Euro in crisi? Ecco come salvare il patrimonio

Se, dopo lunga agonia, l’Italia verrà estromessa dalla Zona Euro oppure se altri Paesi meno critici decideranno di uscirne per non essere travolti dal disastro oppure, ancora, se si creeranno due Zone Euro “ a diversa velocità”, in ogni caso ci troveremo con una valuta più debole e un potere d’acquisto ridotto.

Quindi, tutto ciò che è prodotto in Italia varrà di meno, compresi i prodotti finanziari, anche se li acquisteremo all’estero; per esempio, un fondo di diritto lussemburghese, ma gestito da una SGR italiana, subirà la stessa sorte di un fondo di diritto italiano, poiché fa fede la valuta del Paese in cui è emesso o gestito.

Quali strumenti sono in grado di evitare la perdita del potere d’acquisto? Innanzitutto bisogna valutare quanto è concreto il rischio che si avveri l’ipotesi di uscita dall’Euro ed attribuire una percentuale al fatto che l’evento si verifichi. Poi è necessario ipotizzare di quanto potrebbe svalutarsi la nostra moneta; del 10%, del 50%…? Infine, è da considerare quanta parte del capitale è direttamente connesso al rischio Paese; ad esempio quanti titoli di Stato, quanti immobili sono posseduti in Italia, quanti titoli di società italiane sono attualmente in portafoglio. Fatte queste considerazioni, si può pensare di investire una parte del patrimonio a protezione del rischio. Quanta parte, dipende dalle variabili appena elencate.

Quali sono gli investimenti da prendere in considerazione? Valute non Euro e non collegate ad esso, beni reali, titoli emessi da società e Paesi non Euro. Sopratutto ciò che ha un valore di fondo concreto e non creato solamente dalla finanza. Titoli di Stato di Paesi ancora solidi e con valuta forte, titoli di aziende in utile e in crescita, beni reali non legati a mode o a Paesi specifici (se avete una casa, è vincolata all’andamento del Paese dove è costruita, se avete un lingotto d’oro è indifferente dove lo avete acquistato e dove lo volete vendere o portare).

La diversificazione è quanto mai opportuna anche in questo caso, quindi non concentrate tutte le uova nello stesso paniere, ma suddividete su mercati, Paesi, emittenti beni diversi, in proporzioni adeguate all’intero patrimonio e al rischio preso in considerazione.

Non è consigliabile fare un simile piano da soli, è opportuno farsi consigliare da chi, in maniera indipendente e senza conflitto di interesse, può dare un parere nel vostro esclusivo interesse. Insomma, non chiedete all’oste se il vino è buono, piuttosto assumete un sommelier che vi aiuti nella scelta migliore per voi.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Salverò il mio patrimonio?

Se e quando l’Italia uscirà dalla Zona Euro non ci è dato saperlo. Il problema è che, oltre alle difficoltà economiche di quasi tutti gli Stati “forti” (Cina compresa), stiamo vivendo una difficoltà di carattere politico. Cioè l’economia e la finanza sono in balia, sempre più, delle decisioni politiche europee.

Si diffonde anche il dubbio che questa classe politica sia veramente all’altezza della situazione e che sia davvero in grado di trovare soluzioni valide per il nostro futuro, non il solito rappezzo alla bell’e meglio. Che l’Unione Europea non abbia le idee chiare su come debba svolgersi la politica monetaria e fiscale, non è un mistero. Una “Unione” dovrebbe, come minimo, avere unità di intenti, altrimenti potremmo chiamarla “Separazione Europea”, forse calzerebbe meglio.

In questo clima totalmente incerto, cosa potrebbe accadere alla nostra moneta unica?

Gli scenari sono diversi:

1)  Si potrebbero creare due Zone Euro, una serie A, con i Paesi più virtuosi (sempre meno) e una serie B (molto più affollata), con due monete diverse, l’attuale Euro per la zona A e un Euro B (svalutato) per la zona B;

2)  Alcuni Paesi “virtuosi” potrebbero decidere di uscire dall’area Euro attuale, utilizzando la moneta d’origine (rivalutata);

3)  Alcuni Paesi potrebbero essere estromessi dall’area Euro e tornare alla propria moneta d’origine (svalutata).

Potrebbe anche esserci un mix delle diverse soluzioni.

Non credo che tutto questo possa accadere in tempi brevi, penso più che altro ad una lenta agonia, basta guardare alla Grecia per capire.

Certamente, il nostro Paese è tra quelli meno virtuosi, declassato dalle agenzie di rating, con prestiti obbligazionari che rendono percentuali da Paesi emergenti.

Che cosa succede se si verificano le ipotesi suggerite? In qualsiasi caso, gli Italiani perderanno potere d’acquisto. Quindi se si è investito del denaro in euro in Italia, si vedrà una riduzione dei valori reali. Anche se si comprata una casa, un’auto d’epoca, un quadro, in Italia tutto ciò varrà di meno. Solo alcuni beni reali saranno in grado di sostenere l’impatto, e ne parlerò prossimamente.

Ora vorrei concentrarmi sugli investimenti in azioni, obbligazioni, fondi, certificati, etf, conto deposito, conto corrente. Molti, spaventati da quanto accade e incerti sul da farsi, lasciano le proprie disponibilità economiche sul conto corrente o al massimo su un conto deposito: nel caso del conto corrente, se la banca fallisce, non ci sono tutele. Nel caso del conto deposito, la tutela esiste, ma è labile, e spiegherò prossimamente che cosa significa. Anche un investimento in un fondo di diritto lussemburghese, ma gestito in Italia, potrebbe seguire la stessa decurtazione di valore. Si salverebbero solo gli investimenti in valuta non Euro e non gestiti da SGR italiane.

Non sto suggerendo di investire tutto in valuta, ma sarebbe opportuno riflettere e farsi consigliare da qualcuno che non ha interessi in gioco, se non quello del cliente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Imprese familiari, come fare progetti di vita felici

Nuovo appuntamento settimanale di Infoiva con il dott. Marco Degiorgis, consulente patrimonialista esperto nel campo della finanza e nella gestione del patrimonio.

Voglio il meglio per i miei figli”: è quanto pensa ogni buon padre di famiglia anche quando si accinge a fare una pianificazione dei propri beni. Dal dire al fare però c’è di mezzo il mare di decisioni che occorre prendere in un ambito che spesso si conosce poco, molto frastagliato e sul quale si esprimono numerosi attori, media, amici, promotori, commercialisti etc, creando più confusione che altro.

Come ogni progetto occorre definire bene l’obiettivo. Che cosa si intende per ‘meglio’?

Il denaro non fa la felicità ma figuriamo senza, diceva qualcuno…

La felicità è il vero obiettivo, e non c’è nulla di più difficile da definire della felicità.

Se poi la propria disponibilità finanziaria è in parte impiegata in azienda, le cose si complicano ancor di più.

Gli elementi da considerare sono infatti un mix di dati obiettivi – numeri, tempi…- ed estremamente soggettivi e irrazionali – affetti, psicologia, emotività. Le esperienze pregresse con il denaro hanno il loro peso.

Immaginate una persona a cui è stato detto, sin da piccolo, che nella vita non avrebbe mai dovuto preoccuparsi del denaro, che ne avrebbe avuto a disposizione in quantità infinita, e che invece si trova a dover faticare per arrivare a fine mese. Probabilmente farà fatica ad avere una percezione del valore del denaro adeguata alla nuova situazione. Oppure una persona che è stata sempre costretta ad umiliarsi per ottenere il denaro che gli serviva. Forse avrà psicologicamente bisogno di gestire il denaro con un sentimento di rivalsa.

Ogni nostra decisione è influenzata da quanto abbiamo vissuto in passato, anche quando si tratta di un investimento, una forma di risparmio, etc. E’ quindi molto difficile che le persone abbiano chiaro ciò che vogliono veramente ottenere con il proprio denaro.

C’è una figura professionale nuova, indipendente da interessi propri sulle varie forme di investimento, in grado di guidare alle decisioni più coerenti con il proprio vissuto, il consulente patrimoniale indipendente specializzato in life planning, in grado quindi di aiutare a districare la matassa di sentimenti, affetti, educazione, avvenimenti, informazioni, bisogni materiali che occorre gestire per una pianificazione finanziaria che dia soddisfazione. Ecco le domande principali a cui rispondere.

Quali sono gli obiettivi che stanno più a cuore? Tempi? Quantità? Quali gli obiettivi subordinati? Con quale priorità li consideriamo?

A questo punto si può ipotizzare una ‘rotta’ che consenta il raggiungimento degli obiettivi e che preveda anche rotte alternative, in caso di tempesta. Adattamento e flessibilità sono sempre indispensabili quanto la verifica, il controllo e la disciplina, se si vuole giungere in porto. La verifica deve essere effettuata sia nei confronti di agenti esogeni, cioè di mutamenti non dipendenti dalla volontà propria (un investimento in azioni di una società terza, etc), sia nei confronti di agenti endogeni, cioè di cambiamenti che avvengono per proprie necessità o volontà (nasce un figlio, pensione anticipata, etc).

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Quando le imprese familiari rischiano il naufragio

Nuovo appuntamento settimanale di Infoiva con il dott. Marco Degiorgis, consulente patrimonialista esperto nel campo della finanza e nella gestione del patrimonio.

Che cosa significa fare pianificazione finanziaria? Vuol dire non navigare a vista nell’incerto mare delle vicissitudini finanziarie di un’impresa, ma dotarsi invece di una buona mappa, tracciare una rotta ed utilizzare tutti gli strumenti (moderni e tradizionali) necessari a mantenerla.

Per tracciare una rotta, bisogna definire però una destinazione, le tappe intermedie, i rifornimenti necessari, quante e quali persone ci saranno a bordo e così via. Quindi si tratta di stabilire a priori un percorso e di fare in modo che questo percorso sia seguito il più fedelmente possibile. E’ anche necessario prevedere alternative alla rotta, poiché gli imprevisti possono sempre accadere, ma non devono impedire di giungere in porto. Sono ragionamenti complessi specie nelle PMI a carattere familiare dove interesse privato e aziendale si intrecciano fino a confondersi, con il rischio di guidare la nave diritta sugli scogli.

E’ difficile identificare gli obiettivi e decidere le priorità degli interessi dell’impresa e della famiglia per fare piani dell’una e dell’altra coerenti.

Gli americani usano una definizione molto calzante, “life planning”, cioè pensare alla vita come ad un piano da modellare secondo le proprie esigenze, e non viceversa, lasciarsi condizionare e trasportare dagli eventi. Occorrono tutele appropriate, personali ed aziendali. Immaginiamo il danno e le difficoltà che può causare una malattia o un infortunio dell’imprenditore/capo famiglia; esistono strumenti come le assicurazioni che possono limitare il danno, si tratta di capire quali siano quelle adatte allo scopo e alla persona in questione.

Il life planning è assolutamente personale, adattabile ad ogni mutamento della vita, e, per questo, in continuo divenire; non serve a nulla avere un piano se non viene monitorato costantemente e rettificato all’occorrenza. Poi è indispensabile sapere cosa si vuole ottenere dalle proprie disponibilità finanziarie e quanta parte di queste è impiegata in azienda: la definizione deve essere precisa, calcolando anche gli ostacoli che impediscono di ottenere quanto agognato e se sono superabili (e come) oppure no.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Pmi: i patrimoni personali a garanzia dei rischi aziendali

 

Secondo appuntamento settimanale di Infoiva con il dott. Marco Degiorgis, consulente patrimonialista esperto nel campo della finanza e nella gestione del patrimonio. Dopo aver affrontato, la scorsa settimana, il tema di “Passaggi generazionali in azienda, oggi ci parlerà di patrimoni personali.

 

Per ottenere finanziamenti, troppo spesso l’imprenditore pone a garanzia il patrimonio della famiglia, a volte inconsapevolmente a causa della scarsa trasparenza di alcune operazioni. Il rischio è di raggiungere uno squilibrio finanziario, a danno dei finanziatori dell’azienda, cioè la  famiglia, che può portare al totale dissesto, con una conseguente perdita di valore e un danno per la società. Poiché in Italia  la maggior parte delle PMI sono imprese familiari, in cui impresa e famiglia sono appunto interdipendenti, l’ “insalata” tra beni di famiglia e beni dell’azienda può fare molto male alla economia del Paese. La tutela del valore dell’impresa dovrebbe essere un compito dell’imprenditore, compito che implica dunque grandi responsabilità non solo personali e familiari.

Purtroppo però l’imprenditore tipico italiano della PMI familiare ha una competenza altissima sui suoi prodotti, molto meno sugli aspetti manageriali.

Ecco allora entrare in gioco la figura del consulente. Ma come scegliere un professionista di una materia che non si conosce o si conosce poco?

Vediamo come è suddivisa oggi l’offerta e quali sono i punti critici.

tipologia di consulenti

valore per la persona e l’impresa

lacune

Studi professionali, commercialisti, consulenti aziendali conoscenza contabile, societaria e fiscale dell’impresa non hanno competenze di gestione finanziaria
Confidi analisi finanziaria, tramite con la banca scarsa conoscenza della realtà delle imprese
Promotori Finanziari vendono prodotti finanziari interesse personale nella scelta dei prodotti che rappresentano
Associazioni di categoria servizi a basso costo organizzazione funzionale solo a rapporti standard
Consulenti Indipendenti vendono competenze finanziarie e patrimoniali, non prodotti e operano in customer intimacy non sono esperti di materia fiscale e contabile

 

Da questo schema si evince che l’integrazione tra competenze di studi professionali e consulenti indipendenti favorirebbe la necessaria visione strategica della situazione contabile, fiscale e patrimoniale dell’impresa/famiglia, consentendo di ottenere indubbi benefici, immediati e per il futuro.

Intanto alcune semplici regole da seguire: distinguere il patrimonio familiare da quello aziendale,  limitare i prelievi dai conti aziendali per consumi personali, fare attenzione nell’assumere rischi sul patrimonio familiare, non sovrainvestire in azienda (sopratutto se il modello di business non è più sostenibile).

Solo in questo modo si può tutelare il benessere patrimoniale dell’imprenditore e salvaguardare la famiglia: considerare le esigenze di entrambi i soggetti come separate, anche se in capo alla stessa persona e nel tempo. E’ un processo che non è mai semplice e richiede una intensa attività di life planning, per individuare necessità e desideri della famiglia, “misurarli”, evidenziare le priorità, stabilire se sono o meno raggiungibili con le risorse finanziarie presenti e future.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

I passaggi generazionali in azienda tra opportunità e rischi

 

Secondo appuntamento settimanale di Infoiva con il dott. Marco Degiorgis, consulente patrimonialista esperto nel campo della finanza e nella gestione del patrimonio. Dopo aver affrontato, la scorsa settimana, il tema di “Famiglia e impresa nella pmi“, oggi ci parlerà di passaggi generazionali.

 

Il passaggio generazionale in azienda è un processo di mutamento assai delicato, che intreccia interessi (e affetti) familiari e imprenditoriali. Uno o più membri della famiglia, la nuova generazione, devono sostituire altri membri della famiglia, la vecchia generazione, in posizioni strategiche e operative; un cambio della guardia, insomma, con l’imprenditore uscente che assume un ruolo via via più defilato. In Italia il 40% delle aziende affronterà il passaggio generazionale entro i prossimi 10 anni e le stime dicono che solo 3 aziende su 100 sono ancora vive dopo due generazioni. In pratica, l’industria italiana, tipicamente familiare, è al capolinea per incapacità di gestire il passaggio generazionale, prima e più che per altre dinamiche di macroeconomia.

Per quanto riguarda gli aspetti patrimoniali, le aziende italiane non fanno le adeguate distinzioni tra azienda e famiglia, neppure quando  una generazione deve passare il testimone alla successiva, creando squilibri e scompensi pericolosi per il patrimonio familiare.

Alcuni dati:

  1. il 60% degli imprenditori ha più di 60 anni
  2. il 68% degli imprenditori pensa di lasciare l’impresa in famiglia, affidandola ad un figlio o ad un nipote
  3. l’80% degli imprenditori è molto preoccupato dal passaggio generazionale, tanto da considerarlo ingestibile
  4. il 24% delle aziende sopravvive al primo passaggio generazionale
  5. il 14% delle aziende sopravvive al secondo passaggio generazionale

Non dimentichiamo che un’azienda che non riesce a proseguire l’attività rappresenta un danno economico e sociale rilevante.

Perché il cambiamento generazionale alla testa delle imprese non sia traumatico è dunque importante che sia vissuto consapevolmente dagli interessati. Chi si trova a dover affrontare la questione come generazione uscente, dovrebbe tener presente che ha la responsabilità di far condividere obiettivi, sviluppo e realizzazione del passaggio, costruendo un nuovo ruolo per se stessi. Si tratta di delegare per gradi, fino a divenire un consigliere, ruolo importante, ma non decisivo, e di sostenere le nuove leve.

Per la generazione entrante, crescita professionale e una progressiva assunzione di responsabilità, rappresentano gli obiettivi.

Tutto questo può essere fatto elaborando assieme un piano di cui si condividano obiettivi, intermedi e finali, in modo costruttivo e strategico. In pratica occorre ‘fare squadra’ tra generazioni e lavorare insieme per la realizzazione di un progetto complesso perché implica dei rapporti familiari che non sempre sono lineari e felici.

Stesse logiche per la gestione dei patrimoni: gli asset familiari e aziendali dovrebbero essere distinti e gestiti in modo congruo e condiviso, con beneficio per proprietari, management e personale, nonché per la collettività. Sarebbe opportuno quindi predisporre il passaggio generazionale degli asset, utilizzando gli strumenti più adatti alla situazione, quali trust, fondo, polizza, disposizioni testamentarie….

E’ indispensabile però affidarsi a professionisti, competenti e specializzati nel valutare il patrimonio personale ed aziendale, come i consulenti finanziari indipendenti, che possano seguire ed affiancare tutte le delicate fasi  prima, durante e dopo, del passaggio generazionale.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis 

 

Sicilia: +60% per le imprese familiari

La piccola e media imprenditoria premia la Sicilia. E’ l’azienda a conduzione familiare a registrare i tassi di crescita maggiori nell’ultimo decennio nell’isola, e anche su scala nazionale.

Nel decennio 2000-2010 le aziende siciliane a conduzione familiare hanno registrato un aumento del fatturato pari al 146%,  60 punti in più rispetto alla media nazionale, secondo  quanto rivela un’indagine condotta dall‘Osservatorio AUB, promosso da AIdAF (Associazione Italiana Aziende Familiari) e dal gruppo UniCredit.

La ricerca è stata avviata dalla Cattedra AidAF – Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari, dell’Università Bocconi con il supporto della Camera di Commercio di Milano nel 2009. Il focus dell’indagine si è concentrato su strutture, dinamiche e performance di tutte le aziende familiari italiane con ricavi superiori a 50 milioni.

A Valledolmo, in provincia di Palermo sono stati resi noti i risultati riguardanti le aziende made in Sicily. Il dato emerso è sorprendente: nel decennio 2000-2010 le aziende siciliane a conduzione familiare hanno registrato un aumento del fatturato pari al 146%, mostrando un trend di crescita superiore di oltre 60 punti rispetto alla media dell’Osservatorio AUB.

Ma come si spiegano questi numeri in un momento così difficile e precario per l’economia italiana? La crescita esponenziale è riconducibile, secondo AUB, almeno in parte all’incremento in termini di fatturato del settore del commercio e trasporti, a cui appartengono la maggior parte delle aziende familiari siciliane.

AUB ha poi evidenziato alcune caratteristiche strutturali dei settori impiegati nella piccola e media impresa in Sicilia: prima fra tutte, la minore incidenza del peso degli investimenti nel commercio, ovvero dinamiche competitive meno marcate nei trasporti. La quasi totale assenza di operazioni di M&A avvenute nel corso dell’ultimo decennio sembra confermare come il trend di crescita sia dunque imputabile ad un aumento della domanda interna del settore, e non ad una crescita per linee esterne.

”L’Osservatorio AUB rappresenta una fotografia accurata, basata su un’analisi rigorosa del mondo dell’impresa familiare italiana – ha sottolineato Dario Prunotto, responsabile del Private Banking di UniCredit in Italia. – La conoscenza approfondita del tessuto imprenditoriale e, nello specifico, delle aziende familiari ci ha condotti a un progressivo affinamento del modello di servizio specificatamente destinato a questo segmento di clientela”.

A.C.

Famiglia e impresa nelle Pmi, un connubio pericoloso?

Inizia da questa settimana la sua collaborazione con Infoiva il dott. Marco Degiorgis, consulente patrimonialista esperto nel campo della finanza e nella gestione del patrimonio. Un professionista il cui contributo potrà risultare utile e interessante, anche in virtù anche del fatto di essere una delle poche figure che attualmente, in Italia, svolgono questo tipo di consulenza indipendente.

 

Un fattore accomuna le imprese italiane, indipendentemente dalle dimensioni, dal settore, dalla dislocazione geografica: la famiglia coincide con la proprietà dell’azienda.

Da questo fatto derivano intrecci complicati di interessi e contesti, che sarebbe opportuno invece considerare separatamente. Una cosa è l’azienda, altra cosa è la famiglia ed il patrimonio personale.

La principale lacuna nella gestione finanziaria delle Pmi italiane è una totale mancanza di chiarezza su:

1) quanto renda e a quanto ammonti il capitale investito nell’impresa
2) come siano generati i flussi di cassa
3) come i flussi di cassa si correlino alla produzione del reddito, alla fiscalità, alle scelte di investimento e di prelievo degli utili
4) quanto renda la ricchezza dei soci investita nell’impresa
5) quanto si può realizzare dall’impresa in caso di cessione o di passaggio generazionale o di liquidazione

Il benessere dell’imprenditore e della sua famiglia dovrebbero essere correlati alla tutela del valore dell’impresa. Sono aspetti  interdipendenti e fondamentali nell’economia italiana, dove domina l’impresa familiare: molte scelte critiche di gestione finanziaria aziendale, in particolare la politica dei dividendi e le operazioni di trasferimento dell’azienda, sono guidate dalle esigenze del nucleo familiare.

In caso di indebitamento, le Pmi utilizzano le disponibilità finanziarie familiari a garanzia dei rischi aziendali; tuttavia, ciò avviene quasi sempre in modo non trasparente e non sono chiari i costi, i benefici e i rischi.

Non è semplice gestire l’intreccio tra reddito e patrimonio aziendale e personale, è necessario affrontare la questione radicalmente, controllando valore e rischi degli investimenti sia dell’impresa sia della famiglia.

Per le questioni personali, si dovrà considerare una corretta pianificazione finanziaria, che tenga conto delle forme di previdenza integrativa, delle coperture assicurative, delle scelte di investimento, delle necessità dei figli, della sostenibilità del tenore di vita.

Le imprese di medie dimensioni possono rivolgersi a servizi di family office, offerti da studi legali o a divisioni di private banking, mentre imprese medio-piccole o perfino micro-imprese potrebbero trovare risposte adeguate ed economicamente sostenibili in soggetti professionali nuovi, come i consulenti finanziari indipendenti, che si occupano di valutare e gestire i patrimoni familiari.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La Fondazione Studi chiarisce i rapporti di lavoro per le imprese familiari

Il parere numero 19 della Fondazione Studi chiarisce che il rapporto che si instaura con il collaboratore familiare non può essere equiparato né a un rapporto di lavoro dipendente né a un rapporto di collaborazione, purché non vi siano nell’impresa dipendenti e collaboratori coordinati e continuativi o a progetto.

L‘impresa familiare resta un soggetto individuale esercente attività d’impresa.

Dal punto di vista previdenziale i contributi relativi al collaboratore familiare saranno determinati e versati dal titolare in base al minimale contributivo. Infatti, data l’identità tra base imponibile fiscale e base imponibile previdenziale, si spiega, “in assenza di imputazione del reddito al collaboratore, non vi è base imponibile sulla quale calcolare il contributo a percentuale”.

E questo anche qualora non vi sia alcun atto pubblico o scrittura privata che attesti il rapporto di impresa familiare instaurato tra un imprenditore individuale e un collaboratore familiare.

I consulenti del lavoro ricordano che l’impresa familiare è regolata dall’art. 230 bis del Codice civile: “La disposizione disciplina i rapporti che nascono nell’ambito dell’impresa individuale laddove un familiare dell’imprenditore presta la propria opera in maniera continuativa nell’ambito della famigliia o nella stessa impresa. L’impresa familiare, affinché si formi, non necessita di un atto in forma scritta, essendo sufficiente la realizzazione dei presupposti indicati“.

Qualora l’impresa fosse stata costituita con atto scritto autenticato o atto pubblico, la situazione dal punto di vista previdenziale non si modificherebbe, dal momento che, si precisa, “nel regime dei minimi l’imposta sostitutiva è dovuta dal titolare sull’intera base imponibile senza alcuna ripartizione al collaboratore”, che “è soggetto esclusivamente al minimale contributivo Inps“.

Marco Poggi

A Napoli “Padri, Figli e Patrimoni: family business e passaggio generazionale”

Fa tappa a Napoli l’evento “Padri, Figli e Patrimoni: family business e passaggio generazionale”, organizzato da Atema in collaborazione con Family Office del Gruppo Montepaschi e AIdAF Associazione Italiana delle Aziende Familiari. Dopo gli eventi del 3 dicembre 2010 a Firenze e del 15 dicembre a Milano, l’appuntamento è ora per il 19 gennaio 2011, dalle 10 alle 14, presso l’Unione Industriali Napoli, Piazza dei Martiri 58 (SCARICA IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA).

L’incontro cercherà di far capire quanto conta, in un tessuto produttivo come quello italiano caratterizzato dalla preponderanza di piccole e medie imprese spesso a conduzione familare, una corretta gestione del passaggio generazionale all’interno di un’azienda, per evitare errori, traumi, sbandamenti, spesso pericolosi per il business se non addirittura per la sopravvivenza dell’attività stessa.

È sentire comune che competenze, conoscenze e aspetti manageriali di eccellenza per la gestione dei cambiamenti strategici e di governo delle imprese familiari, debbano affiancarsi in coerenza ai migliori servizi di gestione dei patrimoni familiari (tangibili e intangibili) garanti di una continuità dello spirito imprenditoriale, sociale e della sostenibilità delle imprese familiari italiane.

La “family continuity” è un obiettivo dell’impresa di famiglia ma è anche fattore necessario allo sviluppo del sistema produttivo italiano. Poter contare su stabili relazioni, sulla possibilità di trasmettere il patrimonio di generazione in generazione, e sulla possibilità di generare ma anche trasmettere ricchezza e valori sul territorio sono fondamenti imprescindibili per la crescita competitiva del Paese: ciò si fonda anche sul valore della tutela dei patrimoni individuali e familiari, e sulla possibilità di creare presupposti operativi ed efficaci ad ogni momento del passaggio inter-generazionale per il mantenimento degli stessi e dell’azienda nel medio-lungo termine.

L’incontro si propone di fare il punto sui servizi di eccellenza, le forme innovative e personalizzate alle esigenze degli imprenditori per la gestione integrata dei patrimoni familiari, in particolare nelle critiche fasi dei passaggi generazionali.