Imprese italiane in lenta ripresa

I dati che vengono diffusi dai vari istituti sullo stato di salute delle imprese italiane sono spesso contradditori. Prendiamo, per esempio, i dati Cerved che riguardano i fallimenti e i bilanci delle imprese italiane nel 2014. I primi sono inquietanti, i secondi beneauguranti. Possibile? Sì, vediamo perché.

Secondo l’Osservatorio Cerved, il numero di imprese italiane fallite lo scorso anno è stato di ben: 15mila, ossia il +10,7% rispetto all’anno precedente e il risultato peggiore da oltre dieci anni. I bilanci delle imprese italiane, invece, nel 2014 sono migliorati, arrivando al 6,5% del patrimonio netto, dal 5,7% del 2013, mentre sono calati del 4,5% i debiti finanziari.

Il contesto economico ancora debole ha fatto sì che, nel 2014, l’andamento delle vendite e dei ricavi delle imprese italiane siano cresciuti solo dell’1% sul 2013. Ma da un’analisi dei 133mila bilanci depositati entro giugno 2015, Cerved ha rilevato che le imprese italiane sono riuscite a migliorare la propria redditività, contenendo i costi e aumentando la produttività.

In sostanza, il numero delle aziende italiane che hanno chiuso il bilancio in rosso è sceso nel 2014 del 27,7%: 25 società su 100. Con un incremento generale degli indici di redditività netta.

Rispetto al periodo pre-crisi, le imprese italiane sono comunque meno redditizie ma, secondo Cerved, le società analizzate nel rapporto hanno debiti più sostenibili. Nel 2014 i debiti finanziari si sono contratti (-4,5% dopo il -6% del 2013), con gli imprenditori che hanno fatto maggiormente ricorso a mezzi propri per finanziare le aziende, con il capitale netto su del 4,2% rispetto al 2013 e un incremento complessivo rispetto ai livelli pre-crisi del +51,3%.

Sul versante dei fallimenti, la situazione delle imprese italiane è in miglioramento. I dati raccolti da Cribis D&B, a giugno 2015 risultano 808 casi in meno rispetto a giugno 2014. Nei primi sei mesi del 2015 sono fallite mediamente 53 imprese al giorno, un dato da non sottovalutare ma che è comunque in calo rispetto alla crescita costante e continua che si registrava dal 2009.

Fallimenti aziendali, è ancora allarme rosso

Per quanto il premier Matteo Renzi ostenti ottimismo sulle possibilità di ripresa dell’Italia, le piccole e medie imprese sono ancora in grande sofferenza, come dimostra il dato sui fallimenti aziendali. Nel secondo trimestre 2014, i fallimenti aziendali sono stati 4.241, in aumento del 14,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. È quanto emerge dai dati del Cerved, società quotata specializzata nell’analisi del rischio di credito, analizzati dall’Ansa.

Nell’intero primo semestre 2014 i fallimenti aziendali hanno raggiunto quota 8.120 (+10,5%); si tratta del record assoluto dall’inizio della serie storica, risalente al 2001. L’analisi condotta dal Cerved mostra come i fallimenti aziendali riguardano tutta Italia: i tassi di crescita sono dappertutto in doppia cifra ad eccezione del Nord Est, dove l’incremento è del 5,5%.

In aumento del 14% rispetto al primo semestre 2013 sono invece i fallimenti aziendali al Sud e nelle Isole; il Nord Ovest fa registrare un +10,7%, il Centro un +10,4%. A causa dei recenti correttivi legislativi sono letteralmente collassate le domande di concordato in bianco (-52%) e diminuiti i concordati comprensivi di piano (-12,3%). Giù anche le liquidazioni che, con un -10,3% tra gennaio e giugno, segnano un’inversione di tendenza a livello semestrale dopo un lungo periodo di incremento.

Queste analisi sui fallimenti aziendali hanno suscitato diversi commenti. Secondo Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved, “stiamo vivendo una fase molto delicata per il sistema delle Pmi italiane: la nuova recessione sta spingendo fuori dal mercato anche imprese che avevano superato con successo la prima fase della crisi e che stanno pagando il conto sia al credit crunch sia a una domanda da troppo tempo stagnante“.

Sui fallimenti aziendali è ancora più dura ancora Confcommercio: “Il dato sui fallimenti aziendali conferma che la crisi continua a dispiegare i suoi effetti, costringendo molte imprese, che finora hanno resistito, a chiudere“. Secondo l’associazione delle imprese, “per il perdurare della stagnazione dei consumi, per una pressione fiscale che non accenna a diminuire, per l’impossibilità di far fronte ai fabbisogni finanziari, come della scarsa offerta del credito, e per il calo di fiducia, le imprese fronteggiano un quadro economico di crisi strutturale“.

Quale la soluzione per Confcommercio? “Le riforme economiche devono, pertanto, essere al centro dell’agenda di Governo perché se non si attua quella poderosa operazione di sottrazione, meno tasse e meno spesa pubblica, il Paese è destinato a rimare ancora fermo al palo“. Aspetta e spera…

Debiti della Pa, facciamo il punto

 

Quella sui cosiddetti debiti della Pa, ossia i soldi che gli enti che fanno parte della Pubblica amministrazione devono alle imprese per lavori fatti e mai pagati, è una partita sulla quale si gioca buona parte della credibilità del nostro Paese e dei governi che, negli ultimi anni, si sono trovati a guidarlo.

Complice la peggiore crisi economica dal Dopoguerra a oggi, quello che per decenni è stato uno scandalo sottaciuto e tollerato, è esploso in tutta la sua forza, anche grazie – purtroppo – ai numerosi suicidi di imprenditori che con lo Stato si sono trovati esposti per milioni, hanno visto la propria azienda chiudere e non hanno retto al peso del fallimento.

Dopo una sostanziale indifferenza dell’ultimo governo Berlusconi, il tema è stato affrontato dai governi Monti, Letta e, attualmente, Renzi, sempre con un atteggiamento che privilegia il proclama anziché la sostanza, tanto che ancora non c’è chiarezza sul totale dei debiti effettivamente rimborsati a oggi né, cosa più grave, su quanto debba la Pubblica amministrazione alle imprese. Un valzer di cifre che va da 70 a 120 miliardi, come se fossero bruscolini. Un monstrum che, a buon diritto, pone l’Italia nel terzo mondo d’Europa.

È notizia di questi giorni che lo Stato metterà a disposizione 1,8 miliardi per “il pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili maturati al 31/12/2012” e che ad oggi sono state già assegnate a comuni, province e comunità montane risorse finanziarie per 3,2 miliardi. Una goccia nel mare. Le aziende interessate devono presentare le domande di anticipazione alla Cdp, complete in ogni elemento e redatte secondo lo schema allegato all’Atto aggiuntivo all’Addendum, entro il 3 giugno 2014.

Tutto molto bello, ma ci pensa la Cgia di Mestre a far tornare le cose alla loro dimensione normale, specialmente per quanto riguarda i tempi dei pagamenti. Secondo l’associazione, nonostante gli sforzi e l’impegno di pagare una buona parte dei sui debiti, nel 2013 la Pubblica amministrazione ha pagato i suoi fornitori mediamente dopo 170 giorni10 giorni in meno rispetto al 2012.

Sebbene quella italiana sia una delle Pa che ha realizzato lo sforzo maggiore, in questa graduatoria continuiamo a essere i peggiori pagatori d’Europa, peggio persino della Grecia, che salda i suoi debiti in tempi più brevi dei nostri (159 giorni). La media Ue, invece, si attesta sui 61 giorni, contro i 60 della Francia, i 41 del Regno Unito e i 36 della Germania. Un altro pianeta.

La Cgia ha stilato questa graduatoria su dati Intrum Justitia, dopo aver appreso dal Vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani, che all’indomani delle elezioni europee scatterà la procedura di infrazione contro il nostro Paese a seguito dei forti ritardi nei pagamenti.

A questo la Cgia aggiunge il preoccupante numero di fallimenti registrati negli ultimi 5 anni di crisi: dal 2009 al 2013 sono stati 59.570, di cui 14.269 solo nel 2013, Tra il 2009 e il 2013, l’incremento ha superato il 52%.

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi,oltre agli effetti della crisi economica a dare un contributo all’impennata dei fallimenti hanno sicuramente contribuito il ritardo dei pagamenti da parte della Pa, l’incremento del livello di tassazione avvenuto in questi anni e la contrazione nell’erogazione del credito praticata dalle banche. Si pensi che nel 2013 la pressione fiscale si è stabilizzata al 43,8%, mentre le banche hanno tagliato ben 53 miliardi di prestiti alle imprese”.

Il 2013 si preannuncia nero per le pmi

La crisi che ha investito le piccole e medie imprese nel 2012 si fa ancora sentire, tanto da non far presagire niente di buono per questo 2013.

A dir la verità, le pmi hanno aperto il nuovo anno con un forte pessimismo, tanto che, secondo un rapporto condotto dal Centro Studi Unimpresa, sono circa cinque aziende su sei che temono, entro la fine del 2013, di dover chiudere.

I principali motivi che impediscono di affrontare la realtà con il sorriso sono dovuti ai problemi con le banche per quanto riguarda l’accesso al credito, ma anche quelli legati ai ritardi nei pagamenti da parte della P.A.
Ci sono poi i mancati pagamenti da parte dei privati a rincarare la dose, e che, unitamente alle principali questioni, rendono sempre più difficile rispettare scadenze e adempimenti fiscali, insieme all’impossibilità di pianificare investimenti e la scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione.

Il sondaggio, condotto dopo l’esito delle elezioni politiche su 130.000 imprese associate, dipinge uno scenario tutt’altro che roseo, con i prossimi dieci mesi che potrebbero annunciarsi funesti e caratterizzati da tanti dissesti finanziari e veri e propri fallimenti.

Vera MORETTI

Nel 2012 stanno fallendo quasi 35 imprese al giorno in Italia

Da quanto emerge dall’analisi dei fallimenti in Italia relativa al secondo trimestre 2012, realizzata da Cribis D&B, la società del Gruppo Crif specializzata nella business information, nei primi 6 mesi del 2012 sono quasi 35 le imprese che ogni giorno sono costrette a chiudere nell’arco del territorio nazionale. Più di 1000 al mese, per un totale di 6.321 fallimenti. Dopo i 3.212 casi rilevati nel primo trimestre, infatti, da aprile a giugno sono fallite altre 3.109 imprese. E dal 1 gennaio 2009 alla rilevazione attuale sono complessivamente 39.159 le imprese che hanno portato i libri in Tribunale, con un trend di aumento costante.

Il numero di fallimenti registrato in Italia nel secondo trimestre 2012 appare tuttavia in calo rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno (-9% la variazione rispetto al secondo trimestre 2011), ma in crescita nel confronto con lo stesso periodo del 2010 (+4%) e del 2009 (+30%). Con riferimento al secondo trimestre di ogni anno si è passati dai 2.391 casi del 2009, ai 3.001 del 2010, ai 3.411 del 2011, fino ai 3.109 attuali.

Il numero dei fallimenti rimane molto al di sopra dei livelli pre-crisi – spiega Marco Preti, ad di Cribis D&B -. La crisi economica ancora irrisolta e le difficoltà sul mercato del credito fanno sì che oggi insoluti anche non gravi possano mettere seriamente in difficoltà anche aziende solide, soprattutto quando provengono dalla clientela storica dell’impresa e alla quale, magari, si sono concessi tempi lunghi di pagamento e fidi commerciali elevati”.