Investire sì, ma nella qualità

Partiamo con una puntualizzazione doverosa all’articolo sulla Bce della scorsa settimana: Draghi ha poi sostenuto che non intende stampare nuova moneta, che nessun Paese uscirà dall’Euro e che la Bce metterà a disposizione interventi illimitati. Ho la massima stima di Draghi, ma è un programma impegnativo, vediamo se sarà rispettato.

E veniamo al tema di oggi. Si parla sempre di rendimento, al massimo di diversificazione o di rischio, dell’investimento. Non si parla mai della qualità degli investimenti finanziari, cioè del loro comportamento di fronte ad eventi catastrofici (qualità della gestione) o della loro possibilità di subire tracolli (qualità dell’emittente). La qualità dell’emittente riguarda le scelte di gestione finanziaria, ma anche di gestione amministrativa ed economica, del prodotto.

Queste scelte condizionano l’andamento, nel tempo, del prodotto finanziario. Ad esempio basse commissioni di gestione per un fondo, la distribuzione costante degli utili per un’azione, il pagamento puntuale delle cedole per un’obbligazione sono tutti indicatori di una buona qualità. A ciò bisogna però associare la solidità finanziaria e la trasparenza dei bilanci societari dell’azienda (o dello Stato) emittente, nonché i buoni propositi per il futuro (piani strategici, industriali).

La qualità di gestione, invece, significa affrontare i mercati, mantenendo fede ai patti presi con gli investitori. E non è facile. Ad esempio, se un fondo comune di investimento si definisce “monetario”, non dovrebbe investire in derivati. Oppure se si chiama “obbligazionario”, non dovrebbe esagerare con le azioni in portafoglio. Di questi esempi ce ne sono a migliaia, il concetto è che le regole stabilite non sempre sono chiare e a volte lasciano una discrezionalità eccessiva al gestore. Un ‘comune mortale’ rischia di investire in un prodotto finanziario che credeva immune dai derivati o dalle azioni, e che invece non lo è.

E proprio i derivati sono gli ingredienti maggiormente utilizzati dai fondi. Il derivato è uno strumento, non è buono ne’ cattivo, dipende quale uso se ne fa. Il problema semmai è l’ effetto leva, cioè guadagno o perdo più di quello che ho investito, e l’ uso indiscriminato e non necessario. Infatti, se un fondo è obbligazionario, ma contiene derivati, il rischio percepito dall’investitore è inferiore a quello realmente sostenuto dal prodotto.

Altri protagonisti della qualità possono essere titoli “spazzatura”, valute “esotiche”, partecipazioni in società non quotate acquistati da gestori con pochi scrupoli.

Purtroppo, si può toccare con mano la qualità solo dopo che è avvenuto un disastro finanziario: casi Parmalat o Lehman, Grecia o Islanda hanno fatto capire, a chi aveva investito in questi prodotti, quanto fosse bassa la loro qualità. Se non avviene nulla di così eclatante, è abbastanza difficile, per il normale investitore, percepire quanto rischio si è evitato scegliendo prodotti qualitativamente superiori. E’ compito di un buon consulente ricercare prodotti di qualità elevata, mantenendoli sotto osservazione, nel tempo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La città delle donne

di Alessia CASIRAGHI

8 marzo. Festa delle donne. Imprenditrici, mamme, politiche, casalinghe, piene di ambizioni e fragilità. Italiane ma cittadine del mondo. Un mondo che è sempre più a misura di donna, o forse no.

Ci siamo chiesti se esista davvero una città su misura per le donne. Prendendo a prestito il titolo di un film del tardo Fellini, La città delle donne (era il 1980 e all’epoca il film fece scandalo e suscitò le ire femministe per i toni visionari e provocatori della pellicola), vi proponiamo un giro attorno al mondo alla ricerca della città dove ‘è più facile’ essere donna.

Qualche tempo fa il World Economic Forum ha pubblicato il suo report annuale sul rapporto The global gender gap 2011 , uno studio che mette in luce, fra contrasti e similitudini, cosa significa essere donna oggi nel mondo.

Ad esempio, sapevate che il Ruanda è il Paese che premia maggiormente le donne in campo politico? Strano a dirsi, ma lo Stato africano è l’unico al mondo a vantare un parlamento a maggioranza di quote rosa: 45 contro 35. Anche se il Presidente in carica è un uomo, Paul Kagame. In tema di premier donne, la medaglia d’oro va invece allo Sri Lanka, dove si sono succedute al potere ben 23 capi di Stato donna.

A fare da contraltare ci pensano però gli Stati della Penisola Arabica, dallo Yemen all’Arabia Saudita, Emirati Arabi compresi: in Qatar e nell’Oman ad esempio non c’è nessuna donna al potere in politica.

Veniamo ai redditi: Lussemburgo e Norvegia si piazzano al primo posto in tema di retribuzioni più elevate per le donne, mentre è ancora una volta l’Arabia Saudita a guadagnarsi la maglia nera per il divario più alto tra redditi maschili e femminili (quasi inesistenti). Il maggior numero di manager in gonnella si trova in Thailandia, le donne con i pantaloni sono infatti il 45%, mentre contro ogni pronostico la percentuale più bassa si trova in Giappone (8%), anche se le donne nipponiche possono vantare un altro primato: sono le più longeve rispetto agli uomini (87 anni contro 80 la speranza di vita media).

E’ la Jamaica il Paese dove si concentra la più alta percentuale di donne con posti di lavoro altamente qualificati, mentre il maggior numero di giornaliste donne si trovano, indovinate un po’, sempre in terra caraibica (45%).

L’Africa stupisce ancora in tema di istruzione e alfabetizzazione: se da un lato è il Regno di Lesotho, la minuscola enclave all’interno del Sudafrica a guadagnarsi il podio in fatto di alfabetizzazione (il 95% sanno legger contro l’83% degli uomini), è purtroppo l’Etiopia a registrare il tasso più basso in assoluto in tema di scolarizzazione: solo il 18% delle ragazze infatti sa scrivere. Le migliori facoltà femminili? In Qatar, mentre le meno frequentate in assoluto si trovano nel Ciad.

E l’Italia? Il bel Paese non ha molto di che vantarsi: se nel 2008 occupava il 67mo posto della classifica, nel 2009 è precipitata a quota 72mo. Una caduta destinata a non arrestarsi: oggi siamo infatti in posizione 74, dietro Bangladesh, Namibia e Mozambico.

Il paese più women friendly? L’Islanda, che dal 2009 si riconferma alvertice della classifica. Nella top 10 troviamo poi numerosi Paesi del Nord Europa: seconda infatti è la Norvegia, seguita da Finlandia e Svezia. Bene Spagna, Germania e Regno Unito, tutte nella top 20, mentre la Francia, terra di rivoluzioni femministe, deve accontentarsi di un misero 48mo posto. Il posto peggiore in assoluto dove essere donna? Lo Yemen, preceduto da Ciad e Pakistan. Ma questa è tutta un’altra storia.