Il governo Renzi e le prime misure economiche

Dopo tanti proclami, per Matteo Renzi è arrivato davvero il momento di fare. Specialmente nel campo delle misure economiche e sul fronte della spesa pubblica, il governo Renzi è atteso da scelte importanti.

Tra le principali misure ci sono il taglio ai costi della politica, la riforma elettorale, la riforma del fisco, la scuola e novità per lavoro e imprese. L’aumento della tassa sulle rendite finanziarie dal 20 al 25% sarà la prima misura che Renzi e l’esecutivo adotteranno.

L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie era già previsto nel Jobs act, presentato da Renzi a dicembre 2013, prima che stravincesse le primarie del Pd. Il piano di lavoro del nuovo governo parte dalla necessità di allargare le tutele economiche e sociali per i lavoratori e di introdurre un reddito minimo garantito per chi dovesse perdere il posto di lavoro, oltre che dalla necessità di creare occupazione. L’obiettivo è quello di avere 200mila occupati in più nei settori di punta dell’economia.

Del piano per il lavoro faranno parte gli incentivi alle assunzioni degli under 30, ma solo per le aziende che prima non licenziano. Queste assunzioni dovrebbero essere defiscalizzate e ulteriormente agevolate nel caso di lavoratori impiegati nei settori dell’innovazione e della ricerca; l’impresa pagherà solo i contributi previdenziali.

L’esecutivo Renzi punta poi a ridurre Irap e Irpef sui redditi da lavoro; l’ipotesi è quella di una riduzione di un punto delle prime due aliquote: quella del 23% che si paga ora fino al 15mila euro, e quella del 27% che si versa fino a 28mila euro. L’impatto sarebbe su tutti i cittadini, ma il dato importante è che con queste due aliquote pagano le tasse 34 dei 41 milioni di contribuenti che presentano la dichiarazione dei redditi ogni anno. Il problema è il costo elevato di questa misura necessaria: circa 5 miliardi di euro.

Governo Renzi e politiche economiche: il manifesto

E alla fine l’Italia ha il nuovo governo Renzi. Il segretario del Pd dà una spallata a Letta e al suo esecutivo, schiera la propria squadra di ministri e si appresta a governare. O almeno a provarci. Noi di INFOIVA guardiamo con attenzione a questa nuova avventura e aspettiamo di vedere quali saranno le misure in campo economico che il governo prenderà per tentare di rimettere in piedi l’Italia.

Le cose da fare sono poche e chiare e noi la pensiamo esattamente come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, che sul Corriere del 21 febbraio hanno scritto un editoriale che Renzi e i suoi dovrebbero stampare, appendere nei loro uffici e applicare passo passo. Ve lo riproponiamo qui sotto, perché per noi è un manifesto. Voi che ne dite?

Il nuovo governo dovrà dimostrare (e in tempi brevissimi) di aver chiare quali sono le priorità e di essere determinato nell’affrontarle. Se saprà farlo tranquillizzerà i mercati e potrà rinegoziare i vincoli europei. Perché una rinegoziazione è inevitabile se si vuol far ripartire la crescita.

Quali siano i problemi dell’Italia lo sappiamo da tempo: un debito pubblico enorme, una recessione che sembra non finire mai, banche che prestano col contagocce, una disoccupazione soprattutto giovanile elevatissima, una tassazione asfissiante, una burocrazia che impone oneri immensi alle imprese, e infine i costi della politica. La difficoltà non è dunque individuare le cose da fare, ma metterle in fila e poi affrontarle con determinazione.

La prima è annunciare stime di crescita credibili. Le previsioni del governo uscente sono più ottimiste di quelle delle organizzazioni internazionali, inclusa la Commissione europea. Il governo prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) dell’1% nel 2014 e dell’1,7% nel 2015. Il consenso internazionale è 0,5% nel 2014 e poco sopra l’1% nel 2015.

Da che numeri parte il nuovo governo? Le previsioni di crescita sono cruciali perché costituiscono il punto di partenza per un piano credibile di riduzione del rapporto debito-Pil. Per avviare tale riduzione è necessario compiere tre passi: ridurre la spesa pubblica e le imposte, far ripartire la crescita e vendere aziende e immobili oggi posseduti da Stato, Comuni e Regioni.
Per rilanciare la crescita, servono due interventi immediati. Primo: provvedimenti per allentare la stretta creditizia. È difficile tornare a crescere se non riparte l’offerta di credito all’economia. Lo si può fare anche con l’aiuto della Bce, come spiegavamo il 9 febbraio (nell’editoriale E ora le banche non hanno scuse ). A ciò deve aggiungersi un’accelerazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. Il governo uscente ne ha saldati 22 miliardi su circa 100: troppo pochi.

Seconda cosa da fare: provvedimenti per ridare competitività alle imprese. La leva principale è una riduzione immediata e consistente del cuneo fiscale, finanziata con una combinazione di tagli di spese (immediate e future) e, se necessario, con imposte meno dannose delle tasse sul lavoro.

Per portare gli oneri sociali a carico delle imprese al livello tedesco bisogna ridurli di 23 miliardi. 9-10 miliardi si possono reperire tagliando i sussidi alle imprese: 4 miliardi il primo anno, altri 5-6 nei due successivi. Un altro miliardo, o due, tagliando i costi della politica, come suggerito in uno studio di Roberto Perotti pubblicato su www.lavoce.info. I rimanenti 8 miliardi vanno reperiti dalla spending review : il commissario Cottarelli ritiene che sia un obiettivo raggiungibile già quest’anno. Altre risorse possono arrivare dalla revisione del costo di alcuni servizi (come l’università) che lo Stato offre quasi gratuitamente a tutti, indipendentemente dal reddito.

Ridurre le imposte sul lavoro non basta. Bisogna anche riformare i contratti abolendo il muro invalicabile che separa chi ha un lavoro a tempo determinato da chi ne ha uno a tempo indeterminato. Qui il diavolo sta nei dettagli. La proposta giusta è quella di Pietro Ichino, che riprende un’idea degli economisti Olivier Blanchard (capo-economista del Fondo monetario internazionale) e Jean Tirole. Un contratto uguale per tutti, senza muri e con protezioni che crescono in funzione dell’anzianità sul posto di lavoro. Ad esempio: entro tre anni dall’assunzione un’impresa può licenziare liberamente, dal quarto anno in poi il licenziamento costa all’impresa una indennità (crescente con l’anzianità del contratto) e che finanzia (in parte) i contributi di disoccupazione.

Va abolito il principio del reintegro obbligatorio, tranne nei casi di discriminazione. In questo modo verrebbe di fatto cancellato, per i neoassunti, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Occorre anche ridurre il peso dei contratti collettivi, e legare maggiormente il salario alla contrattazione a livello aziendale. Il segreto del successo della Germania sta principalmente nell’avere fatto questo.

La riforma del mercato del lavoro è impossibile senza una revisione degli ammortizzatori sociali. Una maggiore libertà alle imprese nella gestione della forza lavoro si deve accompagnare a tutele per chi rimane temporaneamente disoccupato.

La Cassa integrazione (Cig) va abolita. Per tutti coloro che perdono il posto – e con le risorse ora destinate alla Cig e ai corsi di formazione gestiti dal sindacato – va introdotto un sussidio di disoccupazione decrescente nel tempo che li costringa a cercare lavoro (con la possibilità, al massimo, di due rifiuti). Il sussidio deve essere esteso anche alle categorie oggi non coperte dalla Cassa.

Infine bisogna cedere aziende pubbliche e semipubbliche. Qui le priorità sono: riscrivere da zero il progetto di apertura del capitale delle Poste e impedire che la Cassa depositi e prestiti continui ad essere usata come un salvadanaio dello Stato per false privatizzazioni (vedi Ansaldo Energia) e sprechi risorse pubbliche facendo, senza saperlo fare, il mestiere del finanziatore di startup , e cioè di nuove aziende.

Ma il nuovo governo non farà nessuna di queste cose se non sostituirà radicalmente i burocrati che gestiscono i ministeri (riformando i contratti della dirigenza pubblica e allineandoli a quelli del settore privato) cominciando dalla casta dei capi di gabinetto. Per farlo ci vuole coraggio perché questi signori sono depositari di «dossier» che tengono segreti per proteggere il loro potere. Bisogna aver il coraggio di mandarli tutti in pensione. All’inizio i nuovi ministri faranno molta fatica, ma l’alternativa è non riuscire a fare nulla.

Sangue sul governo Letta

Sangue sul governo Letta. Se il buongiorno si vede dal mattino, il premier dovrà prepararsi a un periodo difficile. Stamane, durante la cerimonia di giuramento del governo, un uomo ha sparato davanti a Palazzo Chigi colpendo due carabinieri. Il brigadiere Giuseppe Giangrande, secondo quanto scritto nel primo bollettino medico, ha subito la lesione della colonna vertebrale cervicale ed è ricoverato al Policlinico Umberto I di Roma in prognosi riservata.

Ad aprire il fuoco un uomo in giacca e cravatta che all’improvviso ha sparato contro i militari. L’uomo, Luigi Preiti, è nato nel 1964 in Calabria, dove è tornato a vivere dopo aver trascorso molti anni ad Alessandria, dove è stato sposato e ha un figlio di dieci anni. Il ritorno al paese natale è scattato in seguito alla perdita del lavoro.

Preiti – che non ha precedenti penali e ha agito da solo – ha sparato diversi colpi di pistola e ha poi tentato di fuggire, ma è stato ferito durante una colluttazione con le forze dell’ordine e arrestato. Preiti, però, non è uno squilibrato nonostante nei primi minuti sopo la sparatoria si era diffusa la voce che avesse problemi mentali. “Non ha mai sofferto di patologia psichiatriche – ha detto il fratello Arcangelo all’Ansa -. Siamo allibiti, non sappiamo spiegarci quel che è potuto accadere“.

Sconvolta anche la ex moglie di Preiti, mentre secondo il ministro Alfano l’uomo avrebbe tentato il suicidio dopo la sparatoria, ma avrebbe finito i colpi.

Nasce il governo Letta. Il Paese e l’economia aspettano una svolta

E finalmente dopo 60 e rotti giorni di ingovernabilità abbiamo un governo. Del presidente, balneare, a tempo, quello che volete, ma intanto c’è. Vediamo se l’Esecutivo varato a tempo di record da Enrico Letta su mandato pressante di Napolitano riuscirà a dare stabilità e risposte all’economia e al Paese. Ecco la lista dei ministri:

Interni e Vicepremier- Angelino Alfano
Difesa – Mario Mauro
Esteri – Emma Bonino
Giustizia – Anna Maria Cancellieri
Economia – Fabrizio Saccomanni
Riforme istituzionali – Gaetano Quagliariello
Sviluppo – Flavio Zanonato
Infrastrutture – Maurizio Lupi
Poliche Agricole – Nunzia Di Girolamo
Istruzione, Università e ricerca- Maria Chiara Carrozza
Salute – Beatrice Lorenzin
Lavoro e Politiche sociali – Enrico Giovannini
Ambiente – Andrea Orlando
Beni culturali e Turismo- Massimo Brai
Coesione territoriale – Carlo Trigilia
Politiche comunitarie – Anna Maria Bernini
Affari regionali, sport e turismo – Graziano Delrio
Pari opportunità, sport, politiche giovanili – Iosefa Idem
Rapporti con il Parlamento – Dario Franceschini
Integrazione – Cecile Kyenge
Pubblica Amministrazione- Giampiero D’Alia