La moda italiana piace (fin troppo…) all’estero

L’ultimo studio effettuato da Pambianco, relativo alle operazioni di Mergers and acquisitions in tutto il mondo, certifica una volta per tutte il rinnovato sex appeal dei marchi della Moda e del Lusso made in Italy fra i grandi gruppi internazionali che fanno a gara per accaparrarseli

Le operazioni di private equity sono globalmente sono aumentate dell’8% rispetto all’anno scorso con 81 operazioni M&A realizzate fino a settembre di quest’anno, contro le 75 dello stesso periodo del 2012. Gli acquirenti nei settori d’eccellenza della Moda e del Lusso sono sempre meno aziende industriali, ma sempre più soggetti finanziari e holding.

Dallo studio non può non emerge come nel nostro Paese le prede più ambite finiscono inevitabilemente in mano straniera: Pomellato, la celebre  azienda orafa fondata da Pino Rabolini sul finire degli anni ’60, acquisita dalla holding Kering, Loro Piana, leader mondiale nella lavorazione del cashmere, della vigogna e della lane extrafini, passata nelle mani della Lvmh e la pelletteria di lusso Valextra acquistata da Neo Capital, fondo di investimento londinese. Modesta, per usare un eufemismo, invece, la presenza di operazioni all’estero da parte di soggetti compratori italiani, con solo tre operazioni: la cantina trentina Cavit ha rilevato gli spumanti Kessler, marchio storico del mercato tedesco, La Rinascente ha acquisito il department store Illum in Danimarca e Tip, l’ente finanziario italiano fondato nel 1999 dal banchiere di affari Giovanni Tamburi, ha acquisito una partecipazione del 20% nella catena francese di mobili d’alta gamma Roche Bobois.

La moda Made in Italy vince anche a Piazza Affari

Il lusso Made in Italy corre anche in borsa, dove i titoli della moda che conta sembrano avviati verso un’inarrestabile ascesa, anche e soprattutto nel prossimo autunno.
A determinare il successo a Piazza Affari sono state anche le numerose acquisizioni e fusioni, annunciate e non, e poco importa se il ruolo giocato dai marchi è stato quello dei predatore o della preda.

Qualche esempio pratico è quello di Tod’s, che ha guadagnato il +48,7%, Ferragamo il 52,8%, Luxottica il 31,5%, Brunello Cucinelli il 68,7% e Damiani il 19,3%.
Si tratta di segni più che positivi, in grado di sbaragliare anche la più rosea delle previsioni.

Ora che si apprestano ad affrontare gli ultimi mesi dell’anno, sembra che la strada dei grandi marchi sia sempre più spianata, complici due congiunture che, nell’avversità della crisi, si sono rivelate ottime alleate: la debolezza dell’euro, soprattutto rispetto al dollaro, dovrebbe aiutare a mantenere intatti i flussi commerciali verso gli Usa, mentre la crisi, tuttora in corso, potrebbe contribuire a creare nuove opportunità di merger & acquisition, fattore che alimenta la speculazione.

Le stime più eclatanti riguardano Tod’s, che secondo gli esperti di Citigroup il titolo potrebbe arrivare fino a 158 euro, grazie alla buona gestione della società e al legame con Lvmh: il presidente del gruppo del lusso francese, Bernard Arnault, possiede il 3,5% di Tod’s, e il numero uno Diego Della Valle fa parte del cda di Lvmh dal 2002.

Discorso analogo anche per Luxottica, poiché anche in questo caso viene visto di buon occhio “il potenziale di m&a che aggiunge appeal ai fondamentali solidi del gruppo“.
La società di Leonardo Del Vecchio potrebbe fare la parte della predatrice, con una notevole espansione dal punto di vista commerciale.

La questione è invece diversa per quanto riguarda Ferragamo, considerata a buon prezzo ma ancora senza nessun papabile partner. Secondo il Credit Suisse, che ha abbassato il target in area 24 euro, con il 77,63% del capitale saldamente in mano alla famiglia del fondatore l’azienda è tutto meno che scalabile.

Si prevede in questo caso un cambio di rotta, che potrebbe portare anche ad un’espansione nei mercati emergenti di Cina e Russia.
Il primo nome a cui si fa riferimento è quello di Brunello Cucinelli, la società simile a Loro Piana, che tratta a premio rispetto ai valori della cugina biellese, nonostante il fatturato sia più modesto.

Vera MORETTI

Made in Italy: il cibo sorpassa la moda

Non solo la moda, ma anche il cibo italiano è considerato di lusso, tanto che i colossi stranieri fanno a gara per accaparrarsi piccole (e grandi) fette di italianità.

Ultimo in ordine di tempo è stato Cova, mitica e leggendaria pasticceria milanese che sorge nel quadrilatero della moda, rilevata dalla solita Lvmh di Bernardi Arnault.

Ma c’è chi resiste alle sirene estere e giura che mai venderà il suo marchio.
Primo tra questi è Francesco Paolo Fulci, presidente della Ferrero, l’azienda che ha inventato la Nutella: “Vendere? Ma mai e poi mai. Glielo assicuro: Michele Ferrero si farebbe tagliare un braccio piuttosto. Ha costruito l’azienda con tanta passione, intelligenza e anche spirito di patria. Su 25 mila dipendenti, un terzo sono in Italia e in 65 anni di vita dell’azienda non c’è mai stato un giorno di sciopero o di cassa integrazione“.

Ma non si tratta dell’unico storico brand legato al cibo che rimane ancorato alle tradizioni, perché anche alla Barilla sono della stessa opinione, segnale che, in effetti, il settore sta attraversando un periodo molto florido, tanto da bagnare il naso ad abbigliamento ed accessori, finora primi nella lista dei desiderata dei turisti.

Si attendono dunque al varco i marchi della moda, come Armani, Versace e Valentino e ci si chiede se, per caso, non abbiano intenzione di quotarsi in borsa, magari ad Hong Kong come ha fatto Prada o se per caso non stiano pensando di vendere quote di minoranza, come sembra Valentino.

Ma, ammesso e non concesso che qualche brand sia in vendita, a chi conviene cedere parte della società, e dei profitti?
Se, infatti, gli italiani eccellono in creatività, non contemplano la possibilità di dover rinunciare, anche se in parte, alla propria sovranità: questione di mentalità? Probabilmente sì, ma questo potrebbe essere un limite che non permette di aprire altri ed interessanti orizzonti.

C’è, ad esempio, il Fondo strategico italiano, che mira ad investire con partecipazioni di minoranza in società sane che vogliono crescere.
Nei mesi scorsi, il Fondo ha avviato una partnership con la Finiper di Marco Brunelli, cioè in quella grande distribuzione di cui l’agroalimentare ha assoluto bisogno per poter crescere.
Purtroppo la Gdo italiana si ferma alle Alpi, mentre quella tedesca è in tutta Europa e quella inglese e francese si estende fino all’Asia. Se si estendesse anche quella tricolore potrebbe spingere vino e olio, per citare due settori molto dinamici per esempio in Cina.

Le società che potrebbero approfittare di questo trend sono quelle già avviate ma che devono crescere ancora, con un imprenditore sufficientemente giovane.
Ecco che spuntano i nomi di Sandro Veronesi di Calzedonia, Brunello Cucinelli, Riccardo e Andrea Illy del caffè omonimo, che pare stia avviando una partnership con Kimbo per un sistema di capsule comune per l’espresso di casa.
E ancora Claudio Luti di Kartell, gli Antinori o i Frescobaldi nel vino.
A proposio di vino, Cavit ha appena annunciato l’acquisto di Kessler, storica cantina tedesca.

Insomma, il futuro è dietro l‘angolo.

Vera MORETTI