Imu e spread non fanno sconti nemmeno ai… saldi

Per quanto i saldi ancora in bella mostra nelle vetrine dei negozi italiani rappresentino una bella occasione di risparmio, gli italiani sono sempre preoccupati per la crisi e, pensando Imu e spread, reticenti nel mettere mano al portafogli. Il presidente di Federazione Moda Italia, Renato Borghi, fa il punto della situazione con Labitalia. “Certo – ammette – nonostante la crisi conviene acquistare con i saldi. Ciò è confermato dal fatto che l’interesse dei consumatori per i saldi è sempre crescente. Dati alla mano, oltre il 18% dei consumi di abbigliamento dell’anno si realizza nei saldi”.

“Però – fa notare – quest’anno i saldi non stanno andando bene: abbiamo delle flessioni medie del 12% rispetto allo scorso anno. Parliamo, comunque, di un giro di affari di circa 3 miliardi e 700 milioni, che però non dà effetti positivi”.

“Le vendite a saldo – sostiene Renato Borghi – non vanno bene perchè il ‘sentiment’ delle famiglie è fortemente negativo: sono preoccupati per l’andamento dell’economia e, in generale, del lavoro e temono che tutto possa riversarsi sul futuro dei propri figli”.

“Il potere di acquisto delle famiglie – ricorda il presidente di Federazione Moda Italia – si è ridotto, in un anno, del 2% con la conseguenza che i consumi restano deboli, anzi restano deboli purtroppo anche durante i saldi”.

 

E, sull’ipotesi di tenere sempre i negozi aperti per fronteggiare il clima di ‘stasi’ degli acquisti, Borghi spiega che “gli esercizi restano aperti quando c’è il flusso di consumo”. “Tuttavia – afferma – tenere aperti i negozi di domenica costa molto, in straordinari per il personale e per le spese aggiuntive”.

“In questo momento – conclude – credo che sia un sacrificio che non vale la pena di fare. Rischia, infatti, di essere un danno per le attività dei negozi. Le domeniche in cui siamo aperti sono comunque già molte se consideriamo le deroghe. In questo momento, non credo che da parte del dettaglio tradizionale ci sia una grande disponibilità sull’apertura dei negozi di domenica”.

L’onda della crisi investe anche i bagnini

Siamo in piena estate, eppure nonostante il grande caldo e la voglia di mare anche i bagnini quest’anno, così come quello precedente, non vengono risparmiati dalla crisi. “Negli ultimi due anni – dice a Labitalia Bencic Dean, presidente dell’Associazione bagnini di salvataggio – è calata la domanda di bagnini sia per vigilare sulla spiaggia sia nelle piscine. Un calo dovuto alla crisi che, purtroppo, in molti casi, soprattutto al Centro-Sud, costringe i gestori degli stabilimenti a ‘ripiegare’ sul personale non autorizzato”.

“Nonostante – precisa – per esercitare questa professione sia necessario conseguire il brevetto di assistente bagnante, sono in molti a impiegare personale non qualificato, pur di spendere meno. Eppure, fare il bagnino non significa solo essere addetto alla sicurezza e alla vigilanza in piscina”.

Il bagnino – aggiunge Dean – può essere chiamato alla pulizia quotidiana della vasca e delle zone limitrofe (fuori orario di servizio in piscina), alla pulizia del bagno e piccole aree interne come gli spogliatoi, al trattamento quotidiano dell’acqua con prodotti chimici e, ovviamente, alla sorveglianza utenza e controllo dell’ingresso“.

“L’assistente bagnanti – avverte Dean – è dunque tenuto non solo alla vigilanza e al rispetto del regolamento, ma anche ad altri servizi collegati alla gestione della spiaggia o della piscina, a seconda di dove presta la sua opera”.

“Quello del bagnino – spiega – è sicuramente un lavoro legato alla stagione estiva e, se fino a qualche anno fa era svolto solo da studenti, ora sono sempre di più gli over 40 a chiedere di fare questo mestiere. Sono padri di famiglia che cercano di guadagnare qualcosa lavorando d’estate“.

“Una volta iscritto alla nostra associazione – ricorda il presidente dell’Associazione bagnini di salvataggio – il bagnino viene indirizzato presso le diverse strutture turistiche presenti in tutte le regioni Italiane con vitto e alloggio gratuiti, per uno stipendio mensile che varia dai 1.000 ai 1.600 euro. A fine stagione, inoltre, rimborsiamo i biglietti di andata e ritorno verso le strutture in cui si è lavorato“.

Orlandi: “La riforma delle professioni è da rifare”

Secondo Roberto Orlandi, la riforma delle professioni va completamente rifatta dopo il parere del Consiglio di Stato. Il vicepresidente del Cup (Comitato unitario professioni) e presidente del Collegio nazionale degli agrotecnici e degli agrotecnici laureati, commenta con LABITALIA il parere del Consiglio di Stato relativo al decreto del Presidente della Repubblica, predisposto dal ministro della Giustizia, di riforma del sistema professionale. “Sicuramente – ammette – sono molto soddisfatto, perchè il Consiglio di Stato ha ripreso per il 90% tutte le obiezioni che lo scorso 3 luglio gli avevamo inviato”.

“Per l’ufficio legislativo del ministero di via Arenula – sottolinea – il parere rappresenta una debacle che ha pochi precedenti, per il mondo delle professioni, e soprattutto per i giovani praticanti rappresenta una ventata di fresca aria di buon senso e libertà. In sintesi, il ministero deve riscrivere tutto”.

“Incontrerò il ministro Severino – aggiunge Orlandi – e vedremo come si procederà. Certo, il governo può anche decidere di disattendere il parere del Consiglio di Stato, tuttavia non è affatto consigliabile: sarebbe un vero e proprio suicidio”.

“Tecnicamente – spiega il vicepresidente del Cup – come fatto osservare dagli agrotecnici, l’articolo 1 del testo di riforma, secondo il Consiglio di Stato, va riscritto perché ampliava all’infinito la definizione di ‘professione intellettuale’. Viene ripristinata la capacità negoziale dei consigli nazionali professionali in materia assicurativa che il ministero aveva cancellato”.

“Sono salvi – fa notare Orlandi – i tirocini inferiori a 18 mesi e salta l’obbligo del tirocinio generalizzato per tutti, anche per quelle categorie che non lo avevano. Viene ripristinata l’autonoma capacità dei consigli nazionali professionali di stipulare in proprio convenzioni con le università per lo svolgimento dl tirocinio durante il corso di studi”.

E’ stato, inoltre, eliminato – rimarca – l’assurdo divieto del limite di non più di tre tirocinanti ogni professionista (ciascun albo deciderà quanti). Salta il divieto per i pubblici dipendenti di svolgere l’attività professionale. Salta anche l’obbligo di ripetere il tirocinio se lo si sospende per più di sei mesi e l’odioso e costoso obbligo del corso di formazione semestrale a cui erano irragionevolmente costretti i tirocinanti. Il corso sopravvive ma come alternativa al tirocinio, non più come ulteriore gravame”.

Gli estetisti e l’abusivismo: oltre 30.000 professionisti sono senza albo

Se c’è un settore che non conosce la crisi è quello dell’estetica. Ogni anno si arriva a 100 milioni di trattamenti, per un giro di affari che supera i 10 miliardi di euro. Il periodo più caldo, in tutti i sensi, è proprio quello estivo. Gli operatori professionisti sono oltre 30.000, che però non sono regolati da un albo. “Sono grandi i numeri dell’estetica italiana – spiega a Labitalia Angelica Pippo, presidente nazionale Confestetica, Associazione nazionale estetisti, unicamente rappresentativa degli estetisti professionisti certificati – che però soffre di una grave carenza legislativa e del dilagante fenomeno degli abusivi, che operano in nero e con scarse condizioni igieniche”.

Non esiste – denuncia – un albo ufficialmente riconosciuto dallo Stato. La regolamentazione estetica poi è molto vecchia e non tiene conto dei passi fatti a livello tecnico-operativo nella realizzazione dei macchinari. Confestetica è nata proprio per sopperire a queste carenze. Abbiamo riunito i 3.000 iscritti in un albo, che, anche se non riconosciuto, rispetta un codice deontologico che ci siamo dati per la tutela della salute dei clienti”.

“Gli operatori del settore – fa notare Angelica Pippo – non sono artigiani, ma professionisti. Anche se il primo passo da fare per il riconoscimento della categoria è nella direzione di una formazione che alzi l’età per l’accesso ai corsi. Attualmente ci si può iscrivere al corso biennale, tra l’altro estremamente breve, dopo aver terminato la scuola dell’obbligo. A 18 anni non si ha la maturità e la coscienza professionale necessarie per un approccio con il cliente”.

“L’altro problema che mina il settore – continua la presidente nazionale di Confestetica – è l’abusivismo. In migliaia lavorano in casa evadendo le tasse e contravvenendo alle regole igienico-sanitarie richieste, con l’inevitabile conseguenza di una concorrenza sleale che danneggia i professionisti regolari”.

“Certo – osserva – il prezzo di un trattamento è fondamentale per capire la validità del prodotto offerto, ma non è sufficiente. Comunque sul portale (www.confestetica.it) abbiamo aperto la pagina delle segnalazioni, in forma anonima, delle estetiste abusive. Un modo per salvaguardare il lavoro delle professioniste che ogni giorno fanno i conti con le tasse, i contributi dei dipendenti e gli acquisti di prodotti di qualità”.

“L’utente-cliente – rimarca – merita un servizio di qualità che può essere fornito solo da chi può definirsi ‘professionista’. Da qui discende la necessità, non più procrastinabile, di riconoscere giuridicamente la categoria degli estetisti attraverso l’istituzione di un albo super partes, quale garanzia della formazione e della preparazione professionale degli estetisti. Per ora, infatti, sta al cliente considerare bene che risparmiare non ripaga di eventuali calvizie, ustioni, malattie infettive e, spesso, tumorali. Ma è ancora troppo poco”.

L’intermediario immobiliare arriva sul web

Finita l’era del porta a porta e dei volantini lasciati nella cassetta delle poste, anche l’intermediario immobiliare adesso sbarca sul web. “Sicuramente – spiega a LABITALIA Antonio Rainò, consulente per il marketing e la comunicazione e curatore del sito Immobiliare.com – il web rappresenta una grande risorsa per il settore che, da sempre, risente del cosiddetto ‘fai da te’. Solo il 40% delle intermediazioni immobiliari, infatti, passa per le agenzie. Ma questo dato che non ci preoccupa affatto”.

“Il web – sottolinea Rainò – rappresenta una grande risorsa per l’intermediario immobiliare specializzato per target ben precisi, più che area geografica ad esempio”.

“E’ un canale in più – aggiunge – che diventa, nella maggior parte dei casi, strategico quando si vanno a trattare compravendite di immobili di un certo tipo, come le case-vacanze o di pregio. Il web diventa così una vetrina utile per raggiungere, in tempo reale, anche clienti lontani”.

“L‘intermediazione immobiliare on line – precisa Antonio Rainò – richiede anche più tipi di professionalità. Come il saper scattare e scegliere le foto più adatte di un immobile. Se di una casa in vendita si mette on line una foto con un letto disfatto oppure con un angolo buio difficilmente si avrà molte possibilità di venderla”.

Tuttavia, spirito imprenditoriale, una buona dialettica, una forte propensione al rapporto interpersonale, una ferma volontà orientata alla propria carriera e la capacità di lavorare in team rimangono le caratteristiche ‘tradizionali’ richieste a chi intende operare nel mercato dell’intermediazione immobiliare.

A confermarlo a LABITALIA è Antonio Pasca, presidente Tecnocasa Franchising spa. “Noi – ricorda – puntiamo molto, infatti, sulla nostra scuola di formazione nazionale che eroga corsi a vari livelli, dal neo-inserito in agenzia fino al professionista già affermato. Per quanto riguarda le figure che, una volta inserite, rimangono all’interno del gruppo, dopo il primo anno di attività si stima una percentuale di circa il 65%”.

“L’agente immobiliare, al di là dei cicli di mercato, deve comunque sempre proporsi – ricorda Pasca – come un professionista in grado di mediare tra le parti con l’adeguata preparazione che si richiede a chi deve portare a compimento un’operazione delicata come l’acquisto o la vendita di un’abitazione per il mediatore immobiliare o il reperimento di un finanziamento per il mediatore creditizio”.

“Esistono dei fattori-chiave – aggiunge – che sono la condizione necessaria perché un’impresa possa rimanere sul mercato nel tempo: l’onestà, la preparazione e la trasparenza devono essere le qualità principali degli operatori”.

Fonte: adnkronos.com

Partigiani, Assopanificatori, fa luce sulle aperture dei forni

Odore di pane appena sfornato anche la domenica. E’ una delle ipotesi allo studio nel nuovo pacchetto di misure per la semplificazione, che prevede la fine dell’obbligo di chiusura domenicale e nei giorni festivi dei forni. L’Associazione di categoria Assopanificatori fa luce su quello che potrebbe significare l’eventuale apertura no-stop nel già ‘variegato’ mondo dei panificatori.

Come dichiara infatti a LABITALIA Mario Partigiani, presidente di Assopanificatori (Confesercenti), “la situazione nel nostro settore è un po’ varia, perché nei posti di villeggiatura, per esempio, è già prevista l’apertura 7 giorni su 7, così come è sempre aperto nei litorali d’estate o in montagna d’inverno”.

“Per i laboratori, l’apertura domenicale -spiega Partigiani- comporterebbe, e questo è solo il presupposto, un aumento del costo della manodopera dal 30 al 50%. Si tratta, innanzitutto, di un problema economico. Perché, di conseguenza, aumenterebbero i prezzi per la clientela: qualcuno, è ovvio, dovrà pur pagare gli aumenti”.

“Lei andrebbe a comprare il pane la domenica che costa 50 cent in più?”. Domanda retorica, quella che pone Partigiani, convinto del fatto che nessuno sarebbe disposto a spendere più soldi, specie in questo periodo, per un bene che “si può comprare il sabato e che può aspettare fino al lunedì”. Anche perché il pane non rappresenta più un alimento indispensabile nella dieta quotidiana, come spiega il presidente di Assopanificatori: “C’è un calo dei consumi di circa il 30%; la popolazione non mangia più pane come lo mangiava prima, spilucca e, più che per il pane, opta per altri prodotti più ‘sfiziosi’.

“Io penso che la liberalizzazione -continua Partigiani- non ci toccherà più di tanto. Questo perché solo alcune zone turistiche e i centri di passaggio, oppure la grande distribuzione, le gallerie e i centri commerciali potranno tentare l’apertura domenicale. Ma non ci sarà -dice- una forte concorrenza: chi andava nei centri commerciali prima -spiega- continuerà a farlo, mentre chi è abituato ad andare nei negozi ‘sotto casa’, dal fornaio al macellaio, non cambierà le proprie abitudini”.

Non è indifferenza quella che trapela dalle dichiarazioni di Partigiani, ma “abbiamo lottato -dice- per avere la festività, una giornata di riposo per recuperare, e oggi mi sembra che stiamo tornando indietro. Ci si ricrederà, però, perché lavorare 7 giorni su 7 è pesante, e solo in pochi possono permettersi personale per fare i turni”.

Fonte: adnkronos.com

“Tariffe minime per contrastare l’evasione fiscale”

Il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri Gianni Rolando alza la voce per commentare la segnalazione inviata al Governo e alle Camere dall’Antitrust in vista dei lavori parlamentari per la conversione della Manovra, nella quale si auspica l’eliminazione del riferimento legale alle tariffe: “Stabilire delle tariffe minime inderogabili e dare il compito agli ordini professionali di riscuoterle per poi pagare i professionisti. In questo modo si darebbe una spallata definitiva all’evasione fiscale dei professionisti“, ha dichiarato a LABITALIA.

Sicuramente la mia è una proposta provocatoria però avrebbe la sua efficacia, anche se nella nostra categoria non si contano molti casi di evasione fiscale. La liberalizzazioni delle professioni rappresenta una grande opportunità per mettere mano a una questione complessa troppo spesso rimandata e per riscrivere i fondamenti di un nuovo modo di concepire la professione“.

Rolando concorda poi con l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato nella volontà di “ridurre la durata del tirocinio. Anche se questo non è un problema che tocca la nostra categoria: per gli ingegneri non esiste tirocinio, il tasso di successo all’esame di stato è dell’89%, gli iscritti all’albo sono 228 mila, con un aumento del 65% in dieci anni e meno del 10% di loro svolge la professione perché ‘ereditata’ dai genitori“.

In generale ritieniamo corretto che il tirocinio duri il meno tempo possibile, per aiutare veramente le giovani generazioni ad entrare nel mercato del lavoro. Si tratta comunque – ha concluso Rolando di uno strumento necessario perchè serve per preparare al mondo del lavoro i giovani che, magari anche se a livello tecnico hanno acquisito tutte le competenze necessarie, a livello pratico hanno ben poca esperienza“.

Le imprese italiane non sfruttano a sufficienza i social network

I Social Network sono un potente mezzo di comunicazione sfruttabile anche dalle imprese per farsi conoscere nel mercato e sfruttare un’enorme potenzialità. Per Guido Di Fraia, docente Iulm in comunicazione sui social media, in Italia i social network sono ancora poco sfruttati dalle aziende. Se tra i privati si contano quasi 18 milioni di utenti registrati a Facebook, ben diverso è il panorama per le aziende. Su 720 aziende di 6 diversi settori solo il 32,5%  utilizza le reti sociali come sistemi per coinvolgere utenti e consumatori. Manca un’educazione digitale all’utilizzo di questi strumenti, la figura del social media manager infatti nel nostro Paese è pressochè sconosciuta.

Stando alle parole di Fraia responsabile del master in social media merketing allo Iulm: “Occorre fare una considerazione preliminare: del 32% di imprese che fanno attività di social media marketing  il 58% sono grandi aziende. Le medie sono il 32% e non si arriva al 10% per le piccole. Questi dati mostrano un’arretratezza culturale nel Paese nell’accettare questo tipo di leve nel marketing, e soprattutto nell’aver compreso il cambiamento di paradigma di comunicazione, tra aziende e consumatori che esse implicano. L’impiego dei social media richiede investimenti molto contenuti, se paragonato alle altre forme di promozione pubblicitaria: così, pararadossalmente, sarebbero proprio le pmi a poterne trarre maggiori vantaggi”. Con i mezzi sociali anche piccole imprese “tagliate fuori” dal grande business potrebbe avere opportunità di entrarci.

Spesso è difficile calcolare il ritorno e di conseguenza le imprese preferiscono investire in mezzi più tradizionali. In Italia l’investimento complessivo annuo in pubblicità ad esempio è intorno ai 9 miliardi di euro, poco più del 50%  va ancora sulla pubblicità televisiva. I media digitali hanno superato gli investimenti rispetto al cartaceo da quattro anni, ma ancora troppo poco si fa sui social network, mezzi quanto mai economici ma ancora semi sconosciuti. E’ necessario superare il gap e far conoscere questi mezzi alle aziende per permettere loro di godere di un canale prioritario per investimenti pubblicitari coscienti e con un ritorno ottimo (Roi).

Mirko Zago