Tasse sulle mance: il si arriva dalla Suprema Corte

Tasse sulle mance è quello che accadrà a breve per tutti i lavoratori dipendenti che di solito le hanno intascate senza condividerle.

Tasse sulle mance: la decisione che fa scalpore

La clamorosa sentenza della Cassazione ha del paradossale. Infatti con la sentenza depositata, ieri giovedì 30 settembre, la Cassazione ha stabilito che si devono pagare le tasse sulla mance. Questo perché deriva dal rapporto di lavoro subordinato e quindi dalla prestazione lavorativa. Quindi in base all’articolo 51 del Testo Unico delle imposte sui redditi da lavoro dipendente, il pagamento delle tasse non è limitato solo al lavoro, ma comprende anche tutte le somme percepite in tale ambito.

Pertanto, se un cliente è soddisfatto di un servizio alberghiero, piuttosto che di ristorazione lascia una mancia per gratificare al lavoratore; quest’ultimo dovrà pagare le tasse. Anche se non è proprio chiaro il modo in cui si dovrebbe vigilare sulla somma. Infatti, spesso viene lasciata direttamente in contanti. Quindi il fisco dovrebbe semplicemente basarsi sul buon senso della singola persona.

Come ha funzionato fino ad oggi

La sentenza fa scalpore perché va contro quanto previsto dalla circolare 3/2008 della stessa Agenzia delle Entrate. Infatti fino ad ieri si escludeva dalla tassazione le donazioni di valore minimo, facendo riferimento all’articolo 783 del Codice civile. L’artico così recita: “La donazione di modico valore che ha per oggetto beni mobili e’ valida anche se manca l’atto pubblico, purché vi sia stata la tradizione. La modicità deve essere valutata anche in rapporto alle condizioni economiche del donante“.

Ma secondo la Cassazione la mancia non rientra in questo caso. In quanto è legata alla prestazione di lavoro e quindi legata ad esso. Di conseguenza vanno dichiarate come aumento di reddito e quindi pagare le relative tasse.

Da dove nasce la sentenza: il caso

Tutto nasce dal fatto che la Corte di Cassazione ha accolto un ricorso presentato dall’agenzia delle entrate. Il ricorso a sua volta derivava da un dipendente di un Hotel di lusso, in Sardegna,nella celeberrima ed elegante Costa Smeralda. Il lavoratore, grazie al suo servizio, aveva guadagnato circa 84 mila euro soltanto di mance. Secondo il fisco si trattava di reddito di lavoro non dichiarato. 

Mentre la commissione regionale aveva dato ragione al contribuente dicendo che le mance non sono tassabili, in quanto donate dal cliente, senza l’intervento del datore di lavoro. Ma non solo, è citata anche la circolare della stessa Agenzia delle entrate. Ciò nonostante la Corte ha specificato che la mance sono legate al rapporto di lavoro. E quindi rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dall’articolo 51, primo comma, del Dpr 917/1986, e sono pertanto soggette a tassazione.

Per i contribuenti 16 miliardi di nuove tasse

È un periodo questo in cui, per il governo, non tira una buona aria. Da una parte, la grana del rimborso della rivalutazione delle pensioni, con quei 500 euro a pensionato che hanno suscitato più polemiche che soddisfazione e che costeranno allo Stato oltre 2 miliardi. Dall’altra il rischio di bocciatura da parte dell’Ue dei nuovi regimi di fatturazione come lo split payment e l’estensione del reverse charge alla grande distribuzione e una spada di Damocle sulla testa dei contribuenti.

Due misure che, per le casse dell’Erario significano maggiori spese o comunque meno entrate e che, automaticamente, per i cittadini contribuenti significano nuove tasse. Secondo una stima elaborata dalla Cgia, infatti, il governo dovrà reperire almeno 16 miliardi di euro per evitare che dal 2016 scatti la clausola di salvaguardia che farà innalzerà le aliquote Iva riducendo le agevolazioni per i contribuenti. Senza dimenticare che nel 2017 la clausola di salvaguardia sarà di circa 25,5 miliardi, che diventeranno 28,2 nel 2018.

Qualora non riuscissimo a sterilizzare queste clausole di salvaguardia, dall’1 gennaio 2016 l’aliquota Iva del 10% aumenterebbe al 12% e dall’1 gennaio 2017 al 13%. L’aliquota ordinaria si alzerebbe di 2 punti (24%) dal 2016, dall’1 gennaio 2017 di un altro punto e dall’1 gennaio 2018 di un altro mezzo punto, arrivando così al 25,5%.

Non sarebbe la prima volta che i contribuenti italiani si trovano a fronteggiare una situazione simile. Nell’ottobre 2013, la mancata “sterilizzazione” delle clausole di salvaguardia fece salire l’aliquota ordinaria dell’Iva dal 21 al 22%, con un aumento del carico fiscale per i contribuenti di 4 miliardi di euro.

Lo ha detto a chiare lettere il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi: “Il Governo ipotizza una ripresa economica superiore a quella prevista nel Def con un conseguente incremento delle entrate fiscali, una contrazione dei tassi di interesse che dovrebbe ridurre il costo del debito pubblico e un rilevante apporto di gettito dal rientro dei capitali illecitamente esportati all’estero. Tuttavia, se queste ipotesi non si dovessero verificare, vi sarebbero effetti negativi su famiglie e imprese”.

Con l’Ue – ha proseguito Bortolussi – abbiamo preso degli impegni per rispettare i vincoli di bilancio che non sarà facile onorare senza mettere mano nelle tasche dei contribuenti. Il meccanismo che giustifica l’impiego delle clausole di salvaguardia è a dir poco diabolico. Se il governo non sarà grado di chiudere gli enti inutili, di risparmiare sugli acquisti, di tagliare gli sprechi e gli sperperi che si annidano nella nostra Pubblica amministrazione, a pagare il conto ci penseranno i contribuenti italiani che già oggi subiscono un carico fiscale tra i più elevati d’Europa”.

Imu, Taser, service tax: nomi diversi, stessa sostanza

Addio all’Imu. La tassa sulla casa è scomparsa dal vocabolario degli italiani. Al suo posto, dal primo gennaio del 2014 arriverà la service tax: non più una tassa sulla proprietà, ma sui servizi al cittadino, pagata quindi non solo dai proprietari, ma anche dagli inquilini. Con il risultato, ha detto il presidente del Consiglio, Enrico Letta, di alleggerire il carico fiscale sulle spalle delle famiglie, perché la copertura per le due rate 2013 dell’imposta sugli immobili non sarà trovata con l’introduzione di nuove tasse.

Come emerso nei giorni scorsi, le risorse per evitare il pagamento dell’acconto sulla prima casa e sui terreni agricoli già rinviato a giugno scorso valgono 3 miliardi: nessun aggravio significativo delle accise, ma spending review, Iva fatturata sui nuovi rimborsi dei debiti della pubblica amministrazione e sanatoria per chiudere il contenzioso che divide erario e tabaccai per le imposte passate sui giochi. Spunta anche un mini-capitolo Irpef: l’imposta, cancellata con l’Imu, tornerà ad essere pagata sulle case e sui terreni sfitti.

Per capire  quali saranno invece le coperture per la rata di dicembre bisognerà aspettare ancora. Insieme alla legge di stabilità, che conterrà l’esatta definizione della service tax (ribattezzata dai tecnici Taser), il governo presenterà infatti anche un apposito decreto il 15 ottobre prossimo. Il tutto rimanendo però rigorosamente sotto i parametri del 3% imposti dall’Unione europea, ha assicurato il premier. “È una riforma che difendo per il merito non per l’intesa politica”, ha chiarito Letta, insistendo sugli aiuti a famiglie, Comuni e settore edile e sulla spinta all’economia che, grazie anche alla nuova tranche da 10 miliardi di rimborsi di debiti della Pubblica Amministrazion, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha quantificato in due punti di Pil.

Trovato il compromesso, tutti, tranne l’ex premier Mario Monti, ‘padre’ dell’Imu, sembrano più che soddisfatti. A partire da Silvio Berlusconi, che sulla riforma mette anche il suo cappello. “Promesso. Realizzato. Sull’Imu sulla prima casa e sui terreni e fabbricati funzionali alle attività agricole – ha commentato il leader del Pdl – abbiamo mantenuto gli impegni”.

Vediamo che cosa ne pensano gli italiani…