Operai specializzati in elettrodomestici, c’è lavoro per voi!

In un clima di crisi e di risparmi, quando capita di avere un elettrodomestico rotto, invece di cambiarlo si decide di farlo riparare.
Ma non sempre si trova qualcuno in grado di farlo.

E forse in questa ottica, sono aumentate le richieste di operai che siano specializzati proprio nella riparazione di grandi elettrodomestici, a cominciare da lavatrice, lavastoviglie e frigoriferi, ovvero quelli più utili ed utilizzati in tutte le case italiane.

La richiesta arriva da una società di Roma, alla ricerca di 10 candidati disposti ad assolvere almeno sette chiamate al giorno.
Se, dunque, si dispone della giusta esperienza, di almeno 3 anni, e si è automuniti, si può avanzare la propria candidatura.

Per saperne di più, Infojobs.it.

Gli operai diventano sempre più imprenditori

Da quando c’è la crisi, gli operai stanno diventando sempre più intraprendenti. Continua ad aumentare il numero dei lavoratori di imprese in crisi, o a rischio chiusura, che scelgono di rilevare l’azienda, formando una cooperativa tra loro. “Il fenomeno è in crescita in questi ultimi anni”, racconta a Labitalia Aldo Soldi, direttore generale di Coopfond, il fondo mutualistico di Legacoop, che sostiene lo sviluppo delle cooperative nel sistema economico. “Nella nostra attività -spiega- c’è stata una forte accelerazione dal 2009 ad oggi, e così abbiamo contribuito a mettere in piedi una trentina di realtà aziendali”.

Imprese in cui “i lavoratori, o perchè l’azienda è andata in crisi, o perchè non c’è ricambio generazionale alla guida, decidono di rilevare la proprietà formando una cooperativa tra loro”. “E’ una scelta – aggiunge Soldi – che i lavoratori fanno per diversi motivi. Innanzitutto, per non perdere il posto di lavoro. Ma in molti casi abbiamo riscontrato che c’è anche la volontà di difendere la propria professionalità, il proprio saper fare. I settori in cui operano le aziende che sono rilevate dai lavoratori sono i più vari: si va dalla fabbricazione delle piastrelle fino a quella delle cravatte”.

Cambiano i settori, ma la prerogativa principale, nella maggior parte dei casi, resta la stessa: “Piccolo è meglio”. “Nella maggior parte dei casi -spiega Soldi- si tratta di imprese di tipo industriale, che non sono però tanto grandi, arrivano ad avere tra i 10 e i 50 dipendenti. E’ molto più difficile che operai e impiegati si trasformino in imprenditori di aziende molto grandi”.

Comunque, centrale per la nuova avventura di operai e impiegati è il ruolo di Coopfond: “Siamo un fondo che finanzia la nascita e lo sviluppo delle cooperative -sottolinea Soldi- con la concessione di prestiti ai lavoratori che creano la cooperativa, ma anche con la nostra entrata nel capitale sociale dell’azienda stessa, che è una scelta che riesce a dare fiducia sia ai lavoratori che alle banche e agli istituti di credito”. Ma per la buona riuscita dell’iniziativa, “oltre al nostro apporto finanziario, è fondamentale quello della struttura associativa della Lega delle Cooperative, e poi naturalmente -aggiunge- serve il contributo delle banche”.

Le risorse da mettere in campo per il ‘salvataggio’ della propria azienda da parte dei lavoratori-imprenditori variano comunque in base ai casi. “Dipende -spiega Soldi- da tante cose: dal tipo di attività, dalla grandezza dell’azienda, dalla condizione in cui si trova quando viene rilevata, e altri fattori. Di solito, comunque, si parte da un contributo di 200-300 mila euro che noi rilasciamo e a cui se ne vanno ad aggiungere altrettanti da parte dei lavoratori che rinunciano al proprio Tfr. Nella fase iniziale di nascita della cooperativa è importante il ruolo del sindacato, perchè, ad esempio, magari all’inizio della nuova avventura non tutti i lavoratori dell’azienda possono essere subito reimpiegati”.

Il fenomeno delle cooperative nate sulle ‘ceneri’ delle aziende si sta ampliando sempre più: “Nelle zone a tradizione cooperativa come Emilia Romagna e Toscana. Ma anche in Veneto, Lombardia e Lazio. Mentre fatica ancora nelle regioni del Sud”.

Articolo 18, i costi della riforma per le Pmi

Ne abbiamo parlato qualche giorno fa. I costi della riforma del lavoro, specialmente quelli legati alla modifica dell’articolo 18, rischiano di ricadere pesantemente sulle aziende. Qualcuno, ora, i conti di queste ricadute possibili li ha fatti e i risultati non sono proprio incoraggianti.

Lo studio meritorio è ancora una volta opera della Cgia di Mestre, secondo la quale, se sarà confermata la riforma dell’articolo 18 che prevede un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità per i dipendenti licenziati per ragioni economiche, i costi a carico dell’impresa potranno arrivare, per gli operai qualificati (sia del settore metalmeccanico, sia del settore del commercio), a un esborso massimo che sfiora i 49mila euro.

La Cgia di Mestre ha rilevato che un operaio metalmeccanico generico con 10 anni di anzianità e uno stipendio lordo di 1.418 euro, in caso di licenziamento per ragioni economiche dovrà essere indennizzato, nel caso delle 15 mensilità, con almeno 21.271 euro, nel caso delle 27 con 38.289 euro. Un operaio qualificato con 1.812 euro di stipendio mensile lordo, invece, percepirà un minimo di 27.177 euro (15 mensilità) fino ad un massimo di 48.918 euro (27 mensilità).

Passando dal metalmeccanico al commercio in caso di licenziamento per ragioni economiche, un operaio generico con una retribuzione mensile pari a 1.393 euro sarà risarcito con 20.895 euro (15 mensilità), con 37.612 euro (27 mensilità). Nel caso di un operaio specializzato con una retribuzione mensile lorda pari a 1.737 euro, con una indennità di 15 mesi prenderà 26.053 euro, 46.896 euro con 27 mensilità

Acuto, come sempre, il commento di Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre: “Al di là delle legittime posizioni di chi sostiene che un licenziamento non è mai monetizzabile, l’ammontare degli indennizzi da noi individuati è di tutto rispetto. Pertanto, non crediamo che gli imprenditori utilizzeranno questo strumento con una certa superficialità“.

Particolare non trascurabile, queste simulazioni le indennità sono al lordo delle ritenute Irpef. Nel caso poi fossero riconosciuti anche i contributi Inps (cosa che finora non paredovuta), l’esborso da parte dell’azienda aumenterà di un altro 30%.

Siamo proprio sicuri che una riforma dell‘articolo 18 in questi termini agevolerà la flessibilità in uscita?

Assunzioni: sempre più difficile trovare addetti specializzati

Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro hanno evidenziato che sono 162.600 le assunzioni che le imprese italiane hanno programmato di effettuare tra luglio e settembre 2011, quasi 23mila in più dello stesso periodo del 2010. 107mila saranno a carattere non stagionale e, tra queste, 46mila comporteranno un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Sono i profili tecnici ad elevata specializzazione ad essere maggiormente richiesti, in particolare conduttori di impianti nelle industrie tessili così come abbigliamento e calzature (1.740 le entrate previste), parrucchieri ed estetisti (760), e gli operai nelle industrie del legno e della carta (540). Ad avere maggiori difficoltà di reperimento sono le industrie del legno in quanto per loro mancherebbe il 29,7% di addetti, a seguire le figure per la cura della persona (25%) ed infine gli operai delle industrie tessili irreperibili per un 19,3%.

 

 

Nuove assunzioni in vista ma serve manodopera specializzata

Le imprese italiane hanno programmato di effettuare tra luglio e settembre 2011 162.600 assunzioni quasi 23mila in più dello stesso periodo del 2010. Questo stando ai dati rilevati dal Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro che da poco tempo presenta trimestralmente il fabbisogno di manodopera a livello provinciale.

Delle 162mila entrate previste, 107mila saranno a carattere non stagionale e, tra queste, 46mila comporteranno un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Le richieste maggiori riguardano gli operai specializzati e conduttori di impianti nelle industrie tessili, abbigliamento e calzature (1.740 le entrate previste), parrucchieri ed estetisti (760), e gli operai nelle industrie del legno e della carta (540).

Le industrie del legno rivelano difficoltà a reperire operai. Mancherebbero infatti il 29,7% di addetti, a seguire le figure per la cura della persona (25%) ed infine gli operai delle industrie tessili irreperibili per un 19,3%.