Made in Italy anche per le materie prime agricole

A salvaguardare la tradizione e l’artigianalità dei prodotti alimentari che rappresentano al meglio il nostro Made in Italy, spesso messo a rischio anche dal declino delle produzioni agricole primarie, che rendono in certi casi impossibile mantenere in vita alcuni alimenti cardine delle nostre tradizioni, ci sono i prodotti tipici, indicati con le sigle DOP e IGP, ad esempio, che ancora tengono in vita queste fondamentali materie prime.
La tutela, dunque, è garantita, ma si tratta di prodotti sempre più di nicchia, confinati dunque in ambito locale. Ma quelli che sono riusciti a mantenere la tipicità pur industrializzando le produzioni, come accade soprattutto per formaggi, salumi e vini, hanno avuto successo e sono riusciti a conquistare anche i mercati esteri.

Ma non accade solo per le materie prime, perché ci sono anche altri alimenti, considerati generici, come pasta, ma anche panettoni e altri prodotti dolciari, che dominano il mercato interno ma anche quello esterno.

Si tratta di successi ottenuti grazie alla ricerca scientifica che l’industria alimentare ha effettuato in questo periodo, non solo mettendo a punto nuove ricette, ma anche realizzando macchinari che permettono di compiere le varie operazioni in tempi rapidi ma nel rispetto delle migliori condizioni igieniche.

Il rovescio della medaglia riguarda la carenza di materie prime all’interno dei nostri confini, che ci obbligano a importare cereali, ma anche frutta, verdura, latte, carne, pesce, zucchero e sale. Non si tratta solo di disponibilità, ma anche di prezzi, che spesso all’estero sono nettamente inferiori.

Per ovviare a ciò, comunque, si sta facendo campagna per far capire che i prodotti italiani sono molto più sicuri rispetto a quelli di importazione, e in questo caso occorre che i consumatori siano ben informati e leggano la lista degli ingredienti di ciò che comprano, per saperne la provenienza e, di conseguenza, decidere se eventualmente optare per una scelta diversa se le materie prime arrivano dall’estero.

A questo proposito, c’è da segnalare l’approvazione dell’obbligo di indicare l’origine del latte. I consumatori ci fanno molto più caso e sicuramente a beneficiarne è anche la salute, poiché scegliendo italiano si ha la garanzia di un prodotto fresco sia quando si tratta di latte sia quando si tratta di formaggi.

Per salvaguardare il Made in Italy, dunque, occorre davvero rendere i consumatori più responsabili, perché spesso ignorano la provenienza di ciò che portano ogni giorno sulle proprie tavole.

Vera MORETTI

Le alternative agli investimenti alternativi

 

La terra ha un valore, in quanto bene scarso, ed il suo valore è tanto più rilevante quanto lo sono le potenzialità di sfruttamento che offre, in relazione alla richiesta di mercato attuale o prospettica. Maggiore è la capacità di comprendere l’evoluzione della richiesta, maggiore è la possibilità di ottenere plusvalore dal terreno acquistato.

Un terreno edificabile, oggi, può avere scarsa appetibilità per il futuro, considerando l’inflazione di offerta sul mercato immobiliare e la scarsezza di domanda. Con le dovute eccezioni, perché in zone ad elevato potenziale turistico o di sviluppo economico, le prospettive di incremento, anche a breve, del valore, sono molto incoraggianti.

I terreni, in generale, contraddicono un principio rilevante per gli investimenti alternativi, la loro facilità di trasporto; un appezzamento, quindi, subisce tutte le eventuali ripercussioni di problemi sociali e  politici che dovessero insorgere nel corso del tempo. Anche perché, altra caratteristica che contraddice i principi, il terreno ha un orizzonte temporale di lungo o lunghissimo periodo. Inoltre, gravano come  spade di Damocle, gli incrementi di tassazione o la possibilità di confisca, per ragioni pubbliche o per scelte politiche, dei possedimenti in questione.

Nonostante queste contraddizioni, ritengo utile diversificare il patrimonio anche con l’acquisto di terreni, sempre che ci si faccia aiutare, nella scelta, da consulenti che debbano vendervi nulla.

Considero un valido investimento alternativo sopratutto i terreni agricoli, per diverse ragioni.

Prima di tutto, un terreno agricolo può divenire terreno edificabile, quindi aumentandone il valore in maniera esponenziale. Non credo sia una condizione che si verificherà facilmente nei prossimi anni, considerata la crisi immobiliare attuale, la enorme quantità di offerta di immobili, la contrazione di domanda e di popolazione. Con le debite eccezioni di luoghi ad elevato potere di espansione, in grado di attirare investitori stranieri.

Ma nel lungo periodo, potrebbe accadere che torni una certa “fame di immobili nazionali” e di conseguenza di terreni su cui edificare.

In secondo luogo, i diritti di sfruttamento del sottosuolo, che normalmente rimane di proprietà dello Stato, possono far lievitare il valore nel caso di scoperte di giacimenti di materie prime utili all’industria.

In terzo luogo, è plausibile che ci sarà, nei prossimi anni, un ritorno alla coltivazione della terra; se pensate alle molte persone senza un lavoro e a quelle che potrebbe perderlo, l’unica soluzione sarà quella di coltivare, in proprio o conto terzi, prodotti necessari al mantenimento della popolazione.

Ancora, sta aumentando il consumo di legno pregiato da costruzione, sia per ragioni ecologiche che di costo, ed è plausibile che la tendenza continui nei prossimi 20 anni. Potrebbe essere un ottimo investimento possedere un terreno su cui è possibile coltivare teak, ad esempio.

Un problema può essere la reperibilità di terreni agricoli interessanti e non troppo estesi, perché esistono diritti di prelazione per i coltivatori  e per i confinanti, addirittura è difficile sapere che un determinato terreno è in vendita. Ma non è impossibile, basta riferirsi a professionisti seri ed affidabili.

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Energia più cara del 30% per Pmi, la causa è lo scarso utilizzo delle rinnovabili

Confartigianato mette in luce come le imprese italiane stiano sprecando il 30% (il 29,6% più della media per essere precisi) in più di risorse rispetto al resto d’Europa per pagare la “bolletta dell’energia”. La colpa sarebbe il disimpegno verso l’utilizzo di energie rinnovabili verso le quali Confartigianato chiede al Governo un maggiore impegno.

Il prezzo del petrolio influenza fortemente il costo dell’energia “con forti ripercussioni sui costi degli imput manifatturieri“. La crisi libica ha inoltre determinato un cambiamento nelle forniture di gas nel nostro Paese con un rialzo per l’importazione di gas dalla Russia. L’Italia è il quarto importatore mondiale di gas naturale (dopo Usa, Giappone e Germania e il paese europeo con la maggiore produzione di energia elettrica con gas naturale. Il Paese dal quale importiamo di più resta l’Algeria con quasi 8.000 milioni di metri cubi nel primo trimestre seguito dalla Russia (7336) e la Libia (1.343 milioni, meno della metà del primo trimestre 2010).

Tutti cambi che hanno avuto pessime ripercussioni sull’economia in generale e che alimentano l’esigenza di ricorrere all’utilizzo di energie alternative. Il segretario generale dell’associazione, Cesare Fumagalli, ricordando la moratoria sul nucleare, ha affermato: “Ci aspettavamo che ci fosse una spinta sulle rinnovabili, invece c’è un balletto increscioso sulla riduzione del sostegno a queste energie“.

Dall’associazione giunge un eco di allarme causato dalla penalizzazione del sistema di incentivazione del fotovoltaico con un calo degli incentivi del 15-20% previsti per fine 2011 e una riduzione che arriverebbe al 30% a fine 2011 per gli impianti di potenza inferiore a 200 kw. “La crescita della produzione da fonti rinnovabili – afferma l’associazione – ridurrebbe la dipendenza energetica. Al momento quella italiana è dell’85,4%, oltre trenta punti più alta della media europea (54%)“.

Mirko Zago