Benefit aziendali? Vince la formazione

I benefit aziendali sono una discriminante che un peso sempre maggiore nella scelta di un posto di lavoro. Spesso, infatti, alla qualità dei benefit aziendali che un’impresa eroga ai propri dipendenti, è vincolata la qualità della vita di questi ultimi, che dovrebbero ritenersi fortunati già ad avere un lavoro. Ma un benefit è un benefit…

Su quale siano l’importanza e il gradimento dei benefit aziendali da parte dei dipendenti, si è espressa in maniera chiara l’annuale classifica dedicata al benessere dei dipendenti in azienda, realizzata da Ipsos per conto di Edenred. Ebbene, dall’indagine è risultata questa top 10 di gradimento dei benefit aziendali:

  • investimenti in formazione;
  • salute e prevenzione attraverso assistenza sanitaria, screening e assicurazioni integrative;
  • pacchetti di benefit welfare su misura;
  • buoni pasto;
  • gestione dello stress tramite servizi mirati;
  • aiuto per i trasporti;
  • sostegno per i consumi energetici;
  • asilo nido aziendale;
  • aiuto ai familiari non autosufficienti;
  • aiuto ai familiari per attività sportive e culturali.

Oltre a questo interessante spaccato sulle preferenze dei dipendenti italiani in fatto di benefit aziendali, dalla ricerca sono emersi altri dati degni di nota. Per esempio, ben il 42% dei dipendenti intervistati si è dichiarato soddisfatto della possibilità che gli viene data di portare avanti le proprie idee; inoltre, il 49% ha dichiarato che il suo superiore stimola il lavoro di squadra, il 46% che riconosce il diritto all’errore e il 32% che incoraggia l’assunzione del rischio.

Gli italiani i consumatori più accorti d’Europa


A dirlo è la ricerca europea di Ipsos per Consumers’ Forum, l’associazione che riunisce le più grandi imprese italiane e le maggiori associazioni dei consumatori, in occasione della 4a edizione dell’analisi sugli stili di consumo.

Secondo questo sondaggio condotto su 2.600 cittadini europei e realizzato su campioni rappresentativi di 5 paesi (Italia, Germania, Polonia, Spagna, Regno Unito), il 59% degli italiani e il 58% degli spagnoli sentono come meno sicura la situazione economica personale rispetto ai cittadini tedeschi (41%) e polacchi (46%).

In sintesi, la crisi economica ci spaventa e condiziona le nostre abitudini di consumo al punto che risulteremmo i più accorti nell’usufruire di offerte speciali, nel confrontare i prezzi, e ci fidiamo di più delle associazioni di consumatori.

Purtroppo [i consumatori italiano, n.d.r.] non conoscono le iniziative di responsabilità sociale delle imprese pur essendo interessati a valutare i loro acquisti secondo parametri anche di eticità delle imprese” – ha commentato Sergio Veroli, presidente di Consumers’ Forum.

Ma come si comportano gli altri consumatori del Vecchio Continente? Gli inglesi sono più attenti nel ridurre le spese (71%) – di nuovo seguono gli spagnoli (63%) e gli italiani (60%) – , ma bene o male la maggior parte dei cittadini dei Paesi considerati sfrutta il web per informarsi sui prezzi (72%).

Dalla ricerca emerge pertanto una possibile indicazione per contribuire ad uscire dalla crisi: aumentare la fiducia dei consumatori puntando su un modo di fare impresa socialmente responsabile” – prosegue Veroli.

L’81% degli intervistati si dice molto attento a usufruire di sconti e di offerte speciali, con il picco maggiore in Italia (88%) e in Spagna (87%), mentre i consumatori europei intervistati preferiscono comprare negli ipermercati/centri commerciali (51%), seguiti dagli acquisti nei supermercati più vicini (47%) e sulle bancarelle (36%).

Italiani e spagnoli, poi, sarebbero i più propensi a pagare di più quei prodotti che rispettano l’ambiente (rispettivamente l’81% e il 68%) e che offrono garanzia di standard qualitativi (83% e 74%) o provenienti aziende che rispettano i diritti dei lavoratori (79% e 68%).

L’Italia si conferma il paese che in Europa ha più fiducia nelle associazioni dei consumatori (39%), seguita dalla Germania (34%) e dalla Spagna (31%), mentre i cittadini europei ritengono che le associazioni dovrebbero concentrare la propria attenzione nel controllo di qualità dei prodotti e dei servizi (78%), nella tutela e rappresentanza del consumatore (76%), nei servizi di informazione e tutoring (66%); meno fondamentali ma comunque importanti nel rendere le imprese maggiormente responsabili (20%).

Per i consumatori, in Germania come in Italia in particolare contano l’indipendenza delle organizzazioni (65% e 59%) le regole di democrazia interna (35% e 33%). In Italia e nel Regno Unito l’affidabilita’ di una associazione di consumatori e’ data anche dalla capillarita’ di sportelli sul territorio.

P.P.

Fonte | Ansa

I consumatori vogliono negozi aperti anche la domenica

L’Ipsos, per conto del Ministro del Turismo, ha svolto una indagine d’opinione su un campione di mille persone chiedono l’opinione sull’eventuale apertura dei negozi di domenica. Il 78% di consumatori italiani sarebbe d’accordo, percentuale  che aumenta fino all’82% tra i «responsabili degli acquisti», ma che si riduce al 76% per i residenti in un Comune a vocazione turistica e a 65% degli abitanti nelle grandi città. Solo il 26% sarebbe contrario all’estensione della proposta in tutti i Comuni italiani.

Tra tutti gli intervistati sono i lavoratori a esprimere maggiore contentezza per la proposta. L’apertura in orari extra o domenicali agevolerebbe infatti questa categoria.

Il ministro Brambilla ha voluto che la liberalizzazione delle aperture domenicali e della mezza chiusura infrasettimanale (almeno in via sperimentale), in Comuni a vocazione turistica e città d’arte, diventasse legge dello Stato, con una precisa norma nella manovra sui conti pubblici votata nei giorni scorsi. Le associazioni del commercio l’avevano accolta molto tiepidamente in quanto arrecherebbe non pochi problemi ai dipendenti.

Resta critico il presidente della Camera di Commercio di Milano, Carlo Sangalli, secondo il quale «è inaccettabile che un provvedimento del genere si sia fatto senza consultare le organizzazioni del commercio e dei servizi, ed è assai discutibile perché c’è un’invasione di campo rispetto alle Regioni».