L’export Made in Italy parte anche dal Nord Est

Il Made in Italy è così apprezzato all’estero anche grazie alle imprese del Nord Est, capaci di cogliere tutte le occasioni buone per farsi conoscere dai mercati emergenti, quelli che in questi anni hanno contribuito a tenere alte le cifre dell’export dei prodotti italiani.

Per il solo 2013, è stato fatturata la cifra record di 70 miliardi di euro, dato confermato dal
report REthink presentato da Sace, un resoconto contenente le previsioni sui trend dell’export italiano per il 2014-2017.

Tra i settori trainanti che riguardano l’esportazione del Made in Italy dal Triveneto ci sono quelli delle tecnologie industriali e dei beni di consumo, seguiti dalla filiera agroalimentare, dal ramo dei gioielli e dei mobili, oltre, ovviamente, al settore moda.

Per quanto riguarda le stime per il futuro prossimo, Sace ha stilato una classifica dei comparti per i quali si prevede una crescita maggiore: al primo posto l’agroalimentare, seguito dalla meccanica strumentale, il tessile e l’abbigliamento.

A offrire le migliori opportunità sono non solo i Brics, ma anche alcune destinazioni come l’Arabia Saudita, Angola, Cile, Filippine e Thailandia.

Vera MORETTI

Imprese al Sud più numerose di quelle del Nord

Anche se la crisi si è fatta sentire pesantemente in tutto lo Stivale, una buona notizia, che riguarda le imprese e il loro bilancio relativo al 2013, forse c’è.

A fronte delle 1.053 imprese sorte ogni giorno in Italia durante l’anno scorso, contro le 1.018 costrette, invece, a chiudere i battenti, è stato rilevato che la maggior parte di esse sono nate nelle regioni meridionali.

Unioncamere, a questo proposito, ha reso noto che nel 2013 il numero delle imprese nate ha superato il novero di quelle cessate, 384.483 contro 371.802, producendo un saldo positivo dello 0,2%, che comunque rimane il più basso dall’inizio della crisi.

Ciò che rimane evidente è la presenza sempre più massiccia di imprese al Sud, con buona pace del produttivo Nord-Est, da sempre locomotiva dell’economia e dell’industria italiane, ma ora in affanno.

Nel Mezzogiorno sono andate particolarmente bene le imprese che operano nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione, ma anche nei servizi per le imprese.
Male invece l’agricoltura , che ha visto ben 30mila imprese del settore chiudere definitivamente.

Guardando la situazione nel dettaglio, si capisce che la situazione non è certo rosea, poiché risale al 2010 un tasso di crescita delle imprese superiore all’1%, nonostante le tipologie di appartenenza presentino dati a volte completamente diversi.

Complessivamente la bilancia tra crescita e decrescita è equilibrata: esattamente il 50% delle regioni italiane ha un tasso di crescita positivo, mentre le restanti 10 ravvisano un trend negativo.
Quello che stupisce maggiormente però non sono tanto le percentuali, quanto i cambiamenti in atto nelle singole aree geografiche, e il caso del nord est è certamente il più eclatante.

In questo caso, i numeri sono eclatanti: nel territorio da sempre considerato il più fecondo, almeno nei confini nazionali, nel 2013 sono state chiuse 77.835 aziende, contro 70.000 nuove attività aperte, registrando il maggior tasso di decrescita del paese, -0,54%, in particolare in Veneto e Friuli Venezia Giulia, anche rispetto al 2012, dove ci si era attestati intorno allo -0,41%.

Passando alle singole regioni, la metà “in crescita” del paese non sembra più rispecchiare dunque la tradizionale dicotomia nord-sud. Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e il fanalino di coda la Valle d’Aosta, sono cresciute di meno rispetto a Sardegna, Abruzzo, Marche e Basilicata.
La Campania è al secondo posto, con un tasso di crescita che si avvicina all’1%, superando la Lombardia e persino il Trentino alto Adige, all’ottavo posto in classifica.

Le note positive che arrivano dal sud si odono inoltre ancora di più osservando la situazione dal punto di vista delle società di capitale.
Qui le prime otto posizioni sono occupate da regioni meridionali, prime fra tutte la Basilicata, il Molise e la Calabria; per incontrare la prima regione del nord bisogna scendere al dodicesimo posto con il Trentino Alto Adige, con un di tasso di crescita annuo equivalente alle metà di quello della Basilicata.

Secondo dati forniti dal rapporto della Banca d’Italia, a livello regionale il sistema degli interventi per l’innovazione si caratterizza per una estrema frammentazione delle iniziative.
Secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, nei vari governi che si sono alternati dal 2006 al 2011, oltre l’85 per cento delle misure economiche nel settore dell’innovazione si è concentrato al Centro-Nord, provocando un maggior ricorso ai Fondi strutturali europei da parte delle regioni meridionali.

Ciò che colpisce maggiormente è ancora una volta la coda della classifica. Sette su dieci delle ultime posizioni sono occupate da province del Nord Italia, e tra queste alcune di quelle storicamente più produttive, come Belluno, che ha visto nell’ultimo cinquantennio nascere l’industria dell’occhiale. Oppure come la roccaforte dell’industria romagnola di Forlì-Cesena é precipitata alla penultimo posto.

Vera MORETTI

Il lago trionfa nell’estate 2013

L’estate è ormai un ricordo ma, prima di archiviarla del tutto, l’Osservatorio Nazionale del Turismo di Unioncamere ne ha voluto fare un bilancio approfondito, alla luce dei dati relativi a tutta la stagione, settembre compreso.

Contrariamente a quanto ci si aspettava, non si tratta di soli segni negativi, come invece era accaduto nel 2012. Rispetto all’anno scorso, infatti, il 2013 ha registrato segnali di ripresa sia a luglio (+2,2%), sia in agosto (+3,3%), con, rispettivamente, il 64,4 e il 74% delle camere occupate.

A stupire non sono solo i numeri, per i quali ci si aspettava una vera e propria debacle, ma anche le destinazioni scelte dai turisti che hanno scelto il Belpaese come meta delle vacanze: niente “pinne, fucile ed occhiali”, o comunque meno del previsto, mentre una vera e propria impennata ha interessato laghi e città d’arte.

Non si può certo dire che il Sud e le sue incantevoli spiagge sia stato snobbato, ma l’incremento maggiore arriva dal Nord Est e dal Centro, che hanno saputo meglio soddisfare le esigenze di coloro che desideravano proposte diverse da spiagge e mare cristallino.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha commentato positivamente questo inaspettato trend: “Questa estate le nostre imprese hanno finalmente visto i primi ritorni sugli investimenti effettuati in questo lungo periodo di crisi. Certo, non possiamo ancora parlare di ripresa, soprattutto in termini economici. Il nostro sistema di offerta, che continua a proporsi all’estero con la qualità e l’unicità dell’ospitalità italiana, registra, infatti, una risposta positiva da parte dei mercati stranieri. In Italia poi la contrazione dei consumi per la vacanza si sta arrestando, forse anche grazie alla prospettiva di una minore tassazione sui beni primari come la casa”.

A gioire non sono solo gli hotel, (+2,3% a luglio e +3,6% ad agosto, ma anche le strutture extra-alberghiere (+2,2% a luglio e +3,1% ad agosto).

In brusca frenata si è però conclusa l’estate, con il mese di settembre in calo dell’1,2% per le camere occupate, ferme perciò al 36,5%, ma hanno saputo “tenere” gli hotel di categoria alta, che vantano clienti affezionati che, anno per anno, rinnovano i loro soggiorni presso le strutture preferite.
Gli hotel, c’è da riconoscerlo, hanno saputo offrire proposte allettanti ai potenziali turisti, contenendo i prezzi dei loro 4 e 5 stelle, in controtendenza con l’aumento degli 1 e 2 stelle (+4,1%).

A distinguersi dalla media in tutto il periodo sono le imprese ricettive del Nord Est, che occupano il 71,1% delle disponibilità a luglio (+4,5%), il 78,6% ad agosto (+4%) e il 38,9% a settembre (-3,5%). Buone anche le performance delle imprese ricettive del Centro che, con un’occupazione camere in linea con la media generale, recuperano rispetto al 2012 soprattutto nel mese di settembre (37,9%, +6,5%).

Se la zona del Nord Ovest ha saputo confermare i risultati della scorsa estate, non si può affermare lo stesso per Sud ed Isole, che devono fare i conti con una stagione meno brillante, in lieve flessione a luglio (-0,5%), in ripresa ad agosto (+2,0%), ,a in sensibile calo a settembre (-6,9%).

Scettro per il gradimento maggiore nei mesi estivi rispetto alle proprie disponibilità di alloggio spetta al lago: 83,5% le camere vendute in luglio e 87,2% quelle d’agosto, con tassi di crescita davvero sensibili rispetto agli stessi mesi dell’anno precedente (+9,3% a luglio, +12,9% ad agosto).

Al mare, dove le imprese vedono un recupero più moderato (+2,7% a luglio, +3,2% ad agosto), luglio vede occupate il 68,7% delle camere, mentre si registra l’80,5% ad agosto.

In discreta crescita anche le città d’arte italiane, che realizzano a luglio il 63,4% (+2,5%), ad agosto il 68,3% (+4,2%) e prolungano la stagione estiva fino a settembre, occupando il 47,7% delle camere (+7%).

Le aree di campagna del turismo verde confermano i risultati a luglio (54,2%, -0,6% rispetto al 2012) e settembre (32,4%, -0,3%), mentre nel mese di agosto, con il 64,4% di camere occupate, recuperano del +2,6%.

Nelle località termali, dove l’occupazione camere si attesta al 52,8% a luglio (-0,4%) e solo al 63,2% ad agosto (-4,1%), si recupera sullo scorso anno solo nel mese di settembre (42,1%, +3,9%).

Pollice verso, invece, per la montagna, con tassi di occupazione sempre in calo: 55% a luglio (-3,2%), 67,9% ad agosto (-4,2%), 28,1% a settembre (-1,9%).

Questa situazione si riflette anche andando ad analizzare le tipologie ricettive, dove il calo più sostanzioso si registra nei rifugi alpini (-9,9,% a luglio, -5,4% ad agosto, -7,2% a settembre) mentre si confermano tra le imprese extralberghiere i risultati positivi dei villaggi turistici (+14,3% a luglio, +12,5% ad agosto, +8,4% anche a settembre).

Vera MORETTI

Fallimenti in aumento anche nel 2013

Il 2013, ormai abbondantemente iniziato, non ha portato molte buone notizie, oltre alla consapevolezza di essere sopravvissuti alla fine del mondo prevista per il 21 dicembre 2012.
Ma, per le aziende, la sopravvivenza è una questione molto più difficile da affrontare, e nessuna profezia Maya riuscirebbe a fermare l’inesorabile caduta delle pmi, falcidiate dalla crisi, ancora molto presente nel nostro Paese.

La notizia di questi giorni è che, anche nel primo trimestre 2013, i fallimenti delle imprese si sono moltiplicati, raggiungendo il preoccupante record di 3.500 chiusure, che in percentuale sono segnale di un aumento del 12% rispetto allo stesso periodo dell‘anno scorso.

Non sono solo i fallimenti a salire, ma anche le liquidazioni: sono infatti 19mila le aziende che hanno deciso di chiudere volontariamente l’attività 19mila aziende in bonis, un dato in aumento del 5,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Secondo il Cerved, gruppo specializzato nell’analisi delle imprese e nei modelli di valutazione del rischio di credito, il fenomeno più rilevante è il forte incremento dei concordati preventivi, che fanno registrare un aumento del 76% su base annua, un boom che porta al 13% l’incremento delle procedure di insolvenza diverse dai fallimenti.

Lo studio, a questo proposito, afferma: “Un’analisi sui dati del Registro delle imprese indica che all’origine di questo incremento vi sono le nuove norme con cui e’ stata riformata la disciplina fallimentare e, in particolare, l’introduzione del cosiddetto concordato in bianco“.

In questo scenario, le aziende hanno apprezzato la possibilità di presentare una domanda priva del piano di risanamento e di bloccare le azioni esecutive, anche con effetti retroattivi: con l‘entrata in vigore delle nuove norme nel settembre 2012, al 31 marzo 2013 erano state presentate ben 2.700 istanze, oltre il doppio dei concordati tradizionali presentati in tutto lo scorso anno.

Volendo localizzare i fallimenti del primo triennio dell’anno in corso, il Nord Est, ha fatto registrare una forte impennata delle procedure, con un incremento di quasi un quarto rispetto al primo trimestre del 2012 (+24%).
Ma anche nelle atre aree del Paese c’è ben poco da sorridere, perché si registra un aumento delle chiusure anche nel Nord Ovest (+15%) e a ritmi leggermente inferiori nel Centro Italia (+9%), nel Sud e nelle Isole (+3%).

Vera MORETTI

La crisi divide l’Italia in due

La crisi economica ha allontanato ancora di più il Nord e il Sud Italia.

I dati, infatti, parlano chiaro e indicano il valore aggiunto prodotto da ogni abitante del Nord-Ovest quasi il doppio di quello prodotto da chi risiede nel Mezzogiorno.

Prima delle province italiane è Milano, che presenta un valore aggiunto che è il triplo rispetto a quello di Crotone, ultima della graduatoria.

Nonostante, dunque, la flessione abbia caratterizzato tutti i settori produttivi e tutte le regioni, ci sono alcune zone dell’Italia che sono più in sofferenza rispetto ad altre, e le previsioni per il 2013 non promettono nulla di buono.
La spaccatura, già esistente, sembra purtroppo destinata ad aumentare.

Le stime derivano dagli Scenari di sviluppo delle economie locali italiane realizzati da Unioncamere e Prometeia e, a fronte di una riduzione media del Pil nazionale dell’1%, nelle regioni meridionali il calo sarà pari al -1,7%, contro il -0,8% atteso nelle regioni del Centro-Nord.
Il 2013 sembra che porterà ad un calo ulteriore del Pil che si assesterà a circa 14 miliardi di euro, con un calo delle spese delle famiglie dello 0,9%, mentre gli investimenti caleranno del 3%.

A trainare l’economia italiana, e ad impedire una totale debacle del Paese sono le esportazioni, per le quali è atteso un aumento medio del 2%, confermando così l’accelerazione che ha già caratterizzato il 2012 (+1,8%).
In quest’ambito, una buona notizia viene dal Nord Est che, dopo la caduta del 2012, l’anno prossimo tornerà a “tirare” sui mercati internazionali, con un incremento del 2,6%.

Con la recessione ancora in atto, nel 2013 non si prevede un miglioramento della situazione del mercato del lavoro: l’occupazione dovrebbe continuare a ridursi e il tasso di disoccupazione portarsi all’11,4%.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha dichiarato: “Le famiglie e le imprese italiane, in questi mesi, hanno compreso l’importanza di rinunciare a qualcosa oggi per dare una speranza di futuro alle giovani generazioni. Gli enormi sacrifici fatti nel 2012 non devono andare dispersi. Chiunque prenderà in mano le sorti del Paese – ha aggiunto – ha perciò come primo dovere quello di dare corpo a questi sacrifici con politiche capaci di sbloccare la società, rimettere in moto l’ascensore sociale, semplificare la Pubblica amministrazione e disegnare un fisco a misura di famiglie e piccole imprese. Il 2013 si annuncia un altro anno difficile ma con qualche segnale di ripresa e, per questo, dobbiamo raddoppiare le energie per ridare un po’ di fiducia agli italiani. L’export ha tenuto e l’anno prossimo potrà dare un contributo anche maggiore al Pil, ma da solo non basta. Serve assolutamente far ripartire gli investimenti, senza i quali non c’è sviluppo duraturo, e il mercato interno, da cui dipende il vero recupero dei livelli occupazionali”.

Vera MORETTI

La crisi uccide, non restiamo sordi

Chiudiamo oggi il cerchio sul difficile tema degli imprenditori suicidi. Dopo una settimana passata ad ascoltare le storie di chi ha reagito, a scoprire come fare per non imboccare una strada senza ritorno, a parlare di altri, angosciosi casi, l’ultima testimonianza di chi, sul territorio, fa cultura e prevenzione per salvare la parte buona dell’Italia che produce.

Torniamo in Veneto, terra d’impresa e di suicidi, con il progetto “Life Auxilium“, messo in opera dalla Confartigianato di Asolo-Montebelluna, la Caritas e la Uls 8 di Asolo per avvicinare gli imprenditori in difficoltà e aiutarli a gestire la crisi. La parola al presidente della Confartigianato di Asolo-Montebelluna Stefano Zanatta, uno degli ideatori di “Life Auxilium” che, a un certo punto, no ha potuto far altro che dire “Basta” alla strage.

Si chiude il nostro focus settimanale, ma non dubitate: noi di Infoiva continueremo a tenere alta l’attenzione verso questo fenomeno, facendo in modo, nel nostro piccolo, che questa strage silenziosa non sia dimenticata. Mai.

Leggi l’intervista a Stefano Zanatta

Morire d’impresa, noi non ci stiamo


di Davide PASSONI

Morire d’impresa. Quando la crisi morde, gli imprenditori che restano senza impresa, i lavoratori che restano senza lavoro possono non essere in grado di sopportare il colpo. E possono compiere gesti estremi. Succede ed è successo spesso negli ultimi mesi e così qualcuno ha deciso di muoversi per affrontare il problema. La Confartigianato di Asolo-Montebelluna, la Caritas e la Uls 8 di Asolo hanno dato vita al progetto “Life Auxilium“, con un numero verde (800130131) e punti di ascolto sul territorio per avvicinare gli imprenditori in difficoltà e aiutarli a gestire la crisi. Prima che sia troppo tardi. Ci ha raccontato del progetto uno dei suoi ideatori, il presidente della Confartigianato di Asolo-Montebelluna Stefano Zanatta.

Come è nata la vostra iniziativa?
La nostra è una realtà ad alta densità imprenditoriale che ha arricchito il territorio con aziende nate soprattutto tra gli Anni ’70 e ’80. In questi ultimi anni di crisi, uno “stato di calamità innaturale” che dura da troppo tempo, abbiamo cercato di capire come questa crisi fosse percepita da parte degli imprenditori della zona. Volevamo sondare i loro stati d’animo, niente di più. Abbiamo preso a campione diversi titolari di impresa, senza andare a vedere il settore merceologico nel quale operavano. Il lavoro è stato fatto da due psicoterapeuti e i risultati ottenuti sono stati insoliti, per noi.

Ovvero?
C’era chi percepiva la crisi come un momento per ripensare l’intero sistema e ripartire con maggior slancio e coglieva l’aspetto positivo nella negatività del momento. Dall’altra parte c’era chi, non avendo mai avuto problemi nella propria azienda, si vedeva tutto a un tratto mancare il lavoro, le banche che non erogavano prestiti, i tempi dei pagamenti che si allungavano… In poche parole, queste persone si vedevano crollare il momdo addosso, senza essere preparate dal punto di vista psicologico a gestire il momento drammatico. E intanto che raccoglievamo tutti questi dati, aumentava il numero di imprenditori che si toglievano la vita. Per cui abbiamo pensato che fosse il momento di fare qualcosa.

Ed è nato…
Ecco dunque l’idea di “Life Auxilium”, un centro di ascolto che non chiamerei banalmente sportello anti-suicidi come è stato definito da più parti. In questo progetto abbiamo coinvolto la Caritas di Treviso, che aveva già intrapreso un progetto simile al nostro, ci siamo incontrati e confrontati e assieme a loro abbiamo presentato un progetto di supporto al territorio. Abbiamo coinvolto anche la Uls 8, la nostra Uls territoriale, perché vedevamo nel fenomeno la possibilità di aspetti patologici. Così è nato lo sportello che è attivo dal 2 marzo, che riceve circa un paio di chiamate al giorno da parte di imprenditori che lamentano la stretta creditizia delle banche, le pressioni di Equitalia, i mancati pagamenti da parte di clienti e fornitori. Ma riceviamo anche tante mail davvero strazianti.

Che servizi offre “Life Auxilium”?
Lo sportello offre un servizio di tipo psicologico e uno di tipo tecnico. Vogliamo dare alle persone le indicazioni per muoversi quando ci fanno domande pratiche, ma anche gli strumenti per affrontare il disagio da un punto di vista psicologico.

Oltre a voi, chi sostiene gli imprenditori in difficoltà?
Abbiamo notato che è importantissimo il sostegno della famiglia la quale, a volte, finge invece di non vedere. In alcuni casi estremi che ho conosciuto c’erano problemi familiari alle spalle che, una volta sopraggiunti anche quelli economici, hanno fatto esplodere le situazioni.

Perché si arriva a tanto, secondo lei?
Nel nostro contesto culturale, il fallimento imprenditoriale è visto come un fallimento personale. Un retaggio duro a morire, perché bisogna cambiare e capire che l’impresa è soprattutto un’infrastruttura sociale, non è una cosa personale, esclusiva: quando gestisco 3-400 persone, la mia azienda non si ferma a me, va oltre, investe il territorio e la società che mi circonda. Bisogna cambiare la testa della gente, un lavoro molto lungo e difficile da fare.

E poi c’è il fatto che, nella vostra zona, le piccole aziende sono davvero tante…
Viviamo sì in un territorio ad alta imprenditorialità, ma che è fatto di piccole aziende; oggi il mercato è globalizzato, per cui gli orizzonti sono cambiati e bisogna essere preparati ad affrontarlo in modo adeguato. In questo senso, è necessario fare squadra, sistema, aggregare imprese per sostenere il nostro tessuto sociale e produttivo.

Quanti imprenditori hanno deciso di farla finita in questi anni di crisi, nel vostro territorio?
Negli ultimi tre anni, sono oltre 50 i casi di imprenditori del Nord-est che si sono tolti la vita e alcuni di questi mi hanno toccato personalmente da vicino.

I familiari di alcuni imprenditori suicidi hanno accusato le istituzioni di essere stati lasciati soli. Che consa ne pensa?
Penso che vadano assolutamente aiutati, che lo Stato debba essere più vicino, non solo quando si tratta di spremere le aziende ma anche quando vanno sostenute. Il problema è che la burocrazia è sempre più forte e vince su una politica sempre più debole. E poi alla fine l’anello ancora più debole è quello che dovrebbe essere il più forte, ovvero l’impresa, l’imprenditore che dovrebbe lavorare tutti i giorni per portare ricchezza a sé e al territorio. E questo è un grave paradosso.

Finanziamenti per un’impresa su due

Sono più di un terzo le imprese che nel 2011 hanno dichiarato di aver ottenuto da parte delle banche un finanziamento inferiore a quanto richiesto, se non, nei casi peggiori, di non averlo ottenuto per niente. Secondo quanto rivela l’Osservatorio sul credito per le imprese del commercio, del turismo e dei servizi, pubblicato da Confcommercio sarebbero il 34,4% le imprese che nell’ultimo trimestre del 2011 denunciano di non aver potuto accedere ad alcuna forma di finanziamento, in aumento rispetto ai tre mesi precedenti, quando la percentuale raggiungeva quota 29,6%. Diminuisce quindi il numero delle PMI che riescono ad ottenere il finanziamento richiesto-  dal 55,8% al 49,8% – praticamente un’impresa su due.

I dati raccolti rivelano poi che le imprese maggiormente sfavorite si trovano nel Nord-Est e nel Mezzogiorno. A completare il quadro il peggioramento di tutti gli indicatori relativi all’offerta di credito: costo del finanziamento, costo dell’istruttoria e delle altre condizioni, durata dei finanziamenti, garanzie richieste.

Ma quante e quali sono le imprese che necessitano di ricorrere a un finanziamento in Italia?
Le imprese del terziario per far fronte al proprio fabbisogno finanziario si trovano costrette a richiedere un aiuto economico: nel terzo trimestre del 2011 solo il 49,2% ha dichiarato di non essere ricorso ad un finanziamento, mentre il 35,7% ha accusato qualche difficoltà o ritardo nei pagamenti. Risultato: il 15,1% delle imprese del terziario ha manifestato la propria necessità di ricorrere ad un aiuto economico per far quadrare i conti a fine trimestre. A registrare maggiori difficoltà sono state le microimprese e quelle operative nelle regioni del centro e del sud Italia.

Le previsioni per il quarto trimestre peggiorano ulteriormente il quadro, facendo registrare un saldo pari a -2,7. A manifestare maggior preoccupazione le imprese attive nel commercio, in particolare gli esercizi operativi nelle grandi aree metropolitane.

Resta stabile la percentuale (22%) delle imprese del terziario che nel terzo trimestre del 2011 si sono rivolte alle banche per chiedere un finanziamento o la rinegoziazione di un finanziamento già in atto. Occorre sottolineare però che nel terzo trimestre è diminuita la percentuale delle imprese che ottengono il credito con un ammontare pari o superiore rispetto alla richiesta: sono state il 49,8% contro il 55,8% del trimestre precedente. Ovvero meno della metà.

E’ aumentata l‘area di irrigidimento che ha colpito nei mesi scorsi, con riferimento a luglio, agosto e settembre, il 34,4% delle imprese contro il 29,6% del trimestre precedente.

A.C.

L’Italia dei consumi: Nord-Est batte Sud recuperando i livelli pre-crisi

Uno studio di Confcommercio rivela come le dinamiche dei consumi nell’Italia della crisi globale muti profondamente da Nord a Sud: se nel periodo che va dal 2007 al 2011 è calato significativamente il contributo in termini di consumo delle regioni del Sud Italia, il Nord, ed in particolare il Nord-Est, ha registrato al contrario una ripresa positiva della spesa sul totale nazionale, in costante aumento.

Lo studio condotto da Confcommercio, nell’ambito dell’ “Aggiornamento delle analisi e delle previsioni dei consumi delle famiglie nelle regioni italiane”, mette in luce come nello zoccolo dello stivale i consumi si siano contratti passando dal 27,2% del 2007 al 26,6% del 2011. A livello di singole regioni, i picchi sono stati registrati in Calabria (-4,2%), Puglia (-3,6%), Sicilia (-3,2%) e Campania (-3%). Segue invece un andamento completamente opposto la curva della spesa a livello nazionale se si guarda alle regioni del Settentrione: le quote sono in costante aumento sia nel Nord-Est (dal 21,8% al 22,2%) che nel Nord-Ovest (dal 30,1% al 30,6%), al punto che il Nord-Est ha recuperato nel 2010 i livelli di consumo pre-crisi.

Difficili le previsioni per il futuro: la debolezza dei consumi a livello pro capite, complice il biennio di crisi 2008-2009, lascia intravedere un rallentamento generalizzato dell’uscita dalla crisi. Confcommercio ha stimato infatti che, a fine 2011, saranno ben 17 regioni italiane su 20 a rischiare di registrare un livello di consumi inferiore a quello del 2000. Ancora meno rosee appaiono le prospettive a lungo termine: nel 2017 si prevede infatti che il Mezzogiorno avrà acuito il suo ritardo con una continua riduzione della spesa per consumi rispetto al totale nazionale.

Modesta la previsione per il 2011 con una ripresa sull’intero territorio nazionale stimata attorno al + 0,8%, anche se le famiglie italiane stanno cercando di recuperare i livelli di consumo pre-crisi.

Alessia Casiraghi