Ecco le spese scolastiche detraibili

Nella lettera e) del comma 1 dell’art.15 del Tuir riconosce il diritto alla detrazione per il 19% delle spese di istruzione.
Tra queste sono specificamente elencate quelle per la frequenza di corsi di istruzione secondaria, universitaria, di perfezionamento e/o specializzazione universitaria, tenuti presso istituti o università italiane pubbliche.
In caso di strutture private o estere, la detrazione è comunque ammessa solo in misura non superiore a quella stabilita per le tasse degli istituti statali.

Nessuna detrazione è prevista per le scuole di grado inferiore, dalla materna alle elementari fino alle scuole di secondo grado, poiché, trattandosi di scuole dell’obbligo, non c’è alcun importo da pagare come spesa di frequenza.
Ciò significa che, anche laddove sia previsto un versamento da effettuare al momento dell’iscrizione, non è detraibile poiché viene considerato un’erogazione liberale.

Quando scade l’obbligatorietà, ovvero dal quarto anno di scuola superiore, si cominciano a pagare le tasse per la frequenza e poi per l’esame di maturità.
Attualmente la tassa di frequenza dovuta allo Stato è pari a circa 15 euro, ma con esonero per i ragazzi che hanno superato l’esame di terza media con il massimo dei voti.
Meno di 30 euro invece la tassa per sostenere l’esame di maturità e quella di diploma nei licei.

Gli importi sono gli stessi anche per chi sceglie le scuole private, dato che la detrazione è ammessa solo per un importo pari a quello richiesto per le scuole pubbliche.

Nessuna detrazione a qualunque titolo è ammessa per le rette e per tutte le altre somme richieste relativamente all’iscrizione e alla frequenza nelle scuole private.
Allo stesso modo non è ammesso nessuno sconto fiscale per i corsi di lingua, sia in Italia che all’estero, come pure per le spese per i viaggi di istruzione organizzati dagli istituti.

Nessuna detrazione è prevista per i corsi di formazione professionale offerti da istituti privati e accessibili da chi ha solo il diploma di terza media, o di scuola superiore.
Qualunque sia il tipo di corso seguito in questo caso, infatti, le spese di iscrizione e frequenza non danno diritto alla detrazione del 19% per spese scolastiche, perché anche la formazione professionale è gratuita quando si scelgono gli istituti pubblici.

Le somme richieste dalle scuole come contributi scolastici volontari, a prescindere dalle vere e proprie tasse scolastiche, danno diritto all’agevolazione fiscale. Questo tipo di versamenti, infatti, rientrano tra le erogazioni liberali detraibili.

La legge stabilisce che le “erogazioni liberali” che danno diritto alla detrazione sono quelle a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari senza scopo di lucro appartenenti al sistema nazionale di istruzione, finalizzate a:

  • innovazione tecnologica;
  • edilizia scolastica;
  • ampliamento dell’offerta formativa.

Non rientrano nelle voci elencate dalla legge quelle relative al rimborso delle gite scolastiche in quanto si tratta di pagamento di spese di vitto e alloggio.
Lo stesso per il rimborso di biglietti di cinema e musei, ossia fondi che non sono destinati alla scuola in quanto tale, ma appunto, al pagamento di un biglietto d’ingresso.

A partire dal 2013 la possibilità di godere delle detrazioni è riconosciuta anche alle donazioni in favore degli istituti di formazione nel campo della musica e delle arti. Rientrano nella lista, infatti, i versamenti a favore di istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica.
Detraibili sono anche quelli in favore delle università e per l’innovazione universitaria.

Vera MORETTI

Apprendistato, costruire i professionisti del futuro

 

Da contratto ‘snobbato’ perchè rigido e normativamente complesso a occasione unica per investire in capitale umano e costruire la propria impresa del futuro. Il contratto di apprendistato vanta un privilegio fondamentale per le aziende, di piccole come di medie dimensioni: l’opportunità di ‘cucirsi su di sè’ le figure professionali del domani, formandole, istruendole e dando loro gli strumenti per costruirsi una vera e propria professionalità.

Ma è davvero così? O sarebbero auspicabili altri metodi per favorire un interscambio fertile e di lunga durata tra scuole, università, centri di formazione e imprese?

Infoiva lo ha chiesto a Enrica Carminati, responsabile del progetto Fareapprendistato.it, un sito, realizzato in collaborazione con Adapt e il CQIA dell’Università di Bergamo, che ha lo scopo di promuovere e supportare la corretta implementazione in Italia dell’apprendistato, valorizzandone in particolare la valenza educativa e formativa.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché? Quali sono i suoi limiti?
L’apprendistato sconta l’eredità di contratto “difficile” e “rigido”. In passato le imprese preferivano fare ricorso ad altri strumenti, magari anche più onerosi dell’apprendistato, perché quest’ultimo era complesso da gestire – a causa di un quadro normativo incerto, stratificato e a livello regionale frammentario – oltre che gravato da un eccesso di burocrazia e formalismo. Nel 2011, tuttavia, è intervenuta una profonda e organica riforma della disciplina del contratto di apprendistato, che ha superato molte delle criticità emerse negli anni, consegnando agli operatori un nucleo di regole certe, essenziali e immediatamente operative.
Il principale limite oggi è allora rappresentato dall’assenza, o comunque dall’insufficienza, di una corretta e diffusa informazione sul “nuovo” apprendistato, che ne metta in luce le grandi potenzialità, sia per il tessuto produttivo, sia per noi giovani. Proprio per questo il gruppo di ricerca di Adapt – Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali – ha creato e cura il portale www.fareapprendistato.it, ove è possibile consultare liberamente documentazione utile e dialogare con chi studia e utilizza lo strumento.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro?
Ci sono molteplici ragioni: innanzitutto per la possibilità di investire in capitale umano per costruire la propria impresa del futuro. Questo contratto consente alle imprese di intercettare giovani e giovanissimi al fine di formarsi “in casa” e in base agli effettivi fabbisogni quelle professionalità che spesso il mercato non offre. Inoltre, a seconda della articolazione tipologica che si attiva, può mettere virtuosamente in dialogo il mondo della scuola, dell’università e della ricerca con quello del lavoro, al fine di portare in azienda elevate competenze, che si traducono in competitività e sviluppo. Senza dimenticare, in questo momento di crisi, i generosi incentivi economici e normativi che lo accompagnano.

Ad oggi, alle piccole e medie imprese, conviene stipulare contratti di apprendistato?
Oltre ai vantaggi di cui si è detto, la legge di Stabilità per il 2012 ha introdotto uno sgravio contributivo del 100%, per i primi tre anni di contratto, per le imprese con meno di dieci dipendenti che hanno assunto o assumeranno fino al 31 dicembre 2016 apprendisti. Del resto sono proprio le realtà più piccole ad avere oggi più che mai la necessità, per rimanere nel mercato e crescere, di investire nel futuro, ottimizzando il bilancio tra costi e benefici.

Esistono, secondo lei, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
Io credo che nel nostro Paese non manchino i “buoni” strumenti, tra cui certamente l’apprendistato. Del resto sono state le parti sociali, unitariamente, a condividere, in intese siglate a partire dal 2010 con Governo e regioni, la necessità di rilanciarlo proprio per combattere i preoccupanti fenomeni della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e del disallineamento tra domanda ed offerta.
Quel che serve, invece, sono serie e strutturate politiche a sostegno dell’occupazione giovanile, volte a creare un raccordo tra il mondo dell’istruzione e della formazione, da un parte, e quello del lavoro dall’altra, così da trasformare effettivamente il contratto di apprendistato in una leva di placement.

Il contratto di apprendistato è apprezzato dai giovani?
A volte il contratto di apprendistato è sottovalutato, perché ricondotto all’immagine del “garzone di bottega” o comunque associato, erroneamente, ad attività esclusivamente manuali e di basso profilo. Proprio nei giorni scorsi, sui giornali, si leggeva della volontà del Ministro Fornero di promuovere una campagna per rilanciarne l’immagine, oggi poco accattivante. La maggior parte dei giovani, tuttavia, si informa ed è consapevole che quello di apprendistato è un contratto stabile, che garantisce loro piene tutele e la possibilità di acquisire una professionalità facilmente spendibile nel mercato.

Qual è il vero problema del mercato del lavoro in Italia? Pensa sia ancora troppo rigido, specialmente per quanto riguarda i vincoli all’ingresso?
Rispondendo a caldo e di getto, direi che è l’eccessivo costo del lavoro, che influenza e condiziona le scelte imprenditoriali. Al di là di questo, non sono in grado di individuare l’origine ultima dei problemi del nostro mercato del lavoro e nemmeno di trarre a distanza di pochi mesi un bilancio sull’ efficacia e sulla bontà degli ultimi interventi legislativi, che certo hanno aggiunto rigidità in fase di ingresso. Da giovane che si muove in questo mercato e che vede tanti coetanei in difficoltà, penso che questo sia il momento per concentra le energie e attenzione sugli strumenti già operativi e che possono fare la differenza, se valorizzati, tra i quali appunto l’apprendistato.

Alessia CASIRAGHI

 

La città delle donne

di Alessia CASIRAGHI

8 marzo. Festa delle donne. Imprenditrici, mamme, politiche, casalinghe, piene di ambizioni e fragilità. Italiane ma cittadine del mondo. Un mondo che è sempre più a misura di donna, o forse no.

Ci siamo chiesti se esista davvero una città su misura per le donne. Prendendo a prestito il titolo di un film del tardo Fellini, La città delle donne (era il 1980 e all’epoca il film fece scandalo e suscitò le ire femministe per i toni visionari e provocatori della pellicola), vi proponiamo un giro attorno al mondo alla ricerca della città dove ‘è più facile’ essere donna.

Qualche tempo fa il World Economic Forum ha pubblicato il suo report annuale sul rapporto The global gender gap 2011 , uno studio che mette in luce, fra contrasti e similitudini, cosa significa essere donna oggi nel mondo.

Ad esempio, sapevate che il Ruanda è il Paese che premia maggiormente le donne in campo politico? Strano a dirsi, ma lo Stato africano è l’unico al mondo a vantare un parlamento a maggioranza di quote rosa: 45 contro 35. Anche se il Presidente in carica è un uomo, Paul Kagame. In tema di premier donne, la medaglia d’oro va invece allo Sri Lanka, dove si sono succedute al potere ben 23 capi di Stato donna.

A fare da contraltare ci pensano però gli Stati della Penisola Arabica, dallo Yemen all’Arabia Saudita, Emirati Arabi compresi: in Qatar e nell’Oman ad esempio non c’è nessuna donna al potere in politica.

Veniamo ai redditi: Lussemburgo e Norvegia si piazzano al primo posto in tema di retribuzioni più elevate per le donne, mentre è ancora una volta l’Arabia Saudita a guadagnarsi la maglia nera per il divario più alto tra redditi maschili e femminili (quasi inesistenti). Il maggior numero di manager in gonnella si trova in Thailandia, le donne con i pantaloni sono infatti il 45%, mentre contro ogni pronostico la percentuale più bassa si trova in Giappone (8%), anche se le donne nipponiche possono vantare un altro primato: sono le più longeve rispetto agli uomini (87 anni contro 80 la speranza di vita media).

E’ la Jamaica il Paese dove si concentra la più alta percentuale di donne con posti di lavoro altamente qualificati, mentre il maggior numero di giornaliste donne si trovano, indovinate un po’, sempre in terra caraibica (45%).

L’Africa stupisce ancora in tema di istruzione e alfabetizzazione: se da un lato è il Regno di Lesotho, la minuscola enclave all’interno del Sudafrica a guadagnarsi il podio in fatto di alfabetizzazione (il 95% sanno legger contro l’83% degli uomini), è purtroppo l’Etiopia a registrare il tasso più basso in assoluto in tema di scolarizzazione: solo il 18% delle ragazze infatti sa scrivere. Le migliori facoltà femminili? In Qatar, mentre le meno frequentate in assoluto si trovano nel Ciad.

E l’Italia? Il bel Paese non ha molto di che vantarsi: se nel 2008 occupava il 67mo posto della classifica, nel 2009 è precipitata a quota 72mo. Una caduta destinata a non arrestarsi: oggi siamo infatti in posizione 74, dietro Bangladesh, Namibia e Mozambico.

Il paese più women friendly? L’Islanda, che dal 2009 si riconferma alvertice della classifica. Nella top 10 troviamo poi numerosi Paesi del Nord Europa: seconda infatti è la Norvegia, seguita da Finlandia e Svezia. Bene Spagna, Germania e Regno Unito, tutte nella top 20, mentre la Francia, terra di rivoluzioni femministe, deve accontentarsi di un misero 48mo posto. Il posto peggiore in assoluto dove essere donna? Lo Yemen, preceduto da Ciad e Pakistan. Ma questa è tutta un’altra storia.