Raimondi nuovo brand manager di Lvmh

Dal 1 settembre Corrado Raimondi, già brand general manager di L’Oréal, Sara Lee e Adidas, sostituirà Beniamino Garofalo, che comunque rimarrà nel gruppo, alla guida di Lvmh Fragrance Brands Italia, divisione italiana di Lvmh Perfumes & Cosmetics finalizzata allo sviluppo e commercializzazione delle fragranze del gruppo Givenchy, Kenzo e Fendi.

La nomina del manager – che dovrà coordinare i servizi commerciali, marketing, comunicazione e training – è stata annunciata dai giorni scorsi da Patrizio Stella amininistratore delegato di LVMH Italia per la divisione profumi e cosmetici.

Il nuovo brand general manager avrà il compito di proseguire e accelerare il processo di consolidamento delle marche sul mercato cosmetico selettivo italiano, coordinando i servizi commerciale, marketing, comunicazione e training.

JM

I marchi agroalimentari italiani sempre più in mani straniere

Il Made in Italy sta diventando sempre più straniero, anche nel settore agroalimentare.

Dall’inizio di questa situazione di difficoltà, infatti, è arrivato a 10 miliardi il valore dei marchi storici dell’agroalimentare italiano che sono passati in mani straniere.
Ultimo della lista è pasta Garofalo, venduto agli spagnoli.

L’antico Pastificio Lucio Garofalo, infatti, ha siglato un accordo preliminare per l’ingresso nella propria compagine azionaria, con il 52% del capitale sociale, di Ebro Foods, gruppo multinazionale che opera nei settori del riso, della pasta e dei condimenti, quotato alla Borsa di Madrid.

Ma, come detto anche dal presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, si tratta di uno dei tanti, preceduto in ordine di tempo da Bertolli, acquisito dal fondo statunitense CVC Capital Partners, dopo che lo storico marchio era già stato venduto all’Unilever per poi essere acquisita dal gruppo spagnolo SOS.

Tra le cessioni che avevano più sollevato polemiche e polveroni, c’era stata anche quella della storica Pasticceria Confetteria Cova al colosso francese LVMH e soprattutto dell’azienda vinicola Casanova La Ripintura di Greve in Chianti, passata in mani cinesi.

Ma l’elenco è purtroppo ben più lungo, e comprende anche marchi leggendari per il nostro Made in Italy, come Riso Scotti, diventato per il 25% di proprietà dello spagnolo Ebro Foods, ma anche Gancia, casa storica per la produzione di spumante, che è per il 70% dell’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard.

A questo proposito, Roberto Moncalvo ha dichiarato: “I grandi gruppi multinazionali che fuggono dall’Italia della chimica e della meccanica investono invece nell’agroalimentare nazionale perché, nonostante il crollo storico dei consumi interni, fa segnare il record nelle esportazioni grazie all’immagine conquistata con i primati nella sicurezza, nella tipicità e nella qualità. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo è la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero. Un processo di fronte al quale occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”.

Vera MORETTI

Mayhoola acquisisce anche Pal Zileri

All’estero il Made in Italy ha un notevole appeal, soprattutto quando si tratta di moda.
E’ passato solo un anno da quando Mayhoola, gruppo proveniente dal Qatar, ha comprato, per la cifra di 700 milioni di euro, la maison Valentino, ma ora torna alla carica con un brand che fa capo alla vicentina Forall, ovvero Pal Zileri e i suoi abiti sartoriali.

Mayhoola for Investment è un veicolo che fa capo ai reali del Qatar ed è una società di partecipazioni che punta a comprare brand noti del lusso e del fashion. In questo campo, si sa, l’Italia non ha eguali, e in Qatar lo sanno bene.

Per la moda Made in italy, infatti, non si tratta certo di una novità, poiché sono tanti, ormai, i gruppi di investitori stranieri ingolositi dall’idea di accaparrarsi dei maggiori marchi nostrani, che spesso, grazie a tradizione e manifattura, non hanno bisogno di presentazioni.

Così hanno pensato i due colossi francesi Lvmh e Kering, che hanno messo le mani sul lusso italiano, impossessandosi rispettivamente di Bulgari e Gucci, tra gli altri.
Queste manovre finora hanno portato un notevole flusso di denaro in Italia ma, data la situazione attuale, si rischia che altri marchi storici che hanno fatto la storia d’Italia vengano venduti in saldo.
E questo sarebbe un male, per l’economia italiana ma anche per il Made in Italy.

Vera MORETTI

La moda Made in Italy vince anche a Piazza Affari

Il lusso Made in Italy corre anche in borsa, dove i titoli della moda che conta sembrano avviati verso un’inarrestabile ascesa, anche e soprattutto nel prossimo autunno.
A determinare il successo a Piazza Affari sono state anche le numerose acquisizioni e fusioni, annunciate e non, e poco importa se il ruolo giocato dai marchi è stato quello dei predatore o della preda.

Qualche esempio pratico è quello di Tod’s, che ha guadagnato il +48,7%, Ferragamo il 52,8%, Luxottica il 31,5%, Brunello Cucinelli il 68,7% e Damiani il 19,3%.
Si tratta di segni più che positivi, in grado di sbaragliare anche la più rosea delle previsioni.

Ora che si apprestano ad affrontare gli ultimi mesi dell’anno, sembra che la strada dei grandi marchi sia sempre più spianata, complici due congiunture che, nell’avversità della crisi, si sono rivelate ottime alleate: la debolezza dell’euro, soprattutto rispetto al dollaro, dovrebbe aiutare a mantenere intatti i flussi commerciali verso gli Usa, mentre la crisi, tuttora in corso, potrebbe contribuire a creare nuove opportunità di merger & acquisition, fattore che alimenta la speculazione.

Le stime più eclatanti riguardano Tod’s, che secondo gli esperti di Citigroup il titolo potrebbe arrivare fino a 158 euro, grazie alla buona gestione della società e al legame con Lvmh: il presidente del gruppo del lusso francese, Bernard Arnault, possiede il 3,5% di Tod’s, e il numero uno Diego Della Valle fa parte del cda di Lvmh dal 2002.

Discorso analogo anche per Luxottica, poiché anche in questo caso viene visto di buon occhio “il potenziale di m&a che aggiunge appeal ai fondamentali solidi del gruppo“.
La società di Leonardo Del Vecchio potrebbe fare la parte della predatrice, con una notevole espansione dal punto di vista commerciale.

La questione è invece diversa per quanto riguarda Ferragamo, considerata a buon prezzo ma ancora senza nessun papabile partner. Secondo il Credit Suisse, che ha abbassato il target in area 24 euro, con il 77,63% del capitale saldamente in mano alla famiglia del fondatore l’azienda è tutto meno che scalabile.

Si prevede in questo caso un cambio di rotta, che potrebbe portare anche ad un’espansione nei mercati emergenti di Cina e Russia.
Il primo nome a cui si fa riferimento è quello di Brunello Cucinelli, la società simile a Loro Piana, che tratta a premio rispetto ai valori della cugina biellese, nonostante il fatturato sia più modesto.

Vera MORETTI

Made in Italy: il cibo sorpassa la moda

Non solo la moda, ma anche il cibo italiano è considerato di lusso, tanto che i colossi stranieri fanno a gara per accaparrarsi piccole (e grandi) fette di italianità.

Ultimo in ordine di tempo è stato Cova, mitica e leggendaria pasticceria milanese che sorge nel quadrilatero della moda, rilevata dalla solita Lvmh di Bernardi Arnault.

Ma c’è chi resiste alle sirene estere e giura che mai venderà il suo marchio.
Primo tra questi è Francesco Paolo Fulci, presidente della Ferrero, l’azienda che ha inventato la Nutella: “Vendere? Ma mai e poi mai. Glielo assicuro: Michele Ferrero si farebbe tagliare un braccio piuttosto. Ha costruito l’azienda con tanta passione, intelligenza e anche spirito di patria. Su 25 mila dipendenti, un terzo sono in Italia e in 65 anni di vita dell’azienda non c’è mai stato un giorno di sciopero o di cassa integrazione“.

Ma non si tratta dell’unico storico brand legato al cibo che rimane ancorato alle tradizioni, perché anche alla Barilla sono della stessa opinione, segnale che, in effetti, il settore sta attraversando un periodo molto florido, tanto da bagnare il naso ad abbigliamento ed accessori, finora primi nella lista dei desiderata dei turisti.

Si attendono dunque al varco i marchi della moda, come Armani, Versace e Valentino e ci si chiede se, per caso, non abbiano intenzione di quotarsi in borsa, magari ad Hong Kong come ha fatto Prada o se per caso non stiano pensando di vendere quote di minoranza, come sembra Valentino.

Ma, ammesso e non concesso che qualche brand sia in vendita, a chi conviene cedere parte della società, e dei profitti?
Se, infatti, gli italiani eccellono in creatività, non contemplano la possibilità di dover rinunciare, anche se in parte, alla propria sovranità: questione di mentalità? Probabilmente sì, ma questo potrebbe essere un limite che non permette di aprire altri ed interessanti orizzonti.

C’è, ad esempio, il Fondo strategico italiano, che mira ad investire con partecipazioni di minoranza in società sane che vogliono crescere.
Nei mesi scorsi, il Fondo ha avviato una partnership con la Finiper di Marco Brunelli, cioè in quella grande distribuzione di cui l’agroalimentare ha assoluto bisogno per poter crescere.
Purtroppo la Gdo italiana si ferma alle Alpi, mentre quella tedesca è in tutta Europa e quella inglese e francese si estende fino all’Asia. Se si estendesse anche quella tricolore potrebbe spingere vino e olio, per citare due settori molto dinamici per esempio in Cina.

Le società che potrebbero approfittare di questo trend sono quelle già avviate ma che devono crescere ancora, con un imprenditore sufficientemente giovane.
Ecco che spuntano i nomi di Sandro Veronesi di Calzedonia, Brunello Cucinelli, Riccardo e Andrea Illy del caffè omonimo, che pare stia avviando una partnership con Kimbo per un sistema di capsule comune per l’espresso di casa.
E ancora Claudio Luti di Kartell, gli Antinori o i Frescobaldi nel vino.
A proposio di vino, Cavit ha appena annunciato l’acquisto di Kessler, storica cantina tedesca.

Insomma, il futuro è dietro l‘angolo.

Vera MORETTI

Fendi: un secolo di eccellenza Made in Italy

Un progetto itinerante per far conoscere la sua ormai quasi secolare storia: così Fendi ha deciso di celebrare la longevità e i successi del suo marchio.
Dal lontano 1918, quando era solo un laboratorio di pellicceria gestito da Adele Casagrande, futura moglie di Edoardo Fendi, sposato nel 1925, ne è passata di acqua sotto i ponti, ed oggi il brand, dall’apertura della prima bottega romana in via del Plebiscito, è conosciuto a livello internazionale.

In realtà, la fama è arrivata verso la metà del ‘900, con l’approdo al mercato estero, allora considerato un vero e proprio salto nel buio, e si è poi consolidata con la generazione successiva, quella delle cinque sorelle Fendi, fino ad arrivare all’importante e prestigiosa collaborazione con Karl Lagerfeld, che oggi, insieme a Silvia Venturini Fendi, ha in mano la gestione dell’azienda, passata nel frattempo nelle mani del gruppo LVMH.

L’eccellenza del Made in Italy porta sicuramente anche il marchio di Fendi e, per questo, per dare l’opportunità a quanti più spettatori possibili di sfogliare un album dei ricordi ricco di eventi e successi, è nata l’idea a Emanuela Nobile Mino di Un Art Autre, progetto itinerante che vuole illustrare la capacità della maison di coltivare la relazione tra arti e mestieri, cavalcando il senso della creatività in tutte le sue declinazioni.

Prima tappa di questo eccezionale tour è il The Art University Museum di Tokyo, dove l’allestimento è firmato MdAA, studio di architetti associati.
Si tratta di tre ambienti separati, il primo dei quali è uno spazio multi-sensoriale che interpreta le caratteristiche principali dell’azienda: leggerezza, policromia e avanguardia diventano elementi tangibili, percettivi, con cui tradurre un nuovo concetto di lusso.
Il secondo ambiente, quello in cui prende parte la vera e propria esposizione, presenta 24 capi iconici creati tra il 1970 e il 2013: un percorso animato da rivoluzioni estetiche, stilistiche e tecnologiche, ma da cui emergono alcune costanti del marchio, come l’equilibrio fra tradizione e sperimentazione.
La terza area è dedicata all’importanza dell’artigianalità nella filosofia creativa di Fendi.

Il percorso espositivo è inoltre sottolineato da un’installazione luminosa e dinamica di Johanna Grawunder, designer americana con base a Milano, e una colonna sonora composta dalla deejay Flavia Lazzarini.

Vera MORETTI

Made in Italy sì, ma venduto all’estero

La definizione “Made in Italy” fa spesso rima con lusso e si riferisce a griffe che per lo più producono all’estero o appartengono a grossi gruppi fashion stranieri, come PPR e LVMH.

Ma, accanto a questo, esiste un altro Made in Italy, che potrebbe essere considerato quello “vero”, che si basa su una produzione effettuata al 100% in Italia ed esportata all’estero solo successivamente.
Esempi concreti sono i brand Stefano Ricci, Roberto Botticelli e la Attilio Giusti Leombruni, che hanno il loro giro d’affari compreso tra Usa e Vecchio continente, ma anche verso i Paesi emergenti come Cina ed Europa dell’Est.

Si tratta di marchi che, oltre ad esportare i loro prodotti, sono bandiere del “saper fare” tutto italiano, quello che si basa su tradizione ed artigianalità.
Grazie a questi valori, all’estero stanno imparando a riconoscere, e a pretendere, la qualità local, come il fatto a Firenze e preferibilmente a mano.

Tra i prodotti simbolo di questa filosofia ci sono le calzature di alta gamma, che si rivolgono ad un pubblico di acquirenti di alto rango, perché difficile da duplicare e quindi del tutto autentica.
Un altro, concreto esempio, è quello delle borse Felisi, made in Ferrara, ma presente in Italia in una percentuale molto piccola, ma con un giro d’affati internazionale che si aggira attorno ai 10 milioni di euro.

Vera MORETTI

Montenapoleone, crescita a due cifre sotto l’albero

 

Natale 2012 sotto il segno più per le scintillanti boutique del Quadrilatero della Moda milanese. Se è vero che Natale viene una volta all’anno, meglio approfittarne, almeno per la clientela di Montenapoleone: tanti gli italiani, tantissimi i turisti stranieri che sceglieranno i loro regali da mettere sotto l’albero tra via Sant’Andrea e Via della Spiga.

Infoiva ha intervistato Guglielmo Miani, Presidente dell’Associazione di Via MonteNapoleone per parlare di trend di acquisti, tempo di saldi e cosa aspettarsi per il 2013.

Avete già delle previsioni su quali saranno i trend dei consumi nel Quadrilatero della Moda per il prossimo Natale?
Partiamo da un dato relativo al Natale 2011 piuttosto negativo, con una flessione degli acquisti che si era attestata attorno al -5%, dovuto principalmente all’introduzione della Legge Monti sul tetto dei 1000 euro imposto a chi utilizza contanti per il pagamento. Alla flessione natalizia è seguita, da gennaio a ottobre 2012, una crescita dei consumi di oltre il 30%, grazie soprattutto agli stranieri. Il fattore straniero ha controbilanciato un calo di spesa degli italiani, dovuto soprattutto al fattore psicologico. Mi spiego meglio: la clientela tipica di Montenapoleone non ha dei problemi di spesa, ma più che altro a giocare a sfavore è stato il fattore psicologico legato alle azioni della guardia di finanza; anche i consumatori e i clienti in regola si sono sentiti intimoriti dai continui controlli. Venendo al Natale 2012, e alle previsioni di spesa, le stime sono più che positive: crediamo in un segno più, che si dovrebbe attestarsi tra il 5 e 10%.

Come mai prevete un segno più?
Perché da un lato viene meno quel freno psicologico di cui parlavo prima, e dall’altro per un senso di ‘solidarietà’ verso il momento: i clienti che si sono trattenuti e hanno speso nei 6 mesi precedenti, adesso vogliono riprendere a spendere.

Ritorniamo alla questione sul tetto imposto dei 1000 euro per la spesa in contanti. E’ notizia di qualche giorno fa, che grossi brand del lusso come LVMH e Damiani hanno dichiarato un calo delle vendite del 20% in Italia nel 2012, imputando in gran parte la flessione al limite per la spesa in contanti imposto dal decreto Salva Italia. Confermate questo dato? E che conseguenze ha avuto o avrà sugli acquisti (soprattutto di compratori stranieri) nel Quadrilatero della Moda?
Montenapoleone è cresciuta grazie agli stranieri e invece ha perso italiani: in primo luogo perchè entrano in gioco le dinamiche psicologiche a cui accennavo prima, che hanno come conseguenza un rallentamento dei consumi interni, e dall’altro lato una legge che impone un tetto sull’uso dei contanti di certo non li stimola. Faccio un esempio: soprattutto sotto Natale molte coppie o famiglie che hanno conti cointestati non gradiscono il fatto di non poter pagare in contanti, e quindi essere costretti a far conoscere al coniuge entità e tipologia dell’acquisto. Non solo: il tetto imposto all’uso dei contanti penalizza soprattutto la clientela straniera. Grazie all’Associazione Montenapoleone la legge è stata derogata a febbraio 2012, innalzando il tetto massimo di spesa in contanti a 15 000 euro, per i clienti stranieri extra Cee, che però include una complessa procedura, dove lo straniero si trova a compilare numerose autocertificazioni, a fornire dati personali, che certo non facilitano e invogliano l’acquisto. Credo che se vogliamo essere europei dobbiamo allinearci all’Europa, per facilitare i consumi in un momento di crisi, è impensabile ‘autopunirsi’ con una legge restrittiva che non stimola i consumi e ha l’unico effetto di favorire il turismo in altri Paesi dove non vi siano limiti imposti.

Ma confermate anche voi i dati sulle perdite dei grandi marchi del lusso?
Confermo la perdita dei grandi gruppi stranieri che chiaramente, facendo valutazioni prettamente di business, se investono in un Paese l’investimento deve essere remunerativo. Una legge come quella sul tetto ai contanti ha come conseguenza ulteriore, sul lungo termine, di inibire gli investimenti di capitali stranieri, non solo dei grandi gruppo ma anche dei clienti, che preferiscono puntare su Londra e Parigi.

In che percentuale le boutique di Montenapoleone aderiranno all’ iniziativa delle promozioni anticipate pre Natale? Secondo lei si tratta di una valida iniziativa?
No, come associazione abbiamo mantenuto la linea tradizionale dei saldi a gennaio, così come hanno fatto i nostri marchi, con qualche eccezione perchè alcuni grandi marchi hanno deciso di fare promozioni speciali, magari per i loro clienti più affezionati. Non avere saldi anticipati permette ai clienti che hanno acquistato prima di sentirsi tutelati e ai marchi di vedere salvaguardato il valore dei propri prodotti. Le promozioni anticipate non rappresentano assolutamente per noi un’opportunità interessante, perchè è bello poter iniziare i saldi tutti insieme, perché è una tradizione per Milano, perché la maggior parte degli stranieri prenota con mesi di anticipo voli e soggiorno per recarsi a Milano proprio nella settimana di inizio dei saldi.

Capitolo saldi: sono ancora il salvagente di una stagione, o la gente non ne ha più nemmeno per aspettare il 5 gennaio?
Il saldo nasce con l’obiettivo di tutelare la merce invenduta a fine una stagione. La clientela dei saldi è abbastanza specifica perché i consumatori dedicano un budget preciso a questa tipo di spesa: secondo le nostre previsioni i saldi di quest’anno saranno in linea con quelli dell’anno precedente. La zona di Montenapoleone continua a crescere a due cifre, nonostante la crisi, sicuramente il nostro è un dato in controtendenza.

Il 2013 sarà l’anno delle elezioni. Quali politiche chiedete al governo attuale, nella sua ultima fase, e a quello nuovo per rilanciare il sistema Paese?
Una su tutte: promozione del turismo, che vuole dire la cancellazione di una legge miope come quella sul tetto ai contanti e l’impulso all’incremento di attività e iniziative che abbiamo l’obiettivo di promuovere il turismo in Italia di cittadini provenienti dai Paesi in maggiore crescita. Due Paesi in particolare, Cina e Russia, hanno fatto registrare nel solo 2012 numeri importanti nelle vendite: la Cina ha segnato una crescita del 60% del fatturato, mentre la Russia del 35%, in aumento.

Alessia CASIRAGHI

Forbes 2012: chi è l’uomo più ricco del mondo?

di Alessia CASIRAGHI

Il più ricco vanta un patrimonio da 69 miliardi di dollari, il più giovane ha 27 anni, il più vecchio 92. La prima donna si è aggiudicata l’11mo posto, il primo italiano il 23mo. Di cosa stiamo parlando? Dell’annuale classifica stilata dalla rivista americana Forbes, numeri da far girare la testa.

Al primo posto troviamo Carlos Slim: è messicano l’uomo più ricco del mondo, il magnate delle telecomunicazioni che vanta una fortuna stimata attorno ai 69 miliardi di dollari. (Solo) 61 miliardi di dollari per Bill Gates, il fondatore di Microsoft si deve accontentare della medaglia d’argento, mentre sul podio, in terza posizione, troviamo il Presidente di Berkshire Hathaway, l’oracolo di Omaha Warren Buffet. La sua fortuna accumulata? Un patrimonio da 44 miliardi di dollari.

Al quarto posto il primo europeo:è  il patron di LVMH Bernard Arnault che vanta una fortuna pari a 41 miliardi di dollari. Scorrendo la classifica, si incappa in altri due nomi di colossi della moda, questa volta low cost: Amancio Ortega, fondatore della catena spagnola Zara, con un patrimonio da 37,5 miliardi di dollari, e lo svedese Stefan Persson, figlio del fondatore di Hennes & Mauritz , nota al grande pubblico come H&M, con 26 miliardi di dollari.

Il primo fra gli italiani? E’ ancora una volta Michele Ferrero, al 23mo posto con un patrimonio di circa 14 miliardi di dollari. Il secondo paperone d’Italia è invece Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica, al 74mo posto con 11,5 miliardi, seguito da Re Giorgio Armani, che si è dovuto accontentare del 127mo con 7,2 miliardi di dollari.
Prima fra le donne, almeno in Italia, Miuccia Prada, al 139mo posto con 6,8 miliardi. Occorre scendere alla posizione 169 per trovare Silvio Berlusconi, con una fortuna stimata attorno ai 5,9 miliardi di dollari.

E le donne? La donna più ricca del mondo è Christy Walton, all’11mo con 25,3 miliardi di dollari, grazie alla catena di supermercati di famiglia Wal Mart. Al 15mo posto la donna più ricca d’Europa, e la più ricca di Francia dopo Arnault, Liliane Bettencourt, l’unica figlia ed erede di Eugène Schueller, fondatore del band di cosmesi L’Oréal, con una fortuna di 25,3 miliardi di dollari.

Ma nella classifica di Forbes non mancano le self made women: c’è la giornalista cinese Wu Yajun, attiva nel settore immobiliare che ha costruito una fortunata pari a 5,7 miliardi di dollari. Da citare anche l’americana Sara Blakely, creatrice del marchio di lingerie Spanx, che ha trasformato in pochi anni un investimento iniziale di 5000 dollari in un patrimonio di oltre 1 miliardo di dollari.

E ancora, sapete qual è il miliardario più giovane? Ha 27 anni, ma non è Mark Zuckerberg. Si perché il più giovane in assoluto nella classifica di Forbes è Dustin Moskovitz, 3,5 miliardi di dollari, e solo 8 giorni in meno del suo capo, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Mr Facebook è al 35mo posto con 17,5 miliardi di dollari. Prima di lui, tra gli under 40, troviamo Sergey Brin, il cofondatore di Google, che si aggiudica insieme al collega Larry Page, il 24mo posto della classifica con una fortuna stimata a 18,7 miliardi di dollari. Età? 38 anni.

Anche i ricchi piangono. Il 2012 non è stato di certo un anno facile anche per multimiliardari: si stima che 441 abbiano perso la propria fortuna negli ultimi 12 mesi, anche se 461 hanno al contrario aumentato il proprio patrimonio. E non a caso quest’anno Forbes ha contato un numero di miliardari da record nel mondo: gli uomini più ricchi del pianeta sono 1.226, vale a dire l’1% in più rispetto all’anno scorso.