Moriremo di Irpef

Può una tassa uccidere famiglie e consumi? Sì, se questa si chiama Iva. Sì, se questa si chiama Irpef. Un’imposta, quest’ultima, che con l’aumentare delle addizionali regionali e comunali ha fatto crescere negli ultimi anni in modo schiacciante il peso delle tasse locali. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha analizzato prima l’andamento medio delle addizionali Irpef applicate in questi ultimi anni sulle persone fisiche dai Comuni capoluogo di Provincia e dalle Regioni, poi ha “pesato” l’aggravio fiscale di queste due imposte sui redditi di quattro diverse tipologie di lavoratori dipendenti. I risultati sono sconsolanti: le buste paga degli italiani sono sempre più leggere.

Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, un operaio con un reddito annuo pari a 20mila euro, che corrisponde a una busta paga netta di 1.240 euro al mese, l’anno prossimo si troverà una trattenuta annua di 420 euro. 14 euro aggiuntivi rispetto al 2012 e 95 euro in più se il confronto è realizzato con l’anno di imposta 2010.

Non va meglio nemmeno a un impiegato con un reddito annuo di 32mila euro, pari ad uno stipendio mensile di 1.840 euro circa. L’anno prossimo il peso delle addizionali comunali e regionali Irpef decurterà il suo reddito annuo di 700 euro. Rispetto al 2012 l’incremento è di 24 euro. Se, invece, la comparazione viene eseguita sul 2010, l’aggravio aggiuntivo è di 133 euro.

Per un quadro, con un reddito annuo di 60mila euro pari a uno stipendio mensile di poco superiore ai 3mila euro, l’anno venturo “lascerà” al Comune e alla Regione di residenza 1.346 euro. 52 euro in più rispetto al 2012 e 265 euro se la comparazione è tra il 2013 e il 2010.

Un dirigente, con un reddito annuo di 150mila euro che gli consente di portare a casa quasi 7mila euro netti al mese, nel 2013 dovrà versare 3.447 euro di addizionali Irpef. Rispetto al 2012 l’aumento è di 169 euro. Se il confronto è fatto con il 2010, l’aggravio fiscale aggiuntivo è di 714 euro.

Amaro il commento del segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “L’aumento della tassazione locale è diventato ormai una costante che caratterizza la politica fiscale degli Enti locali. Lo Stato risparmia tagliando i trasferimenti, le Regioni e i Comuni si difendono alzando il livello delle imposte per mantenere in equilibrio i propri bilanci. Speriamo che con la nuova Legislatura si riprenda in mano il tema del federalismo fiscale, altrimenti tra Imu, Irap, Tares, e addizionali Irpef i cittadini e le imprese si troveranno a pagare sempre di più senza avere un corrispondente aumento della qualità e della quantità dei servizi offerti”.

Le istruzioni per pagare le sanzioni da accertamento

Sono stati istituiti quattro codici tributo per consentire il versamento delle penalità dovute in caso di pronuncia giurisdizionale sfavorevole nei confronti di chi ha presentato ricorso. A seguito della concentrazione della riscossione nell’accertamento – introdotta, a partire dal 1° ottobre 2011, dall’articolo 29 del Dl 78/2010 – gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’Irap e dell’Iva, relativi ai periodi di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, devono contenere anche l’intimazione ad adempiere al pagamento degli importi indicati.

La risoluzione n. 95/2011 ha istituito i codici tributo da utilizzare per il versamento, tramite modello F24, delle imposte e dei relativi interessi gli importi dovuti in fase di contenzioso per gli adempimenti diversi da quelli connessi agli istituti definitori.

Con la risoluzione n. 78/E del 20 luglio sono stati invece istituiti i codici tributo per versare, sempre mediante F24, le sanzioni dovute in caso di sentenza sfavorevole:

  • 9970, per le sanzioni relative a tributi erariali
  • 9971, per le sanzioni relative all’Irap
  • 9972, per le sanzioni relative all’addizionale comunale all’Irpef
  • 9973, per le sanzioni relative all’addizionale regionale all’Irpef.

I codici devono essere esposti nella sezione “Erario” in corrispondenza degli “Importi a debito versati”. I valori da indicare nei campi “codice ufficio”, “codice atto”, “codice tributo” e “anno di riferimento” vanno ricavati dall’atto di accertamento.

Da oggi pagano le imposte anche i sospesi “da intemperie”

Chi ha interrotto la propria attività per alluvioni e frane nel 2011 può pagare da oggi, con un limite massimo di 6 rate, le imposte congelate. Con l’ordinanza 5 luglio 2012, il Governo ha completato la procedura per la proroga degli adempimenti fiscali e dei versamenti di imposte e contributi previdenziali e assistenziali, iniziata con il decreto milleproroghe per il 2012 (Dl n. 216/2011, articolo 29, commi 15 e 15-bis). Il provvedimento si riferisce alle zone colpite dal maltempo nel 2011, a ottobre nelle province di La Spezia e Massa Carrara, a novembre in quelle di Genova, Livorno e Messina, a febbraio a Matera e a marzo nel territorio di Ginosa in provincia di Taranto.

La proroga al 16 luglio di quest’anno degli adempimenti tributari e dei versamenti di imposte e contributi previdenziali e assistenziali e relativi alle assicurazioni obbligatorie, riguarda un elenco di soggetti titolari di attività, allegato all’ordinanza. A seconda della data in cui si è verificata la calamità è diverso il periodo coperto dalla proroga, fermo restando il 30 giugno scorso come termine di scadenza dell’agevolazione. Per le province di La Spezia e Massa Carrara il differimento copre gli obblighi non ottemperati dal 1° ottobre 2011, per Genova e Livorno si parte dal 4 novembre, per la provincia di Messina dal 22 novembre e per quella di Matera dal 18 febbraio. Per quanto riguarda il comune di Ginosa, in provincia di Taranto, il rinvio si riferisce agli impegni maturati dal 1° marzo dell’anno scorso.

La proroga non si applica a versamenti e adempimenti da effettuare in qualità di sostituti d’imposta, ma solo dai soggetti comunicati dalle Regioni e limitatamente agli adempimenti relativi alle attività svolte. Tuttavia non scattano sanzioni e interessi per il mancato assolvimento degli obblighi tributari da parte dei sostituti d’imposta, a condizione di effettuare i versamenti a partire dal 16 luglio, in un massimo di 6 rate mensili. Gli importi sospesi fino al prossimo 16 luglio possono essere versati, a decorrere dalla stessa data, in un massimo di sei rate mensili di uguale importo.

Lo Stato può ingrassare, i comuni devono tagliare

Tasse e imposte allo Stato, lacrime e sangue agli enti locali. Questo emerge, in sostanza, da un’analisi della Cgia di Mestre secondo la quale i Governi Berlusconi e Monti hanno imposto, per l’anno in corso, manovre correttive pari a 48,9 miliardi: 40,2 di nuove entrate e 8,7 di tagli alla spesa. Però, se sul totale delle nuove entrate previste l’84,4% finirà nelle casse dell’Erario, sul fronte tagli, invece, la situazione si “ribalterà”. All’Amministrazione centrale sarà richiesta una riduzione netta della spesa del 20,1% del totale, mentre gli enti locali subiranno un taglio pari al 51,4% del totale della spesa prevista e gli enti previdenziali il restante 28,6%. Un altro esempio scandaloso dell’asimmetria che lo Stato utilizza nei confronti non solo dei contribuenti ma anche degli enti non di primo livello.

L’analisi della Cgia si è poi spinta oltre e ha preso in esame alcuni dati sulla ripartizione del debito pubblico italiano per livello di governo. Lo stock di debito pubblico al 30 aprile 2012 è risultato pari a 1.948 miliardi di euro, dei quali solo il 2,6% è imputabile alle Amministrazioni comunali (50,5 miliardi). In totale, le Amministrazioni locali incidono appena per il 5,7% sul debito pubblico, mentre il 94,3% rimanente è in capo alle Amministrazioni centrali.

Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre: “Se l’enorme gettito fiscale aggiuntivo imposto dagli ultimi due Esecutivi finirà quasi tutto nelle casse dell’Erario i tagli alla spesa saranno però in capo quasi esclusivamente agli Enti previdenziali e agli Enti locali. Se i primi raggiungeranno l’obiettivo grazie alla riforma previdenziale attuata dal Governo Monti, i secondi, vista la difficile situazione di bilancio, dovranno, molto probabilmente, ritoccare all’insù le tasse locali, con un evidente appesantimento fiscale in capo ai contribuenti italiani. Insomma, comprovato che la messa in sicurezza dei nostri conti pubblici avverrà agendo quasi esclusivamente sulla leva fiscale erariale, i pochi tagli previsti ricadranno quasi tutti sulle spalle degli Enti locali e di quelli previdenziali. Con buona pace di chi attende l’arrivo del tanto agognato federalismo fiscale“. Come dargli torto?

Lavoriamo 165 giorni all’anno solo per pagare le tasse

di Davide PASSONI

Probabilmente l’ineffabile sottosegretario Polillo quando ha affermato che per aiutare il Pil dell’Italia a crescere sarebbe bene che rinunciassimo a una settimana di ferie all’anno, forse non aveva letto il risultato di un interessante studio. In sostanza, secondo questo studio, i contribuenti italiani stanno già regalando allo Stato oltre tre settimane lavorative… per pagare le imposte.

Tanto per cambiare, il dato viene dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo il quale rispetto al 2002 fa i contribuenti italiani lavorano 17 giorni in più per pagare imposte, tasse e contributi. Nessun slancio di amor patrio né magia contabile, solo matematica: negli ultimi 10 anni le tasse sono aumentate progressivamente e, parallelamente, è cresciuto il numero di giorni necessari per pagarle. Se nel 2002 la pressione fiscale era pari al 40,5%, nel 2012 arriverà al 45,1%, ovvero il 4,6% in più. E, a voler essere precisi, dallo scorso anno a questo il numero di giorni è aumentato di 10, 3 dei quali li dobbiamo all’arrivo dell’Imu.

Se 10 anni fa il povero contribuente impiegava ben 148 giorni lavorativi per raggiungere il giorno della cosiddetta “liberazione fiscale”, oggi ce ne vogliono 165. per arrivare a queste cifre illuminanti, la Cgia ha esaminato il dato di previsione del Pil nazionale dividendolo per i 365 giorni dell’anno. Fatto questo semplice calcolo matematico per individuare una media giornaliera, è stato poi considerato il gettito di imposte, tasse e contributi versati allo Stato e il totale è stato suddiviso per il Pil giornaliero: risultato, il sospirato “tax freedom day“, che per il 2012 è arrivato lo scorso 14 giugno.

La ricetta della Cgia di Mestre per fermare questo scandalo è piuttosto semplice e intuitiva e anche noi, nel nostro piccolo osservatorio di Infoiva, la andiamo ripetendo da mesi. La sintetizza bene il segretario dell’associazione mestrina, Giuseppe Bortolussi: “Contraendo in maniera strutturale la spesa pubblica improduttiva possiamo ridurre anche le tasse. Per far questo è necessario riprendere in mano il federalismo fiscale che, a mio avviso, è l’unica strada percorribile per raggiungere questo obbiettivo. Infatti, le esperienze europee ci dicono che gli stati federali hanno un livello di tassazione ed una spesa pubblica minore, una macchina statale più snella ed efficiente ed un livello dei servizi offerti di alta qualità“.

Capito Polillo? Capito professori? Vi preghiamo, non chiedeteci anche le ferie (ammesso che si riescano a fare…). Come vedete, stiamo dando a voi e all’Italia già tanto, molto più di quanto meritiate. Abbiate la decenza e l’intelligenza di capirlo a volo.

Confesercenti: questa delega fiscale non serve al Paese

“Il ddl delega per la “revisione” del sistema fiscale non corrisponde alla riforma di cui ha oggi bisogno il Paese; lo dice la stessa intestazione, lo confermano i contenuti del provvedimento, che suonano sempre la solita solfa dell’aumento di gettito.

Dietro il messaggio di un fisco più equo e più favorevole alla crescita si nascondono misure che rischiano di far piombare sugli italiani ulteriori aumenti di tasse. E’ quanto avverrebbe a seguito dell’annunciata “revisione” del catasto fabbricati, i cui effetti si aggiungeranno al salasso operato con l’introduzione dell’IMU e con la “revisione” dei regimi speciali IVA e delle altre imposte indirette (bollo, catastali, ipotecarie), che finiranno per dilatare gli aumenti della tassazione oltre ogni limite sostenibile. E’ quanto avverrebbe anche per effetto dell’introduzione di nuove imposte ambientali che, dietro l’annunciata finalità di tutela dell’ambiente, nascondono meno nobili obiettivi di aumento del gettito fiscale.

Intenti confermati anche dalla prospettata unificazione del regime fiscale riguardante ogni impresa e ogni forma di lavoro autonomo che, ignorando specificità dimensionali e settoriali, finirebbe inevitabilmente per scaricare maggiori oneri a carico delle PMI, sia in termini di maggiori imposte, sia in termini di complessità degli adempimenti fiscali. La stessa decisione di introdurre il forfait appare come un correttivo insufficiente.

In questo contesto, l’unico elemento che appare positivo è l’introduzione di una distinzione tra la figura dell’imprenditore individuale come persona fisica e la sua azienda, sebbene resti da vedere come tale principio troverà attuazione in modalità concrete.

Manca, invece, una vera riforma del sistema tributario, a partire da ciò che si attendono tutti gli italiani: una decisa e tempestiva riduzione della pressione fiscale (che viaggia, ormai, verso il 46%), attraverso misure in grado di sostenere il reddito e i consumi delle famiglie e, per questa via, di dare una significativa sterzata in direzione della ripresa dell’economia.

Tagli coraggiosi di spesa e riduzione delle imposte restano la via maestra per contrastare la recessione, ma per puntare a questo obiettivo la leva fiscale va trasformata da strumento di oppressione e di crisi in fattore di crescita e di equità sociale, che certo non appaiono mete raggiungibili se si rinuncia, come è avvenuto per il Fondo taglia-tasse, all’unico segnale in questa direzione.

Fonte: confesercenti.it

Regime dei minimi: tutte le novità

di Alessia CASIRAGHI

Regime dei minimi dopo la Riforma: tantissime le novità, perché l’accesso è ora limitato ad un numero molto più ristretto di contribuenti, che potranno beneficiare di un’ imposta sostitutiva del 5%.

Il regime dei minimi, introdotto con Finanziaria 2008 (Legge 244/2007) per snellire il carico tributario dei contribuenti più piccoli, prevedeva l’esenzione del versamento Irpef e relative aliquote regionali e comunali, dell’Iva e dell’Irap e l’applicazione di un’imposta sostitutiva agevolata, inizialmente del 20% e ora passata al 5%, sul reddito calcolato secondo principio di cassa.

I requisiti di accesso generale al regime dei minimi prevedevano:

• Essere titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo ed aver conseguito ricavi o compensi, nell’anno solare precedente, non superiori a 30.000 euro
• Non aver effettuato cessioni all’esportazione o operazioni assimilate
• Non aver sostenuto spese per lavoro dipendente o per collaboratori, o erogato somme sotto forma di utili di partecipazione agli associati
• non aver acquistato, nei 3 anni precedenti, beni strumentali di valore complessivo superiore a 15.000 euro (inclusi contratti di appalto e di locazione)

Ma quali sono le principali novità di accesso introdotte dalla riforma? Per accedere al nuovo regime dei minimi occorrerà:

• Aver intrapreso intraprendono un’attività d’impresa dopo il 1° gennaio 2008
• La validità di applicazione del regime dei minimi è garantita fino ad un massimo di 5 anni o riguarda unicamente gli under 35
• Non aver esercitato, nei 3 anni precedenti la costituzione dell’azienda, altra attività artistica, professionale o d’impresa
• la nuova attività intrapresa non deve configurarsi come mera prosecuzione di un’attività svolta precedentemente sotto forma di lavoro dipendente o autonomo (fanno eccezione i casi di praticantato obbligatorio), soprattutto non deve prevedere l’utilizzo degli stessi beni usufruiti nell’attività precedente, come pure gli stessi spazi o gli stessi clienti

L’ultimo punto merita un ulteriore approfondimento, in quanto non fa riferimento alcuno al caso di un lavoratore dipendente, che dopo aver appreso un’arte o un mestiere, sceglie di mettersi in proprio esercitando un’attività simile o identica al lavoro svolto in precedenza.

Chi non può usufruire del nuovo regime dei minimi?

  • soggetti non residenti in Italia
  • soggetti che effettuano operazioni di cessione di terreni edificabili, fabbricati o porzioni di esso e mezzi di trasporto nuovi
  • soggetti che esercitano le seguenti attività:
  •  Editoria
  •  Telefonia pubblica
  •  Agenzie di viaggio e turistiche;
  • Agriturismi
  • Intrattenimenti e giochi
  • Agricoltura e attività connesse alla pesca
  • Rivendita documenti di trasporto pubblico e di sosta
  • Vendita all’asta o rivendita di beni usati, oggetti d’arte, da collezione e antiquariato.
  • Vendita sali e tabacchi
  •  Commercio di fiammiferi
  • Vendite a domicilio.

Come si accede formalmente al regime dei minimi?

I soggetti che hanno avviato o sono in procinto di avviare un’attività di impresa che rispetta i requisiti sopra citati, dovrà comunicare la propria scelta del regime dei minimi nella dichiarazione di inizio attività tramite il modello AA9.

In attesa dell’approvazione formale dell’accesso al regime dei minimi, i titolari d’azienda potranno utilizzare il modello AA9/8, avendo cura di barrare la casella denominata “Contribuenti minori”, presente nel quadro B. In caso di errore o dimenticanza, sarà rettificare la propria dichiarazione originaria entro e non oltre 30 giorni, direttamente presso l’ufficio di competenza.

In alternativa, i contribuenti minimi possono optare per l’applicazione dell’Iva e delle imposte sul reddito secondo il regime ordinario. In tal caso la scelta dovrà essere comunicata con la prima dichiarazione annuale Iva, per una durata di 3 anni, ma potrà anche avvenire per comportamento concludente, esercitando il diritto alla detrazione dell’Iva. Trascorsi i 3 anni, il contribuente dovrà rinnovare l’opzione di scelta di anno in anno.

Allarme Confcommercio: Italia già in recessione

Variazioni congiunturali negative su Pil e consumi sono attese già tra il terzo e il quarto trimestre 2011. La recessione per l’Italia è già alle porte, o meglio ha già girato la chiave della serratura. Secondo le stime di Confcommercio, che ha effettuato un’indagine sui consumi degli italiani in vista del Natale, già nel 2012 sono attese variazioni negative sul Pil (- 0,6%) e sui consumi degli italiani(- 0,3%). Per il 2013 si prevede un lievissimo rialzo del prodotto interno lordo dello 0,3%. Le precedenti stime di Confcommercio per il 2012 si attestavano invece sul +0,3% per il Pil e un +0,4% per i consumi.

La recessione è già cominciata. Il calo tendenziale (-0,5%) e congiunturale (-0,8%), rilevati a ottobre 2011 sarebbero, secondo Confcommercio, la “spia” di un probabile avvio, nel terzo trimestre, di una fase di contrazione dei consumi delle famiglie la cui entità non sembra trascurabile e che sarebbe destinata a proseguire anche nella prima parte del 2012. L’associazione ci tiene a precisare che si tratta per il momento di valutazioni ancora “grezze e approssimative”, ma quel che è certo è che con l’aumento delle tasse, la reintroduzione dell’Ici e il maggior sgravio fiscale destinato a incombere sulle famiglie, gli italiani spenderanno meno. Le maggiori imposte comprimeranno infatti il reddito disponibile e l‘occupazione non crescente, il clima sfiducia e la contrazione del potere d’acquisto faranno il resto.

“Le difficoltà sono evidenti. Ma speriamo che le vendite possano reggere perché regge ancora il clima di fiducia delle famiglie – ha affermato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. – Quello che ci preoccupa è il nuovo consistente calo dei consumi, che tra settembre e ottobre ha di fatto azzerato gran parte del recupero registrato nei mesi estivi, e il permanere, a livello nazionale e internazionale, di uno scenario di emergenza“.

Alessia CASIRAGHI

Redditometro 2011 – Fase 1

E’ partita la prima fase prima fase del nuovo redditometro, che mette a confronto reddito dichiarato e spese sostenute, a partire dal 2009.

L’obiettivo è di esaminare con procedura automaticae standardizzata tutti i contribuenti, a partire dal 2009: 41,8 milioni di modelli Unico, 730 e 770 presentati al fisco.

Il contribuente con dati incongrui (tra reddito dichiarato e spese straordinarie, come auto, case ecc.), dovrà spiegare nello specifico l’incongruenza, o versare bonariamente al fisco un’altra quota di tasse sul reddito non dichiarato.

In alternativa, dovrà dimostrare che il maggior reddito determinato con il redditometro è costituito, in tutto o in parte, da cessioni patrimoniali oppure da redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, redditi soggetti a tassazione separata o da redditi prodotti da altri soggetti del nucleo familiare.

Il redditometro, presente già dal 1973, è stato potenziato nel 2010, con il Decreto legge n. 78 del 2010 (articolo 22), destinato ad entrare in vigore nel 2011.

Così, dopo un primo modello basato sui dati delle dichiarazioni relative al 2007, il modello è stato “ritarato” con le denunce dei redditi dell’anno 2009. Il modello è ormai pronto ed è oggetto degli ultimi test prima di essere ‘presentabile’ per la sperimentazione.

Il nuovo redditometro dovrebbe portare nelle casse dell’erario 741,2 milioni di euro nel 2011, 1,2 miliardi di euro nel 2012 e 1,3 miliardi di euro nel 2013.