Essere un leader: alcuni consigli per farsi amare dai dipendenti

Essere un leader non è semplice. Molte volte è capitato di domandarsi che ci si nasce o si diventa?  Ecco alcuni consigli che potrebbero aiutare ad essere un buon leader.

Essere un leader: chi è e cosa fa?

La parole leadership deriva dal verbo To lead che tradotto in italiano significa “condurre-guidare“. Ed è proprio quello che deve saper fare un leader. Perché un manager, un responsabile di produzione, un imprenditore o capo in generale deve essere in grado di condurre la propria squadra e guidarla verso il successo. Perché a volte per essere leader non è obbligatorio avere una ruolo rilevante. A volte basta solo avere la capacità di “farsi seguire” dal gruppo. E con il gruppo compatto riuscire a raggiungere l’obiettivo prefissato. Ma se per guidare un’automobile basta la patente, cosa deve fare il leader per convincere gli altri a seguirlo? Ma poi si tratta di convincere, oppure semplicemente il gruppo è attratto dal suo carisma? Le risposte potrebbero essere le seguenti.

Essere un leader: le caratteristiche vincenti

L’empatia sembra essere una carta vincente. Ad esempio Daniel Goleman, autore di Intelligenza emotiva, racconta di diversi stili di leadership: visionario, democratico, esigente, coach, armonizzatore, autoritario facendo riferimento a come porsi con gli altri. Alcune regole però sembrano coincidere per tutti:

  1. Saper ascoltare e capire;
  2. Delegare alcune mansioni;
  3. Comunicare in modo chiaro e trasparente;
  4. Risolvere i problemi;
  5. Saper chiedere aiuto in caso di difficoltà;
  6. Imparare dagli errori;
  7. Riuscire a trasmettere serenità in ogni occasione;
  8. Proteggere i propri collaboratori
  9. Aver un atteggiamento fermo, ma gentile;
  10. Ringraziare e distribuire i meriti quando è necessario.

Analizziamo adesso ogni singolo punto di questo elenco per capire in cosa si può migliorare o magari si sbaglia involontariamente.

Saper ascoltare e capire ciò che viene detto

Uno degli errori più grandi che può fare un leader è quello di ascoltare in maniera passiva. A volte capita solo di sentire, ma di non prestare la vera attenzione alle parole che vengono dette. Anche perché il dipendente se ne accorge e si sente sminuito. Quindi un buon leader deve essere in grado di capire e concentrarsi su quello che gli viene comunicato.  Anche perché questo gli permette di conoscere la persona che ha di fronte ed anche il suo carattere. Ma soprattutto far sentire il dipendente parte integrante del progetto o dell’azienda. E proprio questa sintonia spesso riesce a risolvere problemi lì sul nascere, prima che possano diventare davvero delle bombe pericolose.

Delegare alcune mansioni

Basta aprire una qualsiasi guida per manager che questa frase sarà presente. Il saper delegare non è un atto incapacità, ma è un gesto di fiducia nei confronti dei propri dipendenti o collaboratori. Un manager “accentrista” non può tenere le redini di tutto e pretendere di essere infallibile. Il ruolo del leader non è fare tutto, ma tracciare la strada da seguire. Così facendo può permettere agli altri di seguirlo. A questo punto è doverosa una precisazione. Delegare non vuol dire lavarsene le mani, ma saper creare una sinergia positiva del gruppo. Il manager delega i compiti ai sui dipendenti/collaboratori che li eseguono, secondo le direttiva del capo. Tutto qui.

Comunicare in modo chiaro e trasparente

Per dare delle linee guida corrette, è importante che i dipendenti le capiscano. Infatti il saper comunicare è un arma vincente. Ma prima di comunicare agli altri, il manager deve avere chiaro per se l’obiettivo da raggiungere e come raggiungerlo. E deve essere in grado di trasmetterlo in modo trasparente. Magari anche utilizzando degli schemi o promemoria, se questi possono essere utili. E soprattutto dopo aver spiegato come e cosa fare, farsi dare un feed back di comprensione non è una cattiva idea. Infine, trasmettere messaggi brevi e chiari permette anche di risparmiare tempo e non ripetere sempre le stesse cose.

Risolvere i problemi e saper chiedere aiuto

All’interno della vita aziendale possono insorgere dei problemi. Uno potrebbe essere quello di incomprensione tra i dipendenti. Molti potrebbero pensare che la soluzione migliore sia starsene da parte e lasciare il naturale decorso della lite. Niente di più sbagliato. Un buon leader deve essere in grado di mettere la pace e risolvere i problemi. Anche quando è il leader ad avere qualche difficoltà, il chiedere aiuto non è mica un segno di debolezza. Anzi, potrebbe essere un modo per coinvolgere chi ci sta attorno e creare ancora più armonia. Inoltre ogni piccolo contributo potrebbe rivelarsi un piccolo tassello di un puzzle risolutivo.

Imparare dagli errori

E’ inevitabile che gli errori si possono commettere. Il primo obiettivo  è risolverlo nel più breve possibile per continuare ad andare avanti. Ma è anche utile sul riflettere sull’accaduto e sugli eventuali “colpevoli”. Denigrare, rimproverare o avere un atteggiamento troppo duro non è consigliato. Anzi trasformare un errore in opportunità di crescita è da vero leader. E’ questo che fa la differenza, un “semplice capo” potrebbe predisporre sanzioni o rimproveri. Ma un leader deve comunicare l’errore, capirlo ed evitare che si ripresenti. Un errore può diventare un caso-studio e ogni volta che si ripresenta, si sa già come risolverlo in modo rapido.

Proteggere i propri collaboratori pur avendo un atteggiamento fermo

Come detto cominciare il toto colpevoli serve a poco. Scaricare agli altri la colpa e salire sul carro dei vincitori quando le cose vanno bene, non ha alcun senso. Un leader deve sempre cercare di “proteggere” la propria squadra. Il dito puntato, o un atteggiamento troppo duro, fa paura, ma non fa guadagnare il rispetto. Un atteggiamento fermo sulle decisioni, altrimenti ognuno fa come vuole è giusto. Ma farlo in modo gentile e tutto un altro stile. Infine trasmettere ottimismo e cercare di dare alcune direttive per superare il momento critico può dare delle: reazioni che saranno meno negative, con risultati anche sorprendenti.

Ultimi consigli per un buon leader: saper ringraziare

Il rapporto tra leader e collaboratori/dipendenti deve essere un “Win to Win“. Si vince insieme ed insieme si festeggia. Il contributo di ognuno è importante, e se la squadra vince, il leader deve essere il primo a ringraziare. Perché il più delle volte un dipendente/collaboratore che si sente gratificato, apprezzato, ringraziato è fedele e felice del suo lavoro.

Nasce l’Ass. Familiari Imprenditori Suicidi

“Hanno scelto un luogo simbolico la Filca-Cisl nazionale e l’Adiconsum nazionale per presentare l’associazione dei familiari delle vittime dell’indifferenza verso il lavoro: il Centro parrocchiale San Sebastiano di Vigonza (Padova), la stessa sala dove appena due settimane fa Laura Tamiozzo, 29 anni, figlia dell’imprenditore suicida vicentino Antonio Tamiozzo, aveva letto, commuovendo l’intera platea, la lettera “da imprenditrice a imprenditrice” scritta di suo pugno e indirizzata a Flavia Schiavon, classe 1980, figlia di Giovanni Schiavon, titolare dell’impresa edile “Eurostrade 90” di Vigonza (Padova), morto suicida lo scorso 12 dicembre”.

Lo comunica l’Adiconsum in una nota. “Le due giovani donne, già protagoniste il 28 marzo a Vigonza del toccante incontro-confronto organizzato dalla Filca Cisl regionale sull’indifferenza che uccide – nel solo Veneto sono più di 50 i suicidi di imprenditori negli ultimi 3 anni – hanno accolto l’invito del più rappresentativo sindacato dei lavoratori dell’edilizia, del legno e delle costruzioni. Lunedì 16 aprile alle ore 12, nel salone del Centro parrocchiale San Sebastiano di Vigonza (Via Roma, 41), Laura Tamiozzo e Flavia Schiavon saranno accanto a Domenico Pesenti, segretario generale della Filca-Cisl nazionale, Pietro Giordano, segretario generale Adiconsum nazionale, Salvatore Federico, segretario generale della Filca-Cisl Veneto e Valter Rigobon, segretario generale Adiconsum Veneto, per presentare l’associazione delle vittime dell’indifferenza, del silenzio e della solitudine in cui sono immersi tanti lavoratori, consumatori, piccoli imprenditori e le loro famiglie a causa della pressione fiscale e della crisi economica”.

Fonte: agenparl.it

Affitti di lusso, i manager preferiscono Milano

di Alessia CASIRAGHI

Milano capitale del retail di lusso. I quartieri più gettonati? Brera, il Quadrilatero della moda e Porta Romana. Sono sempre più numerosi i top manager di grandi società che scelgono di fare del capoluogo lombardo il proprio quartier generale. Affitti a breve e medio termine s’intende, ma che testimoniano un trend molto positivo per quanto il mercato degli immobili di lusso milanese.

Ma qual è l’identikit del manager che sceglie di vivere a Milano? Imprenditore o AD straniero (molti provenienti da Paesi di economie emergenti come Russia, India e Cina), con grossa disponibilità di spesa (tra i 2.800 e i 3.500 euro al mese per un appartamento in affitto) e che progettano una permanenza massima di 6 mesi.

Qualche nome? Manager di Barclays Bank, Unicredit Banca, RBS, ma anche colossi della moda come Tom Ford. Il 70% della clientela del mercato degli affitti di lusso “short term” a Milano parla straniero.

Ma quali sono le esigenze della clientela business che si affaccia al mercato degli affitti di lusso? Parole d’ordine rapidità e flessibilità. I top manager puntano a formule ‘tutto compreso’: dal canone, alle utenze, alle piccole manutenzioni, pulizie accurate. Non deve mancare il collegamento wireless a internet . Nella scelta delle zone poi la preferenza va soprattutto a quartieri esclusivi e vicini al centro, come Brera, Porta Romana, il Quadrilatero.

Anche in tempi di crisi, le cui ripercussioni hanno colpito anche il settore immobiliare, facendo crollare i prezzi degli immobili, per guardare al futuro occorre puntare su ottime ristrutturazioni, una gamma completa di servizi e prezzi al passo coi tempi. Insomma, vince l’appartamento elegante, in centro, con ottime finiture, ma la cui richiesta economica, sia anche intelligente e flessibile. Anche se si parla di appartamenti di lusso…

Da artigiano a imprenditore: quanto impegno è richiesto

In termini di tempo dedicato al lavoro, colui che guida il processo di trasformazione da azienda artigiana a PMI deve calcolare almeno un +40%. Questo all’inizio, in quanto sarà occupato a imparare nuove competenze e a metterle in pratica. Inoltre, aumenta l’analisi (senza trasformarsi in paralisi) del mercato, della concorrenza, del mix di produzione, della composizione del portafoglio clienti, della distribuzione geografica, dei margini, dei costi per unità prodotta, del costo del lavoro, etc.

Per molti settori artigianali, anche se di valore elevato quali l’hi-tech, o il green business, sovente mancano dati quantitativi ufficiali e verificati.

Così come un grande impegno lo richiede l’impostazione di una funzione commerciale che sappia individuare i potenziali nuovi clienti (prospect), contattarli attraverso fiere, visite, dimostrazioni o via internet. E di conseguenza la realizzazione di un’immagine aziendale sexy, che si concretizza nel rifacimento del sito web, piuttosto che con la realizzazione di una nuova brochure che trasmetta la nuova immagine dell’azienda, il suo posizionamento, le sue differenze verso la concorrenza.

L’abitudine di fare ogni tre mesi un punto della situazione economica è sana e va pianificata. Controllare come ci si sta muovendo col fatturato verso il budget e verso l’anno precedente è una pratica da eseguire almeno settimanalmente.

L’IT viene in soccorso e quindi una snella ma esaustiva piattaforma di controllo delle commesse (dai preventivi all’incasso) è essenziale. Avere un cruscotto che, con al massimo 12 parametri, tiene sotto controllo le principali aree dell’azienda, aiuta a riconoscere per tempo un problema e a intervenire tempestivamente con azioni correttive.

In un’economia sofferente come è oggi quella italiana, può essere indispensabile cercare sviluppo in un’area geografica più vasta: da impresa locale a regionale, nazionale, internazionale.

I primi risultati della nuova configurazione si ottengono in generale dopo 9-12 mesi dall’inizio della mutazione se si è veloci nell’implementazione delle azioni di base. Il punto non è fare il +30% rispetto all’anno precedente, obiettivo che dalla mia esperienza è possibile realizzare. Ma continuare a crescere anno dopo anno. In altri termini, il secondo anno è più impegnativo del primo, in quanto occorre agire più sull’efficienza interna (più velocità, più precisione, ossessivo controllo dei costi) e, molto probabilmente, affrontare un tema delicato: siamo pronti ad andare all’estero? In Paesi con una crescita più vivace e continuativa? Come ci organizziamo?

Le alleanze, in questo caso con partner internazionali, possono essere utili accertandosi che essi non vogliano solo utilizzare la vostra tecnologia d’avanguardia per presentarsi ai loro clienti con le soluzioni più all’avanguardia per poi dirottarli di nuovo su quelle in loro possesso.

L’impegno del “general manager” è in funzione della sua abilità di imparare facendo, della capacità di coinvolgere i soci e i collaboratori nel fare bene e velocemente, nel delegare accertandosi di aver costruito un valido sistema di controllo. Nel tempo, quindi, cambia la qualità dell’impegno. Si alza, diventa più efficace, ci si sposta dall’high performance all’eccellenza. Considerate sempre quello che io chiamo “attrito da primo distacco“, ovvero la resistenza a rendere efficace una qualsiasi nuova azione fuori dalla routine. Siate cauti nel calcolare i tempi di realizzazione di azioni che non avete mai fatto prima. Inserite un fattore K (una costante) pari a +N giorni sui tempi ideali.

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up. Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching (start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

Da artigiano a imprenditore: i fattori chiave di successo

Il passaggio da artigiano a imprenditore perché avvenga con successo, cioè con risultati economicamente veloci, misurabili, positivi e duraturi, si basa sui seguenti fattori chiave:

1) Allineamento: ovvero coerenza fra i propri valori, qualità personali, doti, competenze professionali e l’obiettivo di sviluppo che abbiamo in mente. Se ci sono più persone, come soci, famigliari coinvolti nell’impresa, è essenziale che anch’essi siano allineati sull’intento e sugli obiettivi. Nello specifico, tutti devono convergere sul perimetro operativo dell’impresa, sugli obiettivi, sulle modalità operative, sull’organizzazione da creare, sulle politiche retributive, sulle priorità strategiche, sulla gestione del personale, sull’attenzione agli aspetti economici.

2) Cambiamento: ovvero la volontà profonda di imparare nuove materie e di mettere in atto nuovi comportamenti. È la parte sicuramente più difficile. Il cambiamento parte da noi stessi. Non può essere esterno a noi. Quindi il nuovo modo di pensare e di agire deve trovare la motivazione dentro di noi. Costanza, determinazione, pazienza, perseveranza, pianificazione, velocità di reazione, pensare come una multinazionale tascabile sono derivate del cambiamento che deve avvenire nel nostro modo di vederci. Avremo successo se ci sentiamo veramente a nostro agio nella nuova dimensione d’impresa che stiamo costruendo.

3) “Primus inter pares“: in ogni organizzazione che superi le 5 persone occorre che ci sia il punto di riferimento, la persona che mette energia, che cristallizza le decisioni operative, che stimola la struttura a non rifugiarsi nelle aree di confort del passato, che sostiene il morale, che sprona all’eccellenza, che coagula la condivisione ed evita di usare il “braccino” nell’implementazione delle decisioni. Inoltre è colui che smantella convinzioni e opinioni con fatti e analisi quantitative. Che tiene il ritmo. Che pensa e agisce come capo di una multinazionale tascabile.

4) Sensibilità economica: attenzione ai margini, al listino prezzi, alla preparazione dei preventivi, al controllo feroce dei costi, agli impegni di cassa, al raggiungimento degli obiettivi di fatturato mensili, ai costi per unità prodotta e alla resa economica delle macchine sono fattori igienici, cioè indispensabili nel quotidiano di un imprenditore. Poi, coinvolgere i soci ogni tre mesi nel fare un punto della situazione economico/commerciale, analizzando gli scostamenti dal budget, trovandone le ragioni e mettendo in atto operazioni correttive. Anche la sensibilità finanziaria fa parte di questa competenza: leasing, ipoteche, debiti, siete sicuri che sia tutto sotto controllo? State approfittando delle moratorie o facilitazioni per dilazionare le rate di pagamento o accorpare debiti e ottenere migliori condizioni? Come vi ponete nei confronti delle banche? L’imprenditore ricorre sovente al credito, molto più dell’artigiano. Questo è un elemento che deve essere gestito con estrema cura e in modo periodico e non casuale.

5) Pianificazione: non è sempre richiesto di utilizzare metodi di project management, ma di sicuro è vitale non essere dei terribili semplificatori che improvvisano. Non confondete urgenze con priorità. Non è un buon segnale di gestione efficiente e sana se lavorate dalle 5,30 di mattina sino a notte fonda, obbligando i vostri soci o collaboratori a fare altrettanto. La frenesia è indice di dispersione di attenzione, mancanza di focus. Sovente il tutto è accompagnato da una visione del dettaglio esasperata e dalla cecità di fronte a eventi importanti. Fallire la pianificazione è pianificare il fallimento. Pianificare significa anche valutare per tempo l’impatto sul conto economico delle decisioni operative. Si guadagna a preventivo, non a consuntivo (grande rischio!).

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up. Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching (start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

Da artigiano a imprenditore: gestire Soci e Collaboratori

Un capitolo delicato. Se i soci sono operativi nell’impresa artigianale devono avere un ruolo definito: commerciale, amministrazione, produzione, ricerca&sviluppo, etc. Siete certi che ognuno sappia esattamente cosa deve fare? Non ci sono inefficienze da sovrapposizione? C’è il “primus inter pares” che svolge le funzioni di Direzione Generale, di coordinamento delle varie iniziative?

In azienda ci deve essere un solo punto di riferimento. Chi vuole mettersi in gioco? Fare da leader del cambiamento, conoscendo conseguenze e responsabilità? Il leader deve ottenere la legittimazione dal gruppo. Ma, prima di tutto, deve sentire il ruolo dentro di sé. Deve sapere dove vuole arrivare, come arrivarci e in che tempi. Deve essere di esempio: impara cose nuove, le applica e poi impara come farle fare agli altri. Cioè acquisisce delle competenze non solo da “professional” ma anche da manager. Non demorde quando incontra resistenze al cambiamento o vede che il socio, seppure d’accordo ideologicamente, si rifugia nelle aree di confort, continua con le vecchie abitudini, non si impegna a imparare materie nuove.

Il carisma del leader deve fare da enzima per accelerare i processi di miglioramento. Persistere, portare pazienza, avere determinazione e portare a casa qualche veloce risultato rafforza la sua credibilità operativa e strategica.

I soci continuano, logicamente, a confrontarsi a condividere le decisioni più importanti. Il leader fa da traino, da motivatore. Sprona e aiuta a migliorarsi. È un compito difficile, non sottostimate i tempi né le resistenze attive e passive. Ci saranno; e potranno portare a qualche tensione che dovrà essere gestita ricordando i valori aziendali condivisi e la visione concordata. In una fase del processo più avanzata, non è da escludersi che qualche socio si perda lungo la strada perché divenuto più elemento di inefficienza e rallentamento che di booster allo sviluppo.

Se avrete gestito in modo eccellente il passaggio da impresa artigianale a PMI (piccola-media impresa) avrete considerato questa eventualità e quindi, al momento opportuno, dopo N tentativi di recupero del socio, se infruttuosi, vi sarete premurati di ricoprire le sue specifiche competenze con un collaboratore o con un altro partner più adatto ai tempi e alla fase che l’azienda sta vivendo.

Sostituite il mito della grande famiglia, dove tutti si vogliono bene (non è vero, nella pratica) con una chiara e condivisa definizione dei compiti e dei ruoli, degli obiettivi quantitativi da raggiungere, dei premi alla produttività o alla generazione di margine. Ogni collaboratore avrà una descrizione scritta della propria mansione, un referente gerarchico e un colloquio semestrale o annuale per la valutazione del proprio operato. Le regole d’ingaggio devono essere esplicite. Le regole per gli incentivi note e trasparenti.

Un leader non punisce, esorta a ottenere l’eccellenza ed è al fianco del collaboratore per insegnare come migliorare la prestazione.

Un leader non coccola (paternalismo). Gratifica il collaboratore quando c’è il merito. Professionalità, sensibilità, etica devono essere alla base del rapporto con i collaboratori se l’eccellenza è il traguardo che vi state ponendo.

Rendere noto in un’occasione formale annuale gli obiettivi dell’azienda aiuta a creare spirito di corpo così come la celebrazione di importanti commesse conquistate o l’avvio di una nuova macchina in produzione.

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up. Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching (start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

Da artigiano a imprenditore: i primi passi operativi

Definire chi siamo e che cosa facciamo in modo sintetico, preciso e chiaro, anche per poterlo comunicare.

Esempio: un’azienda di incisioni stampi con tecniche esclusive laser ha creato il seguente slogan “Laser or nothing”. Aggressivo, facile da ricordare, specifico.

Individuare e dare un nome accattivante alle diverse linee di produzione o di lavorazioni.
Sempre la medesima azienda ha creato il settore “Just in Time” per le lavorazioni veloci e poco complesse, il settore “Touch&Feel” per lavorazioni che richiedono texture in 3D e che creano un effetto tattile, e il settore più artistico è stato chiamato “Il Nuovo Cesello”.
Questa azienda eseguiva già queste tre diverse lavorazioni, ma non avevano un nome, erano indifferenziate. Oggi differenzia anche l’approccio ai clienti.

Inoltre, ha registrato il nome D.R.E. (Design Rendering Engineering) che indica l’insieme dei software e del know-how necessario per le incisioni in 3D. Oggi può dire di essere l’unica azienda ad avere il DRE, nome che è entrato nel lessico corrente di settore. In comunicazione è passato il concetto: “Chi non ha il DRE ha solo macchine”.

Capire quanto è grande il mercato di riferimento è importante. Ma non è sempre facile. Torno alla nostra azienda laser. Il suo mercato di riferimento è il mercato delle incisioni di stampi o quello delle incisioni possibili solo col laser? Inoltre, non sempre in settori specialistici si trovano dati attendibili sulla cubatura del mercato.

Più facile è individuare quei 2 o 3 settori che fanno l’80% del mercato. Sempre riferendoci all’azienda laser, il settore automotive è quello più importante. Quindi un’attenzione particolare verrà posta per sviluppare azioni di penetrazione in quel segmento con la linea “Touch&Feel”.

Scegliere il posizionamento della propria azienda, del marchio, è un altro passo operativo. Vogliamo essere una “boutique” o un operatore nella media di settore? In funzione della specificità vera suggerisco di posizionarsi in una nicchia specifica. Più unica è la nostra tecnologia, più possiamo distinguerci. Quindi, compilate una lista solida delle competenze che fanno la differenza nei confronti dei concorrenti e dei clienti.

Concentratevi sull’analisi realistica delle possibilità di crescita: a livello locale, regionale, nazionale, internazionale. Evitate convinzioni. Usate numeri. Confrontatevi con le associazioni di categoria o con “amici” già presenti sul mercato.

Un’azienda con 20 dipendenti e circa 3 milioni di euro di fatturato è leader in due province lombarde per la progettazione e l’assemblaggio di sistemi di sicurezza. L’imprenditore non desidera allargare il proprio perimetro operativo. La nostra azienda di applicazioni laser, al contrario, ha deciso di cercare un’alleanza con un player internazionale per accedere ai settori più ricchi e ai mercati internazionali. A voi la scelta. Nel secondo caso non sentitevi inferiori a una multinazionale. Voi avete un’esclusiva tecnologia o un know-how che può completare la gamma di soluzioni offerta dal “gigante” e viceversa. Preparatevi a condurre una negoziazione, a redigere un Memorandum of Understanding (MOU). Un imprenditore deve avere la disponibilità a imparare nuove materie, eventualmente con l’aiuto di un professionista esterno.

I vostri conti sono in ordine? Sapete quant’è il MOL (margine operativo lordo)? Quanto incide il costo del lavoro? Quanto cubano i leasing e i debiti? Quant’è il vostro margine? Non esiste dinamismo commerciale senza un ferreo controllo dei costi e la conoscenza del vostro conto economico.

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up. Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching (start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.

Da artigiano a imprenditore: i problemi da superare

Accettare l’idea del cambiamento, da artigiano a imprenditore, è una cosa. Cambiare davvero è un’altra. Le persone tendono a non cambiare le proprie abitudini. Guidare una modifica nel modo di operare in un’azienda è molto delicato. La proprietà deve essere di buon esempio, deve motivare continuamente i propri collaboratori, occorre intervenire quando il gruppo tende a ritornare nelle proprie aree di confort.

Il lato positivo è che se la proprietà riesce a insistere sul cambiamento per un tempo equo, con costanza e coerenza, il nuovo modo di lavorare si sostituirà al precedente diventando una nuova abitudine.

Un’analisi onesta dei punti di forza e debolezza passa sovente attraverso un esame delle competenze  e dei deficit dell’imprenditore che rispecchiano i plus e i minus dell’azienda. Capito questo, si può passare a un piano di sviluppo personale e aziendale. Anche attingendo a chi può affiancare, come un navigatore, l’imprenditore in questa trasformazione.

Come su ogni nave, a bordo deve esserci un solo comandante, ovvero la persona che è in grado di prendere decisioni e di attuarle. Quindi anche se l’impresa è costituita da più soci o è a carattere famigliare deve esserci un “primus inter pares” ovvero colui che eserciterà il ruolo di direttore generale, oltre a essere il responsabile commerciale o di altra funzione operativa.

Le caratteristiche di questa figura sono: credibilità, autorevolezza, determinazione, senso etico, competenza, leadership. C’è posto per un solo leader in azienda. Questo è il primo aspetto pratico da risolvere.
Poi vengono la strategia commerciale, l’organizzazione e l’efficienza della produzione, l’ottimizzazione dell’R&D, ruoli funzionali-operativi ben definiti, il ferreo controllo dei costi e un periodico (ogni tre mesi) check-up della situazione economico-finanziaria (conto economico, budget, analisi degli scostamenti).

Purtroppo constato che in molte aziende artigianali, anche in quelle tecnologicamente all’avanguardia, si delegano gli “economics” al commercialista. Una grave lacuna. L’imprenditore deve saper leggere e valutare i propri conti. Deve dedicare un tempo equo all’analisi dei risultati e predisporre correttivi, se è il caso.

Sugli interventi desidero essere chiaro. L’imprenditore deve avere fiducia in se stesso e quindi trovare la determinazione a mettere in atto anche decisioni forti. L’uso del “braccino”, come a tennis, non porta a osare, a ragion veduta, ma a stare nel mezzo a non prendere vere decisioni per paura di fallire o di alterare equilibri che sono in realtà già saltati (esempio: costo del lavoro, margine per unità prodotta, ricerca di alleanze).

Essere “timidi” non paga e non è una caratteristica del vero imprenditore, piccolo o grande che sia. Pensare e agire da multinazionale significa non precludersi alcuna opzione e puntare in alto.
Faccio un esempio. L’azienda decide per la prima volta di partecipare a una fiera di settore: il mio suggerimento, basato su esperienze pratiche, è di puntare alla fiera principale in Europa. Eventualmente facendo un test di messa a punto dello stand e del materiale espositivo presso una fiera provinciale. Ma non perdete tempo nel muovervi a cerchi concentrici. Mirate subito al top. Ovviamente occorrerà prepararsi in modo specifico e curando i dettagli del pre-fiera, del durante, e soprattutto del dopo fiera, ovvero su come gestire i contatti raccolti (prospect), ad esempio, all’Euro Mold di Francoforte.

Se la vostra azienda sarà sexy, si apriranno prospettive che oggi fate difficoltà a intravedere come possibili.

Dott. Giulio ARDENGHI | g.ardenghi[at]infoiva.it | www.businesscoachingefficace.com | Bergamo

Business Coach professionista, affianca imprenditori di grandi aziende e di PMI, manager e professionisti affinché sviluppino risorse utili a raggiungere i loro obiettivi professionali e personali con soddisfazione, velocemente, in modo misurabile e duraturo. È specializzato nei processi di cambiamento (professionali e aziendali) e nel lancio di start-up. Dopo la tesi (IULM- Milano) sulle Relazioni Esterne del Centro Georges Pompidou (Beaubourg) di Parigi ha iniziato il percorso professionale nel settore comunicazione, per proseguire nel marketing e commerciale. É stato per 25 anni manager di multinazionali italiane e straniere. Ha lavorato e vissuto a Londra, Singapore e Seoul. Ha raggiunto la posizione di direttore generale e poi ho deciso d’intraprendere l’attività di Business Coach che gli sta dando molte soddisfazioni. Ha conseguito un advanced master in PNL, un attestato di counselling in PNL, ha seguito corsi di Gestalt, l’Hoffman Process, ed ha partecipato ai seminari di Jodorowsky. È stato docente alla Scuola di Direzione Aziendale di Torino. Ha tenuto seminari in università italiane e straniere su temi della comunicazione, dell’innovazione, gestione e motivazione della forza vendita. Giornalista pubblicista, i suoi articoli specifici e dal taglio pratico su temi applicativi legati all’area del coaching (start-up, come diventare imprenditori di se stessi, il vero cambiamento, migliorare la propria carriera, trovare la propria vocazione, autostima e leadership) sono pubblicati anche in Internet. Unisce una solida e comprovata esperienza di campo con una meticolosa preparazione di psicologia applicata. Gli piace definirsi un enzima: acceleratore di processi di trasformazione. Il suo motto è pragmatismo col cuore.