‘L’Italia è il turismo, e il turismo lavora per l’Italia’

 

Il nostro viaggio nell’industria del turismo italiana fa tappa quest’oggi in quella che può essere considerata per antonomasia la patrie del turismo made in Italy: la riviera romagnola. Per capire qual è la temperatura del settore e l’umore degli addetti ai lavori, le piccole e medie imprese del turismo della Romagna, Infoiva ha intervistato Patrizia Rinaldis, Presidente dell’AIA Rimini, l’Associazione Italiana che raccoglie gli albergatori di Rimini.

Rimini è da sempre un punto fermo del turismo made in Italy, anche in tempi di crisi: confermate quest’affermazione?
Assolutamente si. Fortunatamente vive ancora di un brand e di una reputazione che hanno un valore enorme, sia a livello italiano che internazionale. E’ questo il valore aggiunto che ci ha permesso di superare le difficoltà del momento: Rimini non ha mai perso posizioni, ha mantenuto stabile il numero di presenze turistiche a differenza di altre regioni, è riuscita a mantenere un certo equilibrio rispetto al passato.

Qual è il vostro valore aggiunto?
Rimini mantiene quel famoso rapporto qualità/prezzo che soprattutto in un momento complesso come quello che stiamo attraversando gioca a sua favore e naturalmente a favore delle famiglie. Inoltre è stata premiata dalle presenze turistiche grazie alla sua offerta che non è legata soltanto al balneare, ma spazia grazie alla presenza dei parchi, senza dimenticare le bellezze dell’entroterra. Un ruolo importante è svolto poi dalle operazioni del settore congressuale e fieristico, che hanno contribuito ad aumentare l’appeal del territorio.

Quali sono le vostre prospettive e attese per la stagione turistica 2013 alle porte?
Io sono un’ottimista per natura. E’ vero, i tempi sono cambiati rispetto al passato, la vacanza ormai la si decide all’ultimo momento e non è più generica. Ma Rimini continua ad avere una percentuale di clientela fidelizzata molto alta: se prima era all’80%, adesso siamo attorno al 60%. Sono pochissime le località in Italia che vantano questi numeri.

Più italiani o più stranieri?
La percentuale italiana resta altissima, anche se la presenza straniera è cresciuta negli ultimi anni fino al 28-30%. I turisti stranieri sono importantissimi, perchè vanno a sopperire al calo della domanda interna: Rimini è un crocevia in un momento in cui i dati del turismo sono in continua evoluzione. La gente si muove, viaggia. Le faccio un esempio: i turisti stranieri che provengono dai Paesi del BRICS hanno numeri elevatissimi e una capacità di spesa che prima non avevano. Per noi è importante aprirci a mercati come la Cina, la Russia, un mercato che abbiamo già in parte aggredito in passato ma che è in continua espansione. La crisi porta ad allargare i propri orizzonti.

Come associazione albergatori riminesi su cosa avete deciso di puntare per favorire l’affluenza turistica? (prezzi più bassi, settimane corte, offerte ad hoc…)
Non possiamo puntare sui prezzi più bassi, perché la riviera ha già prezzi molto competitivi ed economici.Oggi occorre più che mai puntare sulla qualità del servizio, per difendere i nostri consumatori e garantire loro standard competitivi, che però hanno un loro costo. Come AIA abbiamo deciso di puntare sulla promozione e sulla professionalità. La nostra filosofia in tempi di crisi è: vendere il sogno della tua vacanza. Una vacanza su misura, che sia davvero un momento di distrazione, divertimento, che soddisfi davvero i sogni e bisogni del turista. Sono convinta poi che la crisi porterà a un miglioramento della professionalità dei nostri operatori, che forse avevano perso lo slancio al rinnovamento. Adesso è più difficile che mai, perché il tuo competitor non è più il tuo vicino ma è il mondo.  Occorre rimboccarsi le maniche, rinnovarsi, evolversi. Il turismo è un’industria sotto tutti i punti di vista e come tale deve essere trattata: anche i nostri albergatori devono pensare che non sono solo affittacamere ma veri e propri imprenditori.

La regione Emilia Romagna offre degli incentivi per chi desidera avviare un’attività turistica nella vostra zona?
No. Il grosso nodo problematico per il turismo nella nostra Regione è il fatto che non siano mai stati previsti incentivi fiscali, soprattutto per quanto riguarda la ristrutturazione. Una volta c’era la Legge 40, poi la Legge 3.  Il turismo è ormai un prodotto maturo e in questo momento ha una necessità enorme di ristrutturarsi perché gli standard qualitativi sono cambiati. Consideri che la sola città di Rimini possiede 1100 strutture ricettive: molte sono datate, noi chiediamo loro di riqualificarsi.  Il problema della regione è che non c’è continuità nell’ aiutare le imprese a riqualificarsi: l’anno scorso i finanziamenti sono stati trovati nel residuo di bilancio, la famosa Legge 3. Quest’anno invece sono stati stanziati circa 7 milioni di euro per l’intera regione Emilia Romagna destinati alla riqualificazione delle strutture congressuali. Il massimo che si può fare con questa cifra è accontentare 28-30 strutture nell’intera regione con un finanziamento di 200 mila euro.

Quali sono le maggiori difficoltà che il vostro settore si trova ad affrontare oggi?
Oltre agli incentivi fiscali, avvertiamo la necessità di una politica di acquisizione da parte degli affittuari, con delle leggi ad hoc che possano sgravare chi decide di acquistare le strutture. Inoltre credo che il turismo abbia bisogno di un’ economia di sviluppo legata alle infrastrutture, alle autostrade, alla qualità della balneazione. Il turismo è un bene primario per il Paese: è triste vedere che l’Italia, che possiede l’82% delle maggiori bellezze artistiche e culturali del mondo, sia scesa agli ultimi posti dal punto di vista turistico.

Se potesse fare un appello al Ministro Gnudi, quali sono le priorità da affrontare per il settore turistico in Italia?
Occorre considerarlo un settore industriale sotto tutti i punti di vista, conferendogli quella dignità che gli spetta di diritto.  Il settore turistico in Italia è l’unico che non ha perso forza lavoro e che continua ad avere un’incidenza positiva sul Pil. Ma deve esserci una cabina di regia sul turismo, le problematiche del settore devono essere affrontate a livello nazionale. L’Italia è il turismo, e il turismo lavora per l’Italia.

Alessia CASIRAGHI

Giulia DONDONI

Il Made in Italy sotto il microscopio di Leonardo

E’ stata presentata in Campidoglio la ricerca IPSOS “Nuovi mercati e Made in Italy: cosa pensano di noi”. L’indagine, resa nota in occasione dell‘XI Forum annuale del Comitato Leonardo, è stata condotta tra gli Opinion Leader di Russia, Brasile e Malesia.

Il tema riguardava l’analisi della percezione dei fattori di debolezza e di potenziale miglioramento del Made in Italy con l’obiettivo di verificarne i margini di crescita dei settori tradizionali e di quelli più innovativi.

A commissionare la ricerca il Comitato Leonardo, nato nel 1993 su iniziativa comune di Sergio Pininfarina e Gianni Agnelli, di Confindustria, dell’ICE e di un gruppo d’imprenditori con l’obiettivo di promuovere ed affermare la “Qualità Italia” nel mondo. Il Comitato associa oggi oltre 150 eccellenze, tra le quali 116 aziende il cui fatturato complessivo, nell’ultimo anno, ha superato i 300 miliardi di euro, con una quota all’estero pari al 53%.

La ricerca ha confermato enormi potenzialità per le produzioni italiane, ma ha anche evidenziato come solo i settori tradizionali (le quattro A) risultino trasversalmente associati al Made in Italy. Gli altri comparti sono conosciuti esclusivamente dagli opinion leader più informati.

Il rischio è che i brand italiani vengano considerati sempre più come entità separate da un concetto di italianità o di “Made in Italy”. Oltre a fattori “culturali” e “istituzionali”, altri elementi strutturali frenano lo sviluppo del Made in Italy:

  • il limitato supporto finanziario-assicurativo e la mancanza di strumenti finanziari adeguati che favoriscano i rapporti e offrano linee di credito che accompagnino la crescita della domanda
  • la forte incidenza dei dazi doganali
  • la necessità di rafforzare le relazioni politico-diplomatiche
  • la semplificazione delle procedure normative e burocratiche 

Sarà necessaria un’evoluzione del sistema imprenditoriale italiano ed un approccio più maturo ed evoluto all’export: sviluppo di servizi connessi anche nelle zone più remote, maggiore attenzione alla cultura locale, diversificazione dell’offerta per rendere il Made in Italy più accessibile a target di fascia media, senza perdere la propria identità.

Il Made in Italy è un valore aggiunto – ha sottolineato Luisa Todini, Presidente del Comitato Leonardo – che tutto il Sistema Paese deve saper sfruttare per la conquista di nuovi mercati e il consolidamento non solo nei settori tradizionali. Non è un caso che gli italiani siano apprezzati all’estero per creatività, qualità e capacità innovativa, spesso più degli altri competitor. Le aziende devono fare la loro parte, ma hanno bisogno di un maggiore sostegno istituzionale, non solo finanziario, soprattutto tramite incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche“.

La Presidente del Comitato Leonardo ha poi messo in evidenza l’esigenza di rafforzare la presenza della aziende italiane all’estero: “ facendo sistema e organizzandoci a filiera: se avessimo una grande distribuzione italiana saremmo i primi al mondo in molti settori di largo consumo. Ma dobbiamo saper essere anche attrattivi verso le multinazionali, gli investitori e i talenti di ogni genere, ben vengano quei grandi gruppi stranieri o i fondi sovrani che vogliono investire nei nostri marchi mantenendo know-how e attività produttive nel nostro Paese: è la testimonianza della forza del nostro made in”.

Il Made in Italy – ha concluso il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi – è una questione di interesse nazionale. Il consumatore globale associa il Made in Italy alla “Qualità”. E’ questo il segno distintivo del nostro brand nazionale sul quale dobbiamo continuare ad investire per intercettare la domanda dei mercati internazionali, sia di quelli avanzati, sia di quelli emergenti” che ha poi precisato “l’affermazione delle nostre eccellenze nel mondo necessita certamente di azioni immediate, inserite in una strategia complessiva di più lungo periodo volta a garantirne l’efficacia e la sostenibilità. L’unitarietà e la coesione del Sistema-Paese nel suo complesso è la condizione necessaria per la promozione, ma anche il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, la tutela legale della proprietà intellettuale e industriale, il rispetto di regole commerciali sottoscritte e condivise a livello multilaterale e l’abbattimento delle barriere tariffarie e tecniche che impediscono al Made in Italy di dispiegare appieno tutto il suo potenziale“.

Quali sono allora gli strumenti su cui puntare per sostenere il Made in Italy all’estero?

  • introdurre modalità di promozione e di strumenti finanziari di accompagnamento
  • puntare su accordi bilaterali di libero scambio
  • combattere la contraffazione
  • identificare le priorità geografiche e settoriali
  • definire una programmazione pluriennale di politica estera economica

L’Agenzia ICE – ha evidenziato infine Riccardo Maria Monti, Presidente dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane  – intende contribuire a dare sempre maggiore visibilità internazionale alle attività del Comitato Leonardo, adottando tre linee di azione: dare ulteriore impulso alle attività del Premio all’estero, puntare su innovazione e high-tech, mobilitare le eccellenze Italiane in chiave di attrazione degli investimenti”.

 

Liberi professionisti e buoni pasto: matrimonio all’insegna della convenienza

 Cari lettori, continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del mondo dei Ticket Restaurant.

Se la scorsa settimana vi abbiamo spiegato i vantaggi fiscali per l’azienda ed i benefici economici per il dipendente, questa settimana proviamo a spiegarvi i benefici economici e fiscali per i liberi professionisti.

Ebbene sì, un libero professionista può usufruire di questi buoni pasto acquistandoli direttamente anche da Internet, consumandoli negli esercizi commerciali convenzionati e potrà dedurre il 75% delle spese così come detrarre tutta l’IVA al 10%, fino a un importo massimo pari al 2% del fatturato.

I ticket restaurant sono in tutto e per tutto titoli di credito che valgono come moneta corrente e con i quali è possibile acquistare il pranzo, pagare una cena, o ancora meglio fare la spesa (in questo ultimo caso, solo selezionando i prodotti alimentari con IVA inferiore al 10%).

I liberi professionisti sanno quanto sia sempre poco e soprattutto “prezioso” il tempo da dedicare al cibo: e se al posto di dannarsi con spiccioli e prelievi ci si affidasse ai ticket restaurant, battezzati così da una delle più importanti aziende che li distribuiscono?

Un buono quotidiano che  fornisce un certo supporto nel risparmio di ogni giorno.

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Buoni pasto, un risparmio per l’azienda e il dipendente

Il buono pasto è un benefit molto più pregiato e ricercato di quanto non sembri. Spesso le aziende lo usano come incentivo per i propri dipendenti e sia le prime che i secondi, è un dato di fatto, lo apprezzano. Per molti motivi. Intanto, i dipendenti ne traggono un sicuro vantaggio economico, dal momento che possono guadagnare qualche centinaia di euro in più al mese; le aziende, invece, possono incentivare i propri dipendenti senza dover sottostare a ingombranti oneri fiscali.

Secondo le attuali regole, i buoni pasto sono esclusi dal reddito imponibile fino a un massimo complessivo giornaliero di 5,29 euro. Se da un lato ne guadagnano i dipendenti – il valore dei buoni pasto non concorre al reddito soggetto a tassazione -, dall’altro il datore di lavoro può corrispondere loro parte del reddito sotto questa forma senza il pagamento degli oneri previdenziali.

Ci sono comunque poche e semplici regole che, nella gestione e nella somministrazione di buoni pasto, vanno rispettate. In primis le aziende non possono corrispondere ai propri dipendenti buoni pasto in misura maggiore rispetto alle giornate di effettiva presenza in azienda. Poi i ticket non sono cedibili, commerciabili, cumulabili e non possono essere convertiti in denaro contante; devono essere utilizzati per il loro intero valore nominale ed entro un limite temporale indicato sugli stessi. Piccole norme che, però, ne determinano l’uso corretto.

Alla fine, però, quello che più aiuta a comprendere vantaggi e risparmi che derivano dall’impiego dei buoni pasto – tanto per le imprese quanto per i lavoratori – sono le cifre, sempre loro. Meglio, quindi, incentivare in denaro o in buoni pasto?  E qual è l’effettivo risparmio per un datore di lavoro che incentiva i propri dipendenti con i buoni pasto? Per rispondere a questa domanda ci aiuteremo con degli esempi pratici.

DENARO. L’azienda X vuole offrire a un proprio dipendente Y un bonus giornaliero di cinque euro circa in denaro contante. Per farlo, il controvalore di questo bonus per l’azienda è di € 8,62 + € 3,47 di oneri previdenziali + € 2,87 di ratei tredicesima, quattordicesima, festivi, ferie, TFR + € 0,64 di IRAP + € 0,24 di IRE su Irap. Ossia un totale di 15,84 euro spesi dall’azienda, contro 5,16 euro incassati dal dipendente.

BUONI PASTO. L’azienda X vuole incentivare un proprio dipendente Y offrendo un bonus giornaliero di cinque euro circa, però erogato attraverso i buoni pasto. Il valore del bonus per l’azienda è di € 8,62 – € 0,79 di oneri previdenziali – € 2,66 di medie 34% IRPEF. Ossia 5,17 euro spesi dall’azienda, a fronte di 5,16 euro ricevuti dal dipendente attraverso il buono pasto.

Inutile sottolineare che non c’è confronto. E se poi il dipendente incentivato è anche un dipendente motivato… allora ticket forever!

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Incentivi fiscali per le reti d’impresa

Per le imprese che si collegano “in rete” arrivano consistenti incentivi fiscali. Il beneficio è riconosciuto alle imprese appartenenti a una delle reti d’impresa riconosciute ufficialmente (articolo 42 del dl 78/2010).

L’Agenzia delle Entrate con un provvedimento del direttore dell’Agenzia del 13 giugno 2011 comunica a quanto ammonta in percentuale, l’agevolazione fiscale, concessa alle imprese aderenti a un contratto di rete, che permette di sospendere dal reddito d’impresa una quota degli utili per un ammontare massimo di 1 milione di euro.

Uno sconto calcolato facendo il rapporto tra il totale delle risorse stanziate pari a 20 milioni di euro, per il 2011, e l’importo del risparmio d’imposta complessivamente richiesto al Fisco con il modello RETI, che al 23 maggio 2011, ha superato quota 26 milioni di euro.