Bussoni: “Meno efficaci di una volta, ma i saldi resistono”

Se per Ivan Marinelli, vicepresidente nazionale A.E.C.I. (Associazione Europea Consumatori Indipendenti), non ha più senso parlare di saldi “in un mercato dove il commercio si deve confrontare con nuove forme di vendita molto aggressive”, di tutt’altro avviso è Mauro Bussoni, Segretario Generale di Confesercenti.

Dott. Bussoni, le promozioni sono all’ordine del giorno in qualunque periodo dell’anno, nel 2014 vale ancora la pena parlare di saldi?
Certo. I saldi sono un’occasione particolare, ben distinta dalle promozioni, perché riguardano capi e accessori di fine stagione: da qui la convenienza dell’evento per famiglie e imprese, per le quali valgono oltre il 30% del fatturato annuale. Vero è che, purtroppo, l’eccesso di promozioni durante il resto dell’anno, in qualche modo, rendono meno efficaci i saldi.

Nel 2008, spiegano dal Codacons, la spesa complessiva delle famiglie durante gli sconti estivi di fine stagione era stata di circa 4 miliardi di euro, mentre quest’anno si attesterà attorno a 1,8 miliardi. I saldi non sono solo l’occasione per fare acquisti, ma anche per capire lo stato di salute del Paese…
Sicuramente la crisi e la diminuzione del reddito disponibile delle famiglie italiane ha un effetto pure sui saldi. Nonostante l’abbigliamento sia una delle icone del ‘Made in Italy’, la diminuzione del potere d’acquisto ha portato ad un calo costante della spesa delle famiglie in abbigliamento ed accessori, esacerbatosi durante la crisi. Tra il 2007 e il 2013, i consumi in questo settore hanno registrato una grave flessione (-15,2%), per un totale di quasi 10 miliardi in meno di consumi. La quota di spesa media mensile dedicata al vestiario dalle famiglie italiane si è attestata nel 2012 al 5%: quasi la metà del 13,6% registrato nel 1992, e che ci poneva – assieme al Giappone – al vertice della classifica mondiale. La crisi sembra aver accelerato un cambiamento in atto da anni: nel 2002 abbigliamento e calzature assorbivano il 6,8% della spesa media mensile delle famiglie italiane. In parte il processo è dovuto però a motivi culturali: il concetto stesso di status symbol, che una volta includeva spesso e volentieri particolari capi di vestiario, anche importanti, sembra ormai essersi spostato verso i prodotti tecnologici.

Quali settori della produzione ne beneficeranno di più?
La nostra industria dell’abbigliamento e degli accessori made in Italy. Considerando, oltre agli esercizi di distribuzione, anche la produzione moda che viene dall’Italia e che viene venduta nel paese attraverso i negozi tradizionali, il settore nel 2013 valeva oltre 65 miliardi. Un bene da non perdere: si tratta di uno dei pochi comparti dove ancora possiamo competere con successo.

Jacopo MARCHESANO

Bussoni: “Partite Iva in calo, ma la crisi è giunta al termine”

In questa nostra settimana interamente dedicata all’approfondimento dei dati resi noti nei giorni scorsi dall’Osservatorio sulle partite IVA sulle nuove aperture nel mese di aprile (-3,3% rispetto allo scorso anno), dopo aver ascoltato le interessanti considerazioni di Anna Soru, presidente dell’ACTA, abbiamo incontrato oggi il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni, per una veloce intervista in merito.

Dott. Bussoni, nei giorni scorsi il ministero dell’Economia ha reso noti i dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di aprile che certificano un calo del -3,3%, come leggere questo dato?
La grande crisi, che pesa sulle nostre spalle ormai da 6 anni, è sul punto di terminare. Non è però terminata: siamo ancora nella palude. E nella prima parte del 2014 gli effetti della recessione hanno continuato a pesare sulle imprese italiane e sul mercato interno, che è il mercato di riferimento per la maggior parte delle PMI e delle ditte individuali.

Partendo da questo quadro, il calo non sorprende…
Così come non sorprende che le aperture di nuove partite iva siano diminuite soprattutto nel Nord-Est, un’area del Paese che ha sempre avuto un altissimo tasso di imprenditori: avviare un’impresa o una ditta – soprattutto una ditta individuale – è sempre una scommessa, e in questa fase – in cui si registrano segnali positivi ma non ancora una vera ripresa – le possibilità di fallire potrebbero sembrare più alte agli imprenditori. Soprattutto nel commercio, la cui deregulation – avviata nel 2012 dal Governo Monti – ha sfavorito decisamente i piccoli, che si trovano nell’impossibilità o quasi di competere con la Grande Distribuzione Organizzata.

Quando saranno riscontrabili le prime inversioni di tendenza?
Difficile lanciarsi in previsioni precise. E’ probabile, però, che l’inversione arriverà quando arriverà la tanto attesa ripresa dell’Italia, da cui non dovremmo essere troppo lontani: secondo le stime del governo, la nostra economia dovrebbe iniziare a registrare miglioramenti nella seconda parte di quest’anno. La prudenza è però d’obbligo: troppe volte, in questi anni, è stata annunciata prematuramente la famosa ‘luce alla fine del tunnel’; inoltre, le nostre imprese non hanno ancora alcuna ripresa.

Andando più nel dettaglio, rispetto ad aprile dello scorso anno, si registra un aumento di aperture delle società di capitali (+12,6%), come si spiega un aumento così importante di queste forme giuridiche assunte da imprese di medie e grandi dimensioni operanti nei diversi settori produttivi?
Le società di capitali hanno registrato un trend positivo abbastanza costante nel tempo. In questo caso, però, ho ragione di ritenere che il dato sia influenzato anche dalle agevolazioni concesse a vario titolo a chi costituisce una nuova società a responsabilità limitata.

Jacopo MARCHESANO

Bussoni: “Rimettiamo i soldi in tasca agli italiani, così ne beneficerà il turismo”

 

In questa nostra settimana dedicata all’approfondimento dei dati resi noti nei giorni scorsi dall’Osservatorio Confesercenti sulla crisi del settore turistico, oggi abbiamo incontrato il segretario generale di Confesercenti, Mauro Bussoni, per un commento a caldo.

Dott. Bussoni, sia il commercio sia il turismo registrano più cessazioni che aperture: nel commercio il saldo di natimortalità delle imprese è pari a -12.016. Come leggere questi (drammatici) dati?
Purtroppo, il saldo negativo dimostra che la crisi non è ancora del tutto terminata. Nella prima parte dell’anno abbiamo continuato a scontare gli effetti della recessione nel 2013, come testimoniano non solo i dati delle chiusure, ma anche quelli relativi al Pil nel primo trimestre ed ai consumi. In particolare, non è terminata la crisi del mercato interno italiano: l’aumento della disoccupazione e le politiche d’austerity hanno ridotto drammaticamente durante la crisi la capacità di spesa delle famiglie italiane.

Un crollo di consumi che continua a travolgere tutte le imprese che, come nel commercio e nei pubblici esercizi, fanno riferimento per antonomasia al mercato interno.
Il calo della domanda delle famiglie italiane ha pesato anche sul turismo, che ha visto ridursi moltissimo la presenza di italiani ‘in vacanza’. Dobbiamo recuperare il terreno perduto, rimettendo i soldi in tasca agli italiani: il bonus fiscale per i lavoratori dipendenti previsto dal Governo va nella direzione giusta, anche se sarebbe stato più efficace se tra i beneficiari fossero stati inclusi anche autonomi e pensionati.

Le vendite commerciali, secondo le vostre stime, sono calate di altri 1,8 miliardi. Quando saranno riscontrabili le prime inversioni di tendenza?
Ci auguriamo che già da Giugno la contrazione possa terminare: il bonus, combinato con il periodo di saldi, potrebbe dare una mano in questa direzione. Ma per una vera ripresa – cioè un ritorno strutturale in territorio positivo delle vendite – dovremo aspettare la fine dell’anno. Anche se sarà una ripresa molto esile: riteniamo che la spesa delle famiglie possa salire, a fine 2014, circa dello 0,4-0,5%. Il bonus riuscirà ad aggiungere, secondo le nostre stime, un +0,3% a questa crescita, pari a circa 3,1 miliardi di consumi in più.

Analizzando la situazione del commercio, questo sembra essersi avviato verso una fase di destrutturazione, che premia i comparti che presentano meno spese di impresa.
E’ la nostra tesi, confermata dall’analisi dei flussi di aperture e chiusure come rilevato dall’Osservatorio Confesercenti. I comparti per cui l’onere delle spese fisse – affitti ma anche, nel caso della proprietà dell’immobile strumentale d’impresa, l’IMU – è molto elevato, come il commercio al dettaglio in sede fissa, mostrano i saldi tra aperture e chiusure peggiori. Al contrario, i comparti in cui le spese di impresa sono meno pesanti mostrano addirittura segnali di crescita. E’ il caso del commercio online, che si mostra stabile, ma anche – e soprattutto – del commercio ambulante, che ha messo a segno un saldo strutturalmente positivo durante tutta la crisi, in controtendenza con il commercio in generale: ma la crescita di questi settori comunque non basta a recuperare quanto perso nella distribuzione tradizionale. Parrebbe comunque ormai superato il modello delle grandi concentrazioni commerciali, in crisi anch’esso.

Jacopo MARCHESANO

Bussoni: “Rivedere il fisco o sopravvivere sarà quasi impossibile”

 

In questa nostra settimana dedicata all’approfondimento dei dati resi noti dal Mef riguardo alle nuove partite Iva aperte nel mese di febbraio, non potevano non chiamare in causa Mauro Bussoni, segretario generale della Confesercenti, per una breve rilettura dei freddi numeri comunicati dal ministero. Fondata nel febbraio del 1971, in più di 40 anni di attività, la Confesercenti è cresciuta rapidamente: oggi aderiscono alla Confederazione più di 70 associazioni dei settori del commercio, turismo, servizi, artigianato, industria e di altre aree di interesse sociale ed economico.

Nei giorni scorsi il ministero dell’Economia ha reso noti i dati relativi alle nuove partite Iva aperte nel mese di febbraio (circa 51.000), come leggere questo dato?
La rilevazione del Mef di febbraio conferma, in qualche modo, la crisi delle partite Iva: continuano infatti i cali tendenziali di nuove aperture, un fenomeno iniziato nella seconda metà del 2012 e non ancora terminato. D’altra parte, però, va sottolineato che a febbraio 2013 era andata decisamente peggio: le nuove partite iva erano diminuite del 9% sull’anno precedente, un vero e proprio tracollo. Rimane da appurare se la modesta variazione negativa registrata a febbraio di quest’anno sia interpretabile come un segnale di ripresa. In generale, infatti, l’apertura di nuove partite Iva è un indice di dinamismo dell’economia, ma potrebbe essere dovuto anche al tentativo di autoimpiego di persone uscite dal mondo del lavoro dipendente.

Sempre più giovani prediligono proprio l’autoimpiego: scelta o necessità?
Probabilmente entrambe le cose: la crisi dell’occupazione dipendente ha senz’altro spinto sempre più giovani e donne, le classi più colpite dalla disoccupazione, a tentare la via dell’imprenditoria. In alcuni settori più di altri: secondo le nostre rilevazioni, nel 2013 la percentuale di nuove imprese dei servizi avviate da under35 ha superato il 50%. Ci sono sempre, però, persone – anche giovani – che scelgono di diventare imprenditori perché hanno un’idea imprenditoriale forte o perché sono spinti dalla passione e dalla voglia di mettersi in gioco. Per entrambi, però, è un momento difficile. Mettersi in proprio è una scelta che offre molte opportunità, ma anche molte delusioni: è teoricamente molto facile avviare una nuova attività, ma è praticamente difficilissimo mantenerla in vita nel mercato attuale, segnato da una profonda crisi della domanda interna.

La Confesercenti rappresenta più di 350mila PMI del commercio, del turismo, dei servizi, dell’artigianato e dell’industria, capaci di dare occupazione ad oltre 1.000.000 di persone: quali provvedimenti d’urgenza di carattere generale sarebbero necessari per risollevare il paese dal pantano della crisi economica?
Bisogna abbassare il prima possibile il peso del fisco sull’economia reale: con i livelli attuali, per le imprese italiane è difficile rimanere competitive e quindi poter creare crescita ed occupazione. Il nuovo esecutivo si è mosso in questa direzione, utilizzando la leva fiscale per dare sollievo ai redditi più bassi. Rimane la grave esclusione degli autonomi nella stessa fascia, che riteniamo inaccettabile e che chiediamo sia subito corretta, così come chiediamo di alzare immediatamente la franchigia Irap, per esentare dall’imposta i più piccoli. Occorre poi un rapido intervento di semplificazione burocratica (soprattutto sulla partita lavoro) e sul credito: sono due anni che i finanziamenti alle imprese si contraggono, in particolar modo per le PMI. Così è difficile rimanere sul mercato, figuriamoci crescere.

Intanto proseguono le trattative sul decreto lavoro…
Il nostro giudizio sul Jobs Act, per ora, è positivo: nel provvedimento sono contenute molte delle istanze che da tempo abbiamo rivendicato per superare quelle rigidità del mercato del lavoro che rappresentano solo un freno all’occupazione. Il nostro auspicio è che il dl lavoro, nel corso dell’iter di discussione, non venga modificato nell’impianto. Se così fosse sarebbe un ottimo strumento per lottare alla disoccupazione. Non dobbiamo dimenticare, però, che il decreto è per l’appunto solo uno strumento di facilitazione: la via principale per diminuire la disoccupazione è la crescita, senza cui le imprese non potranno riprendere ad assumere. Anche perché rimane un costo del lavoro eccessivo: occorre abbassare gli oneri, per imprese e dipendenti.

Jacopo MARCHESANO