Un premio per gli imprenditori stranieri eccellenti

di Davide PASSONI

Che gli imprenditori stranieri siano bravi, noi di Infoiva lo abbiamo ripetuto più volte. Che questa bravura meriti un premio e un riconoscimento è un’idea che è venuta ad altri, nello specifico a MoneyGram, leader globale nel settore dei trasferimenti di denaro in tutto il mondo. Il gruppo ha istituito quattro anni fa MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia, proprio per dare un riconoscimento agli immigrati che hanno saputo distinguersi nell’imprenditoria. Ce ne parla Alessandro Cantarelli, Marketing Director MoneyGram Balkans, Italy, Greece and Cyprus

Come nasce l’idea del MoneyGram Award?
L’idea del MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia è nata nel 2009 con la volontà di promuovere l’eccellenza tra le aziende gestite e fondate da imprenditori stranieri nel nostro Paese. Il Premio ha l’obiettivo di raccontare e valorizzare le storie di successo dell’imprenditoria immigrata e l’integrazione tra tradizioni lavorative e culturali diverse. La nostra azienda è da sempre molto attenta al valore dell’integrazione sociale degli immigrati, che, abbiamo notato, passa sempre più spesso da un’integrazione economica, attraverso lo sviluppo di nuovi business nel nostro sistema economico.

In che cosa consiste il premio?
Il MoneyGram Award, giunto quest’anno alla sua quinta edizione, è un riconoscimento alla capacità imprenditoriale e all’impatto importante e positivo del lavoro degli immigrati sull’economia italiana. L’iniziativa è dedicata ai più brillanti imprenditori immigrati che durante l’anno hanno saputo dimostrare capacità di visione, coraggio e leadership nel fondare o condurre le proprie aziende. Il Premio prevede un riconoscimento assoluto intitolato “MoneyGram Award all’Imprenditore Immigrato dell’Anno” ed è assegnato al titolare dell’azienda che risulta eccellente in tutte le categorie di valutazione e che ha favorito l’integrazione tra la cultura nativa e quella del paese ospitante. Ci sono poi 5 Premi di categoria a seconda che l’imprenditore si sia distinto per la Crescita del Fatturato, per l’Innovazione, l’Occupazione, l’Imprenditoria Giovanile e per la Responsabilità Sociale. 

Da quali Paesi provengono, dal vostro punto di vista, gli imprenditori con maggior entusiasmo, idee e coraggio?
Nelle passate edizioni del Premio abbiamo potuto apprezzare doti manageriali in diverse nazionalità di immigrati. Non c’è un Paese particolare nel quale posso dire di aver visto imprenditori più bravi in assoluto. Sudamericani, albanesi, rumeni, marocchini, ma anche cinesi, iraniani e africani, tutti quanti, con le loro peculiarità, hanno dimostrato e continuano a dimostrare un grande impegno e forza di volontà nel portare avanti i loro progetti in Italia, superando tutti i problemi legati ai pregiudizi, che spesso ancora noi italiani abbiamo nei loro confronti.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
I dati che fotografano il fenomeno dell’imprenditoria immigrata parlano chiaro: le imprese straniere, nonostante la crisi, hanno chiuso il 2011 con un saldo positivo di oltre 26mila unità, nello stesso periodo quelle italiane sono diminuite di 28mila unità. Siamo di fronte ad un fenomeno in crescita, che ci mostra come gli stranieri siano in grado di rispondere meglio alla crisi economica, adattandosi al cambiamento del mercato e, forse, rischiando di più.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Coraggio, spirito di sacrificio e tenacia, sono sicuramente valori importanti, ma anche una propensione al rischio più elevata è molto importante.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
Sicuramente la globalizzazione ha aiutato questo fenomeno ma c’è di più: c’è anche la voglia, da parte degli immigrati, di riscattarsi e di avere una seconda possibilità.

“Imprenditori immigrati, risorsa per la nostra economia”

di Davide PASSONI

Le cifre le hanno presentate loro alla fine della scorsa settimana e da lì siamo partiti per approfondire il discorso su Infoiva. Parliamo di Unioncamere e del rapporto presentato su dati Movimprese e relativo alle imprese italiane guidate da stranieri, che sfiorano ormai le 480mila unità. Oggi abbiamo chiesto direttamente al presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, di commentare con Infoiva questo fenomeno inarrestabile.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
Per molte persone che provengono da altri Paesi, soprattutto da quelli in via di sviluppo, l’impresa rappresenta la strada maestra per crearsi una occupazione, magari mettendo a frutto l’esperienza acquisita lavorando precedentemente come dipendente presso altre aziende. Sono spesso giovani e molto motivati, capaci anche di grandi sacrifici, come del resto lo sono i tanti giovani neoimprenditori italiani che anche in questa fase di crisi hanno scelto di mettersi in proprio.

In molti casi la parabola degli imprenditori stranieri ricorda quella di tanti italiani che, dopo la guerra, hanno trovato il riscatto sociale nell’imprenditoria. Concorda? Perché?
Credo che le due esperienze siano in molti punti assimilabili. Anche noi italiani abbiamo un passato da emigranti in cerca di lavoro e di fortuna in tanti Paesi del mondo. E, come avviene ora per l’imprenditoria immigrata, anche noi abbiamo creduto (e, fortunatamente, crediamo anche oggi) nel valore dell’impresa, quale scelta di vita, opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e di valorizzare i propri talenti.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Oltre l’80% delle imprese gestite da immigrati sono ditte individuali, la forma giuridica meno strutturata e quindi più soggetta alle oscillazioni del mercato e dell’economia. La loro fragilità è del tutto analoga a quella delle imprese individuali gestite da italiani, le quali però, in rapporto al totale, sono molto meno numerose grazie anche alla sensibile crescita delle società di capitali verificatasi negli ultimi anni. La differenza in questo ambito, semmai, la fa l’anagrafe. Molte imprese individuali gestite da italiani hanno come titolare persone di età avanzata, mentre i titolari immigrati sono mediamente più giovani.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
La globalizzazione certo, ma anche i fenomeni migratori che stanno portando verso l’Occidente più ricco e industrializzato tante persone provenienti da Paesi poveri.

Che cosa risponde Unioncamere a chi teme che questi imprenditori “rubino” mercato agli italiani?
Che gli imprenditori immigrati che operano rispettando le regole del mercato e della concorrenza non sono una minaccia ma una risorsa per la nostra economia.

Imprenditori stranieri: capacità, volontà ma anche formazione

Se in Italia il numero delle imprese guidate da stranieri veleggia serenamente verso il mezzo milione, come reso noto da Unioncamere, il merito è senza dubbio degli imprenditori stessi ma anche delle molte iniziative che, sull’intero territorio italiano, tendono a valorizzarne le capacità.

Una di queste è il progetto “INTERLAB – Laboratorio di mestieri e di impresa“, organizzato dalla Provincia di Firenze, che intende favorire l’occupabilità dei cittadini stranieri, in particolare donne, attraverso azioni di accompagnamento alla creazione di attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, promuovendo inoltre la nascita e lo sviluppo di attività economiche sostenibili in campo artigianale, avviate da imprenditori o lavoratori autonomi stranieri, anche in rete con altre imprese italiane.

Un progetto in due fasi, la prima delle quali si è conclusa e ha puntato a elevare la cultura di impresa dei cittadini stranieri. In particolare, è stata realizzata una ricerca-azione delle opportunità imprenditoriali offerte dal territorio, attraverso l’acquisizione di informazioni socio-economiche di base e uno studio documentale realizzato con l’Ufficio Statistica della Camera di Commercio di Firenze.

È ora in corso di attuazione la seconda fase di progetto, relativa all’inserimento lavorativo dei migranti attraverso l’autoimprenditorialità. Sono stati infatti selezionati 25 cittadini stranieri che hanno preso parte al percorso di orientamento e formazione laboratoriale di 56 ore volto alla messa a punto del progetto imprenditoriale. Sono invece 10 i migranti che sono stati selezionati per le attività di orientamento professionale della durata di 6 mesi, per un totale complessivo di 480 ore, in settori quali pelletteria, sartoria, vetreria.

A coronamento del progetto è stato, realizzato il sito www.progettointerlab.org, che raccoglie i materiali promozionali realizzati, insieme a una video-intervista nella quale gli aspiranti imprenditori e lavoratori autonomi raccontano la loro idea di impresa, in attesa di iniziare la formazione in bottega o di mettere a punto il loro business plan. Una importante azione di supporto alla imprenditorialità straniera in una regione come la Toscana, da sempre attenta al valore della formazione e della imprenditorialità.

I nuovi imprenditori? Stranieri e rampanti

I dati sono di quelli che fanno riflettere. Per fortuna, almeno per una volta, in senso positivo. Le imprese che, in Italia, sono guidate da cittadini stranieri si avviano di gran carriera verso il mezzo milione. Nello specifico, sono poco meno di 480mila, con un aumento di 24.329 nel 2012, +5,8%. I dati sono stati diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da Infocamere. Per le imprese individuali il Paese leader rimane il Marocco, con 58.555 titolari. A seguire Cina (42.703) e Albania (30.475). In termini assoluti sono aumentati di più gli imprenditori del Bangladesh (+3.180 imprese) e in termini relativi quelli Kosovo (+37,6%).

Numeri di tutto rispetto, la cui importanza non è sfuggita a Unioncamere. Secondo l’associazione, il contributo degli imprenditori immigrati alla crescita delle imprese nel 2012 “si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano (cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità)“.

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “la geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali, che scelgono la via del mercato per integrarsi prima e meglio nella nostra società. Sono per lo più forze giovani, con una grande motivazione alle spalle e dunque capaci di offrire opportunità di lavoro che, in questa fase, possono essere importanti nel recupero dei livelli occupazionali“.

Scendendo più nel dettaglio dei dati, alla fine del 2012, le 477.519 imprese a guida di cittadini stranieri rappresentano il 7,8% del totale, con punte superiori al 10% in due regioni, Toscana (11,3%) e Liguria (10,1)%, ed in dodici province tra cui spiccano Prato (23,6%), Firenze (13,6%) e Trieste (13,2%). In termini assoluti, le attività più presidiate sono quelle del commercio al dettaglio (129.485 attività) e dei lavori di costruzione specializzati (101.767). Molto distante il numero delle attività in ristorazione (31.129) e commercio all’ingrosso (29.646).

In termini di incidenza percentuale, le attività alla cui guida ci sono cittadini immigrati sono presenti soprattutto nelle telecomunicazioni (34,9%), nella confezione di articoli di abbigliamento (24%), nei lavori di costruzione specializzati (18,9%). Dal punto di vista della struttura organizzativa, come è lecito aspettarsi, nella grande maggioranza (385.769 imprese, l’80,8% del totale) le attività degli imprenditori immigrati sono costituite da imprese individuali, le più semplici, mentre le società di capitale (46.239 unità) sono il 9,7%. Interessante il dato della società cooperativa, strumento che comincia a diffondersi: sono quasi 8mila, cresciute nel 2012 al ritmo dell’8,2%.

Hanno più fame e sono più “incoscienti” di noi. Gli imprenditori immigrati ci salveranno

di Davide PASSONI

Ce lo sentiamo ripetere ormai da anni: l’Italia sarà salvata dagli stranieri. No, nessun nuovo Piano Marshall per il nostro Paese, disastrato dalle tasse, dalla mala politica, dalla burocrazia. Parliamo del fenomeno, silenzioso ma inarrestabile, degli immigrati che assumono un peso sempre più rilevante nella vita sociale ed economica italiana.

Siamo a crescita quasi zero dal punto di vista demografico e, allora, ci pensano gli stranieri molto più prolifici di noi ad aumentare la media di nuovi nati. Le imprese italiane chiudono a mazzi, strette tra crisi, fisco, folle burocrazia e allora ecco che, anche in questo caso, ci vengono in soccorso le imprese costruite e gestite da immigrati, che nascono senza paura e vivono anche più a lungo di quelle a guida italiana.

Proprio di questo aspetto vogliamo parlare questa settimana su Infoiva, partendo da una rilevazione di Unioncamere sul numero di imprese costituite e gestite da immigrati nel nostro Paese che fa pensare. Un dato di fatto, certificato dai numeri, che è quello di una grande capacità dello straniero di fare impresa e rischiare del proprio. Certo, molto spesso di tratta di imprese individuali, piccolissime, messe in piedi con un capitale minimo, frutto di risparmi e accantonamenti fatti da dipendente, ma sempre di rischio d’impresa si parla. Un iter che somiglia in molti casi a quello dei nostri padri o dei nostri nonni i quali, decenni fa, stanchi di lavorare “a padrone” e sicuri di far fruttare un capitale di esperienza e di saper fare acquisito in anni di lavoro dipendente, fecero il grande salto, si misero in proprio, allestirono la loro “fabbrichetta” che, negli anni, divenne poi l’azienda di famiglia: vanto, orgoglio, risultato tangibile della voglia di fare e di riscatto sociale.

Ecco, mentre ora centinaia di migliaia di queste chiudono tristemente i battenti, altrettante gestite da immigrati entrano con spavalderia e con un pizzico di sana follia imprenditoriale sul mercato delle imprese italiane, non solo a colmare un buco ma anche a portare una nuova filosofia d’impresa. Durante questa settimana cercheremo di capire i perché di questo fenomeno, se e quanto è destinato a durare e se, in un mondo e in un mercato sempre più globalizzati, ha senso parlare ancora di imprese straniere in Italia o se non sarebbe ora di parlare di imprese in Italia, punto e basta.

Imprese a terra? C’è chi ancora vuole investire

 

 

Saldo in attivo per le imprese italiane, da Nord a Sud dello stivale: le aziende che aprono i battenti superano ancora nel numero quelle che cessano l’attività. La conferma viene dal saldo del bimestre luglio-agosto: saldo positivo e pari a +9.668 unità, con un tasso di crescita dello 0,16%.

E la crisi? Se da un lato, secondo quanto emerge da una rilevazione di Unioncamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio, le iscrizioni sono state lievemente più numerose dello scorso anno (quasi 51mila a fronte di poco meno di 50mila di luglio-agosto 2011), dall’altro però hanno superato quota 41mila le cessazioni registrate nel bimestre estivo 2012, il dato peggiore dal 2009.

Bilancio positivo, ma l’ombra inquietante della crisi continua a oscurare le aziende italiane.

La crisi sta progressivamente erodendo la capacità di resistenza di tantissime nostre imprese – ha sottolineato Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, – anche se non spegne la voglia d’impresa di tanti italiani. L’elevato numero di cessazioni e il rallentamento della dinamica espansiva registrato nelle regioni settentrionali nel periodo estivo, suona come un campanello d’allarme delle condizioni difficili in cui sta vivendo il Paese e dello stato d’animo di incertezza dei nostri imprenditori”.

Ma qual è la mappa da Nord a Sud delle imprese che decidono di aprire?

Strano a dirsi, ma il rallentamento della crescita delle imprese ha colpito  le aree produttive maggiormente sviluppate: dal Centro-Nord, che presenta tassi di crescita più contenuti rispetto all’anno scorso, al Nord-Est la crisi sembra “raffreddare” l’anima imprenditoriale dei suoi abitanti. Anche se, va sottolineato, cresce l’indicatore della nati-mortalità di solo lo 0,07%, in contrazione dallo 0,18%  del 2011. Analoga sorte interessa Nord-Ovest e Centro, il cui tasso di crescita nel bimestre è pari allo 0,11%, in riduzione rispetto al +0,17% e +0,25% del 2011.

Segna un punto positivo invece il Mezzogiorno, dove l’indicatore della crescita (+0,28%) è in aumento rispetto a quanto registrato nel bimestre estivo 2011. A Napoli si contano addirittura quasi 2mila imprese in più rispetto a giugno 2011, mentre Palermo, Aosta e Salerno spiccano al vertice della classifica per tasso di crescita.  Maglia nera invece a Vicenza, con -86 imprese nel 2012, mentre in 16 province del Nord le cessazioni hanno superato le iscrizioni, generando così un saldo negativo.

Alla crisi le nuove imprese rispondono optando per una forma giuridica più strutturata: +0,42% l’incremento delle società di capitali, +0,52% le altre forme giuridiche, mentre modesti sono i tassi di incremento delle Ditte individuali (+0,09%) e delle società di persone (0,05%).

Dal punto di vista dei settori più svantaggiati, l’Agricoltura è in assoluto il settore che perde il maggior numero di imprese nel periodo (-416 imprese), mentre meno consistente è la riduzione che interessa il settore manifatturiero (-275 imprese). Saldo positivo ma in deciso rallentamento rispetto a luglio-agosto 2011 quello delle Costruzioni, settore che nel bimestre estivo 2012 aumenta di sole 83 unità, mentre frena la dinamica espansiva di tutti i settori dei servizi, in particolare delle Attività professionali, scientifiche e tecniche (736 le imprese nell’estate 2012 a fronte delle oltre 1000 registrate lo scorso anno). Fa eccezione la Sanità e assistenza sociale, in cui il saldo di 201 unità corrisponde a un tasso di crescita dello 0,59%, in aumento rispetto allo 0,41% del bimestre luglio-agosto 2011.

Alessia CASIRAGHI