Il lavoro me lo trova l’amico (o lo zio)

Un’altra conferma di come il mercato del lavoro in Italia abbia dinamiche e regole tutte sue. Secondo i dati Isfol-Plus da poco pubblicati, un terzo degli occupati nel nostro Paese afferma di aver trovato lavoro grazie all’intervento diretto di familiari, amici e conoscenti. Se si includono gli interventi indiretti, si arriva al 60%.

I canali istituzionali per la ricerca di un lavoro contano invece assai poco per una ricerca diretta. Solo il 3,4% di chi ha trovato un’occupazione lo ha fatto servendosi dei centri per l’impiego e il 5,6% delle agenzie di lavoro interinale. Sull’intermediazione indiretta, tuttavia, le percentuali salgono: il 33% degli occupati si è servito dei centri per l’impiego, il 30% delle agenzie. C’è poi un residuo 10% di chi ha trovato lavoro attraverso un concorso pubblico.

Un altro canale interessante è quello dell’autocandidatura verso le aziende, utilizzato dal 58% degli occupati nella fase di ricerca. Nel 20% dei casi ha consentito l’assunzione in via diretta.

Infine, un ruolo importante nell’intermediazione indiretta viene giocato dalle offerte di lavoro pubblicate su stampa e web e dai contatti nell’ambito lavorativo: utili nel 36% dei casi le prime, nel 44% i secondi. In quanto canali diretti, hanno giocato un ruolo importante rispettivamente nel 2,6% e nel 10% dei casi.

Non dissimili i dati ai quali è giunto anche l’Istat. Secondo il rapporto Il mercato del lavoro, redatto dall’Istituto nazionale di statistica e relativo al primo trimestre 2016, oltre 8 persone su 10 si affidano alle conoscenze per ottenere un impiego. Si tratta, per la maggior parte, di persone disoccupate da oltre un anno che non sono riuscite a trovare lavoro attraverso i canali istituzionali.

L’Istat ha infatti rilevato che le persone che si rivolgono a parenti e amici sono l’84,8% di chi cerca un impiego all’inizio del 2016, contro l’83,4% del 2015. Parallelamente, cala il numero di quanti utilizzano il web (55,4% dal 59% del 2015), mentre rimane stabile la percentuale di quanti si propongono attraverso un’autocandidatura: 69,2%.

E’ attivo il registro nazionale degli orientatori

Da un progetto delle associazioni di categoria Asitor, Assipro e Cofir, con il supporto di Isfol, è nato il registro nazionale degli orientatori.

A darne l’annuncio, i presidenti delle categorie, a cominciare da Antonio Colombo, di Asitor, il quale ha definito l’orientamento come “la medicina per questo Paese che non riesce più a crescere. Finalmente potranno essere certificate, sulla base di un modello comune, e riconosciuto a livello nazionale, le competenze dei tanti validi professionisti che già tanto operano in questo settore“.

A descrivere il nuovo registro è stato Fabrizio Rota, di Assipro, che prevede diversi livelli di certificazione: “orientatore, consulente di orientamento e consulente senior di orientamento“ e i candidati che aspirano ad entrare nell‘elenco saranno valutati considerando otto aree principali, che partono dal saper fornire informazioni utili per arrivare alla capacità di condurre colloqui di orientamento ed al codice etico.

Andrea Fontana, consigliere nazionale Cofir, ha concluso affermando che “il registro degli orientatori si fonda su un principio di progettualità e democrazia. Proprio come l’orientamento, deve poter generare delle destinazioni per tutti i soggetti che vivono in contesti complessi“.

Vera MORETTI

‘Falsa’ partita Iva: non basta la monocommittenza

Con la riforma Fornero sono in arrivo nuove regole per chi lavora con la partita Iva, un esercito composito e sempre più numeroso. In Italia sono infatti circa 6,5 mln le partite Iva attive, di queste un milione sono di società di capitale, più di un milione di professionisti, oltre un milione di artigiani e commercianti e tre milioni e mezzo di professionisti non regolamentati con attività individuale. Ogni anno si aprono circa 200 mila nuove partite Iva mentre, secondo l’Isfol, le false partite Iva sono attorno alle 400 mila unità.

In questo universo convivono, dunque, sotto lo stesso regime fiscale, il giovane designer e il fotografo, l’organizzatore di eventi e il musicista, l’autotrasportatore e l’odontotecnico.

“Anche per questo -dice a LABITALIA Gabriele Rotini, coordinatore nazionale di Cna Professioni, che si occupa delle attività non ordinistiche- per individuare una falsa partita Iva occorre distinguere il discorso sulla monocommittenza da quello che riguarda l’aspetto legato a un’attività più prettamente imprenditoriale piuttosto che professionale”. Insomma, per Rotini, quello che distingue una vera da una falsa partita Iva “è anche la natura del committente: il professionista ha un rapporto diretto con il cliente, la falsa partita Iva sta dentro una ‘triangolazione’, in cui il rapporto tra fornitore e cliente passa attraverso il datore di lavoro”.

Rotini ha una lunga esperienza nel settore perché per oltre 10 anni è stato componente della commissione regionale del Lazio sull’artigianato.”Quando dovevamo valutare un caso -ricorda- la base che prendevamo in considerazione era quella dell’autonomia imprenditoriale e cioè vedere se il lavoratore in oggetto veramente era autonomo nel decidere i tempi di lavoro, mentre se i tempi di lavoro venivano fissati e decisi da altri, cioè dal committente, quello poteva essere lavoro subordinato”.

Insomma, dice Rotini, “la monocommittenza non può essere il solo indicatore che ci dice che il lavoro è subordinato, è un ragionamento piuttosto complicato”. “Come Cna professioni -conclude- difendiamo la sopravvivenza delle partite Iva, necessarie in un sistema economico dove il 96% delle aziende è fatto da piccole imprese sotto i 10 addetti”.

Fonte: adnkronos.com

Co.co.pro? No, grazie

di Vera MORETTI

Alla faccia di chi vuol farci credere che tra lavoratore dipendente e lavoratore precario la differenza è poca. Non si tratta solo di sicurezza e certezza nel futuro, ma anche di retribuzione.
A questo proposito, il gap tra precario e dipendente è di 5.000 euro e sale a 6.800 se si tratta di una donna. Come se ci fosse bisogno di altri motivi per diffidare dei contratti co.co.pro.

Se, poi, si ha meno di 24 anni, la penalizzazione è quasi raddoppiata, dal momento che il divario raggiunge 8.221 euro, ovvero la differenza tra gli 11.400 euro medi annui di un dipendente e i 3.179 euro di un co.co.pro. e un collaboratore coordinato e continuativo.

Questi dati sono stati resi noti da Isfol, la cui direttrice generale, Aviana Bulgarelli ha commentato così: “Una situazione che per le lavoratrici diventa paradossale. Le donne hanno in genere tassi di istruzione più elevati degli uomini. E invece sul fronte salariale continuano a subire una forte disparità di genere. Sia se inquadrate come co.co.pro. che come lavoratrici dipendenti“.

I collaboratori a progetto sono un esercito di 676mila, ai quali si aggiungono i 50mila collaboratori coordinati e continuativi che ci sono nella Pubblica amministrazione e tutti sono accomunati da un reddito medio annuo di 9.885 euro contro i 16.290 euro di busta paga media l’anno degli oltre 17 milioni di occupati dipendenti.
Per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, in Italia sono 1 milione e 442mila unità. Tra loro, il 46,9% sono co.co.pro. Mentre il 35,1% dei collaboratori a progetto ha un’età inferiore ai 30 anni e il 28,7% tra i 30 e 39 anni.
L’84,2% dei co.co.pro. è caratterizzato poi da un regime contributivo esclusivo, ovvero non svolge un’altra occupazione: si tratta di 569mila lavoratori il cui reddito medio scende a 8.500 euro l’anno. Per ricevere uno stipendio pari a quello di un dipendente, un co.co.pro. e un co.co.co. deve superare i 60 anni e arrivare a fine carriera, quanto il reddito annuale medio ammonta a 19.797 euro contro i 19.462 euro per un dipendente.

Una recente indagine di Isfol-Plus, poi, informa che, per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, il 70% dei collaboratori deve garantire la presenza presso la sede di lavoro, il 67% ha concordato un orario giornaliero con il datore e il 71% utilizza, nello svolgimento della prestazione, mezzi e strumenti del datore di lavoro.

Chi decide il tipo di contratto? Di certo non i diretti interessati ma, guarda caso, i datori di lavoro stessi. Per questo, è richiesto a gran voce l’intervento di Elsa Fornero, ministro del Lavoro e del Welfare, che dovrebbe, secondo Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, “equiparare i contributi, garantendo contestualmente le stesse tutele e dando certezza di un salario corrispondente al lavoro che si svolge“.

Una soluzione alternativa, per Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil, potrebbe essere quella di utilizzare queste forme contrattuali per “assumere lavoratori per qualifiche medio-alte“.

Lauree ambientali? Il contratto è assicurato

di Alessia CASIRAGHI

Il 43,5% trova lavoro entro un anno dalla laurea, mentre la percentuale sale al 53,4% dopo tre anni. Lavoro assicurato per i laureati ambientali. E’ quanto emerge dalla ricerca dell’Isfol sulle ‘Lauree ambientali triennali. Inserimento lavorativo e prosecuzione degli studi’, che analizza le opportunità professionali di quanti scelgono il percorso accademico breve in campo ambientale.

Buone notizie anche per quanto riguarda il tipo di contratto con cui vengono inseriti i nuovi dottori dell’ambienti. Il 50% degli occupati ottiene infatti un lavoro dipendente regolare, con un inquadramento professionale coerente con la formazione conseguita. Ma quali sono nello specifico le professionalità ricercate? Il 37,3% a tre anni dalla laurea lavora come impiegato, il 32,1% svolge una professione tecnica e il 9% ha un’attività nel settore del commercio e dei servizi di livello qualificato. Il lavoro del futuro è senza dubbio green: un laureato su due del settore ambientale trova senza difficoltà un impiego poco tempo dopo la laurea.

Purtroppo ad essere penalizzate sono ancora una volta le donne: le maggiori opportunità occupazionali riguardano gli uomini (59%) e in minor parte le donne (47,6%). Nelle professioni medio-alte si registra però una discreta parità dei sessi, scendendo verso i livelli medi, le donne sono maggiormente coinvolte nei lavori impiegatizi mentre gli uomini in quelli tecnici.

Sono otto le figure professionali innovative più ricercate: dall’esperto d’interventi energetici a livello territoriale, colui che individua le opportunità e i vincoli di un territorio per pianificare e realizzare progetti energetici, all’esperto economico-finanziario di interventi in campo energetico ambientale, seguito dall’esperto per la qualificazione in campo energetico ambientale delle imprese edili. Una figura innovativa, che aiuta le aziende a utilizzare tecniche di costruzione a basso impatto ambientale. Collegata a questa figura il promotore consulente di materiali edili a basso impatto ambientale, che supporta progettisti e imprese nella scelta di materiali a basso impatto ambientale.
C’è poi l’ amministratore di condominio, l’esperto in programmazione e pianificazione dei processi produttivi agricoli a filiera corta, responsabile delle scelte che orientano la produzione e la commercializzazione dei prodotti agricoli, cui si accompagna un’altra figura simile: il responsabile della gestione ambientale e qualità nella produzione agricola a filiera corta. Questa figura si occupa dell’effettivo rispetto e adempienza a tutte le strategie aziendali relative alla qualità del processo produttivo e dei prodotti in un’ottica di sostenibilità ambientale.

Ultimo ma non meno richiesto, il tecnico dei processi produttivi agricoli a filiera corta, colui che presidia l’intero processo produttivo, dalla pianificazione fino alla commercializzazione dei prodotti.

Nati con la camicia

Imprenditori si nasce, non si diventa. Sono gli imprenditori familiari, ovvero coloro che decidono di portare avanti l’azienda di famiglia. Nati con la camicia, forse o quasi, che secondo l’identikit tracciato dall’Isfol rappresentano una grossa fetta della realtà imprenditoriale italiana.

La ricerca, condotta dal sociologo del lavoro Domenico Barricelli e pubblicata sulla rivista del Cgia di MestreQuaderni di ricerca sull’artigianato’, evidenzia come le microimprese familiari italiane siano per la maggior parte appannaggio degli uomini, che rappresentano il 78,2%, mentre le donne raggiungono solo il 21,8%. Va sottolineato però, che le quote rosa, seppur minoritarie, molto spesso ricoprono ruoli chiave all’interno dell’azienda di famiglia, come il supporto alla gestione amministrativa.

Un quinto degli imprenditori ‘di famiglia’ possiede solo la licenza media, mentre il 56,2% è diplomato e il 22,1% ha ottenuto la laurea. Hanno tra i 35 e i 54 anni e hanno iniziato a lavorare da giovanissimi, prima dei 20 anni. L’identikit prosegue rilevando che il fatturato annuo medio degli imprenditori familiari non supera i 500 mila euro, mentre l’area di attività si concentra soprattutto nel territorio urbano.

Ma quali sono i settori a maggior concentrazione di microimprese di famiglia? Dall’indagine emerge la centralità del terziario, che supera il 60%, con una netta prevalenza di imprese appartenenti al commercio, ai servizi e alle costruzioni. Il settore dell’artigianato comprende poco meno del 20% delle imprese e soprattutto attività commerciali e industriali o di laboratorio. Quanto al mercato di riferimento, per poco meno del 30% delle microimprese è esteso e le esportatrici sono circa il 14%. Le microimprese con un mercato più esteso sono quelle artigiane, attive nel comparto industriale e guidate da imprenditori più giovani. Si dichiarano al di fuori di circuiti di distretto o di filiera oltre il 90% delle imprese intervistate e da associazioni il 50%.

E rispetto alla crisi economica globale, come hanno reagito i microimprenditori? Si registrano criticità legate soprattutto alla liquidità, a causa di un’elevata dipendenza da singoli committenti, e gli elementi poco chiari su cui si esercita spesso la concorrenza, ma anche il peso crescente degli oneri amministrativi.

Prospettive aziendali poco confortanti a parte, i microimprenditori si dichiarano soddisfatti per aver scelto un’attività autonoma, anziché un lavoro dipendente. Sono coscienti però che per rimanere al passo coi tempi occorre aggiornarsi e acquisire nuove competenze e conoscenze, anche in campi specifici.

Alessia Casiraghi