Lavoratori dello spettacolo, le nuove regole per maternità, malattie, infortuni e pensioni

Per i lavoratori dello spettacolo dallo scorso 1° luglio sono arrivare le nuove regole che riguardano la maternità, la malattia, l’infortunio, la disoccupazione, i contributi e le pensioni. Il nuovo sistema di welfare per i lavoratori dello spettacolo è diventato legge con la conversione del decreto “Sostegni bis” nella legge numero 106 del 2021.

Cosa cambia per i lavoratori dello spettacolo con il nuovo welfare?

Più nel dettaglio, ci si chiede cosa sia cambiato per i lavoratori dello spettacolo con le nuove regole del welfare. Innanzitutto, gli interessati possono godere di un rafforzamento delle tutele assistenziali, a partire dalla genitorialità, con la modifica del calcolo delle indennità. Infatti, si è provveduto a modificare il sistema di calcolo delle indennità: l’ammontare giornaliero va parametrato al reddito maturato nei 12 mesi che precedono il periodo indennizzabile. In precedenza il periodo di riferimento era limitato alle ultime 4 settimane.

Nuove tutele assistenziali per i lavoratori dello spettacolo: meno contributi per la malattia

Inoltre, dal 1° luglio sono cambiate le tutele assistenziali per i lavoratori dello spettacolo con la previsione di meno contributi a copertura della malattia. Infatti, per usufruire dell’indennità economica durante la malattia, i contributi giornalieri versati al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo devono essere pari a 40 e non più a 100.  I lavoratori dello spettacolo devono aver versato i contributi a partire dal 1° gennaio dell’anno precedente a quello della malattia stessa.

Retribuzione giornaliera ai fini assistenziali

Passa da 67,14 euro a 100 euro la retribuzione massima giornaliera prevista nei casi assistenziali. La retribuzione massima di 100 euro, dunque, riguarda:

  • le prestazioni e i contributi del Servizio sanitario nazionale;
  • le prestazioni per le indennità economiche della malattia e della maternità.

I lavoratori dello spettacolo, anche autonomi, sono inoltre assicurati presso l’Inail. A tal fine l’adesione è automatica: è sufficiente l’iscrizione al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo.

La disoccupazione dei lavoratori dello spettacolo

Il decreto legge “Sostegni bis” ha introdotto un’importante novità in tema di ammortizzatori sociali. Infatti, è prevista a partire dal 1° gennaio 2022, l’assicurazione per la disoccupazione involontaria dei lavoratori autonomi dello spettacolo, chiamata “Alas“. L’indennità si rende necessaria per l’assenza di veri ammortizzatori sociali a favore di questa categoria di lavoratori autonomi e per l’impossibilità di accesso alla disoccupazione Naspi.

Lavoratori dello spettacolo: come possono accedere alla disoccupazione dal 2022?

Per accedere all’Alas, si richiede:

  • la non esistenza di rapporti di lavoro subordinato o autonomo;
  • l’aver maturato, nell’ultimo anno, almeno 15 giornate di contribuzione;
  • un reddito riferito all’ultimo anno non eccedente i 35.000 euro.

Disoccupazione lavoratori dello spettacolo, a quanto ammonta l’indennità di disoccupazione?

L’indennità di disoccupazione per i lavoratori dello spettacolo, a partire dal 2022, verrà corrisposta mese per mese per un numero di giornate pari alla metà di quelle relative alla contribuzione al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo. Il calcolo delle giornate comprende quelle che vanno dal 1° gennaio del precedente anno fino alla conclusione dell’ultimo rapporto di lavoro.

Lavoratori dello spettacolo: le novità sui contributi previdenziali e sulle pensioni

Novità arrivano dal decreto “Sostegni bis” anche per quanto concerne i contributi previdenziali e le pensioni dei lavoratori dello spettacolo. Si riducono i contributi giornalieri, da 120 a 90, affinché possa essere riconosciuta al lavoratore l’annualità intera di contribuzione. Per gli attori cinematografici e audiovisivi, che in media maturano un numero di giornate inferiore, il calcolo varia. Infatti, per ogni giornata contributiva di versamento al Fondo pensioni ne viene accreditata un’altra, fino al raggiungimento delle 90 previste per la maturazione di un’annualità.

Bonus giornate accreditate ai fini della contribuzione

I lavoratori dello spettacolo che fossero sotto la soglia di reddito e con almeno 45 giornate di contributi, si vedranno accreditare le giornate mancanti fino alla concorrenza delle 90 necessarie. Ai fini pensionistici valgono, inoltre, anche le attività di insegnamento retribuite, quelle di formazione e quelle di promozione degli spettacoli. Infine, i contributi maturati presso altre gestioni previdenziali possono essere ricongiunti nel limite di un terzo dei contributi annuali. Ciò significa che l’annualità di 90 giornate di contributi viene raggiunta con 60 contributi giornalieri presso il Fondo pensioni dei lavoratori dello spettacolo e altre 30 giornate presso altre gestioni previdenziali.

 

Malattia avvocati con Cassa forense: tutto quello che bisogna sapere

Per la malattia avvocati l’ente previdenziale italiano di riferimento è rappresentato dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. E questo perché, nel rispetto delle condizioni previste, gli iscritti in regola con il pagamento dei contributi ai fini previdenziali possono fruire dell’assistenza indennitaria che è legata proprio alla malattia che non permette all’avvocato di esercitare la propria attività professionale.

Indennità di malattia avvocati con la Cassa forense, quali sono le condizioni di accesso

Nel dettaglio, per accedere all’indennità di malattia con la Cassa forense, l’avvocato che è in continuità di iscrizione con l’ente previdenziale, e che è in regola con il pagamento dei contributi ai fini previdenziali, deve essere impossibilitato ad esercitare la propria attività professionale, in maniera assoluta, per un periodo pari ad almeno due mesi. E questo vale non solo in caso di malattia, ai fini dell’accesso all’assistenza indennitaria, ma pure per infortunio.

Malattia avvocati anche in caso di cessazione dell’attività, ecco come e quando

Successivamente al verificarsi dell’evento che dà diritto all’assistenza indennitaria per malattia o per infortunio, inoltre, la prestazione sarà riconosciuta all’avvocato, da parte della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, anche in caso di cessazione dell’attività. E pure in caso di decesso con la prestazione che, nella fattispecie, sarà riconosciuta al coniuge superstite, oppure ai figli a carico, oppure ancora, in mancanza, ai familiari nell’ordine che è previsto dall’articolo numero 433 del Codice Civile.

Diaria giornaliera avvocati per malattia o per infortunio, l’importo ed il massimale

L’indennità avvocati per infortunio o per malattia viene riconosciuta all’iscritto alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per un periodo che è sempre non superiore ai 365 giorni. La prestazione, in particolare, consiste nell’erogazione di una diaria giornaliera avente un importo calcolato in funzione dei redditi professionali che sono stati dichiarati nei tre anni antecedenti all’evento, e comunque con un massimale annuo che, nello specifico, risulta essere fissato dal tetto reddituale pensionabile che è previsto dal regolamento della Cassa sui contributi versati.

Come presentare la domanda di malattia avvocati e la documentazione necessaria

Entro e non oltre due anni dall’evento, pena la decadenza, l’avvocato per ottenere l’indennità per malattia o per infortunio deve inviare la domanda e tutta la documentazione richiesta, via posta elettronica certificata (PEC), alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Per la presentazione dell’istanza, inoltre, l’avvocato può pure chiedere tutto il supporto necessario al proprio Consiglio dell’Ordine di appartenenza.

Oltre alla domanda compilata e sottoscritta, inoltre, l’avvocato per ottenere la diaria da malattia o da infortunio deve allegare pure tutta la documentazione che è necessaria ad attestare il mancato svolgimento dell’attività professionale, la documentazione medica legata all’evento avverso, e pure se, in caso di infortunio, l’avvocato ha beneficiato o comunque beneficerà di un risarcimento per responsabilità di terzi.

La modulistica per la presentazione della domanda si può scaricare online dal sito Internet cassaforense.it distinguendo tra il modulo standard di richiesta di assistenza indennitaria, e quello per la presentazione dell’istanza, invece, da parte degli eredi degli iscritti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

Malattia artigiani e commercianti

Tra i lavoratori con meno tutele, rispetto ai lavoratori dipendenti con un contratto a tempo indeterminato, di certo spiccano in negativo gli artigiani ed i commercianti. Chi svolge in Italia un’attività in proprio, o di lavoro autonomo, per esempio, quando si ammala non solo deve andare a risolvere i propri problemi di salute, ma spesso non è coperto da indennità di malattia. Ed allora, proprio per gli artigiani e per i commercianti, quando si può avere accesso alla malattia?

I servizi di welfare integrativo privato per la malattia artigiani e commercianti

Al riguardo c’è da dire che, in assenza di iscrizione alla Gestione Separata INPS, gli artigiani ed i commercianti sono tagliati fuori dalla malattia. Con la conseguenza che accade molto spesso che il commerciante o l’artigiano che si ammala continui a lavorare.

Oppure, se si è stati previdenti, il commerciante o l’artigiano può accedere ad una indennità di malattia nel caso in cui abbia aderito a servizi di welfare integrativo privato. Per esempio, a tutela della salute dei dipendenti e dei titolari delle imprese artigiane, la Confartigianato ha istituito, con l’appoggio dei Sindacati dei lavoratori, il Fondo Nazionale per l’assistenza sanitaria integrativa.

Allo stesso modo, per gli agenti e per i rappresentanti di commercio che sono iscritti all’Enasarco, c’è la possibilità di accedere alla polizza infortuni e malattia. Si tratta, nello specifico, di una copertura assicurativa che, per tutti gli iscritti all’Enasarco, è gratuita. Mentre la polizza ha un costo quando su richiesta, da parte dell’agente di commercio, questa viene estesa pure al proprio nucleo familiare.

Come si richiede la malattia artigiani e commercianti per gli iscritti all’INPS

Per gli artigiani e per i commercianti iscritti alla Gestione Separata INPS, invece, l’Istituto di previdenza può riconoscere al lavoratore non solo l’indennità di malattia, ma anche l’indennità per degenza ospedaliera. Le modalità di richiesta dell’indennità INPS sono uguali per tutti, e quindi indipendentemente dalla categoria lavorativa di appartenenza.

In particolare, l’accesso all’indennità è subordinato al rilascio, da parte del medico curante, del certificato di malattia. Sarà poi proprio il dottore a trasmettere il certificato di malattia all’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale in modalità telematica. Ed il tutto facendo attenzione nel fornire i dati al medico curante per quel che riguarda, tra l’altro, il domicilio ai fini della reperibilità.

La trasmissione telematica all’INPS del certificato di malattia, inoltre, esonera il lavoratore dall’obbligo di invio dell’attestato al proprio datore di lavoro. Pur tuttavia, precisa altresì l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale attraverso il proprio sito Internet, se la trasmissione telematica del certificato di malattia non è possibile, allora il lavoratore, entro un termine massimo di due giorni dalla data di rilascio, deve presentare all’Inps o inviare il relativo certificato unitamente all’attestato al proprio datore di lavoro.

Per gli iscritti alla Gestione Separata INPS, inoltre, il pagamento dell’indennità, oltre alla trasmissione del certificato di malattia, è subordinato pure alla presentazione della domanda di accesso alla prestazione attraverso il canale online dell’Istituto di previdenza, avvalendosi del supporto e dell’assistenza dei patronati, oppure chiamando il numero verde del contact center multicanale 803164.

Presentismo, questo sconosciuto

Che l’assenteismo sia una piaga sociale e un danno per l’economia è risaputo, mentre è un po’ meno noto il fatto che altrettanti danni può creare l’eccesso di presenza sul luogo di lavoro, indicato comunemente come presentismo. Tipicamente, chi soffre di presentismo tende a recarsi sul posto di lavoro anche quando è malato.

Uno studio condotto dall’università britannica dell’East Anglia e pubblicato sul Journal of Occupational Health Psychology ha scavato a fondo nel fenomeno del presentismo comparando i dati di una sessantina di studi a livello europeo che hanno coinvolto oltre 175mila persone e ha scoperto che una delle cause più frequenti che inducono ad ammalarsi di presentismo è il rischio di perdere il posto di lavoro.

Al contrario, chi si ritrova a lavorare costantemente sotto pressione, a rischio stress, tende ad assentarsi di meno, spesso a causa di organici sottostaffati o per richieste di produttività eccessiva. Se invece l’ambiente di lavoro è più amichevole nei rapporti con i colleghi e meno esigente da un punto di vista produttivo, l’assenza per malattia (giustificata) rientra in parametri normali e il presentismo non colpisce più di tanto.

Fino a qui è evidente una cosa: il presentismo fa male a chi ne soffre perché induce a non staccare mai, a innalzare il livello di stress e a non curare anche piccole indisposizioni che, poi, si potrebbero trasformare in patologie più gravi. Ma in che modo nuoce anche all’azienda e all’economia?

È abbastanza facile intuire che chi, malato di presentismo, si presenta in ufficio non nelle miglior condizioni psico-fisiche è più soggetto a errori, produttività scadente e sotto le attese, oltre che essere una possibile fonte di contagio per i colleghi. Secondo alcuni degli studi presi in esame dalla ricerca inglese, i danni del presentismo (soprattutto la produttività bassa e scadente) sarebbero peggiori di quelli provocati dall’assenteismo.

Consoliamoci con il fatto che il presentismo, a volte, spinge le persone al lavoro anche se malate non tanto per stress o paura quanto per un senso di fedeltà all’azienda, di forte riconoscimento nei valori aziendali, di amore per il proprio lavoro. Però, ogni tanto, le persone dovrebbero capire quando è ora di staccare…

Il rientro dopo una lunga malattia: questione aperta per le aziende

di Caterina DAMIANO

Tornare a lavorare dopo una malattia lunga o difficoltosa può risultare stressante per il dipendente, ed il rientro del dipendente malato è ancora un problema aperto per le aziende. Questo è quanto emerge da una ricerca della Fondazione Giancarlo Quarta, che ha voluto dare voci ai lavoratori malati gravi e cronici.

Una selezione di questi lavoratori ha ricevuto un questionario sul tema, e per scoprire l’attenzione della imprese a questo problema, lo stesso questionario è stato inviato anche a direttori generali e del personale.

Purtroppo è doveroso precisare che su 2.500 questionari inviati solo 119 sono stati rispediti, cosa che sottolinea come l’attenzione al percorso di questo tipo di dipendenti sia minima e sottovalutata, questo nonostante buona parte delle aziende contattate dalla Fondazione (il 70%) abbiano dichiarato di notare l’espansione del problema e di conoscere dipendenti in queste condizioni. Per quanto riguarda invece i questionari rispediti, il problema risulta di gran rilievo non solo per il malato ma anche per l’azienda.

Il dipendente è spinto a rientrare subito quando gli è possibile per lo più per un motivo: quello di tornare alla normalità dopo un grosso scompenso dovuto alla patologia. Questa aspettativa lo porta però ad essere assalito da paure e angosce d’ogni sorta: da quelle di venire visto come un debole, a quello di essere messo da parte o di percepire pietà negli atteggiamenti di collaboratori e superiori. Nel caso ad ammalarsi sia un dirigente, inoltre, questo viene amplificato: la posizione importante stressa e da maggiori responsabilità, e l’idea che i dipendenti diano più spazio alla pena che alla posizione di guida diviene un grosso ostacolo da superare.

Il punto di vista dell’azienda nei confronti del malato, inoltre, è ancora instabile: divisa tra imbarazzo, problemi di approccio e di inesperienza, crea maggiori insicurezze al soggetto interessato. Nonostante la maggior parte delle aziende (il 42%) sostenga che il malato debba essere trattato con pari dignità e con maggiore attenzione, un numero minore lo vede come un problema organizzativo o un caso umano. Gran parte delle aziende inoltre dimostrano di non sapere in cosa consista un percorso di sostegno per i malati, cosa che sottolinea quanto ci sia ancora da lavorare.

Persi più di 2 milioni di giorni di lavoro per colpa dell’influenza

Il costo che le imprese, a causa dell’influenza stagionale, si sono già accollate ammonterebbe a 144 milioni di euro. La cifra sarebbe aumentata di 55 milioni rispetto all’anno precendente. Quantificando il dato in altra maniera sarebbero 2 milioni e 300 mila giorni persi in malattia. E il costo da pagare potrebbe rivelarsi ancora più salato visto che il periodo di riferimento preso in considerazione si limite alle settimane comprese tra il 25 ottobre al 23 gennaio. Questa è la situazione fotografata dalla Camera di Commercio di Milano basata su dati  forniti dall’Istat e dal Ministero della Salute.

Prima in classifica per numero di degenze è Milano con un costo stimato in oltre 12 milioni di euro e 178 mila giorni di malattia, non meglio se la passa Roma con un costo di 10 milioni e 400 mila euro con 167 mila giorni persi. A seguire Torino (5,9 milioni di euro per 95 mila giorni), Napoli (5,4 milioni di euro) e Brescia (3,6 milioni di euro). Entro le prime dieci città si incontrano anche Bari, Bergamo, Bologna, Firenze e Verona  (tutte superano i 2 milioni di euro di costi).

Nel periodo influenzale 2008-2009 il costo sostenuto sarebbe stato pari a 90 milioni di euro, ben lontani dagli attuali 144. La peggior settimana per numero di ammalati è stata la seconda di gennaio (146.000) e la terza sempre di gennaio (144.000). Ci si può però rassicurare in quanto il picco massimo è passato e il virus è i fase di ritirata.

Mirko Zago

Cosa succede se l’Agente di Commercio si ammala?

Durante la propria carriera professionale può sfortunatamente accadere di subire un periodo di impedimento dovuto ad infortunio o malattia. Cosa deve fare un agente di commercio in questo caso? Secondo l’articolo 1747 del Codice Civile l’agente che non è in grado di eseguire l’incarico affidatogli deve dare immediato avviso al preponente. […] Infatti l’omissione della comunicazione legittima la richiesta da parte della casa mandante di risolvere il contratto e di ottenere il risarcimento dei danni.

Ma cosa avviene durante il periodo in cui l’agente non è in grado di svolgere le sue funzioni?

Il rapporto di lavoro resta sospeso e la casa mandante ha diritto a nominare un sostituto, che si avvarrà dell’organizzazione dell’agente (l’agente titolare deve, nonostante l’impedimento, garantire assistenza all’agente incaricato). Le provvigioni maturate dal sostituto o dall’incaricato della casa mandante (a meno di accordi diversi tra le parti) non competono all’agente impedito. Durante il periodo di sospensione non è consentito alla casa mandante di sciogliere il rapporto di lavoro con l’agente (salvo il caso in cui questa sia la volontà comune delle parti). Secondo gli accordi economici collettivi (AEC) i termini massimi di sospensione sono fissati in sei mesi. Inoltre, sempre secondo gli AEC, la casa mandante è obbligata a stipulare presso l’Enasarco, a proprie spese, una polizza assicurativa per infortuni e ricoveri ospedalieri in favore degli agenti persone fisiche o soci di società di persone.