Altro che Isis, il pericolo in Libia è il blocco dell’export

I tagliagole dell’Isis in azione sulle coste della Libia sono una minaccia ancora remota per l’Italia, mentre il caos politico, economico e sociale nel quale si trova il Paese sono invece già un danno per la nostra economia e per molte imprese italiane.

Secondo Infocamere, infatti, sono più di 1500 le imprese italiane che pagheranno a caro prezzo lo stop alle esportazioni italiane verso la Libia. Il dato emerge da un’elaborazione effettuata sui dati provenienti dal Registro delle Imprese e dall’Agenzia delle Dogane che ha permesso di scattare una fotografia piuttosto precisa di quelle che sono le aziende italiano a forte rischio a causa del blocco delle esportazioni verso la Libia.

Nello specifico, nel terzo trimestre 2014 1.569 aziende italiane hanno effettuato operazioni commerciali con la Libia. Sono prevalentemente imprese che operano nel Nord-Ovest a (532), seguite da quelle del Nord-Est (490), del Centro (289). In coda e il Sud.

Il 53,3% di queste aziende che hanno esportato verso la Libia appartiene al settore manifatturiero, il 31,2% al commercio, il 4.3% ai trasporti e il 3,9% all’edilizia. Ciascuna di esse, nel terzo trimestre 2014, ha concluso in media 3 operazioni con la Libia, per un totale di circa 4mila operazioni. Considerando il numero medio di operazioni per impresa, le imprese più attive nei confronti della Libia sono state territorialmente quelle del Nord-Est, come settore quelle dei servizi professionali.

Spostando invece il focus sul totale, nel terzo trimestre 2014 sono state 2.204 le operazioni con la Libia portate a termine da aziende manifatturiere, 1.404 da quelle del commercio, 133 da quelle del trasporto e magazzinaggio, 117 da quelle dell’edilizia e 320 da quelle dei servizi professionali.

Libia nuovo mercato?

La Libia, dopo la caduta del regime di Gheddafi, si appresta a vivere una fase di ricostruzione politica ed economica che potrebbe coinvolgere anche l’Italia.

Dopo che ieri, infatti, è atterrato a Tripoli il primo volo Alitalia dopo 8 mesi, sembra che siano tante le opportunità per le imprese italiane, e non solo per quelle che avevano già manifestato interessi verso il Paese nord africano, bensì anche per chi stia considerando l’ipotesi di buttarsi su questa “fetta” di mercato.

Sembrerebbe questa la tendenza per l’anno prossimo, confermata anche da un’analisi condotta da Unioncamere e Cresme Ricerche, secondo cui ammonterebbero a 4 milioni di euro, l’80% in più rispetto a quest’anno, gli investimenti in costruzioni in Libia previsti per il 2012.

In un Paese distrutto dalla guerra sono molte le aree cittadine da ricostruire totalmente e qualora si ristabilisse l’opera di infrastrutturazione iniziata dal vecchio governo, l’Italia avrebbe un ruolo di primo piano.

Per muoversi in questo senso, Alfredo Cestari, presidente della Camera di Commercio ItalAfrica Centrale, ha chiesto al neo Primo Ministro del Governo transitorio Abdul Al-Raheem Al-Qeebampio coinvolgimento delle imprese italiane nella importante fase che oggi si apre anche in considerazione degli storici rapporti di interscambio tra Italia e Libia bruscamente interrotti dalle azioni militari”.

Questo perché, ad otto mesi dall’interruzione dell’interscambio tra le due nazioni, la situazione oggi appare molto delicata, considerando che, mentre le aziende assicurate con Sace hanno avviato pratiche per il risarcimento dei contratti, tutte le altre hanno subito il drastico “cessate i lavori” e la conseguente perdita di commesse, oltre ad attrezzature e macchinari mai più riportati in patria.

Ora, ItalAfrica Centrale sta organizzando una missione imprenditoriale in Libia con il coinvolgimento del Ministero degli Esteri al fine di ottenere chiarimenti sulle effettive condizioni per le imprese italiane: “Tutti gli imprenditori – conclude Cestari – ci chiedono precise garanzie: l’avvio di percorsi di interlocuzione con istituzioni libiche riconosciute ed autonome; la certezza di buon livello di sicurezza nel Paese, stabilità, semplificazione delle procedure, precisi codici di investimenti ed eliminazione della corruzione”.

Vera Moretti

L’allarme Libia colpisce anche le Pmi italiane

La difficoltosa situazione libica non sta colpendo solo le grandi aziende italiane e internazionali che operano nel territorio nord africano ma anche una decina di piccole e medie imprese nazionali. Paolo Romani, ministro per lo Sviluppo ha affermato che il governo sta valutando di elaborare un emendamento a favore delle imprese che hanno subito danni.

Secondo la Camera di commercio italo-libica le aziende italiane che hanno regolari rapporti con Tripoli sarebbero circa 600, ma di queste risulta a Reuters che solo una cinquantina ha recentemente lamentato alle autorità competenti rischi o problemi.

In testa alla lista ci sono: Architects, Bio Agri Trade, Brunengo, Edilbono, Gem Elettronica, Gemmo, Luilor, Metalprint, Nico, Tai Milano, Technarredi, Sicon Oil & Gas, Sarplast, Siad. Tra i problemi più lamentati ci sono la mancata riscossione di crediti ma non solo. Vi sono anche problemi bancari (diversità di comportamento da parte di istituti italiani sull’accettazione di pagamenti da parte libica; oppure la richiesta da parte delle banche di restituzione di prestiti erogati per investimenti in Libia) e problemi previdenziali (l’impossibilità di accedere alla cassa integrazione per i lavoratori rientrati dalla Libia in questi mesi di guerra).