Boom di imprese cinesi, +6,1% in un anno

 

Che nel nostro Paese le imprese guidate da connazionali siano drasticamente diminuite, a favore di quelle gestite da stranieri, è ormai un dato di fatto, decisamente poco sorprendente come il boom, rilevato in questi giorni dalla Cgia, delle imprese a guida cinese. Le attività condotte da cittadini con gli occhi a mandorla, secondo i numeri provenienti da Mestre, sarebbero 66 mila, in crescita del +6,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Degli oltre 708 mila imprenditori stranieri in Italia, il Marocco ne conta il maggior numero: 72.014. Segue staccata di non molto la Romania con poco più di 67.000, e subito dopo la Cina con 66.050. Il 60% circa dei capitani d’impresa stanieri ha la propria base operativa in sole quattro regioni: Lombardia, Toscana, Veneto ed Emilia Romagna.

«Non dobbiamo dimenticare che i migranti cinesi si sono sempre contraddistinti per una forte vocazione all’attività di business – ha ricordato il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi -. Se l’incidenza degli imprenditori stranieri sul totale dei residenti stranieri presenti in Italia è pari al 14,4%, quelli cinesi rappresentano addirittura il 29,6%. Su oltre 223 mila cinesi residenti in Italia, ben 66 mila guidano un’attività economica».

«Da sempre – ha concluso Bortolussi – le principali aree di provenienza dei migranti cinesi sono le province del Sud Est del paese: Zhejiang, Fujian, Guangdong e Hainan. Per queste persone, la ricerca del successo si trasforma in una specie di debito morale nei confronti della famiglia allargata e degli amici, che da sempre costituiscono un sostegno irrinunciabile per chi vuole emigrare. Non è un caso che nonostante la contrazione registrata nel 2013, l’etnia cinese continui a essere al primo posto nel flusso di rimesse verso il Paese d’origine».

JM

La Cina è in Italia

A dispetto della crisi, ancora ben presente in Italia, c’è chi, invece, sembra proprio non avere difficoltà.

Sono i cinesi che, invece di chiudere le loro attività, si moltiplicano, e non solo nelle grandi città, ma anche nelle province, dove è ancora più difficile trovare un’occupazione.

I dati, raccolti dalla Cgia di Mestre, parlano di piccole e medie imprese cinesi che hanno superato le 54 mila unità, con una crescita dell’8,5% rispetto al 2009, in netto contrasto con i dati riguardanti imprese italiane, diminuite, nello stesso lasso di tempo, dello 0,4%. Ad aumentare è anche la presenza, nelle aziende italiane, di imprenditori cinesi, con una crescita, dal 2002 al 2010, del 150,7%.

Ma è tutto oro quello che luccica? A quanto pare no, poiché è lo stesso Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ad affermare: “Pur riconoscendo che gli imprenditori cinesi hanno alle spalle una storia millenaria di successo, la loro forte concentrazione in alcune aree del Paese sta creando non pochi problemi. Spesso queste attività si sviluppano eludendo gli obblighi fiscali e contributivi, le norme in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e senza nessun rispetto dei più elementari diritti dei lavoratori occupati in queste realtà aziendali. Questa forma di dumping economico ha messo fuori mercato intere filiere produttive e commerciali di casa nostra“.

La maggiore concentrazione di imprenditori cinesi si trova nel Nord, e soprattutto in Lombardia, dove sono 10.998, Toscana, 10.503 e Veneto, 6.343. Nonostante questi numeri, la crescita registrata è omogenea in tutto il Belpaese, compreso il Trentino Alto Adige, una volta inespugnabile.

Ovviamente, l’incidenza di imprenditori cinesi sul totale dell’imprenditorialità straniera è molto forte e raggiunge un 8,6% con picchi in Toscana del 18,2%.

Tra i settori di occupazione, trovano i primi posti pelletteria, calzature ed abbigliamento, seguiti da alberghiero, bar e ristorazione, dove i titolari cinesi sono ormai 10.079. E siamo sicuri che si tratta di dati destinati a crescere ancora.

Vera Moretti

La Cina è vicina: il 15,3% delle importazioni in Italia è Made in China

Il fenomeno lo stiamo osservando un po’ in tutte le città (e non solo quelle grandi), sono tante le imprese organizzate e gestite da extra-comunitari. Tante quelle gestite da Cinesi. Probabilmente anche per questo progressivo insediamento nel sistema produttivo italiano, oltre che da un euro molto forte (anche se negli ultimi giorni scende nei confronti del dollaro), in Italia crescono, e tanto, le importazioni di prodotti dai paesi extracomunitari. A confermarlo una recentissima elaborazione della Camera di Commercio di Milano su dati Istat al secondo trimestre 2010, in Italia oggi importiamo circa 78,4 miliardi di euro di prodotti extra-Unione Europea.  Le merci extra-UE sembrerebbero arrivare principalmente in Lombardia (che pare assorba circa il 26,2% del totale) ed in particolare  nella provincia di Milano (circa il 15,3% dell’import extracomunitario nazionale). Subito dopo la Lombardia seguono il Veneto e l’Emilia Romagna.

Ovviamente tra i Paesi di provenienza extra UE di merci in Italia spicca la Cina, che pesa ben il 15,3% dell’import, seguita dalla Russia all’8,5% e dalla Svizzera al 7,5%. E la classifica si conferma a livello di continenti dove domina l’Asia, che costituisce il 41,8% dell’import nazionale, davanti ai Paesi europei non UE, fermi al 24,5%. Considerando i soli prodotti manifatturieri, il primato cinese è più marcato raggiungendo il 24,4% del totale delle importazioni manifatturiere nazionali. Al secondo posto in questa speciale classifica la Svizzera, con il 10,1%, e gli Stati uniti con il 9,9%. Ma dalla Cina arriva in Italia anche un terzo dell’import extra Ue di prodotti dei servizi di informazione e comunicazione e il 31% di prodotti di altre attività legate ai servizi.

Facendo un focus sulla provincia di Milano, ci accorgiamo che nei primi sei mesi del 2010 in provincia sono stati importati prodotti extracomunitari per circa 12 miliardi di euro. Questi prodotti importati a Milano arrivano principalmente da Cina (20,4%), Svizzera (15,1%) e Stati Uniti (11,9%). I prodotti entrati a Milano nei primi sei mesi dell’anno sono principalmente prodotti del settore manifatturiero, ma cresce l’importazione nei prodotti dei servizi di informazione e comunicazione con il 35,8% del totale e nei prodotti di altre attività legate ai servizi (67,3%).

Laura LESEVRE