NASpI: si può ottenere in caso di licenziamento disciplinare?

La NASpI è la Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego, si tratta di quello che generalmente viene denominato assegno di disoccupazione ed è stato introdotto nel nostro ordinamento con l’articolo 3 del decreto legislativo 22 del 2015. In merito a questa misura di welfare sono tanti ancora i dubbi anche se la disciplina sembra essere rodata. Molti lavoratori si chiedono: ho diritto alla NASpI anche se ho avuto un licenziamento disciplinare? Posso richiederlo se sono in causa con il datore di lavoro o se ho accettato la conciliazione?

Cos’è il licenziamento disciplinare?

Per licenziamento disciplinare si intende la sanzione con la quale il datore di lavoro licenzia il dipendente che si sia reso colpevole di gravi fatti, ad esempio nel caso in cui sia stato colto in flagranza di reato mentre commette un furto ai danni dell’azienda, oppure se è colpevole di rissa o comunque fatti gravi che rompono il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Nei casi più gravi, come quelli citati, non vi è l’obbligo di dare al lavoratore un periodo di preavviso perché l’inadempimento è talmente grave da non rendere in alcun modo possibile continuare il rapporto anche temporaneamente.

In caso di licenziamento disciplinare possono chiedere la NASpI?

A dirimere i dubbi già qualche anno fa è stato il Ministero del Lavoro con risposta a Interpello 13 del 24 aprile 2015.

Il Ministero ha sottolineato che l’unico caso in cui non è possibile percepire la NASpI è quello in cui il licenziamento sia stato volontario, cioè il lavoratore X ha rassegnato le dimissioni. Il licenziamento disciplinare, sebbene possa essere considerato causato dallo stesso lavoratore, non è volontario. Di conseguenza il lavoratore può percepire la Nuova Assicurazione Sociale per l’impiego o semplicemente assegno di disoccupazione.

Leggi: Naspi 2022: guida al calcolo, gli esempi con stipendi da 1000/2000 euro al mese

Non solo, nella risposta a interpello della CISL, il Ministero va oltre e statuisce che anche se in seguito a licenziamento disciplinare si procede all’offerta di conciliazione “agevolata” introdotta dall’art. 6, D.Lgs. n. 23/2015, è comunque possibile ottenere la NASpI.

La conciliazione agevolata è una proposta economica del datore di lavoro che non costituisce reddito imponibile e non risulta assoggettato a contribuzione previdenziale. Il lavoratore accettando la proposta, rinuncia all’impugnazione del licenziamento disciplinare. In base all’interpretazione corrente l’accettazione della proposta conciliativa non modifica il titolo di risoluzione del rapporto e di conseguenza non viene meno il diritto a percepire il sussidio della NASpI.

Il contenuto della risposta ad interpello 13 del 24 aprile 2015 è confermato anche dall’INPS con la circolare 142 del 2015.

Leggi anche: Dimissioni per giusta causa: spetta la Naspi ma la procedura è diversa

INTERPELLO-N-13-2015

Forme di licenziamento e aziende: come evitare di perdere agevolazioni

Perdere il lavoro è sempre un evento traumatico, ma non sempre il licenziamento avviene per gli stessi motivi, infatti vi sono diverse forme di licenziamento. Scopriremo quali sono e le conseguenze che possono derivarne per le aziende.

Aziende: perché devono stare attente alle forme di licenziamento

Si è visto in alcuni articoli precedenti che molte agevolazioni previste in favore delle aziende non possono essere concesse se nei mesi precedenti sono stati attuati dei licenziamenti per riduzione del personale, ad esempio le aziende che hanno attuato dei licenziamenti non possono ottenere lo sgravio fiscale per i contratti di rioccupazione. Deve però essere sottolineato che non tutte le forme di licenziamento comportano tali limiti, infatti occorre distinguere se lo stesso è avvenuto per un giustificato motivo soggettivo e quindi non per riduzione del personale dovuto a problemi aziendali.

In questa sede sarà effettuata una breve disamina sulle diverse tipologie di licenziamento con l’obiettivo di determinare se lo stesso può essere d’ostacolo all’applicazione di benefici e agevolazioni per le aziende.

Forme di licenziamento: motivi soggettivi e oggettivi

I licenziamenti possono essere ricondotti in due grandi famiglie: il licenziamento dovuto a fatto del lavoratore e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nella prima fattispecie si possono ritrovare “sotto-categorie”. In particolare si può avere il licenziamento per giusta causa quando il comportamento del lavoratore è tale da incidere sul rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il lavoratore e, di conseguenza, si procede al licenziamento anche definito “in tronco” quindi senza alcun preavviso.

La legge e la giurisprudenza naturalmente hanno delimitato l’ambito di applicazione di una misura così drastica. Potrebbe verificarsi il licenziamento per giusta causa senza preavviso nel caso in cui il datore di lavoro colga in flagranza il lavoratore mentre porta via dei beni dell’azienda, oppure quando commetta un reato così grave da non permettere in alcun modo di continuare il rapporto di lavoro in quanto viene meno l’elemento fiduciario o potrebbe esservi un grave danno all’azienda, anche di immagine.

Giustificato motivo soggettivo o licenziamento disciplinare

Una seconda possibilità è il licenziamento disciplinare regolato dallo Statuto dei Lavoratori legge 300 del 1970, anche in questo caso il rapporto di lavoro viene meno per un fatto del lavoratore, ma in questo caso è necessario il preavviso di 15 giorni. Il licenziamento disciplinare può essere applicato nel caso in cui si verifichi un inadempimento contrattuale. Ciò che caratterizza l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori è la particolare attenzione a tutte le fasi da rispettare. In primo luogo è previsto che il datore di lavoro renda pubblico ai dipendenti il codice disciplinare che deve essere anche affisso nel luogo di lavoro.

Al verificarsi di uno dei fatti che possono portare a un provvedimento disciplinare, il datore di lavoro deve contestarlo. La contestazione deve essere specifica e dettagliata e deve esporre in modo chiaro i comportamenti contestati. In questo modo il lavoratore potrà giustamente esercitare il diritto di difesa. La contestazione, tranne i casi in cui preveda il semplice rimprovero verbale, deve essere fatta per iscritto.

In seguito alla contestazione scritta, la sanzione disciplinare non può essere applicata prima che siano trascorsi 5 giorni. Tale lasso di tempo può essere utilizzato dal lavoratore per esercitare la sua difesa e contestare i fatti addebitati dal datore di lavoro. In seguito all’applicazione della sanzione il lavoratore può comunque proporre il ricorso avverso la stessa. Tra le varie ipotesi di sanzioni c’è appunto il licenziamento disciplinare che può essere adottato solo nei casi in cui il codice disciplinare preveda espressamente che per una determinata violazione, o la reiterazione in un breve lasso di tempo della stessa violazione, si applichi il licenziamento disciplinare.

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si verifica quando l’azienda abbia delle difficoltà e di conseguenza si trovi a dover ridurre il personale. Anche in questo caso è necessario che sia seguito un iter procedurale. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo entra nel nostro ordinamento con la legge 604 del 1966 e tra i motivi che possono portare ad applicare questa misura vi sono difficoltà economiche per l’azienda, cessazione dell’attività, il venir meno delle mansioni a cui era adibito il lavoratore senza possibilità di collocarlo in nuove mansioni.

Ad esempio nel caso in cui in azienda venga soppresso un reparto e non ci sia possibilità di occupare il lavoratore in un altro reparto. In merito al licenziamento per giustificato motivo oggettivo occorre sottolineare anche che dal 2012 il licenziamento intimato al termine del periodo di comporto o per sopravvenuta inidoneità fisica e psichica sono fatti rientrare in questa particolare categoria. Occorre ricordare che questi provvedimenti possono comunque essere impugnati dal lavoratore, ma rispetto al passato è cambiato il sistema sanzionatorio, infatti nel caso in cui il licenziamento dovesse essere ritenuto illegittimo comunque non è previsto il rientro nel posto di lavoro.

Dal 2012 con la riforma del mercato del lavoro il reintegro è ammesso in limitati casi, che sono stati ulteriormente ridotti con l’introduzione dal 2015 del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Infatti sono rimaste attive le tutele solo nel caso in cui il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia stato intimato per inidoneità fisica o psichica. In tutti gli altri casi il licenziamento resta operativo e vi è solo una tutela economica.

Limiti alle agevolazioni per le aziende

Ritornando alle agevolazioni previste per le aziende, nella maggior parte dei casi gli sgravi contributivi e altri benefici riconosciuti Una Tantum si ottengono se nel periodo precedente si sono verificati dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ad esempio se vi è stato un licenziamento perché determinate mansioni in azienda non servono più, non sarà possibile ottenere agevolazioni per l’assunzione di personale in quella stessa categoria, mentre potrebbero essere ottenute per assunzione in altre mansioni. Diverso è invece il caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa. Di volta in volta quindi l’azienda deve controllare se può ottenere agevolazioni.

Controlli del datore di lavoro sui permessi legge 104 del 1992

La legge 104 è di fondamentale importanza per i portatori di handicap e per i loro familiari. Gli ultimi, al fine di svolgere il loro dovere di assistenza nei confronti del congiunto, possono utilizzare i permessi lavorativi della legge 104 del 1992, gli stessi prevedono però dei limiti. Naturalmente in questo settore non sono mancati nel tempo i furbetti che hanno utilizzato i permessi legge 104 per fini personali e diversi dall’assistenza ai familiari. I controlli del datore di lavoro possono però aiutarlo a tutelarsi da comportamenti impropri, ecco cosa può fare senza incorrere in reati.

Utilizzo improprio dei permessi legge 104/1992

I permessi legge 104 del 1992 sono diversi e dipendono dalla situazione concreta del disabile, di sicuro quelli più conosciuti e utilizzati sono i 3 giorni di permessi retribuiti in cui il lavoratore può astenersi dall’attività lavorativa. Questi permessi sono però strettamente correlati all’assistenza del disabile, cioè non possono essere utilizzati per fini personali e in caso di uso improprio sono previste delle sanzioni particolarmente pesanti.

Vuoi conoscere le sanzioni per chi abusa dei permessi legge 104/1992? Leggi l’articolo Lavoro e legge 104: quali sanzioni per chi abusa dei permessi?

I permessi legge 104 possono essere usufruiti da un solo parente, anche se vi sono dei casi in cui è possibile avvalersi dell’assistenza saltuaria. Il soggetto che li usa deve utilizzare il tempo dei permessi per assistenza materiale al disabile, ad esempio per accompagnarlo a visite, alcune sentenze hanno stabilito che non incorre in sanzioni il lavoratore che durante le ore di permesso si rechi a fare commissioni per il disabile, ad esempio si occupi della spesa, vada in farmacia, non deve però allontanarsi dalla città in cui si trova il disabile. Naturalmente il datore di lavoro può avere dei sospetti su un abuso dei permessi per l’assistenza ai disabili, occorre infatti ricordare che mentre si usufruisce degli stessi non ci può essere visita fiscale, come avviene con i dipendenti in malattia, e non c’è obbligo di reperibilità e questo potrebbe portare alcuni dipendenti ad approfittare delal situazione.

Quali sono i poteri di controllo del datore di lavoro sui permessi legge 104?

La prima cosa da sottolineare è che in linea di massima il datore di lavoro non può far pedinare il lavoratore, tanto meno per scoprire cosa fa negli orari in cui è libero dal lavoro, ma la Corte di Cassazione nelle sue sentenze ha ben tollerato una mitigazione di tale principio. In particolare ha sentenziato che nel caso in cui il datore di lavoro abbia il fondato sospetto che i permessi legge 104 siano utilizzati in modo improprio dal lavoratore, il pedinamento è legittimo, ma deve essere svolto esclusivamente negli orari in cui il lavoratore si avvale dei permessi stessi.

Cosa vuol dire legittimo sospetto? Anche in questo caso la Corte di Cassazione è stata abbastanza morbida, infatti anche il semplice fatto che il dipendente usufruisca dei permessi sempre durante il week end, al ridosso di festività o delle vacanze, può avallare l’ipotesi che in realtà i permessi legge 104 siano utilizzati per fini personali e quindi ci sia un abuso.

Il legittimo sospetto può essere sostenuto anche con altri mezzi di prova, ad esempio la giurisprudenza ormai ammette che possano essere utilizzate come prove anche le foto postate sui profili social. Inoltre, è possibile avvalersi della prova testimoniale, ad esempio un collega che affermi di aver visto il dipendente che mentre stava usufruendo di permessi legge 104 era a un party.

Le indagini effettuate dall’investigatore devono comunque svolgersi in modo opportuno e quindi senza ledere la privacy del dipendente.

Sentenze della Corte di Cassazione

Il disvalore sociale dell’abuso dei permessi

I dipendenti che hanno un comportamento scorretto sono sanzionabili con il licenziamento disciplinare, questo perché si tratta di una violazione grave che lede il datore di lavoro che, per consentire al lavoratore di adempiere i suoi doveri di solidarietà familiare deve riorganizzare il proprio lavoro e rinunciare alla produttività di quel dipendente, ma anche a carico della collettività, infatti la retribuzione per i permessi legge 104 del 1992 è a carico dal datore di lavoro ma poi ricade sulle casse dell’INPS e quindi della collettività.

Il disvalore sociale è oggetto di attenzione anche della Corte di Cassazione nella sentenza 8784 del 2015 in cui sottolinea che tale comportamento implica“un disvalore sociale giacché il  lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare ad ogni permesso diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa”.

La sentenza appare particolarmente gravosa, infatti, non rileva che il dipendente non abbia subito precedenti censure sul luogo di lavoro e che non ci siano altri provvedimenti disciplinari a suo carico. Non rileva neanche il fatto che, a detta del lavoratore, solo una parte delle ore di permesso sia stata utilizzata in modo improprio (per recarsi a una festa) mentre le altre ore erano state utilizzate effettivamente per prestare assistenza. Il disvalore per la Corte è nel semplice abuso perpetrato.

Attenzione ai social

Particolare attenzione deve essere posta perché la Corte di Cassazione, sezione VI, sotto sezione L, nell’ordinanza 2743 del 2019 ha precisato che non rileva neanche la circostanza che il fatto contestato si sia verificato una sola volta perché anche in tal caso il licenziamento disciplinare resta valido. Tra l’altro questa ordinanza è fondamentale perché riguarda proprio l’ipotesi in cui a suffragare la contestazione del datore di lavoro convergevano foto pubblicate su facebook nel giorno in cui il lavoratore doveva prestare assistenza al disabile e le attività investigative commissionate dal datore di lavoro.

Sintesi sui poteri di controllo del datore di lavoro sui permessi legge 104

Il datore di lavoro nel caso in cui il lavoratore abusi o utilizzi in modo improprio i benefici previsti dalla legge 104 e in particolare i permessi di lavoro è sicuramente un soggetto danneggiato. Gli viene quindi data la possibilità di tutelarsi e licenziare il dipendente che durante i permessi non si occupi del disabile. In caso di contestazione del licenziamento può provare il comportamento infedele del lavoratore attraverso:

  • prove documentali (tra cui foto postate sui social);
  • prove testimoniali;
  • indagini condotte da un investigatore privato ( devono svolgersi con particolare attenzione in quanto non possono sfociare nel reato e sono da utilizzare quando vi sia un fondato sospetto di comportamento illegittimo).