Filiera tessile, il rilancio nel 2015

Tra i tanti settori del sistema economico italiano che si distinguono, anche in questo 2013, per delle performance tutt’altro che brillanti, quello della moda parla una lingua diversa. Negli ultimi mesi sta infatti registrando che però non riuscirà a garantire per quest’anno una crescita del fatturato: la proiezione a fine anno parla infatti di un -1,7% a prezzi correnti. Secondo quanto ipotizzato dal chief economist di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice, durante il recente convegno “Made in Italy senza Italy – I nuovi scenari della moda e del lusso” organizzato dall’istituto torinese e da Pambianco, bisognerà aspettare il 2014 per registrare una ripresa, per quanto contenuta. Il vero rilancio è invece previsto nel 2015.

Secondo De Felice, “il settore moda esce dal 2013 con dati ancora negativi, anche se meno del 2012. Con il miglioramento degli ultimi mesi dell’anno la contrazione si dovrebbe ridurre all’1,7%” Stando alle stime di De Felice, il 2014 dovrebbe vedere una ripresa dell’1,4%, mentre un +3,3% è atteso per il 2015.

Nel periodo gennaio-agosto 2013 le imprese del tessile, dell’abbigliamento e della filiera della pelle hanno fatto registrare un calo del fatturato del 3,4%, un punto in meno rispetto al -4,4% rilevato nel 2012. Secondo le stime, gli ultimi 4 mesi di quest’anno dovrebbero vedere un miglioramento grazie a un andamento più positivo delle vendite al dettaglio sul mercato interno e dalla ripresa delle esportazioni verso i paesi Ue.

L’asfittica domanda interna ha infatti penalizzato maggiormente i risultati delle imprese del settore moda, le quali però hanno dimostrato tutta la loro forza di filiera integrata con un dato, il saldo commerciale positivo: un dato in controtendenza rispetto a quello, per esempio, della Francia e della Spagna e Francia, che hanno visto il saldo commerciale del sistema moda in negativo.

Il mercato estero sarà fondamentale anche nei prossimi anni per permettere un miglioramento anche degli indici di redditività: questi ultimi sono scesi ulteriormente nel 2012, con un ROI medio in discesa al 6,1% dal 6,7% del 2011. Secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, però, a causa della forte competitività dei mercati internazionali, questa ripresa di redditività non sarà netta ma progressiva e solo tra due anni sarà possibile tornare ai livelli pre-crisi del 2008.

L’Italia che tesse la ripresa è quella della filiera… tessile

di Davide PASSONI

L’economia dell’Italia delle piccole e medie imprese è fatta soprattutto di eccellenze. Eccellenze che scontano la precarietà del fare business nel nostro Paese e che a questa precarietà rispondono con capacità produttiva, tenacia, innovazione e prodotti di prima qualità

Una di queste eccellenze è la filiera tessile. Una delle ultime, vere filiere del nostro Paese e della nostra economia, che deve il suo successo al lavoro unico ed encomiabile di tante imprese, spesso piccolissime, che reggono sulle spalle proprie spalle tanti giganti della moda.

Un settore, quello del tessile, che come tanti altri in questi ultimi anni sta soffrendo, nonostante l’eccellenza che porta con sè e nonostante un export che, tutto sommato, tiene meglio di quello di altri comparti. Ci sono poi i prodotti, come la seta, icone dell’alta artigianalità di casa nostra, che si appoggiano a settori anticiclici come quello del lusso e, per questo, risentono molto meno della frenata dei consumi. Senza dimenticare, poi, il meccanotessile, vero fiore all’occhiello della nostra produzione meccanica. Le macchine tessili italiane sono infatti riconosciute le migliori al mondo; una qualità che, però, non le salva dalla crisi.

Insomma, una settimana vissuta da Infoiva sul… filo dell’impresa. Nel vero senso della parola.

A Milano la prima tappa del Road Show anti-contraffazione

La prima tappa del Road Show organizzato contro la contraffazione da Confindustria e intitolato “La vera impresa è combattere il falso” è partita da Milano.
Mai titolo fu più eloquente, poiché il mercato del falso è da considerarsi una vera piaga per il Made in Italy, tanto da minare un comparto, quello della moda e del tessile, da sempre leader in Italia e all’estero.

A ospitare il primo incontro è stata la sede di Sistema Moda Italia, e il tema riguardava “La contraffazione via internet”, poiché si tratta della forma di contraffazione più ricorrente e in evoluzione, ma soprattutto difficile da contrastare.

L’appuntamento, che era organizzato dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Confindustria, è stato seguito con molto interesse, anche a causa dei dati, sempre più allarmanti, che riguardano il business della contraffazione: circa 12 miliardi di euro, pari a circa il 20% del fatturato complessivo realizzato dal comparto nel 2012.

A questo proposito, Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, ha dichiarato: “Il settore Tessile/Moda è certamente tra i settori industriali che più soffre la concorrenza criminale dei contraffattori e la necessità di dare risposte e strumenti utili di contrasto al fenomeno contraffattivo diventa tanto più urgente quanto più la contraffazione si sposta sul web, spazio nel quale il presidio del diritto diventa più labile. C’è bisogno di preservare la piena legalità all’interno del web, così da permettere alle imprese il pieno sfruttamento di tale mezzo di comunicazione le cui potenzialità sono veramente notevoli“.

Vera MORETTI

Tessile, i piccoli che fanno le fortune dei grandi

Si chiama Sistema Moda Italia ed è una delle più grandi organizzazioni mondiali di rappresentanza degli industriali del tessile e moda. Singolare come nome, visto che una delle cose che si rimproverano ai vari player della nostra economia è proprio quella di non essere capaci di fare sistema… Comunque, per un ambito come quello del tessile il fare sistema è una necessità, ancora di più in un momento delicato come questo.

Ecco perché nel suo focus settimanale Infoiva non poteva non rivolgere qualche domanda al presidente di Sistema Moda Italia, Michele Tronconi. Qualche domanda che ha riservato delle risposte interessanti e sorprendenti. Per esempio, che le piccole imprese specializzate fanno la forza complessiva del settore e ne rappresentano allo stesso tempo la fragilità. Che in questa filiera il turnover di aziende che nascono e muoiono è molto alto e che il segreto del loro successo è la specializzazione. Che, in ultima istanza, senza delle politiche industriali ben strutturate anche un settore come questo rischia di soffocare.

Leggi l’intervista al presidente di Sistema Moda Italia, Michele Tronconi

La filiera fa la forza del Made in Italy

di Alessia CASIRAGHI

Ai nastri partenza della Settimana della Moda milanese, che debutta quest’oggi, Infoiva ha chiesto a Michele Tronconi, Presidente di Sistema Moda Italia quale sia il segreto del successo di un settore, come quello della moda italiana e dell’abbigliamento, apprezzato e invidiato in tutto il mondo. Tante piccole aziende, che se da un lato rappresentano un omaggio alla tradizione e all’artigianalità, dall’altro sono la vera forza intrinseca dei capi che vediamo rinnovarsi di anno in anno sulle passerelle di tutto il mondo.

Oggi debutta la Milano Fashion Week: i capi che vedremo in passerella e che faranno il giro del mondo sono però sola la punta dell’iceberg di un’industria, quella della moda, che in Italia è fatta non solo di grandi maison ma da tantissimi piccoli imprenditori, artigiani e artisti. E’ questo il segreto del suo successo?
Il suo segreto è racchiuso nel fatto di essere ancora una filiera: in Italia sono presenti tutte le componenti che concorrono alla realizzazione di un prodotto finito. Un prodotto che ha elevate componenti simboliche e di gusto, caratterizzato da una continua innovazione, in linea con il cambio delle stagioni, che portano al cambiamento del guardaroba. Ma per arrivare al prodotto finito, celebrato attraverso liturgie particolari come le sfilate, il punto di partenza è sempre la materia prima. Il nostro settore, quello della moda e del tessile, ha vinto sulla saturazione della domanda, che caratterizza tutti i settori economici maturi, grazie all’innovazione di prodotto e grazie alla moda stessa, che è una costruzione sociale che richiede continua propositività e che spinge il consumatore a desiderare il prodotto nuovo, anche se il suo armadio è già pieno. Il nostro è un settore che si è specializzato per rispondere alle esigenze che si susseguono di stagione in stagione: non è un caso che nella filiera del tessile e dell’abbigliamento continuino a esistere piccole imprese specializzate, è da loro che deriva la forza complessiva del settore. Una forza che si basa però allo stesso tempo sulla fragilità di ogni singolo elemento, fragilità che deriva dal fatto di non essere mai importante né per i propri clienti né per i propri fornitori. Esiste un ciclo di vita delle aziende incessante, è l’altra faccia della medaglia, le sfilate sono la punta dell’iceberg di questa fragilità strutturale.

Il bilancio del primo semestre del 2012 parla di un calo generalizzato del settore del tessile in Italia. Quali sono le maggiori difficoltà cui si trovano a far fronte gli imprenditori della moda?
La fragilità odierna non è settoriale ma endemica e dovuta a una crisi di carattere macroeconomico: dalla cattiva finanza americana sui debiti sovrani alla debolezza dell’Euro, una crisi che atterra sull’economica reale, generando crisi di domanda e crisi di consumi. Il calo di fatturati del nostro settore si spiega in un orizzonte più ampio. La domanda interna si è fortemente ridotta, la pressione fiscale si è fatta sentire fin dall’ingresso dell’Euro, ma adesso si avverte in misura maggiore anche in tante imposte indirette: il caso più eclatante è quello della benzina. L’aumento del costo di un bene riduce la possibilità di spesa su altri beni. Il forte calo dei consumi colpisce anche il tessile abbigliamento perchè ha come conseguenza diretta una riduzione e una frammentazione dei volumi produttivi, sia sull’artigianato che sull’industria, con la conseguenza che le imprese non riescono sempre a coprire i costi produttivi. Un altro problema riguarda la contrazione del credito, non solo delle banche, ma anche tra gli imprenditori: il rispetto delle scadenze nei pagamenti fra aziende e fornitori diventa sempre più difficile. Quello che fa un po’ specie è vedere come anche le aziende di grandi dimensioni, che dovrebbero avere le spalle più coperte, non sempre comprendano la necessità e l’importanza di sostenere le realtà più piccole e con esse la filiera stessa, allineando le condizioni di pagamento alle condizioni europee. Da ultimo si aggiunge il problema dell’aumento dei costi di produzione, indotto dalla fiscalità crescente e dall’ incremento del costo dell’energia, che penalizza la filiera italiana e dilata ulteriormente il differenziale negativo dell’industria italiana su i competitor più lontani, come Cina e Turchia, ma anche quelli più vicini come Germania e Francia. Se si produce di meno, viene da sè che si contrae anche la nostra capacità esportativa.

Quali sono attualmente i Paesi dove si esporta maggiormente?
Le nostre esportazioni continua a crescere in Cina, anche se rappresentano ancora una piccola fetta rispetto al valore che importiamo: la Cina è il nostro principale fornitore sia di tessile che di abbigliamento, ed è solo il nostro 12mo cliente, anche se sta salendo in graduatoria con un ritmo molto sostenuto dall’inizio del 2012. In Cina esportiamo più tessile che abbigliamento: il tessile ha registrato quest’anno una crescita del 20-22% rispetto allo stesso periodo del 2011, mentre le importazioni dalla Cina sono diminuite della stessa percentuale nel medesimo periodo. Poi c’è la Russia, seguita da Paesi molti interessanti come il Brasile e l’America Latina stessa, dove però è più facile esportare quando si ha un brand molto noto, meno facile invece quando si tratta di middle brand, perché occorre superare lo scoglio di dazi molto elevati: in Brasile parliamo di una media del 35% per capi di abbigliamento.

I mercati BRIC continuano a rappresentare un’ancora di salvezza per l’export e il fatturato del tessile italiano?
Oltre al già citato Brasile, un mercato molto interessante è quello dell’India, anche se la moda italiana fa ancora fatica a penetrare per una questione prettamente culturale: paradossalmente in India si esporta più facilmente la calzatura italiana che non l’abbigliamento. L’export italiano non guarda soltanto ai Bric ma anche i Next Eleven – Bangladesh, Egitto, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Filippine, Turchia, Corea del Sud e Vietnam – che stanno crescendo a ritmo sostenuto. Fra i Paesi dell’America Latina, grande attenzione è posta sul Messico, un Paese che nonostante venga spesso ritratto dai media come caratterizzato da un alto taso di criminalità è interessato da un fortissimo sviluppo economico, e ancora il Cile e l’Argentina. Tutti Paesi che crescono ad una velocità raddoppiata rispetto alla vecchia Europa.

I buyers stranieri sono indirizzati per lo più verso produzioni di altissimo livello o ad attirare l’attenzione è anche la produzione di medio livello?
I nostri sono prodotti desiderabili sia per chi ha un alto tenore di vita, quindi rivolti al comparto lusso, sia per la classe media, che in Paesi come quelli prima citati cresce a ritmo sostenuto, e desidera avere un prodotto che evochi il sogno, che sia di buona qualità, continuamente innovato, perché gli aspetti simbolici sono quelli a cui si fa più attenzione nel momento in cui si esce da situazioni di precarietà e povertà.

Come si difende l’industria del tessile made in Italy dalla concorrenza, non solo a livello economico ma anche di filiera produttiva, dei Paesi asiatici?
Occorre cambiare la prospettiva: quando noi 10 anni fa ragionavamo di sostegno della nostra filiera, la questione principale riguardava la protezione della produzione italiana. Oggi le cose sono cambiate, oggi siamo chiamati a sostenere le nostre esportazioni in quei Paesi che 10 anni fa erano i nostri principali acquirenti. La Cina ne è l’esempio più lampante: da Fabbrica del mondo si è trasformata in grande mercato del mondo, e paradossalmente, per sostenere la nostra filiera oggi occorre creare prodotti che siano esportabili e vendibili in quei Paesi. Una cosa è rimasta costante nel tempo: la necessità di strumenti di trasparenza, l’indicazione di origine dei prodotti è importante sempre e ovunque. La Cina compra da noi solo quando il prodotto è autenticamente made in Italy; oggi dobbiamo pretendere che anche gli altri Paesi rispettino la piena reciprocità e trasparenza.

Secondo lei, quali soluzioni alternative potrebbe /dovrebbe adottare il Governo per salvaguardare un settore tradizionale e fondamentale dell’industria italiana, quasi identitario, come quello del tessile?
Per esportare di più occorre risolvere i problemi a casa nostra. All’Italia manca quella capacità a fare squadra, i problemi che stanno venendo a galla sono più grossi, e non riguardano solo il tessile e abbigliamento, ma visto che questo settore rappresenta ancora, per fortuna, un’industria di filiera, una maggior attenzione da parte dei grandi poteri andrebbe prestata. Occorrono interventi che agiscano sul conto economico delle imprese: prima di tutto ridurre il costo dell’energia, che è stratosferico ed è un problema solo italiano. Occorre poi ridurre la fiscalità sulle imprese, primo fra tutti il problema dell’Irap che penalizza tutte quelle aziende che presentano una forte incidenza della manodopera. La principale riforma di cui ha bisogno l’Italia in questo momento è fiscale: nell’attività produttiva a livello industriale non si assiste ad uno spostamento verso il sommerso, ma ad un annullamento dell’attività produttiva. Si tratta però di interventi che riguardano unicamente il Governo, non le parti sociali o gli imprenditori. Quando si ha a che fare con una filiera, come la nostra, composta per lo più da piccole realtà imprenditoriali, non ci si può aspettare che i piccoli risolvano i problemi dei grandi.

Per il tessile italiano un 2012 incoraggiante

Il settore tessile e moda italiano tiene e, anzi, guarda al 2012 con fiducia. Questo è quanto traspare dai risultati previsionali per il 2011 e per il 1° semestre 2012 comunicati, durante un incontro-stampa tenutosi la scorsa settimana nella sede della Stampa Estera di Milano, da Michele Tronconi, Presidente di Sistema Moda Italia (SMI), Cecilia Gilodi, Responsabile Area Centro Studi SMI e Massimilano Serati, Professore associato di Politiche economiche alla LIUC di Castellanza. I dati sono stati ricavati in base a un modello econometrico elaborato da SMI, in collaborazione con l’Università Carlo Cattaneo – LIUC di Castellanza.

Ora che il 2011 volge al termine – ha detto Tronconisi è ritenuto opportuno fare un ‘preconsuntivo’ e svolgere, nello stesso tempo, una proiezione sul primo semestre del 2012. Nel far questo si è voluto stimare l’influenza di quei fattori esogeni che condizionano la competitività del settore e, quindi, le performance di mercato. Materie prime, costo dell’energia, credit crunch e rincaro dell’IVA sono, evidentemente, fattori che zavorrano la filiera, comprimendone le potenzialità di sviluppo. Senza dimenticare che simili effetti negativi dal Tessile-Moda si trasferiscono sull’intera economia nazionale, come indicano le ripercussioni sul PIL e occupazione“.

Secondo Serati, il modello utilizzato, “che ha già dato prova di solidità e affidabilità nelle precedenti elaborazioni” ha indicato per il settore una tenuta del trend positivo, evidenziando però un rallentamento rispetto ai ritmi del 2010 e del primo semestre del 2011. Il giro d’affari complessivo cresce del +4,8% nel 2011, si riporta sopra i 50 miliardi di euro ma non consente di ritornare ancora ai livelli correnti pre-crisi. L’impulso alla crescità è dato soprattutto dall’export, stimato in crescita del 6,2% per un totale esportato pari a 26 miliardi di euro e un saldo commerciale con l’estero sopra i 6 miliardi.

Nonostante il quadro settoriale complessivamente favorevole – ha detto Cecilia Gilodi, la sovra-capacità produttiva che sta condizionando specialmente i settori maturi trova riflesso sul fronte occupazionale. Anche nel 2011, dunque, non si interromperà il ridimensionamento del settore in termini di aziende attive ed occupati. In particolare, con riferimento alla manodopera, si prospetta una contrazione di circa 9.050 posti di lavoro, pari al 2%“.

Tuttavia, il primo semestre 2012 indica un assorbimento delle turbolenze di mercato con un certo esito favorevole per il Tessile-Moda italiano. Si prevede una situazione di complessivo miglioramento rispetto al secondo semestre 2011, più contenuto però rispetto ai ritmi di crescita del primo semestre 2011. Il fatturato totale è previsto in aumento del 5,9%, l’attività produttiva (a volume) del 6,1%, mentre l’export sarebbe a +7,1%. Il tutto, però, con un’erosione ocupazionale del -1,9%.

Da Tronconi, infine, un appello al Governo: “Chiediamo più promozione internazionale, risolvendo il problema apertosi con la chiusura dell’ICE e prevedendo strumenti a sostegno all’internazionalizzazione dei produttori tessili” ha detto,  ricordando che “è quindi urgente e fondamentale che venga recepita correttamente la Direttiva 2003/96/CE che prevede la definizione di ‘impresa a forte consumo di energia’; di lasciare alle imprese i flussi di liquidità generati dalla gestione operativa: mantenendo in azienda il TFR maturando e inoptato (per le imprese sopra i 50 dipendenti); spostando l’esazione dell’IVA al momento dell’effettivo incasso; intervenendo sul carattere distorsivo dell’IRAP“.