Come iscrivere all’anagrafe un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale

In Italia il settore del no profit può avvalersi non solo di un regime tributario agevolato, ma anche di agevolazioni fiscali. Ma il tutto a parte di rispettare determinati requisiti. Per esempio, quando la società no profit rientra tra le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, allora per avvalersi delle agevolazioni e dei requisiti fiscali è necessaria l’iscrizione ad un’apposita anagrafe.

Vediamo allora come chiedere all’Agenzia delle Entrate l’iscrizione all’anagrafe delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus). Con l’iscrizione che è importante per soggetti come le fondazioni, le associazioni e le società cooperative. Ma anche per i comitati e per altri enti che, di carattere privato, con o senza personalità giuridica, rispettano allo stesso modo i requisiti previsti e richiesti.

Come si iscrive all’anagrafe un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale

Per iscrivere all’anagrafe un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale occorre presentare un’apposita comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Fermo restando che da tale adempimento sono escluse le organizzazioni non lucrative di utilità sociale che sono appartenenti alla categoria delle cosiddette ‘Onlus di diritto‘.

Come e quando le Onlus devono inviare la domanda di iscrizione all’anagrafe

Su apposito modello, che si può visionare e che si può scaricare in formato PDF dal sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, l”organizzazione non lucrativa di utilità sociale deve presentare domanda di iscrizione all’anagrafe entro un termine massimo di 30 giorni dall’autenticazione o dalla registrazione dell’atto costitutivo o dello statuto.

Il modello di comunicazione, debitamente compilato e sottoscritto, deve essere inviato alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate che è competente a livello territoriale. Ovverosia, in base al domicilio fiscale del soggetto richiedente. Optando per la consegna all’ufficio del Fisco in duplice copia, oppure per l’invio tramite la raccomandata, in plico senza busta, con la ricevuta di ritorno.

Al modulo di comunicazione, inoltre, occorre allegare una copia dello statuto o dell’atto costitutivo. Oppure, in opzione, una dichiarazione sostitutiva attestante sia il possesso dei requisiti, sia le attività svolte dalla Onlus. Con la dichiarazione che deve essere sottoscritta dal legale rappresentante della Onlus.

L’invio del modulo di comunicazione di iscrizione all’anagrafe, in ogni caso, può essere inviato anche dopo il termine dei 30 giorni dall’autenticazione o dalla registrazione dell’atto costitutivo o dello statuto. Ma nella fattispecie le agevolazioni avranno efficacia solo a partire dalla data di presentazione della comunicazione stessa.

Quale sono le agevolazioni previste per le Onlus iscritte all’anagrafe

Le agevolazioni previste per le Onlus iscritte all’anagrafe spaziano dalle imposte dirette e indirette e fino ad arrivare all’Iva. Nel dettaglio, ai fini delle imposte indirette le Onlus iscritte all’anagrafe sono esentate da imposta di bollo e dalle tasse di concessione governativa.

Così come, per quel che riguarda l’Iva, le Onlus iscritte all’anagrafe sono esonerate dall’obbligo di emissione di scontrini fiscali e di ricevute per tutte le operazioni che sono riconducibili alle attività istituzionali.

Infine, per quel che riguarda le imposte dirette, tra l’altro, una Onlus iscritta all’anagrafe può ricevere contributi, da amministrazioni pubbliche, in regime convenzionale, senza che questi poi concorrano alla formazione del reddito.

Tassazione e sgravi: alcuni effetti fiscali della legge di stabilità 2015

La legge di stabilità 2015, approvata due giorni prima di Natale, ha portato alcuni “regali” dal punto di vista della tassazione.

Innanzitutto aumenta la tassazione sulla previdenza in generale: sui rendimenti dei fondi pensione, che passa dal 11,50% al 20%, sulla rivalutazione del TFR, dal 11% al 17%, sui rendimenti finanziari delle casse di Previdenza, dal 20% al 26%, sulle polizze vita che passano da 0% a 26%.

Secondo molte sentenze dei tribunali italiani e della Corte di Cassazione, le polizze vita sono strumenti assimilabili ai prodotti previdenziali quando hanno due caratteristiche: sono collegati ad un evento inerente la vita umana e prevedono un premio di maggiorazione per decesso all’età dell’assicurato. In pratica assumono la funzione di integrazione del reddito dei superstiti, beneficiari della polizza.

La tassazione dei rendimenti di tali polizze era pari a zero, nei confronti dei beneficiari, mentre con la nuova legge sono ora tassati ordinariamente al 26% con in più un effetto retroattivo ai rendimenti del 2014.

Rimangono, per il momento, escluse dall’asse ereditario e quindi esenti da imposte di successione o donazione, ma non credo che questo vantaggio rimanga ancora per molto tempo, considerando la media europea in tema di imposte di successione molto più elevata rispetto all’Italia e l’assenza o la scarsa presenza in Europa di esclusioni e franchigie. Ricordo che da noi la franchigia è di 1 milione di euro per erede.

Anche l’aumento della tassazione sui fondi pensione li rende meno appetibili e convenienti per i pensionandi. Considerando anche la scarsa trasparenza sulle gestioni dei medesimi e i rendimenti non esattamente brillanti, viene da pensare se esistono alternative per costruire un reddito supplementare da utilizzare al momento della pensione.

Stesso discorso vale per il TFR: aumentata la tassazione sulla rivalutazione, investire il proprio TFR in strumenti a carattere previdenziale, rimane un investimento utile ad integrare la pensione? Con la nuova legge viene data la possibilità ai lavoratori del settore privato (escluso quello agricolo e domestico) di incassare quanto versato e inoltre di ricevere in busta paga l’importo che l’azienda dovrebbe accantonare. Se queste somme venissero impiegate cum grano salis ed investite correttamente, potrebbero generare risultati integrativi della pensione molto più soddisfacenti rispetto ai tradizionali strumenti previdenziali, seppur appesantite dalla tassazione che in questo caso diverrebbe ordinaria e non più agevolata (ma sempre meno).

Lo Stato sicuramente ci guadagna, perché la tassazione è più elevata, ma forse anche il lavoratore può trarne dei vantaggi, se non fiscali, almeno per quanto riguarda libertà di utilizzo di quanto versato e rendimenti generati nel tempo. Chi aderisce alla previdenza complementare o versa il TFR alla medesima, è vincolato alle regole in materia pensionistica; difficoltà ad ottenere quanto versato se non per casi eccezionali, conversione in rendita almeno del 50% del versato (non viene restituito tutto il capitale a scadenza), e tabelle di conversione in rendita applicate dalle compagnie assicuratrici o dai fondi pensione, che pareggiano la rendita annuale con quanto versato mediamente dopo 18 anni (65+18=83 anni). Se il pensionato vive oltre, inizia a guadagnare qualcosa. Altrimenti, ci guadagna la compagnia o il fondo.

Una buona notizia: è invece aumentato a 30.000,00 euro l’importo massimo per la deducibilità ai fini IRES delle erogazioni liberali in denaro (effettuate in maniera tracciabile) in favore delle Organizzazioni No Profit di Utilità Sociale, aumentando al 26% la percentuale di detraibilità ai fini IRPEF.

Ma c’è il rovescio della medaglia, che è la nuova tassazione degli enti non commerciali, di cui fanno parte appunto gli enti No Profit, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato e i trust. In precedenza questi enti avevano una esenzione di imposta del 95%, pagavano quindi le imposte solo sul 5% degli utili distribuiti. Ora invece l’esenzione è ridotta al 22,76% e pagheranno quindi sul 77,24% degli utili. Retroattiva anche questa, a partire dal primo gennaio 2014. In pratica, se prima pagavano 27,5%*5%=1, 375%, ora pagano 27,5%*77,24%= 21,24%, che significa un aumento di oltre 15 volte l’imposta.

Inoltre, se gli enti hanno dei beneficiari individuati, l’aliquota sarà quella marginale e quindi mediamente 43% invece del 27,5%, con un ulteriore inasprimento per il contribuente.

La ragione del provvedimento è stata motivata con l’equiparazione tra tassazione degli enti non commerciali e quella delle persone fisiche, che appunto pagano mediamente il 43% di aliquota. Però non si comprende la ratio, perché le persone fisiche possono utilizzare gli utili e i dividendi per le finalità che ritengono opportune, mentre gli enti no profit devono reinvestire gli utili per i fini istituzionali e non possono utilizzarli diversamente. Di fatto gli enti No Profit reinvestono gli utili in favore dei propri assistiti o dei beneficiari dell’ente, rimettendo in circolo il risultato generato. Quindi perché equipararli alle persone fisiche?

La retroattività invece non si applica allo sconto sull’Irap di imprese e professionisti, che decorre dal 2015. Potrà essere scalato interamente il costo dei soli lavoratori a tempo indeterminato, esclusi quindi collaboratori a progetto, collaboratori e tutti i lavoratori assunti con contratti a tempo determinato. Sono esclusi gli enti non commerciali.

Ma si tornano però ad applicare le aliquote IRAP del 2013, più elevate rispetto al 2014, aumentando nuovamente dal 3,5% al 3,9% l’aliquota base, questa con effetto retroattivo al 2014. Viene annullato quindi il beneficio concesso lo scorso anno, che non entra in vigore. Chi ha già anticipato, dovrà integrare sulla base della nuova aliquota. Abbiamo scherzato, insomma!

Sempre il bastone e la carota, non c’è verso di cambiare. Se c’è una agevolazione da un lato, subito spunta un aumento dall’altro. Ci sarà un credito di imposta in compensazione, aumentato al 10% dell’imposta lorda, per chi non ha dipendenti; è stato introdotto per bilanciare lo svantaggio di non poter utilizzare il taglio IRAP per i dipendenti per chi non ne ha.

Il bonus IRPEF di 80 euro in busta paga diventa, da credito d’imposta precedente, una detrazione per l’azienda e diventa strutturale, non più provvisorio.

E’ ovvio che più dipendenti, assunti a tempo indeterminato, ha un’azienda, maggiore sarà il vantaggio fiscale, che però, decorrendo dal 2015, diventerà effettivo solo a partire dai versamenti del 2016. Quindi tocca tirare la cinghia anche per il 2015!

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

C’è tempo fino al 2 aprile per il modello Eas

Per la compilazione del modello Eas, gli enti associativi hanno tempo fino al 2 aprile per comunicare all’Agenzia delle Entrate eventuali modifiche rispetto alla comunicazione precedente.

Il modello per comunicare i dati e le notizie rilevanti ai fini fiscali è stato approvato con provvedimento del 2 settembre 2009. Lo stesso provvedimento ha previsto che, in caso di variazione dei dati comunicati, il modello deve essere ripresentato entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello nel quale si è verificata la modifica.
Se invece si perdono i requisiti previsti dalla normativa tributaria, il modello va inviato entro 60 giorni dall’evento.

Non occorre presentare un nuovo modulo per modifiche riguardanti:

  • i proventi per attività di sponsorizzazione e pubblicità
  • i messaggi pubblicitari
  • l’ammontare medio delle entrate complessive
  • numero degli associati dell’ente nell’ultimo esercizio
  • ammontare di erogazioni liberali ricevute
  • ammontare di contributi pubblici ricevuti
  • numero e giorni delle manifestazioni di raccolta pubblica di fondi.

Senza la trasmissione del modello Eas gli enti associativi non possono usufruire dei benefici previsti dalle norme tributarie, che prevedono la non imponibilità di corrispettivi, quote e contributi (articolo 30, Dl 185/2008).
L’adempimento va effettuato in via telematica, diretta o mediante intermediari abilitati a Entratel, entro 60 giorni dalla data di costituzione degli enti.

La mancata presentazione di Eas non preclude l’accesso ai benefici fiscali se il contribuente, sempre che non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche:

  • è in possesso dei requisiti sostanziali alla data di scadenza ordinaria del termine
  • effettua la comunicazione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile (30 settembre 2013)
  • versa contestualmente la sanzione di 258 euro (con modello F24, codice tributo 8114), senza possibilità di compensazione.

Vera MORETTI

No profit e modelli Intra: Gli acquisti intracomunitari degli enti non commerciali

L’Agenzia delle Entrate ha approvato, con provvedimento del 16 aprile 2010, i nuovi Modelli Intrastat da utilizzare a partire dal 1° giugno 2010, denominati Intra 12 e Intra 13, da trasmettere con modalità esclusivamente telematica.
Gli enti non commerciali si differenziano dagli altri operatori per il fatto che svolgono sia attività istituzionale, sia commerciale. Per questo motivo essi avranno obblighi diversi, a seconda che l’acquisizione dei beni o dei servizi avvenga durante lo svolgimento dell’attività istituzionale o commerciale.

Gli enti non commerciali assumono la veste di soggetto passivo d’imposta quando sono identificati ai fini Iva. Questo accade sia quando svolgono attività commerciale, sia quando hanno effettuato acquisti intracomunitari per un ammontare complessivo superiore ai 10.000 Euro.

L’ente che svolge solo attività istituzionale, in genere, non è identificato ai fini Iva, pertanto emette fattura senza Iva e non ha diritto alla detrazione. Quando svolge attività commerciale, invece, è obbligato a emettere fattura con Iva e può godere della detrazione d’imposta per gli acquisti connessi all’attività commerciale.

Le operazioni intracomunitarie rivestono un ruolo fondamentale per l’ente, in quanto, finché gli acquisti intracomunitari rimangono al di sotto della soglia di 10.000 Euro, l’ente viene considerato come un privato consumatore, per cui:

– non deve assoggettare l’operazione ad iva;
– sarà il venditore Ue a dover applicare l’Iva nel proprio Paese.

In ogni caso, prima di ogni acquisto, l’Ente deve presentare all’Agenzia delle Entrate il modello INTRA 13, dichiarando l’ammontare imponibile dell’acquisto nonché l’ammontare degli acquisti effettuati nell’anno in corso.

Nel caso in cui l’ente effettui acquisti intracomunitari superiori al limite di Euro 10.000, dovrà munirsi di partita iva, versare l’iva a debito e assolvere a tutti gli obblighi d’imposta connessi, tra cui quello di trasmettere il modello INTRA 12. Questo modello dovrà indicare:

– l’ammontare degli acquisti intracomunitari registrati nel mese precedente;
– l’ammontare dell’imposta dovuta;
– gli estremi del versamento.

Resta ferma la possibilità per l’ente non commerciale di optare per questo meccanismo anche prima del raggiungimento della soglia di 10.000 Euro, presentando apposita istanza alle Entrate.

No profit e modelli Intra: Gli acquisti intracomunitari

La regola generale prevede che il soggetto debitore dell’Iva sia colui che cede beni o presta servizi. Questa disciplina sconta un’importante deroga negli acquisti intracomunitari, per i quali il soggetto debitore d’imposta diventa l’acquirente (meccanismo del reverse charge).

L’operatore italiano che acquista beni da un soggetto residente in un altro Paese UE:
– riceve fattura senza Iva;
– integra la fattura ricevuta inserendo l’Iva nazionale;
– registra la fattura sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite.
In questo modo l’operazione diventa neutrale per il soggetto italiano. L’imposta sarà applicata quando, a sua volta, quest’ultimo provvederà a rivendere il bene in ambito nazionale, infatti emetterà fattura con IVA e verrà così ad assumere il reale ed effettivo debito d’imposta.
Nel caso opposto, quando il soggetto italiano cede un bene a un soggetto residente in un altro Stato membro:
– l’italiano emetterà fattura senza Iva ma dovrà compilare e trasmettere il modello Intrastat.

Questo meccanismo a partire dal 2010 vale anche per le prestazioni di servizi, con la conseguenza che il modello Intrastat dovrà essere compilato e inviato anche per l’acquisizione di servizi.