Dove va la moda italiana?

Per sapere dove va la moda “made in Italy” nel mondo, quali sono i maggiori mercati e da dove parte l’export italiano, la Camera di commercio di Milano in collaborazione con Promos, la sua azienda speciale per le attività internazionali, ha realizzato la mappa “La moda italiana nel mondo – Italian fashion in the world”, disponibile in italiano e inglese e scaricabile cliccando qui.

Per la moda italiana si parla di un export da 48 miliardi tra abbigliamento, accessori e calzature, +2% rispetto all’anno precedente. In particolare nel 2015 sono aumentate le esportazioni di biancheria per la casa, camicie, T-shirt, biancheria intima e abbigliamento in pelliccia (+4%) e di tappeti e moquette, cuoio, articoli da viaggio e borse (+3%), calzature (+2%).

I 3 maggiori partner per la moda italiana sono Francia (10,6% del totale), Germania (9,2%) e Stati Uniti (8,4%). In crescita Stati Uniti (+17,1%), Corea del Sud (+12,5%), Cina (+10%). Ma tra le prime 20 destinazioni compaiono anche Hong Kong, Regno Unito e Giappone.

E se la Francia è il principale partner per gli articoli di abbigliamento e in particolare per camicie, T-shirt e intimo, per maglieria, per tappeti e calzature, Hong Kong eccelle per filati e per abbigliamento sportivo, la Germania è prima per tessuti, la Svizzera per borse e pelletteria, gli Stati Uniti per biancheria per la casa e per pellicce, la Romania per passamanerie e bottoni.

Questo spaccato sui dati della moda italiana emerge da elaborazioni della Camera di commercio di Milano su dati Istat, anni 2015 e 2014.

I maggiori esportatori italiani sono Milano, Firenze (9,9%) e Vicenza (9,1%). Tra le prime venti posizioni segnano la maggiore crescita Reggio Emilia (+7,6%), Bologna (+7,2%) e Vicenza (+6,5%).

La Camera di commercio meneghina ha anche puntato la propria attenzione sulla realtà locale e ha rilevato che la Lombardia è protagonista della moda con 11,8 miliardi di export, un quarto del totale italiano. Oltre a Milano, leader in Italia, tra i primi 20 posti ci sono anche Como 7°, Varese 15°, Bergamo 16° e Mantova 17°.

Tra le province, oltre a Milano, medaglia d’oro per abbigliamento in generale, biancheria per la casa e pellicce, nel panorama della moda si distinguono Mantova prima per maglieria, Como seconda per tessuti e Bergamo terza per filati e tessuti.

Perché gli italiani comprano italiano?

Quali sono le eccellenze italiane nel mondo? Facile, si pensa… Cibo, moda, auto, design. Vero solo in parte, almeno nella percezione e nelle scelte d’acquisto degli italiani stessi. Secondo quanto emerge dalla ricerca Global Brand-Origin Survey, realizzata da Nielsen su un campione di oltre 30mila persone in 61 Paesi, tra i quali l’Italia, il 71% dei nostri connazionali sceglie sì prodotti Made in Italy per frutta, verdura, pesce e carne, ma solo il 25% lo fa per la moda e l’abbigliamento.

È infatti di ben il 37% la quota di italiani che scelgono brand globali per l’abbigliamento o le calzature, e del 38% la quota di connazionali ai quali è del tutto indifferente da dove provenga ciò che si mettono addosso.

Entrando nel dettaglio dei numeri e degli articoli, per l’agroalimentare gli italiani preferiscono prodotti locali per latte (66%), pelati (61%), gelati (60%), acqua (54%), yogurt (52%), biscotti (48%), succhi di frutta (45%), latte in polvere per bambini (42%).

Per quanto riguarda le auto, altro settore nel quale gli italiani dovrebbero essere maestri di stile e design, il 58% dei connazionali sceglie brand globali. Tra gli altri competitor europei del settore auto, andiamo peggio dei francesi (il 31% di loro sceglie marchi globali) e dei tedeschi (28%).

Perché gli italiani scelgono italiano, quando lo fanno? Secondo Nielsen, in primo luogo per supportare l’economia locale (60%), poi per un senso di vicinanza al consumatore (50%) e di affidabilità (46%), per la qualità dei prodotti (30%), per la genuinità degli ingredienti (29%) o per un sano orgoglio nazionale 13%. Al di fuori dell’Italia e dei prodotti italiani, a livello globale quasi 6 intervistati su 10 acquistano prodotti locali per supportare il business nazionale.

Un 2016 promettente per la moda italiana in Cina

Nelle scorse settimane avevamo anticipato di come per la moda italiana in Cina, specialmente per quella di una fascia prezzo più accessibile, il 2016 si presenti come un anno molto promettente.

Dopo l’aumento record del 32% nel 2015, la moda italiana donna in Cina potrebbe crescere ancora nel 2016 di circa il 25%, soprattutto nel comparto del middle luxury, grazie ad una forte richiesta di capi di qualità ma a prezzo accessibile.

Una richiesta che arriva dopo un 2015 nel quale le top griffe della moda italiana hanno scontato una flessione sul mercato cinese, anche a causa di prezzi troppo elevati nella distribuzione locale, a volte superiori del 50% rispetto a quelli dei negozi italiani.

Un trend che commenta così Giacomo Gardumi, Ceo di Retaily Shanghai, società attiva nella diffusione della moda italiana sul mercato cinese: “La domanda cinese sta cambiando e analizzando i dati del primo bimestre si prevede una crescita di un ulteriore 25% nell’import cinese di moda italiana donna nel 2016, concentrato soprattutto nei capi italiani di qualità, ma di prezzo accessibile. Gli acquisti di moda italiana ormai interessano un ampio strato di cittadini cinesi, certamente benestanti, ma non miliardari”.

Seguendo questo trend, il gruppo di distribuzione cinese IFF, dopo aver selezionato negli scorsi mesi aziende della moda italiana per un possibile sbarco in Cina, aprirà una seconda fase di selezione durante gli Open Day del 4 e 15 aprile prossimi, in via Cerva 14 a Milano (per informazioni, marketing@retaily.it).

Nel corso della prima fase, oltre 100 aziende italiane hanno stretto accordi commerciali con IFFG, e circa 50 di queste entreranno nel primo concept store del gruppo, che aprirà a settembre 2016 a Shanghai.

Ai marchi italiani vengono proposti accordi commerciali della durata di 5 anni che prevedono l’acquisto di prodotto vincolato al rilascio di un’esclusiva distributiva estesa a tutto il territorio cinese. Gli investimenti sono a costo zero per le aziende italiane e IFFG garantisce prezzi più accessibili sul mercato cinese, vicini a quelli del mercato italiano.

Moda italiana e mercato cinese

La Cina continua a essere un mercato centrale per la moda italiana, specialmente per la moda donna. Lo dimostrano alcuni dati emersi dalla conferenza stampa tenutasi nei giorni scorsi a Milano, organizzata dal Gruppo asiatico IFF (International Fine Fashion Group) e da Retaily. Un dato su tutti, l’aumento della domanda cinese di moda italiana per donna registrato nel 2015: +32% nel 2015.

Si tratta di un dato che, al di là delle griffe internazionali, riguarda l’intera produzione medio/alta della moda italiana, con un mercato potenziale di 300 milioni di cinesi benestanti, un settore al riparo dalle turbolenze finanziarie delle borse locali.

Il Gruppo IFF ha già messo sotto contratto 100 marchi della moda italiana, che esporranno in 9 Fashion Center in corrispondenza delle più importanti città cinesi, con una strategia commerciale a più canali che affianca la vendita al dettaglio, all’ingrosso e online.

Il primo concept store di IFFG aprirà a Shanghai nel settembre del 2016, all’interno dello shopping center “Golden Eagle”, una delle più prestigiose catene del retail di lusso di tutta la Cina. Gli altri Fashion Center saranno aperti successivamente a Changsha, Shenzhen, Xian, Hangzhou, Beijing, Wuhan, Shengyang e Xiamen.

Mentre i grandi marchi della moda internazionale stanno perdendo quote di mercato in Cina – ha spiegato durante la conferenza Dan Jiang, Project Manager IFFG -, la domanda di prodotti italiani di qualità, e dal prezzo accessibile, continua a crescere in modo costante. Nel 2015 le nostre stime riferiscono di un aumento dell’import di prodotti moda donna made in Italy di circa il 32%. Si tratta di aziende storiche della moda italiana, ma anche di linee nuove e stilisti emergenti, destinati ad incontrare il gradimento di grandi fasce di consumatori cinesi, soprattutto quello delle classi medie urbane emergenti”.

Secondo Giacomo Gardumi, chairman di Retaily, “l’interscambio tra Cina e Italia nel comparto moda crescerà di anno in anno. Le tempeste speculative registrate sulle borse di Shanghai e Shenzhen non impattano sull’ economia reale della Cina, che è, per sua natura, impermeabile alle dinamiche della finanza internazionale”.

Nei Concept Store di IFFG esporranno marchi della moda italiana selezionati in base a qualità, taglio stilistico ed accessibilità del prezzo. Prodotti legati ad una nuova idea di lusso e capaci di imporsi ad una larga fascia di consumatori cinesi. Oltre ad abiti della moda italiana, il progetto IFFG prevede l’esportazione di accessori e gioielli.

Milano e la moda, un mondo di 13mila imprese

È partito oggi il circo di Milano Moda Uomo e il capoluogo lombardo, insieme all’intera regione, scoprono un’altra volta la loro grande vocazione imprenditoriale per la moda. I conti, in questo senso, li ha fatti la Camera di commercio di Milano.

L’ente camerale, elaborando dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2015, ha calcolato che sono 34mila le imprese attive nel settore della moda in Lombardia, di cui oltre una su tre si concentra a Milano (13mila). In regione sono oltre 14mila imprese nella produzione e 20mila nel commercio della moda.

Dopo Milano ci sono Brescia, con 4 mila imprese, Varese e Bergamo con oltre 3mila, Como, Monza e Brianza e Mantova con circa 2mila. 189mila gli addetti del settore, di cui quasi 83mila a Milano. Sono a conduzione maschile due imprese di produzione su tre in Lombardia, pari al 64%, 9mila su 4mila.

E anche sul fronte dell’export, il settore si conferma trainante nella regione. L’export di moda ha infatti sfiorato nei primi nove mesi del 2015 i 9 miliardi di euro, stabile in un anno. La Lombardia esporta soprattutto articoli di abbigliamento, per un valore di 4 miliardi di euro. Seguono i prodotti tessili (quasi 3 miliardi) e gli articoli in pelle (2,1 miliardi).

Milano pesa quasi la metà del totale regionale (4,2 miliardi); seguono Como (1,1 miliardi), Varese e Bergamo con oltre 680 milioni. La regione esporta moda principalmente verso Europa, Asia orientale e America settentrionale. Quasi un miliardo di euro l’export verso la Francia, 650 milioni di euro verso la Germania e tra i Paesi non Ue, primi gli Stati Uniti con 800 milioni di euro e Hong Kong con oltre 700 milioni.

Inoltre, mezzo miliardo di export di moda è andato in Cina, 400 milioni in Giappone, 300 milioni in Corea del Sud. E se in un anno la Russia ha rallentato, tra chi è cresciuto ci sono Arabia Saudita e Qatar. Questa volta l’elaborazione della Camera di commercio di Milano è avvenuta su dati Istat al terzo trimestre 2015 e 2014. Insomma, se Milano è la capitale della moda, non è solo per fashion…

Moda maschile italiana tra luci e ombre

Con l’apertura ufficiale dei battenti di Pitti Uomo 89, avvenuta a Firenze il 12 gennaio, la moda maschile italiana ha cominciato la sua autocelebrazione anche per questo 2016. Un anno che arriva dopo un 2015 caratterizzato da segnali contrastanti per questo comparto importantissimo della moda italiana.

Lo scorso anno, infatti, il fatturato dell’industria italiana della moda maschile ha fatto registrare un incremento mediocre, +1,5% rispetto al 2014, per un giro d’affari totale di poco inferiore ai 9 miliardi (8,9 miliardi, per la precisione). Un incremento pari quasi alla metà rispetto all’anno precedente.

Se, da un lato, la moda maschile italiana ha confermato anche per lo scorso anno la propria vocazione all’export incrementando dello 0,3% rispetto al 2014 il totale delle esportazioni sul fatturato (63,4%), dall’altro è calato del 3,2% il valore della produzione in Italia: un calo che, in termini assoluti, si traduce in 4,7 miliardi in meno. Conforta che il 63,4% di cui sopra è figlio di un +9% della quota export registrato negli ultimi 5 anni. Export che, nonostante tutto, è cresciuto lo scorso anno di circa la metà, in termini percentuali, rispetto a quanto fatto nel 2014: +2,4% a quasi 5,7 miliardi, contro il +5,1% pari a 5,5 miliardi di un anno prima.

A fare il punto su questi numeri della moda maschile italiana ci ha pensato Sistema moda Italia che ha elaborato dati Istat. Elaborazioni dalle quali emerge che le importazioni sono cresciute del 7,6% a 4 miliardi, dato che ha portato a un calo del surplus della bilancia commerciale per la moda maschile italiana a 1,6 miliardi.

Il mercato interno della moda maschile italiana, infine, nel 2015 ha seguito quello generale, confermando il calo dei consumi anche se in misura meno drammatica di quanto avvenuto negli anni più bui della crisi: -2,1% a 7,3 miliardi.

Un calo più contenuto, che se non sa ancora di luce in fondo al tunnel, manda comunque un segnale incoraggiante all’intera filiera della moda per continuare a credere nella ripresa.

Tessile moda, accordo con UniCredit per il sostegno alle imprese

Importante sostegno al settore tessile moda da parte di uno dei colossi bancari in Italia e in Europa. Nei giorni scorsi è stato infatti firmato un accordo tra la Federazione Tessile Moda – Sistema Moda Italia (SMI) e UniCredit Factoring S.p.A., per il sostegno alle impreseitaliane della filiera tessile e dell’abbigliamento, soprattutto attraverso l’utilizzo della piattaforma di reverse factoring (supply chain finance) messa a disposizione da UniCredit Factoring alle imprese affiliate a SMI.

Il servizio di reverse factoring offerto dalla società di factoring del Gruppo UniCredit può costituire uno strumento idoneo a supportare finanziariamente le imprese appartenenti alla filiera del settore tessile moda e dell’abbigliamento, con particolare riguardo a quelle di minori dimensioni che operano nei cicli di sub-fornitura dei grandi gruppi e, più in generale, a offrire benefici di flessibilità finanziaria ed efficienza operativa alle filiere del tessile moda in Italia.

Sulla base dell’accordo, le parti si impegnano a “individuare e analizzare le peculiarità del settore moda e abbigliamento, con l’obiettivo di definire le linee guida per l’applicazione della piattaforma di reverse factoring a beneficio delle aziende affiliate a Sistema Moda Italia”.

UniCredit e SMI intendono infatti mettere a punto una soluzione di credito di filiera che si adatti alle esigenze specifiche del settore tessile moda, attraverso lo studio di alcuni casi-pilota, e che possa costituire uno strumento concreto, personalizzabile e scalabile.

Insieme, inoltre, promuoveranno l’iniziativa sul territorio per far conoscere i benefici dell’approccio al maggior numero possibile di aziende capofiliera e di filiere produttive ad esse collegate.

UniCredit Factoring ha stanziato per questo accordo un plafond creditizio iniziale di 2 miliardi di euro in tre anni. L’accordo ha decorrenza immediata, intendendosi tacitamente rinnovato, di anno in anno, sino al 30 settembre 2018.

La filiera moda ha la sua testa pensante

Con la prima decade di gennaio, come da tradizione si rimette in modo il grande circo della moda italiana, prima con l’appuntamento fiorentino di Pitti Uomo (12-15 gennaio) e poi con Milano Moda Uomo (15-19 gennaio). Due momenti nei quali la filiera moda italiana mette in mostra tutte le proprie potenzialità e il proprio saper fare.

Fortunatamente, anche a livello governativo si sta cominciando a valorizzare in maniera concreta la filiera moda, soprattutto grazie all’avvio di importanti finanziamenti destinati alle fiere della moda e al varo di un’iniziativa che prova a rimediare a una delle carenze tipiche del fare impresa in Italia: l’incapacità, o la difficoltà, di fare sistema.

Lo scorso 23 dicembre è stato infatti costituito il Comitato della moda e dell’Accessorio italiano, presieduto dal viceministro allo Sviluppo Economico Carlo Calenda. Un’entità che prova a mettere insieme i protagonisti e le eccellenze della filiera moda italiana per cercare di mettere a fattor comune competenze e conoscenze che consentano di posizionare la moda italiana in maniera sempre più efficace sui mercati mondiali.

Il Comitato della Moda e dell’Accessorio italiano definirà le linee guida per lo sviluppo del comparto, concorderà insieme al Governo il sostegno istituzionale necessario a portare avanti le diverse iniziative e garantirà l’implementazione dei progetti chiave, fondamentali per riaffermare la leadership del sistema della moda, attraverso il coordinamento e potenziamento degli eventi, il rafforzamento del sistema fieristico, la formazione, la sostenibilità e il supporto alla crescita dei marchi e delle aziende della filiera moda”. Questo il passaggio chiave del comunicato che lancia il Comitato.

Il primo passo concreto del Comitato è previsto per settembre di quest’anno, quando tutta la filiera moda sarà portata nel polo fieristico di Rho-Pero in un unico appuntamento in contemporanea con la Settimana della Moda di Milano, che riunisca le miriadi di fiere di settore attualmente sparse su tutto l’anno.

Entreranno nel Comitato della Moda e dell’Accessorio italiano le eccellenze della filiera moda, della filiera tessile e dell’accessorio. In rigoroso ordine alfabetico: Altagamma, Altaroma, Camera Nazionale della Moda Italiana, Centro di Firenze per la Moda Italiana, Federazione Italiana Accessorio Moda e Persona, Mido, Mifur, Milano Unica, Mipel, Origin, Pitti, Sistema Moda Italia, TheMicam, Vicenza Oro/Oro Arezzo.

Moda italiana, crescono gli acquisti in Italia

La moda italiana è una dei campioni dell’export del made in Italy, ma non dobbiamo dimenticare che la gran parte del fatturato del settore arriva dagli acquisti effettuati in Italia, tanto dagli stranieri quanto dai nostri connazionali, che della moda italiana sono innamorati.

Ebbene, secondo i dati che emergono dall’Osservatorio Fashion Industry Insight di American Express, nei primi sei mesi di quest’anno gli acquisti di moda italiana effettuati nel nostro Paese sono rimasti stabili rispetto allo stesso periodo del 2014, con i dati relativi al secondo trimestre che parlano di una leggera ripresa, pari al 2,4%.

È vero, i dati della ricerca sono parziali perché analizzano i comportamenti di spesa dei titolari delle carte American Express, ma dal report emerge che la passione per la moda italiana non conosce certo crisi, dal momento che l’incremento del secondo trimestre 2015 è stato generato agli acquisti di beni di lusso (+4,3% rispetto allo stesso periodo del 2014) e al contributo fondamentale dei department store (+3%).

In questi comportamenti di spesa, di coloro i quali comprano in Italia la moda italiana, non stupisce il fatto che Milano si confermi la meta preferita di chiama la moda, forse anche per l’effetto trainante di Expo 2015 sui turisti, italiani e stranieri.

Nella prima metà del 2015, la spesa a Milano ha fatto segnare un +4,2%, spinto dal +6% dei beni di lusso e dal +16% dei grandi magazzini. La buona performance dei grandi magazzini del lusso e della moda italiana è confermata dalla crescita robusta dello scontrino medio che, per ogni singola transazione, ha fatto registrare un +37%.

In sostanza, in base ai dati dell’Osservatorio, nei primi 6 mesi dell’anno i cosiddetti big spender hanno speso di più e più spesso. Le loro transazioni sono triplicate nell’ambito dei beni di lusso e duplicate nelle categorie “high street brands”, “aspirational fashion” e “department stores”. Perché la moda italiana comprata in Italia ha evidentemente un altro fascino.

Moda italiana e Bric, Russia e Cina non sono morte

Nonostante una congiuntura che negli ultimi anni ha fortemente indebolito i cosiddetti Paesi Bric (Brasile, Russia, India e Cina), per diverso tempo le motrici dell’economia mondiale, su alcuni di questi continua a scommettere la moda italiana per sostenere il proprio export.

Il Brasile vive ormai da tempo una profonda recessione, l’India si barcamena ma tutto sommato è la realtà con ancora i migliori margini di crescita, la Cina ha rallentato pericolosamente la propria crescita e, con la svalutazione dello Yuan, ha messo in crisi i mercati mondiali, la Russia è fiaccata dalla sanzioni economiche internazionali a seguito della crisi con l’Ucraina. Ma la moda italiana continua a credere specialmente in Russia e Cina.

Secondo le previsioni di Prometeia e del Centro Studi di Confindustria, presentate nei giorni scorsi durante il lancio del progetto Esportare la Dolce Vita, l’export della moda italiana crescerà del 37,4% nei Paesi emergenti da qui al 2020, ma il 2016 sarà l’anno della Russia, dopo il periodo duro delle sanzioni.

In particolare, il made in Italy e la moda italiana dovrebbero tornare a crescere a Mosca a partire dal prossimo anno, sostenuti dal Progetto speciale Russia ideato da Ice, Smi (Sistema Moda Italia) e ministero dello Sviluppo economico e la crescita dovrebbe proseguire anche nel 2016.

Secondo Prometeia e Confindustria, la ripresa in Russia dovrebbe essere sostenuta dai prodotti di fascia medio-alta della moda italiana, che entro il 2020 dovrebbero portare l’export a un +26,7%, per un controvalore di 1,3 miliardi di euro. Numeri da sogno se rapportati al -13% registrato nel 2014 e al -30% del primo semestre 2015.

Sarà invece la Cina in prima persona a venire da noi e a proporre la vendita dei prodotti della moda italiana di fascia medio-alta, semplificando le operazioni di vendita e azzerando i rischi per le aziende italiane. Lo farà con una iniziativa del colosso cinese della distribuzione IFF, che sarà presentata a Milano alle aziende italiane interessate il 6 e 7 ottobre.

Il progetto in questione prevede che i prodotti della moda italiana siano esposti in 8 nuovi Fashion Center posti nelle più note strade commerciali delle città di Pechino, Shanghai, Shenzhen, Changsha, Hangzhou, Wuhan, Shengyang e Xiamen, nei quali 300 distributori cinesi selezionati da IFF esporranno i prodotti italiani per venderli sia al dettaglio sia all’ingrosso. I centri di IFF si attiveranno anche come centrali di acquisto online, utilizzando una piattaforma di eCommerce.

L’arrivo di IFF in Italia a ottobre è mirato a selezionare circa 200 aziende della moda italiana operanti nel segmento dell’abbigliamento e degli accessori, con l’obiettivo di acquistarne i prodotti della collezione autunno/inverno 2016/17. Le aziende interessate possono accreditarsi agli incontri compilando il modulo sul sito di IFF oppure inviando una e-mail a info@retaily.it, per avere anche maggiori informazioni sulla formula di affiliazione adottata.