Si può morire DI lavoro?

Di Paola PERFETTI

E li chiamano Tempi Moderni…
Buttarsi nel mondo del lavoro? Detto fatto. E’ notizia di ieri pomeriggio che uno stagista del Sole 24 Ore si è lanciato dal quinto piano della sede del Gruppo a Pero, nel milanese.

Una notizia che potrebbe perdersi fra le tante di cronaca nera, ma che a chi scrive suscita una riflessione.

Stabilito che di impresa non si dovrebbe morire, perché assistiamo ancora impotenti a tante, troppe morti sul posto di lavoro e PER il lavoro?

Anche fra i giovani, esasperati da una condizione di precarietà che li soffoca e non fornisce alcuna certezza nel futuro immediato (neanche a dirsi in quello prossimo).

Ma cosa succede ad un neolaureato o a un ragazzo appena entrato nel mondo del lavoro?
Spesso entrare in ufficio, intraprendere una carriera dopo il percorso scolastico o universitario, non è cosa facile, anzi, diventa quasi un percorso di iniziazione, uno strumento di formazione personale oltre che professionale. E non solo per le dinamiche che scattano fra una scrivania e l’altra.

Tazze di caffè da preparare, fotocopie o documenti da impilare non sono più le principali mansioni di stagisti e collaboratori dai contratti dai nomi irripetibili.

Sempre più spesso le attività di collaborazione a tempo, per quanto sotto pagate o sotto stimate, sono da considerarsi come degli autentici lavori a tempo pieno, con tutti gli oneri e i pochi onori del caso.

Non sappiamo le ragioni del gesto insano del collaboratore del Sole 24 Ore: problemi personali? Depressione? Ansie lavorative? Stress sul posto di lavoro – che anche lavoro a tutti gli effetti non è? Cause dei datori di lavoro oppure i datori di lavoro sono a loro volta vittime di una problematica in cui non c’entravano nulla?
Però è un vero peccato che, per chi decide di rimanere in Italia e crearsi il proprio futuro nella terra denominata Bel Paese, di reali opportunità ce ne siano sempre meno.

Peccato per quel ragazzo-stagista del Sole 24 Ore che di anni ne aveva solo 26.

Peccato che solo ieri il Presidente del Repubblica Giorgio Napolitano abbia ricordato ai Premi Leonardo 2011: “Il lavoro non deve essere un privilegio, soprattutto per i giovani, ma una normale condizione.”

Sì, del vivere, non del sopravvivere.

Morire d’impresa. Ora basta.

di Davide PASSONI

Ne abbiamo già parlato, purtroppo, sulle nostre pagine. Morire d’impresa è l’estrema, intollerabile, bastarda conseguenza di questa crisi che non ci vuole mollare, nonostante l’impegno di imprenditori e professionisti che, ogni giorno, ce la mettono tutta per far quadrare bilanci, pagare stipendi, dare lavoro, permettersi il lusso di vivere e non di sopravvivere. Ogni giorno, fino a quando non ce la fanno più. E allora posano la chiave inglese, il mouse, le chiavi dell’auto e afferrano una pistola, un flacone di antidepressivi o infilano un tubo di gomma nel tubo di scappamento, chiudono lo sportello dall’interno e soffocano se stessi e la propria speranza di dare e darsi un futuro.

Dicono le cronache che durante queste festività non ancora terminate, tra molti casi di suicidio alcuni hanno riguardato imprenditori che… non ce l’hanno fatta più. Si sa, quando è d’obbligo festeggiare ed essere felici, chi non ha più uno straccio di motivo per unirsi al coro della bontà un tanto al chilo si sente ancora più schiacciato dalla depressione e dalla solitudine; e allora viene ancora più facile tirare quel grilletto, ingollare quelle pasticche, girare quella chiave nel quadro dell’auto.

Parlano le cronache di Antonio Losciale, 49 anni, di Trani che si è impiccato nel box che utilizzava come deposito della sua piccola ditta di climatizzatori.

Parlano le cronache di Roberto Manganaro, 47 anni di Catania, che insieme al fratello Giuseppe gestiva un concessionario di moto Honda e che si è tolto la vita ingoiando un’intera scatola di antidepressivi. Il suo ufficio stampa ha subito precisato che “contrariamente a quanto infondatamente riportato da alcuni media, la propria situazione economica, patrimoniale e finanziaria è ad oggi sana e trasparente e per nulla compromessa dalla pur nota congiuntura economica” e che “era purtroppo affetto da molto tempo da una grave forma di depressione, aggravatasi negli ultimi mesi, che lo ha privato di una lucida considerazione della realtà che lo circondava“.

Ma intanto parlano le cronache… E parlano di Roberto De Tullio, pensionato barese 74enne la cui famiglia gestisce in città diversi negozi, che si è gettato dal quarto piano del suo palazzo, lasciando una lettera firmata dall’Inps nella quale, dopo aver ricalcolato i versamenti, l’istituto chiedeva la restituzione di 5mila euro.

Parlano le cronache di un elettricista 64enne di Robecco sul Naviglio, che si è sparato alla tempia nel suo furgoncino.

Parlano le cronache di un agricoltore 54enne dell’Ascolano che si è impiccanto nel magazzino dove teneva gli attrezzi per i campi. A detta dei familiari, “temeva di non farcela, di non superare le difficoltà del 2012“.

Parlano le cronache di imprenditori forse più fragili di altri, ma che lanciano comunque un segnale forte di disperazione che VOI, istituzioni, politiche ed economiche, non potete più tardare a raccogliere. Perché VOI, prima che i mercati, avete gli strumenti per dare speranza, prima che ossigeno, a chi quotidianamente tiene in piedi questo Paese bello e disperato. Siamo stufi di andare alla conta dei morti.