Reddito di cittadinanza/inclusione, spuntano 10.000 posti di lavoro

Prende vita il nuovo progetto contro povertà ed emarginazione.  Arrivata la firma del protocollo tra Ministero del Lavoro, Anpal Servizi e il Consorzio Elis con 10.000 posti di lavoro, opportunità destinate a percettori di reddito di cittadinanza, reddito di inclusione e a rischio emarginazione.

10.000 posti di lavoro per percettori di reddito di cittadinanza/assegno di inclusione

Il nuovo Governo fin dall’insediamento ha avuto tra gli obiettivi quello di rivoluzionare il reddito di cittadinanza, attraverso una riduzione del numero dei percettori e soprattutto come misura ad esaurimento per coloro che sono abili al lavoro.

Il nuovo protocollo si inserisce proprio in questo progetto e mira a collocare nel mondo del lavoro gli occupabili andando quindi a ridurre i percettori del reddito di cittadinanza, misura a breve sostituita dal reddito di inclusione o assegno di inclusione.

Leggi anche: Dal Reddito di cittadinanza all’assegno di inclusione, cosa cambia?

Contributi datori di lavoro per chi assume percettori assegno di inclusione

Il progetto può essere definito triangolare perché con diverse funzioni coinvolge 3 soggetti. In primo luogo c’è il Ministero del Lavoro che mette a disposizione delle aziende che aderiscono al progetto “Distretto Italia” i dati relativi alle politiche nazionali del lavoro, come il programma GOL, Piano Nazionale Giovani, Donne e lavoro e l’elenco dei soggetti occupabili di età compresa tra 18 e 59 anni di età.

Il Consorzio Elis invece si impegna a proporre alle persone segnalate percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro e si occupa di individuare posizioni vacanti in cui collocare le persone a rischio emarginazione. Attraverso tale triangolazione si favorisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Settori in cui sono disponibili posti di lavoro

Attualmente, tenendo in considerazione le aziende che hanno aderito al progetto Distretto Italia, sono stati individuati già 10.000 posti di lavoro nei settori telecomunicazioni, energia, costruzioni e trasformazione digitale. Le imprese che partecipano al progetto sono impegnate nelle politiche di parità di genere e nell’inserimento dei NEET, cioè giovani non impegnati in percorso di studio, formazione o lavoro.

In base alle stime rese note dal Ministro del Lavoro, Marina Calderone, nei prossimi mesi si arriverà alla disponibilità di 1,5 milioni di posti di lavoro che consentiranno di dare opportunità concrete di carriera a giovani e meno giovani.

Per quanto riguarda i percorsi di formazione, saranno gratuiti e di durata compresa tra 5 e 20 settimane, mirano a fornire competenze da sfruttare nel mondo del lavoro in modo che vi sia una collocazione più soddisfacente.

Le aziende che decideranno di assumere potranno inoltre beneficiare degli incentivi per le assunzioni.

Leggi anche: Bonus assunzione donne, arrivano le istruzioni operative Inps

Disoccupato di lunga durata: quali vantaggi ci sono per l’azienda che lo assume?

Il disoccupato di lunga durata è un soggetto che si trova in una condizione cronica di mancanza di lavoro. Il legislatore tende a voler eliminare questa “categoria” di persone e proprio per questo prevede diversi incentivi volti a rendere più appetibili i disoccupati di lungo corso sul mercato del lavoro. Vediamo in primo luogo chi può definirsi disoccupato di lunga durata e di conseguenza quali vantaggi possono esservi per le aziende.

Chi è il disoccupato di lunga durata?

La prima cosa da sottolineare è la differenza tra inoccupato e disoccupato. Il disoccupato è colui che ha perso un lavoro o ha cessato un’attività autonoma e non riesce a reinserirsi nel mondo del lavoro. L’inoccupato è invece colui che non ha mai lavorato. Per risultare come disoccupato è necessario iscriversi nelle liste di collocamento del Centro per l’Impiego ed occorre sottoscrivere il patto di servizio con l’Anpal. Sono differenti dagli inoccupati anche i NEET (not engaged in education employment and trainig), si tratta di persone che non seguono percorsi di formazione o studio, ma non sono neanche alla ricerca di lavoro. Si tratta spesso di persone sfiduciate che non sono iscritte nelle liste dei Centri per l’Impiego.

Nella lista dei disoccupati compaiono poi i disoccupati di lungo periodo o di lungo corso/durata. Si tratta di persone che hanno accumulato:

  • oltre 12 mesi di disoccupazione, che scendono a 6 mesi nel caso in cui si tratti di persona di giovane età. Tale classificazione non è però rigida perché vi possono essere benefici a cui si accede con requisiti diversi.

Agevolazioni per i disoccupati di lunga durata

A tutela del disoccupato di lunga durata sono previsti percorsi di inserimento lavorativo. Ad esempio possono usufruire dell’assegno di ricollocazione con importo variabile da utilizzare in corsi di formazione e servizi di assistenza nella ricerca del lavoro. I vari “privilegi” da disoccupato di lunga durata inoltre non si perdono nel caso in cui sia stipulato un contratto di lavoro a tempo determinato di breve durata, in particolare non si perde la “qualità” di disoccupato di lunga durata in presenza di un contratto di durata inferiore a 6 mesi. Inoltre il decreto 4 del 2019 prevede che si mantenga lo stato di disoccupato nel caso in cui il reddito percepito da lavoratore dipendente sia inferiore a 8.145 euro e 4.800 euro in caso di lavoro autonomo.

Agevolazioni per le imprese che assumono disoccupati di lunga durata

Al fine di ridurre la fascia di disoccupati di lunga durata sono inoltre previsti altri vantaggi che vanno sia a favore del datore di lavoro che assume sia del lavoratore stesso.

Il primo aiuto è dato dallo sgravio contributivo in favore delle imprese che assumono disoccupati di lunga durata.

Bonus assunzioni donne

Il primo incentivo riguarda le donne: vi è uno sgravio contributivo al 100% per le imprese che assumono donne con almeno 12 mesi di disoccupazione e che abbiano superato i 50 anni di età. Questo sgravio contributivo è previsto fino al 30 giugno 2022, non si ha invece certezza su un’eventuale successiva proroga.

Inoltre è possibile avere lo sgravio contributivo al 100% senza limiti di età nel caso in cui la donna sia disoccupata da almeno 24 mesi.

Nel caso in cui le donne abbiano residenza in aree economiche in cui vi è una particolare disparità occupazionale tra uomini e donne oppure residenti in Regioni ammissibili ai finanziamenti nell’ambito dei fondi strutturali UE, bastano sei mesi di disoccupazione per poter accedere allo sgravio contributivo al 100%.

Bonus assunzione uomini

Per l’assunzione degli uomini lo sgravio è invece al 50% e può essere fatto valere per:

  • over 50 con almeno 6 mesi di disoccupazione;
  • qualsiasi età con 12 mesi di disoccupazione.

Bonus assunzioni Sud

Particolari sgravi contributivi sono inoltre previsti nel Bonus Assunzioni Sud. In questo caso per poter accedere si considera disoccupato di lunga durata chi ha maturato almeno 6 mesi di disoccupazione. Il Bonus Assunzioni Sud si applica alle aziende che si trovano in: Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, oppure in quelle definite in transizione, Sardegna, Abruzzo e Molise. Anche in questo caso la decontribuzione è al 100% per contratti di lavoro a tempo indeterminato oppure per contratti di apprendistato. Lo sgravio è al 100% per il primo anno (con importo massimo per assunto di 8.060 euro ) e al 50% per il secondo e il terzo anno. Nel caso in cui l’assunzione riguardi persone di età compresa tra 15 e 24 anni, non si tiene conto della durata del periodo di disoccupazione.

Anticipi pensionistici per il disoccupato di lunga durata

Chi è disoccupato di lungo periodo può inoltre accedere alla pensione in modo agevolato. Le opportunità sono 2 cioè accedere alla pensione anticipata precoci, oppure alla Ape Sociale.

Per la pensione anticipata precoci è necessario avere maturato un’anzianità contributiva di almeno 41 anni, di questi 12 mesi devono essere stati versati prima del compimento del diciannovesimo anno di età. Può accedere alla pensione anticipata precoci coloro che risultano disoccupati di lungo periodo per cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento anche collettivo o dimissioni per giusta causa e hanno smesso di percepire la NASpI da almeno 3 mesi. In alternativa c’è l’Ape Sociale che consente di accedere alla pensione all’età di 63 anni con almeno 30 anni di contributi e a patto di aver versato nei 36 mesi antecedenti rispetto alla data di cessazione del rapporto di lavoro 18 mesi di contributi e, infine, occorre aver terminato la percezione dell’assegno di disoccupazione.

Agevolazioni economiche per il disoccupato di lunga durata

Infine, sono previste agevolazioni economiche. Il disoccupato di lungo periodo gode dall’esenzione dal ticket sanitario ( in questo caso occorre il doppio requisito e cioè un reddito inferiore a 8.263,31 euro, elevabile fino a 11.362,05 euro in caso di coniuge a carico e di altri 516,46 euro per ogni figlio a carico.

Naturalmente ai disoccupati viene anche data l’opportunità di percepire il reddito di cittadinanza.

Un fondo rotativo per aiutare i Neet

Sono tanti, in Italia, i cosiddetti Neet, ossia i giovani che non studiano, non lavorano ma che nemmeno cercano un’occupazione. Una risorsa importante per il Paese che però rischia di andare perduta se non viene aiutata almeno economicamente ad affrancarsi dalla propria condizione.

Proprio per sostenere i giovani Neet da questo punto di vista, dalla metà di gennaio 2016 partirà Selfiemployment, un fondo rotativo promosso dal ministero del Lavoro per favorire l’autoimpiego e l’autoimprenditorialità dei giovani al di sotto dei 30 anni.

Il fondo sarà finanziato dal ministero del Lavoro per 50 milioni e da alcune regioni: Basilicata, Calabria, Emilia Romagna, Lazio, Molise, Sicilia e Veneto. L’iniziativa, nelle aspettative del governo, dovrebbe estendersi almeno fino al 2020.

Selfiemployment consente ai giovani Neet iscritti al programma Garanzia Giovani di chiedere e ottenere prestiti agevolati per avviare la propria attività imprenditoriale. I prestiti saranno erogati attraverso un fondo, gestito da Invitalia, con una dotazione iniziale di 124 milioni di euro.

Le richieste di prestito da parte dei Neet potranno variare da un minimo di 5mila a un massimo di 50mila euro. Il finanziamento sarà erogato a tasso zero e senza bisogno di offrire garanzie personali. Il prestito dovrà essere restituito entro 7 anni.

Il ruolo di Invitalia sarà fondamentale. Oltre all’erogazione materiale dei fondi, aiuterà i giovani a realizzare i business plan, a controllare la misura del credito e farà da tutor ai giovani imprenditori che avvieranno le proprie start-up.

Imprese liguri soffocate dalla crisi

Un’indagine condotta da Unioncamere Liguria ha fatto emergere la situazione preoccupante delle imprese liguri che, afflitte dalla crisi, non riescono a risalire la china.

Al contrario, i dati sul tessuto imprenditoriale regionale rilevano dati in forte discesa, in particolare tra il 2012 e il 2013, sia tra le aziende registrate presso le Camere di Commercio sia tra quelle attive.

Nel 2012, infatti, le imprese registrate alle CCIAA liguri erano 167.225, mentre dopo un anno erano scese a 164.901, con un saldo negativo di 2.324 aziende.
Le attive sono calate da 142.060 a 139.429 pari a -2.631 unità.

Per quanto riguarda le imprese iscritte e cessate, nel 2013 le iscrizioni sono state 10.047 e le cessazioni 12.369; nel 2012 le iscrizioni erano state 10.491 (444 in più) e le cessazioni 10.914 (1.455 in meno). Senza contare che solo nel 2010 le iscrizioni (11.166) erano maggiori delle cessazioni (10.631).
Confrontando i dati relativi alle quattro provincie, emerge che le sofferenze riguardano indistintamente tutta la Regione.

Nessun dato in ascesa da nessun settore, se si esclude quello dei servizi, che mostra 31.854 imprese attive nel 2013 contro le 31.749 del 2012, con un saldo positivo di 105 aziende.

Negativo risulta anche il trend delle esportazioni di beni verso l’estero: nel 2013 ha segnato -6,2%.
Una tendenza che, però, le previsioni di Unioncamere danno in miglioramento già nel 2014 (+2,1) e in positivo fino al 2017 (+4,3%).
Molto più preoccupante il tasso di disoccupazione che, nel 2013, è del 9,9% per salire, secondo le previsioni, a 11,3 nel 2014 e scendere solo di poco negli anni a seguire, arrivando a 10,3 nel 2017.

Per quanto riguarda il 2014, peraltro, nel primo trimestre dell’anno il tasso di disoccupazione è salito all’11,9%, con una crescita tendenziale più accentuata rispetto alla media nazionale, dove dal 12,8% è salito al 13,6%. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) nel 2013, in Italia, ha raggiunto il 42,1%: nella graduatoria regionale al primo posto figura il Trentino Alto Adige con un tasso pari al 16,7% per arrivare alla Calabria con il 56,1%. La Liguria è a metà classifica con il 42,1%, in linea con la media nazionale.

La mancanza di fiducia nel futuro è evidente, però, guardando un altro dato, quello dell’aumento dei neet, ovvero delle persone che, nella fascia di età dai 15 ai 29 anni, non sono impegnati in alcuna attività, né di studio né di lavoro: dal 2008 al 2013, infatti, la percentuale è aumentata notevolmente, passando dal 13,5 al 21,1%, mentre, a livello nazionale, si è andati dal 19,3% al 26%, con una crescita del 6,7%.

Vera MORETTI

Decreto Lavoro: ecco la prima manche

Come anticipato dal ministro Giovannini, ecco la prima fase del Decreto Lavoro, quella che prevede gli interventi più urgenti.

Obiettivo dichiarato del decreto è creare 200mila nuovi posti di lavoro, per la maggior parte a tempo indeterminato, ma anche aumentare le opportunità di formazione ed occupazione per i giovani, soprattutto al Sud, dove la crisi è particolarmente sentita.

Analizziamo punto per punto gli interventi su cui si è focalizzato il Governo:

Decontribuzione
Le aziende che assumono giovani di età non superiore a 29 anni è pari al 30% della retribuzione lorda imponibile ai fini previdenziali e, in ogni caso, non può superare i 650 euro al mese per lavoratore.
Lo sgravio dura 18 mesi nel caso di assunzione a tempo indeterminato e 12 mesi per la trasformazione di un contratto in essere da determinato a indeterminato, ma solo se l’azienda assume un ulteriore lavoratore.

I giovani assunti devono avere almeno uno dei seguenti requisiti:

  • essere privi di impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi,
  • non avere un diploma di scuola media superiore o professionale,
  • essere lavoratori che vivono da soli con una o più persone a carico.

Per queste misure ci sono 794 milioni di euro nel 2013-2016: al Sud vanno 500 mln, al resto d’Italia 294 mln.

Sgravio ASPI
Alle aziende che assumono disoccupati che percepiscono l’assicurazione generale per l’impiego spetta uno sgravio pari al 50% dell’ASPI residua.

Apprendistato PMI
Entro il 30 settembre 2013 la conferenza Stato-Regioni dovrà adottare le linee guida per un contratto di apprendistato professionalizzante destinato alle PMI e alle microimprese, che dovranno adottarlo entro il 31 dicembre 2015.

Autoimprenditorialità
Sono previsti, per i giovani del Mezzogiorno, 80 milioni per finanziare l’autoimpiego e la creazione di nuove imprese dei giovani ed altri 80 milioni per il Piano di Azione Coesione.

Contratti di lavoro
Tornano a 10-20 giorni le pause tra contratti a termine, che la riforma Fornero aveva innalzato a 60-90. Il lasso di tempo varia a seconda che il contratto duri più o meno di sei mesi. Stretta sui contratti intermittenti: massimo di 400 giorni nell’arco di tre anni. Estensione anche ai co.co.pro. del divieto di far firmare dimissioni in bianco.

Neet
I not in employment, education or training, soprattutto del Sud, sono al centro di un finanziamento di 168 milioni di euro destinati a finanziare borse di tirocinio formativo. Il contributo è pari a 3mila euro per ogni stage di sei mesi e viene erogato direttamente al tirocinante.

Inclusione sociale
Si tratta di un programma finanziato con 167 milioni di euro, rivolto alle famiglie del Sud in difficoltà.
Oltre alla vecchia social card, che sarà prorogata, ne verrà attivata una nuova, per gli acquisti delle famiglie in stato di indigenza estrema come quella già prevista per le maggiori città del paese.

Questi interventi prevedono un totale cambiamento del panorama lavorativo italiano. Se, infatti, la maggior parte delle proposte riguarda il Mezzogiorno, dove le persone coinvolte saranno oltre 300mila, anche al Centro Nord si sentirà l’impatto positivo di queste soluzioni, con un aumento della produzione tra i 100 e i 200 milioni di euro l’anno.

Il decreto dovrebbe anche diminuire la disoccupazione giovanile portandola dal 25 al 23%, ma anche un calo di due punti del tasso dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano.

Vera MORETTI

I Consulenti: sgravi fiscali per rilanciare l’occupazione

Dopo le proposte dei Consulenti del lavoro che abbiamo illustrato ieri per rilanciare il mercato dell’occupazione in Italia, ecco altri punti che, per l’associazione, sono imprescindibili.

Oltre a diversi interventi nell’ambito della responsabilità solidale, del documento unico di regolarità contributiva e del contributo di fine rapporto necessario a finanziare l’Aspi, secondo i Consulenti del lavoro sarebbe opportuno introdurre uno sgravio fiscale di cinque anni per i lavoratori under 30 o over 50 e dei contributi ridotti per 3 anni qualora un’azienda stabilizzi un dipendente a termine; gli sgravi fiscali dovrebbero essere totali per retribuzioni fino a 40mila euro e del 50% per retribuzioni fino a 80mila euro).

Secondo i Consulenti, poi, sarebbe necessario razionalizzare il Fondo di tesoreria, ridurre del 5% il costo del lavoro a tempo indeterminato (attraverso 12,2 miliardi di euro che verrebbero recuperati rivedendo le tariffe Inail), ridurre la spesa pubblica improduttiva  e utilizzare il 50% delle risorse recuperate dalla lotta all’evasione fiscale.

Come si vede, si tratta di un mix di suggerimenti tecnici e di misure di buon senso che, se attuato, potrebbero con tutta probabilità ridare fiato a un mercato del lavoro ormai sull’orlo del collasso.

Occupazione, le proposte dei Consulenti del lavoro

Chi meglio dei Consulenti del lavoro può elaborare proposte utili al rilancio dell’occupazione in Italia.

È quello che hanno fatto con un documento nel quale analizzano cause della stagnazione attuale e propongono soluzioni per superare l’impasse.

Il documento parte con una bacchettata alla legge Fornero, la quale “non ha centrato gli obiettivi occupazionali che si prefiggeva, forse perché pensata per un modello di mercato del lavoro già in espansione”. Il suo effetto è stato invece quello di irrigidire la flessibilità in entrata. Ecco dunque le proposte dei Consulenti per incidere in maniera efficace sulla riduzione del costo del lavoro, per ammorbidire la rigidità in entrata e tornare a una situazione ante legge Fornero.

Cancellazione, per le partite Iva, dell’articolo 69 bis del Dlgs 276/2003, introdotto dalla riforma Fornero. Vale a dire togliere la possibilità di trasformare le prestazioni a partita Iva in collaborazione coordinata e continuativa purché siano soddisfatti due dei seguenti tre presupposti: rapporto superiore a otto mesi annui in due anni consecutivi; corrispettivo da partita Iva superiore all’80% dei corrispettivi annui complessivi del collaboratore in due anni consecutivi; postazione fissa in una sede del committente messa a disposizione del collaboratore a partita Iva.

I Consulenti auspicano anche un ritorno alla situazione precedente la riforma anche per il contratto di associazione in partecipazione, mentre per il contratto a tempo determinato chiedono la sospensione fino alla fine del 201, dell’obbligo di indicazione della causale e dei periodi di sospensione obbligatoria tra due contratti.

Importante levare vincoli anche all’apprendistato, con l’eliminazione dei nuovi obblighi di stabilizzazione da parte delle aziende e il mantenimento di quelli previsti dai contratti nazionali. Vi è poi una richiesta di omogeneizzazione dei percorsi di formazione, specialmente tra regione e regione.

Utile sarebbe, secondo i Consulenti, innalzare il tetto economico per lavoratore e per anno dagli attuali 5mila euro a 8mila per le imprese e gli studi professionali, così come accorpare giuridicamente questo tipo di contratto con quello dell’impiego intermittente.

Vedremo domani le altre proposte dei Consulenti del lavoro.

Occupazione? Su gli investimenti, giù il costo del lavoro

Come se non bastassero le mazzate che continuamente arrivano sul mercato del lavoro italiano dall’interno delle mura di casa nostra, adesso anche il resto del mondo ci ricorda come, nel nostro Paese, la situazione occupazionale sia preoccupante.

Arriva infatti dall’Ilo, l’International Labour Organization, l’organismo dell’Onu specializzato nelle tematiche del lavoro, l’ennesimo allarme: “All’Italia servono circa 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro per riportare il tasso di occupazione ai livelli pre-crisi”. È quanto si legge nel “Rapporto sul mondo del lavoro 2013”, il documento stilato dall’organizzazione che fa il punto sull’andamento occupazionale nel mondo. E questa è la triste figura dell’Italia, che deriva dalla somma dei posti persi negli ultimi anni con l’aumento della popolazione in età attiva rispetto al periodo ante-crisi.

L’Italia figura nella categoria di quei Paesi nei quali la disoccupazione continua ad aumentare (per citare un dato, era al 6,1% nel 2007) e dove sono cresciute le disparità di reddito a causa della recessione. Nel capitolo del rapporto dedicato al nostro Paese, si sottolinea come “la sfida della ricerca di un posto di lavoro è particolarmente difficile per i giovani tra 15 e 24 anni: il tasso di disoccupazione di questa fascia di età è salito di 15 punti percentuali e ha raggiunto il 35,2% nel quarto semestre 2012”.

Il rapporto punta anche l’attenzione sulla diffusione dell’occupazione precaria: infatti, a partire dal 2007 il numero dei precari è cresciuto del 5,7% e ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Secondo l’Ilo, la percentuale dei contratti a tempo determinato sul totale dei contratti precari è aumentata con tutta probabilità a causa della riforma Fornero. Ecco dunque che, per risollevare il mercato italiano dell’occupazione, il rapporto Ilo suggerisce di puntare sugli investimenti e sull’innovazione anziché sull’austerità e sulla riduzione del costo unitario del lavoro e, soprattutto, dice la sua su una delle “grandi trovate” che da qualche tempo gira in bocca ai soloni della politica e dell’occupazione, la cosiddetta “staffetta generazionale”. L’Ilo la approva con riserva, sottolineando come esistono modi più efficaci per rilanciare l’occupazione giovanile: dagli incentivi all’assunzione al miglioramento del sistema di formazione.

Confcommercio: occupazione ai livelli del 2005

Si chiama Misery Index ed è un indice mensile che unisce dati sul mercato del lavoro, disoccupazione, cassa integrazione, scoraggiati e il tasso di variazione dei prezzi di beni e servizi acquistati con alta frequenza dagli italiani. Se lo è inventato Confcommercio, per la verità senza escogitare nulla di nuovo, visto che, almeno nel nome, riprende l’economico, creato dall’economista Arthur Okun.

Sicuramente, però, l’indice di Confcommercio è d’impatto, almeno quando esce con le proprie statistiche ufficiali sul mercato del lavoro. E i dati di aprile lo dimostrano. Secondo l’indice, ad aprile il mercato del lavoro ha registrato un nuovo peggioramento in termini congiunturali. Rispetto a marzo gli occupati sono diminuiti di 18mila unità a cui si è associato un aumento di 22mila persone in cerca di occupazione, combinazione che ha fatto passare il tasso di disoccupazione ufficiale dall’11,9% al 12,0%.

Secondo l’indice, continua il processo di distruzione dei posti di lavoro creati tra il 2005 ed il 2008. Il numero di occupati è infatti ora ai livelli di settembre 2005, mentre il numero di giovani (15-24 anni) in cerca di occupazione ha raggiunto le 656mila unità e il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 40,5%. Ad aggravare il quadro è il numero dei cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training), coloro che non studiano e non sono coinvolti in programmi di formazione: sono oltre 2,2.

Nel mese di aprile sono state autorizzate circa 100 milioni di ore di cassa integrazione, in aumento rispetto ai 97 milioni di marzo ed ai 79 milioni di febbraio. Dai dati dell’Osservatorio INPS, poi, emerge che, dopo la forte flessione dell’inizio dell’anno, la percentuale di tiraggio (ossia le ore effettivamente utilizzate) è aumentata sia per la cassa integrazione ordinaria sia per quella straordinaria e in deroga, passata dal 24,8% al 55,4%.

Il numero di scoraggiati è invece previsto in lieve diminuzione da 739mila persone di marzo a 726mila. Secondo Confcommercio se si aggiunge ai disoccupati ufficiali la stima delle persone in cassa integrazione e degli scoraggiati il tasso di disoccupazione di aprile è al 15,7%, in aumento rispetto al 15,6% del mese precedente.

Il dato non lascia tranquilli, soprattutto perché arriva da un associazione come Confcommercio, che ha il polso della situazione reale della nostra economia.

Disoccupazione e piccola impresa dobbiamo rassegnarci? Meglio di no

di Davide PASSONI

Ha fatto scalpore la presentazione nei giorni scorsi da parte della Cgil del rapporto ‘La ripresa dell’anno dopo – Serve un Piano del Lavoro per la crescita e l’occupazione’. Secondo i dati contenuti in questo studio, effettuato da Riccardo Sanna dell’Ufficio economico del sindacato, se l’Italia intercettasse la ripresa accreditata per il 2014 dai maggiori istituti statistici, ci vorrebbero tredici anni per ritornare al livello del Pil del 2007, 63 per recuperare il terreno perso sul lato dell’occupazione e non si riuscirebbe mai a recuperare il livello dei salari reali.

Dati che fanno riflettere soprattutto chi fa impresa tutti i giorni, che in Italia vuol dire la piccola e media imprenditoria. Sono queste infatti le realtà nelle quali l’emorragia di occupati è forse meno evidente alla maggior parte delle persone ma è più mortale. Se nella grande impresa – quella che occupa le prime pagine dei mass media – la disoccupazione fa notizia ma è controbilanciata da una dimensione aziendale e da una mole di aiuti, statali e non, che impediscono chiusure definitive (“too big to fail”, troppo grandi per fallire dicono gli inglesi), nella piccola, spesso, la disoccupazione significa la morte dell’impresa stessa.

Quante volte abbiamo sentito di imprenditori che si tolgono il pane di bocca per non chiudere i battenti e lasciare in mezzo alla strada dipendenti e famiglie? Oppure che, non riuscendosi, si tolgono la vita?

Ecco, di fronte a questi dati, di fronte a queste cifre sull’occupazione che non c’è che vengono dalle fonti più diverse, Infoiva proverà questa settimana a estrarre una visione d’insieme. Andando al di là del corporativismo delle associazioni, della miopia di quei sindacati ancorati a una visione del lavoro e dell’economia che è ormai di due secoli fa, della diffidenza della piccola impresa a confrontarsi con un fenomeno che, se fino a 5 anni fa era un problema degli altri, ora è per essa stessa questione di vita o di morte.