Parte da Milano l’aereo del lusso

Il lusso Made in Italy piace sempre di più all’estero.
Sono molti, infatti, i marchi italiani che aprono store e showroom all’altro capo del mondo e, nella maggior parte dei casi, si tratta di successi annunciati.

Per far conoscere ancora meglio i prodotti del Belpaese, è nato un progetto che farà volare, letteralmente, il Made in italy nelle principali piazze del lusso a livello mondiale.
Alcune delle principali realtà del lusso nostrano, infatti, decolleranno a bordo di un aereo appositamente allestito, e prenderanno parte ad un tour che, in 45 giorni, le porterà a toccare il suolo di paesi come Dubai, Abu Dhabi, Qatar, Oman, Russia, Cina, Corea, Hong Kong, Giappone, India, Brasile e Stati Uniti

Il progetto si chiama Italian Luxury in the World (ILW) ed è stato ideato da Andrea Radic e Daniele Biagi, concepito come “una nuova forma di promozione delle nostre eccellenze nel mondo”, per usare le parole dello stesso Radic, promotore dell’iniziativa.

Saranno ben 100 le aziende italiane che saliranno a bordo di questo specialissimo aereo, appartenenti ai settori più disparati, dalla moda al cibo, senza disdegnare il design. I primi ad aver sposato l’iniziativa, finanziata esclusivamente da privati, sono stati lo studio legale internazionale Baker & McKanzie e il fondo di investimenti milanese Scm (Solutions capital management.

Tra i brand del lusso che hanno già detto sì, ci sono il gruppo di distillati Nonino, l’argentiere Ganci e lo studio internazionale di architettura Karim Azzab, anche se l’iniziativa ha incuriosito molti, a cominciare da Mario Boselli, presidente della Camera di Commercio della Moda, fino ai vertici di Federlegno Arredo e di Confindustria.

Anche Giuliano Pisapia ha mostrato il suo assenso al progetto, poiché considera ILW “una bellissima iniziativa, che permetterà di portare nel mondo, oltre che un messaggio di innovazione, anche quello che Milano ha da offrire, per attirare investimenti in Italia in un momento in cui ce n’è un gran bisogno”.

Vera MORETTI

L’Est è sempre più terra di conquista

Crisi o no, il Made in Italy continua a tenere banco anche se, in questo periodo che ha messo in ginocchio l’economia italiana, a sollevare le sorti del mercato del lusso sono soprattutto i mercati emergenti, Cina in testa.

Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, ha dichiarato a proposito: “I consumatori cinesi assorbono soprattutto dalla macchina produttiva cinese. Il consumo interno aumenta perché oggi i cinesi sanno realizzare prodotti di una certa qualità, e del resto glielo abbiamo insegnato proprio noi. Tutto ciò è per noi positivo perché subiamo meno la pressione delle loro esportazioni“.

A giocare a nostro favore è anche il fenomeno dell’inurbamento che porterà 400 milioni di cinesi a traslocare dalle campagne alle città: “400 milioni di persone che in città cominceranno a consumare”, contribuendo ad accrescere la fascia media che si pone tra il livello molto alto, quello dei marchi di lusso, e quello più basso della manifattura cinese.
In questo settore potrebbero “insinuarsi” i marchi italiani che, pur rimanendo di alta qualità, propongono una moda a prezzi più bassi, poiché non c’è da pagare il valore del brand.

Per accontentare le esigenze di questa nuova fascia di consumatori, e favorire lo sviluppo all’estero di marchi italiani ancora sconosciuti, la Camera della Moda il 7 maggio scorso ha firmato un accordo con la China Business Coalition Shopping Center Professional Committee, l’Associazione globale no profit che fa parte della Camera di Commercio Cinese e che si occupa degli Shopping Center nazionali, in termini di gestione e servizi.

Questo accordo vuole favorire la cooperazione tra i due sistemi moda, Italia e Cina, facilitando i rapporti commerciali tra i due Paesi. Lo scopo è quello di rafforzare lo sviluppo e la presenza dell’eccellenza del Made in Italy in Cina ma, come ha sottolineato Boselli, “la principale finalità di tale intesa è quella di favorire la penetrazione e lo sviluppo sul mercato cinese delle imprese del Made in Italy, in particolare modo di quelle medio-piccole, che per le loro dimensioni faticano maggiormente ad andare sui mercati più lontani“.

Le due parti, quella cinese e quella italiana, hanno deciso di collaborare per ottenere entrambe il medesimo vantaggio: rafforzare la leadership di entrambi i sistemi-moda, ognuno nei rispettivi ambiti di attività.

Grazie a questo “trattato di non belligeranza”, si attende un 2013 stellare per quanto riguarda l’export, con uno spostamento della sua geografia verso i paesi emergenti, che già negli anni precedenti hanno dimostrato di saperla fare da padroni, sbaragliando i mercati “tradizionali” europei e statunitensi.

In questo senso si muove anche la Russia, ora rallentato rispetto alla Cina, ma perché aveva cominciato ad imporsi a livello internazionale in tempi precedenti. Il Made in Italy, comunque, va sempre forte, tanto da essere ancora in testa alle preferenze dei consumatori, più attenti e raffinati.

Tra i prodotti che all’estero, e soprattutto in Oriente, ricevono i maggiori consensi, ci sono quelli in pelle, come ha confermato anche Salvatore Mercogliano, amministratore delegato Lineapelle e direttore UNIC (Unione Nazionale Industria Conciaria): “Il mercato della pelle finita è strettamente agganciato alla moda. Il fascino dell’accessorio italiano è vivo, come del resto, nel nostro comparto, anche i salotti, gli interni dell’auto e così via. L’andamento rimane molto positivo. Il Made in Italy è tuttora vincente perché le cosiddette griffe, anche quelle straniere , come per esempio le francesi, hanno bisogno della pelle italiana che è indiscutibilmente un valore aggiunto“.

Ma, in questo campo, la Cina non rappresenta solo un mercato appetibile, ma anche un temibile concorrente: la conceria cinese, infatti, produce capi di media qualità, approvvigionandosi in tutto il mondo.
E’ vero, però, che i nuovi ricchi che abitano nel Paese del Sol Levante pretendono alta qualità nella lavorazione e nei materiali, che solo il Made in Italy è in grado di garantire: i produttori asiatici sono ben consapevoli di ciò, tanto da rivolgersi sempre alle aziende italiane, vere leader del settore.

Mercogliano conferma: “Le nostre aziende hanno specifiche capacità settoriali, sono innovative e creative. Come associazione portiamo le nostre imprese 3 volte all’anno ad esporre in Cina. È emerso, più marcatamente rispetto allo scorso anno, che i produttori cinesi si dedicano meno alla produzione conto terzi per l’export e guardano più al mercato interno, con una produzione di livello medio-alto rivolta ad un consumatore sempre più evoluto ed esigente. Nonostante il calo delle nostre esportazioni del primo semestre 2012 (-11%), il valore del flusso di pelli italiane verso il colosso cinese è tornato a livelli pre-crisi: 745 milioni di euro nel 2011, terzo miglior dato di sempre, che ci rende il loro primo fornitore estero di finito (22% del totale). Noi facciamo tendenza, con lavorazioni raffinate, colori sempre nuovi e superfici sempre diverse al tatto, grazie a tecnologia e innovazione. L’eccellenza delle nostre concerie è fuori discussione. Un primato che si realizza nello stile, nella qualità e nella sostenibilità sociale e ambientale“.

Vera MORETTI

Tutti insieme contro la contraffazione

La lotta contro i falsi mette tutti d’accordo: istituzioni e commercianti sono uniti in questa battaglia, tanto da aver firmato il Piano Nazionale per la Lotta ai falsi, presentato a Milano in occasione degli Stati Generali per la Lotta alla Contraffazione.

Si tratta di un documento al quale hanno lavorato anche 11 ministeri e 150 associazioni di categoria, che ha portato all’individuazione delle priorità e delle aree degli interventi.

Diana Bracco, vicepresidente di Confindustria e presidente di Expo 2015, ha dichiarato: “Dietro il Piano c’è un grande lavoro di coordinamento che ha messo insieme tutti gli attori che convergono su questo importante tema. La contraffazione è una penalizzazione della capacità ideativa del nostro sistema ed è quindi una sottrazione di competitività al Paese“.

Le macro aree di intervento individuate sono sei, alle quali lavorano 13 commissioni tematiche che operano nell’ambito della Cnac, Consiglio Nazionale Anticontraffazione: comunicazione e informazione; enforcement; rafforzamento del presidio territoriale; formazione alle imprese; lotta alla contraffazione via internet e tutela del Made in Italy da fenomeni di usurpazione all’estero.

A questo proposito, sembra particolarmente urgente la tutela della proprietà industriale, perché, se gli italiani, da una parte, si distinguono per creatività, dall’altro ancora non sono in grado di tutelarsi a dovere.
A questo proposito, Loredana Gulino, direttore generale di DG lotta alla contraffazione – Uibm del Mise, ha affermato: “Occorre cambiare la cultura della imprese. Insegnare loro ad utilizzare in maniera strategica gli strumenti di tutela della proprietà industriale“.

La contraffazione produce un giro d’affari annuo di 6,9 miliardi di euro e un mancato gettito fiscale di 1,7 miliardi e , solo nel comparto moda/tessile, incide per circa un terzo del fatturato. Per non parlare dell’usurpazione dei marchi, denunciata da Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, che chiede di allargare il raggio d‘azione “dalla lotta alla contraffazione alla affermazione della legalità anche in termini di brevettabilità“.

Una grave mancanza, soprattutto tra la piccola e media impresa, è la mancanza quasi totale della cultura del brevetto, esistente, invece, ad esempio, negli Stati Uniti e in Giappone: “Alcuni grandi brand italiani ed europei poi, se da una parte si dicono d’accordo sulla diffusione del marchio, dall’altra delocalizzano le loro produzioni mantenendo, di italiano, soltanto il nome“, spiega Maurizio Casasca di Confapi.

Ma per cambiare la mentalità degli italiani, che acquistano capi contraffatti per risparmiare e illudersi di avere capi uguali a quelli firmati, è necessario lavorare sulla comunicazione, come ha ammesso Giovanni Fava, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione e la pirateria in campo commerciale: “Occorre fare un salto culturale. Occorre, cioè, far comprendere a cittadini e consumatori che la contraffazione è un fenomeno criminale a pieno titolo e che non solo danneggia i diritti dei produttori ma contribuisce ad alimentare il giro d’affari delle grandi organizzazioni criminali“.

Vera MORETTI