L’ export agroalimentare italiano crolla in Russia

Che l’embargo dei prodotti italiani imposto alla Russia dopo la crisi ucraina sia stato una mazzata per il nostro export agroalimentare e non è un dato di fatto certificato, ora, anche dai numeri.

Secondo un’analisi sulla base dei dati Istat relativi al mese di novembre 2014, rispetto allo stesso periodo dello 2013, è crollato del 23% in un mese l’ export agroalimentare e non di prodotti made in Italy in Russia. Un tracollo dovuto, oltre all’embargo, anche al drastico rallentamento dell’economia russa e al deprezzamento del rublo, che ha ridimensionato le previsioni sul Pil di Mosca: la stima del 3,5% per il 2015 è calata al -3%, mentre dal 2,5% per il 2016 si è passati al -1%.

Secondo l’analisi Istat, l’ export agroalimentare è stato il più colpito, dal momento che l’embargo ha bloccato l’ingresso in Russia per molti prodotti agroalimentari, ma le perdite che si sono registrate sono notevoli anche in altri comparti. Nello specifico, oltre al -66% per l’ export agroalimentare, è stato segnato -82% negli autoveicoli, -21% per i mobili e -27% nel tessile.

Ad aggravare la situazione per l’ export agroalimentare, fanno sapere da Coldiretti Giovani, in Russia è in atto una vera “svalutazione dell’immagine e del mercato Made in Italy”, causata dalla diffusione delle imitazioni di prodotti tipici dell’enogastronomia italiana. Un boom di prodotti Made in Italy taroccati che, dicono da Coldiretti Giovani, “non hanno nulla a che fare con il Bel Paese”. Ed è un boom che preoccupa…

Contraffazioni alimentari sotto il tiro del ministero

È lotta senza quartiere contro le contraffazioni alimentari. In prima linea c’è il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il quale ha reso noto che l’Ispettorato repressione ha aperto ben 142 procedure di infrazione in tutta Europa e sul web dall’inizio dell’anno a oggi, nell’ambito della forte attività di contrasto alle contraffazioni alimentari e all’uso illecito delle denominazioni e al falso made in Italy.

Le contraffazioni alimentari contro le quali ha ritenuto di procedere l’Ispettorato repressione riguardano alcuni tra i prodotti agroalimentari italiani più celebri e diffusi nel mondo. A solo titolo di esempio, il ministero ha segnalato contraffazioni alimentari nella vendita di finto olio toscano Igp in Gran Bretagna, di Parmesan grattugiato in Danimarca e di formaggi chiamati La Grana e Asiago ma prodotti nientemeno che in Lettonia. Per non parlare dell’aceto balsamico di Modena non certificato commercializzato in Belgio e Francia.

Particolarmente soddisfatto di questo bilancio della lotta alle contraffazioni alimentari è il ministro Maurizio Martina: “Abbiamo incrementato fortemente il contrasto alle frodi sul web e siamo il Paese che più di tutti in Europa utilizza le norme a tutela dei prodotti a denominazione. Le operazioni dell’Ispettorato repressioni frodi rappresentano un risultato importante nella lotta al falso Made in Italy, con numeri che segnano un record rispetto al passato. In particolare, va sottolineata l’attività di contrasto alle usurpazioni di denominazioni sul web, che sta vivendo una fase nuova grazie soprattutto al Protocollo di intesa che abbiamo sottoscritto lo scorso maggio con eBay. Quasi 90 delle procedure di infrazione sono relative infatti a illeciti online”.

Il Made in Italy funziona se rimane… Italiano!

 

Sarà paradossale, ma è così: nel 2013 i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale hanno prodotto il 67% dei loro beni all’estero. Questo è quello che emerge dallo studio di Mediobanca diffuso nei giorni scorsi, dal titolo «Dati cumulativi di 2050 società italiane».

Secondo l’analisi dell’istituto di credito italiano fondato appena terminato il secondo conflitto mondiale, inoltre, le acquisizioni di aziende storiche che hanno fatto la fortuna del Made in Italy nel mondo, dalla moda all’abbigliamento, da parte di investitori stranieri danno risultati inferiori alle attese. Dal 2008 a oggi, il fatturato è sceso dello 0,8% per il Made in Italy rimasto nelle mani dei nostri connazionali e invece molto di più (addirittura la cifra record dell’11,1%) per le aziende finite in mani straniere, che oltretutto, ma questa non è una novità, non si fanno scrupoli a tagliare l’occupazione: -10,6% negli ultimi 6 anni.

Nonostante tutto, il totale delle 2050 imprese su cui è stata effettuata l’indagine, incredibilmente, ha chiuso il 2013 in sostanziale equilibrio economico: le pubbliche, in particolare, hanno chiuso leggermente in positivo (+0,3%) grazie a ricavi sostenuti dalle tariffe, al contributo rilevante della gestione finanziaria cha ha raddoppiato quella industriale, al minore costo del debito (4,4% nel 2013, contro 6,4% dei privati) e a una fiscalità in media favorevole.

JM