Il presidente INPS Tridico lancia l’allarme pensioni: Il sistema non regge

Il sistema delle pensioni non è più sostenibile, ciò è quanto afferma Pasquale Tridico. Il motivo principale è 1: ci sono solo 23 milioni di italiani lavoratori e non bastano a pagare le pensioni. L’allarme pensioni è stato lanciato nel corso di un’intervista.

Allarme pensioni: i contribuenti INPS sono pochi

Il presidente dell’INPS Pasquale Tridico nel corso di un’intervista rilasciata a Radio 24 ha analizzato le criticità del sistema pensionistico italiano e ha lanciato l’allarme pensioni. A fronte di 60 milioni di italiani, ci sono solo 23 milioni di contribuenti INPS, cioè i contributi INPS sono versati solo da 23 milioni di persone e tali fondi non bastano a dare la copertura per il sistema del welfare italiano. Secondo i calcoli di Tridico all’appello mancherebbero circa 10 milioni di lavoratori.

Il Presidente sottolinea che a incidere negativamente è l’elevato tasso di disoccupazione del Mezzogiorno e l’elevata percentuale di lavoro in nero che in realtà si estende in tutto il Paese. A incidere negativamente è anche la precarietà, infatti si registra una ripresa del mercato del lavoro, ma i contratti sono molto volatili, si tratta infatti di contratti a tempo determinato che incidono al 50% sui nuovi contratti di lavoro stipulati. Sebbene si registri un aumento di entrate rispetto al 2020 del 7%, vi è ancora una riduzione delle stesse rispetto al 2019 dell’1%, anno in cui la situazione dell’INPS di certo non era rosea.

Le misure di contrasto all’allarme pensioni

Il presidente Tridico sottolinea anche la necessità per l’Italia di stabilire un salario minimo e che lo stesso non crea disoccupazione, come molti temono e lamentano, infatti nei Paesi che già lo hanno adottato, ad esempio la Germania dal 2015, non si registrano perdite di occupazione.

Tridico sottolinea anche la necessità di ritornare al decreto Dignità, sospeso durante il periodo di pandemia, infatti questo contrinuiva a un forte contrasto al precariato. Il decreto Dignità prevedeva che i contratti a tempo determinato potessero avere una durata massima di 24 mesi, mentre in precedenza erano 36 e i possibili rinnovi scendevano da 5 a 4. La proroga dopo i 12 mesi di un contratto a tempo determinato doveva comunque essere giustificata da esigenze temporanee e oggettive, inoltre vi era un contributo addizionale a carico di chi assumeva a tempo determinato.

Sanzioni lavoro nero per datori di lavoro e lavoratori: guida

Sanzioni per il lavoro nero hanno l’obiettivo di essere un deterrente contro questa pratica molto comune che lede i diritti dei lavoratori non riconoscendo loro diritti basilari, come quello ad una retribuzione equa e le prestazioni del welfare.

Il lavoro nero in Italia

Il fenomeno del lavoro nero in Italia è molto sviluppato, da un’indagine condotta dall’ISTAT emerge che nel solo 2020 vale 79 miliardi di euro, pari a 4,3% del PIL. Si tratta di una vera e propria piaga sociale che ha molti risvolti, infatti vi sono oltre 3 milioni di lavoratori che non hanno alcuna tutela e assistenza. Per il loro lavoro non vengono versati contributi all’INPS e di conseguenza non maturano il diritto a prestazioni assistenziali e pensionistiche, inoltre non vengono versati i contributi INAIL e in caso di infortuni sul lavoro non sono tutelati.

Infine, non deve essere dimenticato che i loro redditi non sono tassati, quindi vi è una perdita per l’Agenzia delle Entrate, inoltre spesso non avendo redditi dichiarati usufruiscono anche di prestazioni a cui non avrebbero diritto, come il Reddito di Cittadinanza. Proprio queste connotazioni hanno portato ad un inasprimento delle sanzioni per il lavoro nero che sono a carico del datore di lavoro, ma spesso anche a carico del lavoratore. Vedremo nel prosieguo entrambe queste prospettive.

Cos’è il lavoro nero

La prima cosa da fare è delimitare il campo di applicazione: si definisce lavoro nero o sommerso/ irregolare quello in cui non vi è un regolare contratto di lavoro e il datore di lavoro non comunica  l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego territorialmente competente. La normativa stabilisce che entro le 24 ore precedenti rispetto al momento in cui il lavoratore deve iniziare a svolgere le sue mansioni, il datore di lavoro è tenuto a comunicare telematicamente attraverso il modello UNILAV l’assunzione del lavoratore al Centro per l’Impiego, tale pratica è propedeutica rispetto alle comunicazioni fatte all’INPS e all’INAIL dai centri stessi. Solo in caso di emergenza e forza maggiore è possibile far iniziare il rapporto di lavoro, ma anche in questo caso la comunicazione deve essere eseguita nel più breve termine possibile.

Sanzioni lavoro nero per il datore di lavoro

Cosa succede se il lavoratore non viene regolarmente assunto? In questi casi il datore di lavoro può essere sottoposto a pesanti sanzioni e in alcuni casi anche il lavoratore è sanzionato.

Le sanzioni per il datore di lavoro sono :

  • se il lavoratore ha maturato fino a 30 giorni di lavoro in nero si applica una sanzione pecuniaria minima di 1.800 euro e massima di 10.800 euro;
  • se il lavoratore ha maturato da 31 giorni di lavoro in nero a 60 giorni la sanzione minima è di 3600 euro e la massima di 21.600 euro;
  • nel caso in cui il lavoratore abbia maturato più di 60 giorni effettivi di lavoro nero, la sanzione minima è di 7.200 euro e la massima 43.200 euro.

Questi sono gli importi attuali, prima del 2019 erano più bassi, ma in seguito all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019 (legge 145 del 2018, comma 445, lettera d), tali importi sono stati sottoposti ad aumento. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha anche precisato che tali sanzioni si applicano per le condotte che si realizzano dal 2019, ciò in virtù del principio tempus  regit actum, nel caso di condotte a carattere permanente si applica la disciplina del momento in cui cessa la condotta (circolare 2 del 14 gennaio 2019).

Sanzioni lavoro nero: recidiva

Gli importi visti in precedenza sono raddoppiati in caso di recidiva. Ciò è stato oggetto di precisazione con la nota di approfondimento dell’INL (Ispettorato Nazionale del Lavoro) 1148 del 5 febbraio 2019, dove precisa che “le maggiorazioni sono raddoppiate ove, nei tre anni precedenti, il datore di lavoro sia stato destinatario di sanzioni amministrative o penali per i medesimi illeciti

La nota sottolinea che la recidiva si verifica quando il datore di lavoro aveva già commesso nei tre anni precedenti un illecito della medesima tipologia e questo sia stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio diventato definitivo. La definitività di un atto si ha quando sono trascorsi i termini per l’impugnazione; nel caso in cui il datore di lavoro abbia pagato la sanzione ingiunta, oppure nel caso in cui abbia proposto impugnazione e sia stata emessa una sentenza passata in giudicato. La nota sottolinea anche che l’aumento non si applica nel caso in cui il datore di lavoro abbia sanato la sua posizione, ovvero abbia regolarizzato il lavoratore nei termini previsti dalla legge (120 giorni dalla contestazione dell’illecito), abbia proceduto al pagamento in versione ridotta ex art. 16 della L. n. 689/1981.

Quando il lavoro nero è reato?

Si è parlato fino ad ora di sanzioni di tipo amministrativo, ciò perché generalmente assumere un lavoratore in nero non è reato, vi è però un’eccezione, cioè il caso in cui sia adibito a mansioni di lavoro un clandestino irregolare.

Sanzioni per il lavoratore

Si è detto in precedenza che oltre a poter essere sanzionato il datore di lavoro, in alcuni casi è sanzionato anche il lavoratore. Occorre però fare delle precisazioni, nella materia giuslavoristica si ritiene che il lavoratore sia in una posizione deteriore, cioè in una posizione di subordinazione rispetto al datore di lavoro e di minore potere contrattuale, proprio per questo si tende a proteggere il lavoratore che magari ha accettato per un bisogno economico di lavorare in nero e senza tutele. Il discorso però cambia quando vi è una sorta di concorso tra le parti e quindi nel caso in cui lo stesso lavoratore abbia avuto dei benefici dal lavorare in nero.

Il lavoratore in nero subisce sanzioni nel caso in cui mentre lavora in nero percepisce  sussidi statali pensati per i disoccupati, oppure ottiene i vantaggi legati ad un ISEE basso, ad esempio bonus energia, pagamenti ridotti per tasse universitarie e simili. Infine, sono previste sanzioni per coloro che lavorano in nero e contemporaneamente usufruiscono del reddito di cittadinanza. Le conseguenze per il lavoratore in nero in questi casi sono davvero pesanti, infatti si devono:

  • restituire le somme indebitamente percepite;
  • vi è naturalmente l’interruzione dell’erogazioni delle prestazioni;
  • infine vi è un’incriminazione penale per falso in atto pubblico, truffa ai danni dello stato e indebita percezione di benefici.

Queste sanzioni hanno una mitigazione nel caso in cui il lavoratore percepisca la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego) , in questo caso se lo stipendio erogato nell’arco di un anno è inferiore a 8.000 euro, non si applicano le sanzioni.

A breve seguiranno aggiornamenti su come denunciare il lavoro nero e diritti per i lavoratori

RTI contro la riforma sui voucher

L’utilizzo diffuso dei voucher, da parte delle imprese, rappresenta una buona soluzione, e forse l’unica ad oggi, per remunerare prestazioni saltuarie ed occasionali, anche nell’ottica della battaglia contro il lavoro nero, oltre, ovviamente, all’opportunità di occupazione e di guadagno legale. Non si tratta, dunque, di un abuso, ma di un modo per legittimare un lavoro
Per questi motivi Rete Imprese Italia difende a spada tratta questa modalità, perché va a contrastare il lavoro nero, e quindi si pone contro qualsiasi ipotesi di riforma che limiti la possibilità di impiego dei voucher.

I motivi sono chiarissimi: evitare, in primo luogo, riforme che non rispecchierebbero le attuali e reali esigenze del mercato del lavoro, e che quindi rischierebbero di frenare la libertà di iniziativa economica.
Ricordiamo che, per come sono utilizzati dagli imprenditori, permettono ai lavoratori occasionali di ricevere un compenso regolare e tracciabile, cosa che altrimenti non sarebbe possibile.

Rete Imprese Italia cita rilevazioni statistiche dell’Inps per sottolineare che nonostante la crescita del numero di committenti, prestatori e voucher, questo strumento continua a coprire prestazioni saltuarie ed occasionali e che riguardano per il 63% categorie di lavoratori che grazie ai voucher posso incrementare il loro reddito e per il 37% soggetti disoccupati o inoccupati in attesa di entrare o rientrare nel mercato del lavoro.

Ovviamente, la soluzione ottimale sarebbe ottenere, al posto di voucher per collaborazioni occasionali, un contratto, se non a tempo indeterminato, almeno a tempo determinato, per dare una continuità, ma anche una dignità a chi fatica ad entrare nel mondo del lavoro. Ma, se l’alternativa ad oggi sarebbe quella del lavoro nero, ben vengano i voucher, che hanno il pregio di contrastare questa piaga, ancora ben presente in Italia e lontana dall’essere risolta.

Vera MORETTI

Veneto: in calo il numero di lavoratori irregolari

Una buona notizia arriva dal Veneto e fa ben sperare che possa espandersi anche in altre regioni.

Tramite l’Ufficio Studi della Cgia, infatti, è emerso che nel Veneto è stato registrato un forte calo del numero dei lavoratori in nero, nel periodo tra il 2007 e il 2012.
La diminuzione dei lavoratori irregolari è del 9,7%, pari a 19.500, che ha contribuito a far scendere l’esercito dei lavoratori in nero a 181.000 unità nell’intera regione.
Nel Nordest è stato registrato un calo pari a 30.900 unità, pari a 10.1%.

Giuseppe Bortolussi ha commentato a proposito: “La crisi ha tagliato drasticamente la disponibilità di spesa delle famiglie venete. Pertanto, anche per le piccole manutenzioni, per i lavori di giardinaggio o per le riparazioni domestiche non si ricorre nemmeno più al dopolavorista o all’abusivo. Questi piccoli lavori o non vengono più eseguiti, oppure si sbrigano in casa. In questi anni, infatti, abbiamo assistito ad un vero e proprio boom del cosiddetto fai da te casalingo: di persone che di fronte ad un guasto o a una rottura si sono messe a fare l’idraulico, l’elettricista, il fabbro o il falegname. Certo, non tutti i settori hanno subito una contrazione della presenza degli abusivi. In quello della cura alla persona (parrucchieri, estetiste, massaggiatori, etc.), tra i dipintori, nel settore della riparazione auto e nel trasporto persone l’aumento degli irregolari è stato molto preoccupante. Senza voler colpevolizzare nessuno ricordo che oltre il 40% dei lavoratori in nero, del valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa e del gettito di imposta evasa, sono riconducibili alle Regioni del Mezzogiorno, mentre il Nordest, in passato additato come un’area ad alta vocazione al sommerso, è la macro area meno interessata da questo fenomeno“.

Vera MORETTI

Da gennaio scoperti 5 mila evasori totali

Quasi 5 mila, 4.933 per la precisione, è il numero degli evasori totali scoperti dalla Guardia di Finanza dall’inizio dell’anno ad oggi per un totale di bel 17 miliardi di euro non dichiarati. Un numero impressionante e destinato a crescere nelle prossime settimane dopo l’entrata in vigore in questi giorni del tanto temuto “redditometro“.

Ma i numeri, impietosi nella loro freddezza, non sono finiti qui: 19.000 sono i lavoratori irregolari nel nostro Paese, di cui 9.000 impiegati completamente in nero eludendo qualunque tassa da parte di oltre 3.200 datori di lavoro. Un’economia sommersa – sotto il pelo della legalità, ma abbastanza alla luce del sole per essere intercettata con relativa facilità – che danneggia irrimediabilmente le casse dello Stato, alterando le regole del mercato e costringendo, come logico che sia, l’insostenibilità della pressione fiscale.

Lavoro sommerso, i dati Inps del 2011

 

Oltre 45 mila lavoratori in nero, per un’evasione calcolata che si aggirerebbe attorno ai 981 milioni di euro.  Sono i dati resi noti dal bilancio sociale dell’Inps riguardanti le indagini e le ispezioni sul lavoro sommerso in Italia nel 2011.

L’Istituto ha accertato più di 981 milioni di euro di omissioni contributive e sanzioni. A finire sotto il fuoco incrociato dell’Istituto di previdenza sociale sono stati due settori in particolare: quello dell’agricoltura e quello dell‘edilizia. Nel primo caso, le ispezioni sono state orientate all’indagine del fenomeno di utilizzo di manodopera agricola stagionale, a seconda delle principali colture effettuate nei diversi periodi dell’anno.

Nel dettaglio a passare sotto stretta osservazione il fenomeno del caporalato e delle truffe ai danni dell’Inps realizzate mediante l’instaurazione di fittizi rapporti di lavoro, attività spesso nelle mani di organizzazioni criminali, che hanno fatto emergere 66.347 rapporti di lavoro in nero. Nel dettaglio, il totale dei rapporti di lavoro “fittizi” scoperti nel triennio 2009-2011 sale a quota 246.271 con conseguente mancato incasso, per le casse dell`Istituto, di oltre 739 milioni di euro.

Passando all’edilizia “le ispezioni sono state finalizzate alla verifica delle condizioni generali di tutela del lavoro – ha fatto sapere l’Inps – nonché ad un oculato monitoraggio della cantieristica esistente che ha consentito un attento esame, oltreché del lavoro irregolare, anche dello stato di attuazione, in tale ambito, della disciplina in materia di salute e sicurezza“.

Alessia CASIRAGHI

Stipendio in nero? Il lavoratore ci paga le tasse

I consulenti del lavoro intervengono in materia di lavoro nero e lo fanno con il parere n. 26 della loro Fondazione Studi. In base a questo parere, se la retribuzione è in nero, non è solo il datore a dover pagare le tasse ma anche il lavoratore. I consulenti del lavoro ricordano come, a una lettura superficiale della giurisprudenza della Cassazionesembrerebbe che il lavoratore resti del tutto estraneo alla tassazione della propria retribuzione, essendo compito esclusivo del datore di assoggettare a ritenuta il relativo importo“. “Tuttavia – sostengono i consulentila Corte di Cassazione in più occasioni ha stabilito che anche il lavoratore è correo, dovendo provvedere ad assoggettare a tassazione la retribuzione percepita pure in assenza di ritenuta da parte del datore, ovvero in caso di pagamenti in nero“. 

Inoltre, secondo la Cassazione, nel caso specifico in oggetto “è errata la conclusione, in punto di diritto, che la contribuente fosse esonerata dall’obbligo fiscale essendovi una norma primaria che impone al datore l’obbligo di effettuare le ritenute e versarle“. La Corte ritiene dunque che “in caso di mancato pagamento della ritenuta d’acconto da parte del lavoratore, il soggetto obbligato al pagamento del tributo sia anche il lavoratore contribuente”.

Secondo la Suprema Corte, l’intervento del sostituto lascia inalterata la posizione del sostituito, che è deve dichiarare i redditi assoggettati a ritenuta, poiché concorrono a formare l’imponibile sulla quale, secondo il criterio di progressività, sarà calcolata l’imposta dovuta, detraendosi da essa la ritenuta subita come anticipazione del prelievo.

L’esercito degli evasori totali

Tra il 2001 e il 2010 la Guardia di Finanza ha svolto un lavoro ciclopico di lotta all’evasione fiscale e al lavoro nero. Secondo un’laborazione dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, nel periodo indicato sono stati scovati quasi 350mila lavoratori in nero ed evasori totali e paratotali. L’imponibile recuperato dal contrasto all’evasione si aggira attorno ai 230 miliardi di euro: un valore leggermente superiore al Pil di Piemonte e la Toscana.

Secondo il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, “se facciamo una media molto trilussiana possiamo dire che in questi ultimi 10 anni sono venuti a ‘galla’ mediamente oltre 63 milioni di euro al giorno“.

Riguardo alla crescita dell’imponibile recuperato, in termini assoluti si è passati dai 15,28 miliardi accertati nel 2001 ai 49,24 “recuperati” nel 2010: +222% nel decennio.

Non è un caso – dice ancora Bortolussiche l’imponibile accertato abbia assunto dimensioni rilevanti negli ultimi 4 anni. Il merito va alla politica adottata dall’Amministrazione finanziaria che ha intensificato in maniera encomiabile l’azione contro i grandi evasori e coloro che sono completamente sconosciuti al fisco“.

Se sarà introdotta la cosiddetta patrimoniale – prosegue-, a pagare non saranno, ancora una volta, solo coloro che sono conosciuti al fisco, mentre chi è un evasore totale la farà franca ancora una volta? Quindi, non è meglio potenziare l’attività di contrasto alla grande evasione che in questi ultimi anni ha dato ottimi risultati?“.

Parlando di persone, nel periodo in esame ne sono state scoperte quasi 350mila: 81.770 evasori totali (persone completamente sconosciute al fisco) e paratotali (contribuenti che hanno occultato oltre il 50% del loro giro d’affari) e altri 267.355 che svolgevano un’attività completamente o del tutto in nero.

Secondo l’Istat, però, in Italia l’imponibile sottratto ogni anno al fisco attorno è di circa 250/275 miliardi di euro. Se nel 2010 sono stati recuperati poco meno di 50 miliardi, significa che siamo ancora intorno al 20% del totale stimato.

Attenzione a distinguere bene tra imponibile accertato e riscossione effettiva, ossia i soldi che concretamente finiscono nelle casse dell’Erario dopo i vari livelli di giudizio. “Ebbene – conclude Bortolussile riscossioni effettive, seppur in forte aumento negli ultimi anni, si aggirano attorno al 10-12% dell’imponibile accertato. Un risultato ancora contenuto che va assolutamente migliorato“.

Al Sud le istituzioni pronte a cooperare per cercare di contrastare il lavoro nero

Il lavoro nero è una piaga difficile da guarire specialmente al Sud. Per cercare di curare questa piaga, provando a fare emergere il tanto lavoro sommerso, i rappresentanti delle regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, il direttore generale dell’immigrazione, Natale Forlani, il direttore generale del Mercato del Lavoro, Paola Paduano, ed il segretario generale, Francesco Verbaro, per il Ministero del Lavoro, hanno raggiunto un accordo per promuovere un programma di prevenzione del lavoro nero.

Tale programma stanzia cinque milioni di euro per il reinserimento dei disoccupati nel meridione, prevalentemente extra Ue. L’intervento, nell’ambito dei fondi Pon, mira a rafforzare la cooperazione tra le diverse istituzioni nell’ambito delle azioni rivolte al coordinamento delle misure volte a contrastare il lavoro nero che coinvolge, con particolare intensità, i lavoratori immigrati.

Per perseguire lo scopo è stata prevista la creazione di una rete di relazioni stabili tra i soggetti istituzionali e gli operatori autorizzati di cui al dlgs n. 276/2003 (parti sociali, enti bilaterali, associazioni imprenditoriali) finalizzate a concertare azioni di politica attiva del lavoro volte a prevenire il lavoro sommerso, a qualificare le reti di domanda-offerta, a favorire il rapido inserimento al lavoro dei disoccupati.

Nino Ragosta

Dilaga il lavoro nero. Il poco onorevole primato spetta alla Calabria.

Dilaga l’economia sommersa che in Italia arruola un esercito sempre più numeroso, formato da 640.000 irregolari. Ed è in aumento il valore aggiunto prodotto dalle attività abusive: l’incidenza sul Pil nel 2008 è salita al 16,9%, rispetto al 16,6% del 2007. A lanciare l’allarme sommerso è l’Ufficio studi della Confartigianato. Il lavoro-nero prospera soprattutto nel Mezzogiorno dove l’incidenza del lavoro sommerso – che a livello nazionale è pari all’11,8% – sale al 18,3%, il doppio rispetto al Centro Nord (9,3%). È nei servizi la presenza più diffusa di abusivi sul totale degli occupati (9,9%), seguono costruzioni (7,7%) e manifatturiero (3,7%). Il sommerso produce danni sempre pi ingenti alle casse dello Stato: tra il 2008 e il 2009 infatti l’Iva dovuta e non versata aumentata del 24,4%. La classifica regionale stilata da Confartigianato attribuisce alla Calabria il poco onorevole primato dell’abusivismo, seguita da Sicilia, Puglia, Campania. In Calabria più di un lavoratore su quattro (27,3%) lavora in nero.

All’altro capo della classifica, è il Nord Est l’area dove le imprese possono stare più tranquille dalla minaccia della concorrenza sleale. L’Emilia Romagna la più virtuosa (tasso di irregolarità 8,1%), seguono Trentino, Lombardia, Lazio e Toscana. Se l’incidenza degli abusivi sul totale degli occupati molto alta nel settore dei servizi, a ruota seguono le costruzioni (7,7%), distaccato il manifatturiero (3,7%). Le attività abusive minacciano soprattutto artigiani e piccole imprese. Nel 2009 i soggetti che non hanno mai presentato le dichiarazioni dei redditi (pur svolgendo attività economiche aperte al pubblico), scoperti dalle Fiamme gialle, sono saliti a 7.513 (rispetto ai 7.135 del 2008). Si tratta di cifre macro: nei primi cinque mesi 2010 la Guardia di Finanza ha individuato 3.790 evasori totali, per un imponibile di 7,9 miliardi. Nella classifica delle province, la maglia nera del tasso di sommerso va a Crotone, seguita da Vibo Valentia, Cosenza, Enna, Brindisi, Caltanissetta, Reggio Calabria, Trapani, Nuoro e Catanzaro. Aree dove più forte è stato l’incremento della quota di adulti usciti dal mercato del lavoro, indicatore principe questo della presenza del sommerso. Durante la crisi in Italia, da marzo 2008 e marzo 2010, 338.000 adulti tra 25 e 54 anni sono uscita dalla forza lavoro (160.000 donne e 178.000 uomini), in gran parte (230.000) residenti nel Mezzogiorno.

fonte: Ansa