra nel Nord-Ovest d’Italia, con una quota pari a circa il 33%. La parte del leone, in questo senso, la fa la Lombardia, che è anche la regione dove è più elevato il grado di penetrazione delle imprese con titolare non italiano rispetto al totale delle imprese attive sul territorio regionale.

La preziosa analisi di CRIF ha anche preso in esame la dimensione e l’età di queste aziende guidate da imprenditori stranieri e ha scoperto che il 93,5% di esse ha meno di 6 dipendenti e che sono in generale molto giovani: il 45,7% di loro è stato costituito dopo il 2011. Il 25,3% è guidato da imprenditrici. Per quanto riguarda i settori merceologici, gli imprenditori stranieri hanno fatto più strada nel commercio al dettaglio (36%), nell’edilizia (27%) e nei servizi (15,7%).

Un aspetto importantissimo analizzato da CRIF è relativo alla situazione degli imprenditori stranieri che provengono da Paesi a maggioranza islamica, i quali hanno spesso a che fare con un tipo di finanza particolare, molto attento alle regole della sharia. Un campo pressoché vergine per l’Italia e ricco di opportunità che meritano di essere esplorate.

Basta qualche numero per capire l’entità del fenomeno. Si stima infatti che l’universo legato ai servizi finanziari islamici gestisca fondi per un valore superiore ai 1.800 miliardi di dollari in più di 65 Paesi e che cresca di circa il 10%-15% all’anno. Nel mondo vi sono circa 360 istituti di credito totalmente islamici e oltre 250 fondi d’investimento spirati dai principi della sharia.

Sempre secondo CRIF, a dicembre 2014 il 36,6% dei titolari di impresa non italiani era costituito da imprenditori stranieri provenienti da Paesi a maggioranza islamica, mentre a ottobre 2014 è stato registrato il top di nuove imprese aperte da titolari provenienti da Paesi a maggioranza islamica, con più di 2mila nuove aperture. I Paesi di maggior provenienza di questi imprenditori sono Marocco, Bangladesh ed Egitto.

Tanto basta per inquadrare il fenomeno degli imprenditori stranieri come qualcosa di cui l’economia del nostro Paese non potrà più fare a meno con il passare degli anni.

Gli imprenditori stranieri in Italia

Gli imprenditori stranieri in Italia sono una benzina importantissima per il motore della piccola e media impresa. Se nel 2014 risultavano oltre 335mila imprese individuali registrate da imprenditori stranieri, capiamo bene come i flussi migratori non generino solo tragedie, frustrazione e povertà, ma anche ricchezza.

Quali sono, però, gli imprenditori stranieri che hanno davvero trovato l’America in Italia? Ce lo racconta sempre l’indagine trimestrale di Unioncamere/InfoCamere, dalla quale emerge che Marocco, Cina, Albania e Bangladesh sono i Paesi d’origine del maggior numero di imprenditori stranieri operanti in Italia.

Gli imprenditori stranieri arrivati dal Marocco, le cui imprese rappresentano il 19,1% del totale delle ditte individuali guidate da extracomunitari in Italia, dominano in 11 regioni su 20, e sono i padroni assoluti nei settori dei trasporti e del commercio.

Dalla Cina arrivano invece 47mila imprenditori individuali, stando alle stime relative a dicembre 2014. La maggior parte di queste comunità di imprenditori stranieri si è stabilita in Toscana e Veneto, dove si dedicano principalmente alla loro vocazione manifatturiera (in special modo tessile), ma sono anche molto attivi nella ristorazione, nell’ospitalità e nei servizi alle persone.

Se un tempo, poi, almeno al Nord Italia muratore era sinonimo di bergamasco, ora gli orobici cedono il posto agli albanesi. Dal Paese delle aquile provengono infatti più di 30mila imprenditori stranieri, molti dei quali operanti nel settore delle costruzioni.

La Top 4 si chiude con gli imprenditori stranieri provenienti dal Bangladesh, titolari di quasi 26mila imprese, la maggior parte delle quali nel Lazio, che la fanno da padroni soprattutto nel settore del commercio (con più di 16mila imprese), ma non disdegnano, secondo Unioncamere, nemmeno i settori delle Tlc, dell’informatica, delle agenzie di viaggio e dei servizi alle imprese.

Meno numerosi ma comunque in forte crescita, sempre secondo Unioncamere, gli imprenditori stranieri provenienti da Pakistan (10.742 imprese, +1.490 sul 2013), Nigeria (10.563, +1.437), Senegal (18.192, +1.299) e India (4.730, +860). Insomma, per i migranti, oltre il Canale di Sicilia c’è di più, se il destino o la barbarie degli scafisti non decidono diversamente.

Immigrati ed economia, la Germania ci vede lungo

La recente svolta della Germania sulle politiche di accoglienza nei confronti degli immigrati è sicuramente figlia dell’ondata di emozioni suscitata dalle ultime tragedie e da alcune foto scioccanti che hanno fatto il giro del mondo, oltre che del fatto che, ora, gli immigrati bussano in massa ai confini del Paese con l’Italia a fare sempre meno da cuscinetto. Ma un certo calcolo utilitaristico, in un’ottica di pianificazione a lungo periodo è stato sicuramente fatto dalla cancelliera Merkel.

Non è un caso, infatti, che grandi aziende come la Daimler (capofila di Mercedes) abbiano capito la potenzialità che molti di questi immigrati hanno sul piano economico. Giovani, con istruzione medio alta e forte specializzazione tecnica, questi ragazzi rappresentano un formidabile bacino al quale le aziende tedesche possono attingere per avere manodopera qualificata.

Non è infatti un caso che proprio Daimler abbia annunciato di voler effettuare recruiting tra di loro e che persino il club calcistico del Bayern Monaco abbia annunciato di voler stanziare fondi per consentire agli immigrati più talentuosi di affrancarsi e affermarsi nel mondo del calcio.

E l’Italia? Purtroppo nel nostro Paese il sentimento che prevale è quello di sollievo quando Bruxelles annuncia che una quota di immigrati se ne andrà, ridistribuita in altri Stati dell’Ue. Certo, la lungimiranza non è un concetto proprio dei nostri politici e, a nostra parziale discolpa, possiamo dire che per troppi anni siamo rimasti soli a fronteggiare sbarchi e ondate migratorie e che il nostro tessuto economico e produttivo non è quello della Germania, uscito quasi indenne da una crisi che invece ha massacrato le Pmi italiane. Il che lo rende anche meno attrattivo agli occhi di chi, in Europa, cerca una nuova possibilità.

Resta comunque il fatto che l’Italia si sta facendo scappare un’opportunità per il presente e per il futuro, visto che più immigrati regolari che lavorano significano anche più contributi pensionistici e maggior respiro al welfare.

Del resto, secondo Bloomberg la capacità di accoglienza degli immigrati in Europa dovrebbe salire entro il 2020 a 42 milioni per riscontrare benefici sul welfare, per salire poi a 250 milioni entro il 2060. In questo modo sarebbero coperti gli impieghi, l’Irpef in entrata aumenterebbe, riequilibrando il bilancio tra lavoratori e pensionati.

Secondo uno studio dell’Ue, infatti, il rapporto tra occupati e pensionati è di 4 a 1, destinato a ridursi a parità, con la Germania poco al di sotto di questo tetto: 24 milioni di pensionati a fronte di 41 milioni di adulti. Anche in Italia si attendono in proporzione per il 2050 numeri simili: 20 milioni di pensionati e 38 milioni di attivi. Ecco dunque il beneficio di aumentare i contribuenti immigrati per evitare un aumento dell’Irpef in busta paga o il taglio delle pensioni stesse. In questo modo, sostiene l’Ue, gli immigrati occuperebbero posti di lavoro vacanti, infruttuosi per il fisco. Con un beneficio a lungo termine per gli stati.

Ma lo abbiamo detto: lungimiranza non è un concetto che si addice alla nostra politica. A maggior ragione sul tema degli immigrati…

Immigrati: quanto versano al fisco?

Mentre alcuni Paesi dell’Unione Europea sembrano avere aperto gli occhi sulla questione immigrati e deciso di effettuare un cambio di passo nelle politiche dell’accoglienza, chi in Italia ha messo radici da anni continua a dare una grossa mano all’economia del Paese.

Abbiamo visto ieri il contributo dato dagli immigrati alla nascita di nuove imprese nel nostro Paese, in anni nei quali la crisi economica ha continuato a mordere e a fare strage delle aziende italiane. Oggi vediamo un altro indicatore importante, quello del gettito fiscale che, ogni anno, gli immigrati riversano nelle casse dello Stato.

È una cifra consistente, pari a 6,8 miliardi di euro che ogni anno finisce nelle casse dell’Agenzia delle entrate. Sì, perché tra i 5 milioni di immigrati regolari si cela un popolo di contribuenti: 3 milioni e mezzo di persone, che dichiarano al fisco oltre 45 miliardi di euro l’anno.

Un calcolo, questo sulle dichiarazioni dei redditi 2014 degli immigrati, fatto dalla Fondazione Leone Moressa, in base al quale risulta che i contribuenti immigrati sono l’8,6% del totale e dichiarano 45,6 miliardi di euro. Spacchettando il dato per etnie, in prima fila ci sono i romeni (6,4 miliardi), seguiti da albanesi (3,2), svizzeri (2,8) e marocchini (2,4).

Sul totale di questi contribuenti immigrati, le donne sono meno il 43,9% rispetto al 48% delle italiane, impiegate prevalentemente come colf e badanti. Mestieri appannaggio soprattutto di alcune nazionalità dell’Est Europa come Ucraina (le cui donne contribuenti sono il 75,9%) e Moldavia (60,7%). Non è tutto.

Interessante anche il dato relativo all’Irpef versata dagli immigrati, nel 2014: 6,8 miliardi, il 4,5% del gettito complessivo, con un’Irpef media pro-capite per i nati all’estero di 3.070 euro, quasi 2mila euro in meno degli italiani.

Significativa, poi, l’analisi effettuata dalla Fondazione Moressa su come le tasse pagate dagli immigrati, tra contributi previdenziali e gettito fiscale, vengono controbilanciate dalla spesa pubblica che li sostiene, per le voci relative a politiche di accoglienza e integrazione, welfare e contrasto all’immigrazione clandestina. Ebbene, il saldo è in attivo di 3,9 miliardi.

Per quanto riguarda invece la distribuzione territoriale, circa un quinto dei contribuenti immigrati vive in Lombardia e oltre il 50% in sole quattro regioni: Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia e Veneto. Tutti dati che, a giudizio della Fondazione Moressa, indicano che “gli immigrati risultano certamente più una risorsa che una minaccia per il Paese“.

Immigrati e ricchezza prodotta: le cifre

Da qualche giorno, sull’onda dell’emozione che le tragedie dell’immigrazione delle ultime settimane provocano in moltissimi italiani, Infoiva ha iniziato un focus dedicato a impresa, lavoro e immigrati nel nostro Paese.

Ci siamo occupati degli imprenditori stranieri in Italia, dei loro settori merceologici, di quanta ricchezza producono i lavoratori immigrati e di questa, quanta viene girata nei rispettivi Paesi d’origine. Oggi, partendo dai dati del Rapporto annuale sull’Economia dell’Immigrazione 2014 della Fondazione Leone Moressa, vogliamo capire se e quanto costano alla nostra economia gli immigrati.

Partiamo dunque dalla notizia: secondo i dati del Rapporto, se si comparano le uscite necessarie per “mantenere” gli immigrati regolari e quelle per tutte le operazioni di soccorso e accoglienza dei clandestini con le entrate derivanti da tasse e contributi versati dagli immigrati regolari, l’Italia è in utile di 3,2 miliardi. Stando ai conti relativi al 2012.

La cifra deriva appunto dalla differenza tra contributi previdenziali e Irpef versati dai cittadini immigrati regolari in Italia (15,6 miliardi, di cui 8,9 di contributi e 6,7 di Irpef), e le spese di welfare per gli immigrati e di remunerazione delle forze dell’ordine impiegate sul campo per combattere l’immigrazione clandestina (12,4 miliardi).

Se si volesse fare un calcolo sull’unità, i numeri della Fondazione Moressa ci dicono che mediamente gli immigrati versano a testa poco più di 7mila euro all’anno tra contributi e Irpef (3800 euro all’Inps e 3250 al fisco, per la precisione), mentre dallo Stato ricevono servizi per un controvalore pari a circa 2500 euro.

Tra gli immigrati, la classifica di coloro che versano più soldi allo Stato italiano riflette da vicino la classifica per etnie di provenienza che abbiamo delineato nei giorni scorsi. I più generosi verso Inps e fisco sono i romeni, che versano il 18,4% del totale e hanno una media pro capite di quasi 1800 euro (1793); vengono poi gli albanesi (7,3%, 1961 euro) e i marocchini (5,7%, 1683 euro).

Come si vede, quindi l’universo degli immigrati regolari in Italia ha sfaccettature diverse, senza contare che per tanti di loro l’avventura in Italia è iniziata proprio da un barcone. E, come riconoscimento per il Paese che li ha ospitati dando loro un futuro, da lavoratori o da imprenditori, gli immigrati contribuiscono per una parte non indifferente alla ricchezza dell’Italia.

Sempre secondo i dati della Fondazione Moressa, i lavoratori immigrati incidono per l’8,8% sul Pil italiano; spacchettata per settori, questa ricchezza arriva per il 45,8% arriva dai servizi, per il 18,4% dal manifatturiero, per il 13,3% dalle costruzioni. Senza contare che le 497mila imprese condotte da stranieri (di cui 335mila imprese individuali) producono un giro d’affari annuo di 85 miliardi, pari al 6,5% del Pil nazionale.

I trasferimenti dei lavoratori stranieri nei Paesi d’origine

Nei giorni scorsi abbiamo visto quanti sono gli imprenditori stranieri in Italia, soprattutto quelli che possiedono una impresa individuale, da quali Paesi vengono e in quali settori merceologici hanno specializzato le loro attività

Tra di essi, ma soprattutto tra i lavoratori stranieri che operano regolarmente in Italia, sono in molti coloro i quali, oltre a generare ricchezza per l’Italia, inviano al Paese d’origine parte del proprio stipendio o dei propri guadagni per mantenere le famiglie o sostenere chi li ha aiutati a trovare fortuna da noi.

Si tratta di un fiume di denaro, che i lavoratori stranieri mandano ogni mese oltre i confini italiani; soldi che il Centro Studi Impresa Lavoro ha provato a contare e, soprattutto, ha provato a vedere dove va a finire. Le cifre che escono sono da questa analisi, condotta su lavoratori stranieri di 176 nazionalità, sono di tutto rispetto.

Secondo le stime elaborate dal Centro Studi Impresa Lavoro, la cifra che i lavoratori stranieri hanno inviato nei rispettivi Paesi d’origine nel periodo 2005-2014 è stata di circa 60 miliardi. Un periodo caratterizzato per la maggior parte dagli effetti della crisi economica che, secondo quanto si legge nel rapporto, ha inciso anche sui trasferimenti monetari dei lavoratori stranieri.

Osservando la ripartizione per anno – scrive il Centro Studi Impresa Lavoro -, si osserva come la crisi economica italiana abbia comportato negli ultimi anni una significativa contrazione delle somme inviate da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: dai 7,394 miliardi del 2011 ai 6,833 miliardi del 2012 (-7,6%) fino ai 5,533 miliardi del 2014 (-38%)”.

Limitandosi alle cifre dello scorso anno, l’analisi mostra che i lavoratori stranieri che hanno inviato più denaro al proprio Paese di origine sono stati di gran lunga i romeni (876 milioni) e i cinesi (819 milioni). Non c’è paragone con le altre etnie, visto che i terzi, i lavoratori stranieri provenienti dal Bangladesh sono stati più che doppiati (hanno inviato 360 milioni). Seguono poi i lavoratori originari delle Filippine (324 milioni), del Marocco (250), del Senegal (245), dell’India (225), del Perù (193), dello Sri Lanka (173) e dell’Ucraina (144).

Secondo quanto ha rilevato il Centro Studi Impresa Lavoro, il fenomeno dei trasferimenti ai Paesi d’origine riguarda trasversalmente tute le regioni d’Italia, anche se predominano quelle nelle quali la presenza degli stranieri è più massiccia. Sempre stando al 2014, i lavoratori stranieri che hanno trasferito in più denaro sono stati quelli residenti in Lombardia (1 miliardo e 119,4 milioni), nel Lazio (985,1 milioni), in Toscana (587,1), in Emilia-Romagna (459,7), in Veneto (426,3) e in Campania (306,7).

Qualcuno potrà obiettare che si tratta di ricchezza sottratta al Paese o al territorio, ma non bisogna dimenticare la quota di Pil che i lavoratori stranieri producono per l’Italia, numeri che troppo spesso si finge di dimenticare.

Immigrati fra tragedie e impresa

In questi giorni l’immigrazione è ovunque in prima pagina per le tragedie che si consumano quotidianamente nel Canale di Sicilia. Al di là delle strumentazioni politiche, degli scenari internazionali, della compassione che possono generare queste ecatombi, non dobbiamo dimenticare che gli immigrati regolari sono una risorsa per la nostra economia. Specialmente quando gli immigrati si trasformano in imprenditori.

Secondo l’indagine trimestrale di Unioncamere/InfoCamere su dati del Registro imprese delle Camere di commercio, nel 2014 le imprese individuali costituite da immigrati extracomunitari hanno superato le 335mila unità, +23mila sul 2013. Una impresa individuale su 10 è costituita da immigrati.

La geografia di queste imprese condotte da immigrati, che danno un grande contributo all’economia italiana, è la più variegata. Vincono gli immigrati marocchini (64mila imprese, soprattutto nel commercio), seguiti dai cinesi (47mila, soprattutto nel commercio e nel tessile), dagli egiziani e dagli immigrati albanesi (23mila imprese, soprattutto nelle costruzioni).

Quella che l’indagine di Unioncamere mette in luce è anche una caratteristica delle imprese capitanate da immigrati che fa invidia a quelle italiane: la maggiore capacità di resistere alla crisi, soprattutto grazie a una diversa dinamica di iscrizioni e cessazioni. Lo scorso anno, le imprese guidate da immigrati, hanno fatto registrare 4.264 unità in più rispetto al 2013, e 1.533 cessazioni in meno. Le imprese guidate da italiani, infatti, hanno sì frenato in quanto a numero di cessazioni (28.619 in meno rispetto al 2013), ma sono calate anche le iscrizioni (-12.540 rispetto al 2013).

Dinamiche chiare, che non sono sfuggite a Unioncamere, che ha così commentato i risultati dell’indagine per bocca del presidente Ferruccio Dardanello: “Le trasformazioni che sta subendo il nostro sistema produttivo rispecchiano chiaramente l’evoluzione in corso della nostra società, sempre più sollecitata dall’arrivo di persone provenienti da Paesi stranieri. La crescente diffusione di queste iniziative imprenditoriali dimostra che l’impresa resta una delle strade migliori per l’integrazione e la coesione sociale. Teniamo conto che, considerando anche le società di capitali, la presenza di immigrati in Italia nel mondo imprenditoriale sale ancora, raggiungendo le 500mila unità“.

In aumento le imprese condotte da immigrati

Coloro che, arrivati in Italia in cerca di fortuna, sono riusciti ad integrarsi e, addirittura, a creare una propria attività, sono in aumento, tanto da contribuire ampiamente alla nostra economia.

Nel secondo trimestre del 2014, infatti, per quanto riguarda esclusivamente le imprese di immigrati, è tornato a salire il saldo tra iscrizioni e cessazioni, superando le 7mila unità, pari al 44% del saldo complessivo delle imprese individuali nel periodo aprile-giugno (+16.103 unità).

Tra i paesi di provenienza degli imprenditori immigrati extra Ue, il Marocco è in assoluta pole position, con 62.676 titolari, pari al 19,3% di tutti gli imprenditori individuali immigrati operanti alla fine di giugno.
Seguono la Cina (46.136, il 14,2% del totale), l’Albania (30.564, il 9,4%) e il Bangladesh (23.004, il 7,1%).

Gli imprenditori marocchini si occupano soprattutto di commercio e trasporti, tanto da rappresentare, in questi due contesti 31,9 e il 15,8% delle imprese con titolare immigrato.
I cinesi, dal canto loro, sono i primi in classifica in attività manifatturiere (57,9%), alloggio e ristorazione (31,3%) e altre attività di servizi (27,1%), mentre gli albanesi dominano nel settore delle costruzioni (31,6%).
I nati in Bangladesh sono gli imprenditori immigrati più presenti nelle attività di noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (il 24,1% delle imprese di immigrati nel settore) e nei servizi di informazione e comunicazione (16,6%).

La leadership dei marocchini è da ricercarsi anche nella loro lunga presenza sul nostro territorio, tanto da essere i più numerosi tra gli imprenditori extra Ue in 11 regioni su 20, tra le quali spiccano la Calabria (dove sono il 55% di tutte le imprese di immigrati con sede nella regione) e la Valle d’Aosta (dove rappresentano il 35,3% dell’imprenditoria individuale extra Ue).

La Sardegna si segnala per la prevalente presenza di imprenditori originari del Senegal (il 32,6%), il Lazio per quelli del Bangladesh (29,6%), la Toscana per i cinesi, (29,1%) la Liguria per gli albanesi (22,9%), il Friuli Venezia-Giulia per i vicini della Serbia-Montenegro (17,8%), la Lombardia per quelli originari dell’Egitto (15,3%).
Unica regione a registrare la prevalenza di cittadini figli dell’emigrazione nostrana è l’Abruzzo, dove il primo paese di provenienza di imprenditori immigrati è la Svizzera (15,7%).

Vera MORETTI

Calo delle richieste di manodopera straniera

La crisi che attanaglia le imprese si riversa anche sulla forza lavoro straniera.  Il Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e il ministero del Lavoro offrono una serie di dati circa la domanda di lavoratori immigrati che registra una netta contrazione -29%,nel 2012 il calo fu del 27%.

Si contano dunque 17.610 assunzioni in meno, l’anno scorso infatti la manodopera straniera raggiungeva i 60.570, quest’anno invece si contano solo  42.960 unità. Il calo di fabbisogno di dipendenti immigrati colpisce soprattutto il settore dei servizi, dove entro la fine dell’anno sono previste ben 13.430 assunzioni in meno rispetto al 2012, meno soggetto alla contrazione sembra essere invece il settore dell’industria che invece riduce di 4.180 unità il suo fabbisogno (-22,9% sull’anno precedente).

Secondo il il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello questa contrazione è indice di una fortissima e consolidata crisi nell’ambito dei servizi e delle costruzioni, settori nei quali la manodopera straniera costituisce ormai un elemento cardine e strutturale. Lo stesso Dardanelli ha sottolineato l’urgente necessità di salvaguardare le preziose competenze professionali anche degli immigrati, favorendo l’integrazione e il legame culturale tra lavoratori e paesi d’origine. Una strada necessaria, secondo il presidente, per rilanciare sulla domanda interna e fermare la contrazione di fabbisogno di manodopera.

Francesca RIGGIO