Rischio di declino per le imprese

E’ un dato di fatto, meno del 10 per cento delle aziende italiane riesce a superare la seconda generazione. Il tessuto imprenditoriale del nostro Paese è composto, soprattutto, da imprese familiari, dove il capo famiglia è anche a capo dell’impresa. Per ragioni anagrafiche, ad un certo punto il capo dell’impresa dovrà cedere la propria impresa o a terze persone o a qualche membro della sua famiglia. Se la cede a terzi, incassa il valore stabilito e la storia finisce lì, se la cede a un familiare… la storia spesso finisce lo stesso. Nel senso che, spesso, i familiari dell’imprenditore non sono capaci di dare continuità a quanto costruito dal fondatore dell’impresa e l’azienda chiude. Perché? Il fondatore non riesce a trasferire le sue capacità.

Come si fa? Prima di tutto, bisognerebbe capire se i suoi eredi le hanno, queste capacità. O se sono più portati per altre attività. È inutile e dannoso portare a tutti i costi in azienda una persona che invece vuole insegnare a scuola (ad esempio).

Poi sarebbe utile capire come trasferire al meglio queste capacità, possibilmente potenziandole. E nello stesso tempo come non far sentire del tutto inutile il “vecchio” fondatore.

È un’attività di coaching, se vogliamo usare un termine anglosassone di moda. In un momento così difficile per l’economia, non possiamo permetterci di perdere anche le aziende che funzionano, di perdere posti di lavoro.

Poi bisogna curare anche gli aspetti successori dal punto di vista legale e finanziario, in modo che nessun erede sia trascurato o che siano lesi i suoi diritti. Per fare tutto ciò, è necessario che un professionista abbia il quadro complessivo della situazione sotto controllo. Un notaio? No, perché si occupa di formalizzare gli aspetti legali di una successione, ma è il cliente a dovergli dire come vuol redigere un testamento, ad esempio, e di sicuro il notaio non si occupa del futuro dell’azienda.

Un avvocato si occupa della questione legale, ma non di quella aziendale. Il commercialista si occupa di aspetti fiscali e tributari dell’azienda, non certo di passaggi generazionali e successioni. Tra tutte le figure, il commercialista è colui che conosce meglio l’azienda e ha una grande responsabilità nel fornire risposte adeguate quando l’imprenditore deve mollare il timone a qualcun’altro.

Ma se il commercialista non è il professionista più adatto, sarebbe bene che indirizzasse il proprio cliente verso chi può effettivamente dare un aiuto. E’ ora insomma che i commercialisti utilizzino i consulenti patrimoniali per fornire quei servizi che loro non possono dare, nell’interesse esclusivo del cliente. E che la smettano di dire al cliente “non si può fare”, solo perché loro non sono in grado di farlo. Bisogna che ogni professionista abbia il coraggio di ammettere i propri limiti e utilizzi degli specialisti quando è il caso. Auspico un futuro di collaborazioni proficue.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

L’Ue di Draghi: come difendere i capitali privati

Nonostante la Bce non possa finanziare gli stati membri dell’Eurozona, pare che Draghi intenda stampare nuova moneta per salvare l’insalvabile, per andare incontro alle banche spagnole e forse anche italiane. Sostiene che è suo compito far funzionare la politica monetaria, anche in questo modo. In pratica, però, si creerebbe ricchezza dal nulla, semplicemente stampando carta/denaro.

Il sistema bancario compra quindi titoli di Stato, che, per ricapitalizzarsi, rivende alla Bce in cambio di denaro fresco; la Bce così si troverebbe in portafoglio titoli di Stato a rischio default, fallimento che a quel punto sarebbe a carico dei contribuenti dell’intera Unione Europea e non più dei singoli Paesi che hanno generato il debito. Chi ha più crediti, ha più da perderci, chi ha debiti ha solo da guadagnarci. Tra noi, gli spagnoli e i tedeschi, questi ultimi sono certamente i maggiori creditori.

E’ una strategia semplicistica, ma contorta: pare, però, sia questa la strada indicata da Draghi.

La Bundesbank è ovviamente contraria a questa politica, ritenendola non coerente con le prerogative della Banca centrale europea, mentre la Merkel è incredibilmente d’accordo sia con Draghi  sia con la Bundesbank!

Sarà il preludio degli Stati Uniti d’Europa, a cui Angela si sta candidando alla Presidenza? Quanti e quali Stati accetteranno di rinunciare alla loro sovranità fiscale in favore di quella europea? Quali Paesi vorranno vedersi sottratte le decisioni di spesa del gettito fiscale? Ci immaginiamo un’Italia così? Forse sarebbe auspicabile per risanare una volta tanto la situazione, ma dubito che i nostri politici rinunceranno al loro strapotere.

Sarà più probabile che si abbandoni l’Europa, reclamando a gran voce il diritto di spendere (o sprecare) come si ritiene più opportuno le entrate fiscali.

Ecco quindi sorgere un nuovo motivo di frattura nella Ue. Il problema è che chi ha debiti probabilmente non avrà molta voglia di accettare la severità dei provvedimenti Merkel, chi ha crediti invece è molto bendisposto verso questa rigidità.

Tutto ciò ha ovviamente ha a che fare con le decisioni di investimento dei risparmi e del capitale familiare, poiché un’uscita dall’Area Euro potrebbe causare riduzioni del potere di acquisto della nostra nuova moneta (un ritorno alla lira?) e dei beni reali connessi (in primis gli immobili). Se gli italiani, poco avvezzi ad un approccio comportamentale alla gestione del denaro, vorranno almeno mantenere intatto il valore del proprio patrimonio, sarà sempre più necessario il supporto di un financial planner indipendente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Da WikiLeaks più che rivelazioni scottanti, la scoperta dell’acqua calda

di Gianni GAMBAROTTA

Il titolo più forte è stato quello, lunedì mattina, di Repubblica: “WikiLeaks, tempesta sul mondo”. Soltanto un po’ più debole della dichiarazione (apparsa ai più un po’ fuori misura) del ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, che aveva parlato di “un 11 settembre della diplomazia”. Comunque tutti i media hanno dato – ci mancherebbe altro – grande rilievo ai 250mila report messi on line dal sito di Julian Assange, che ha rivelato decenni di rapporti segreti (o per lo meno riservati) della diplomazia americana.

Le osservazioni da fare su quanto è successo sono essenzialmente due. La prima riguarda l’efficienza del sistema America. Come è possibile che quella che tuttora si considera (ed è considerata) la prima potenza del mondo sia attaccabile in una simile maniera da questo signore di 39 anni dall’aspetto un po’ stralunato che non si sa bene da dove venga? Come ha potuto avere tranquillamente accesso al sistema informatico del Dipartimento di Stato? Si dice: ha avuto l’appoggio di qualche insider contrario alla politica di Barack Obama, desideroso di screditarla. D’accordo. Ma questo qualcuno è stato libero di scorazzare per i computer del ministero degli Esteri statunitense mettendo in piazza la corrispondenza intercorsa per decenni (si parte dal 1966) con tutte le sue sedi diplomatiche in giro per il mondo. Questo è un colpo letale per la credibilità degli Stati Uniti, per la loro ambizione di restare il Paese leader del mondo. Da oggi la diplomazia americana è screditata. Pensiamo alle zone di tensione come l’Afghanistan o il Medio Oriente: con quale credibilità gli ambasciatori o emissari di vario tipo di Washington potranno interloquire con le diverse controparti? Chi li ascolterà e parlerà con loro sapendo che quanto viene detto potrà un domani essere comunicato ai quattro venti?

La seconda osservazione da fare è sul contenuto di questi 250mila file che giorno per giorno vengono messi sul sito. Potranno riservare rivelazioni eclatanti, certamente. Ma quello che si è visto finora, francamente, non è granché. E di nuovo getta un’ombra sull’efficienza della diplomazia americana. Ci vogliono davvero degli agenti segreti, degli specialisti per dire che Ahmadinejad è il nuovo Hitler? Che Sarkozy è arrogante e, in fondo, un pallone gonfiato? Che la Merkel è un po’ una signora tentenna? Che Berlusconi ha l’abitudine di passare serate in festini non proprio raccomandabili? Per avere queste informazioni, bastava leggere i giornali o abbonarsi a una rassegna stampa. Se questa è l’intelligence americana, si può fare un solo commento: Barack Obama deve tagliare le spese pubbliche per ridurre il deficit di bilancio. Potrebbe dare una bella sforbiciata anche qui.