Pensione, vincolo di assenza rapporto di lavoro: si può essere riassunti dallo stesso datore?

Per andare in pensione l’unico vincolo per i lavoratori alle dipendenze è quello di non avere in essere un rapporto di lavoro subordinato. Il vincolo vige nel momento in cui si fa domanda di pensionamento. Successivamente si può riprendere a lavorare. Ma si può essere assunti nuovamente dallo stesso datore di lavoro, ovvero ci si può ritrovare nella stessa situazione lavorativa nella quale il dipendente si trovava prima di andare in pensione?

Pensioni, oltre ai requisiti contributivi e di età, anche il vincolo di assenza rapporto di lavoro

È, pertanto, importante distinguere i casi di ripresa dell’attività lavorativa dopo la pensione. Per la maturazione del pensionamento, infatti, oltre ai requisiti di età e di contribuzione, le norme stabiliscono la condizione che il richiedente la pensione abbia cessato il rapporto di lavoro alle dipendenze. Lo stesso vincolo non sussiste per i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i parasubordinati o gli imprenditori. Infatti, chi non è alle dipendenze può accedere alla pensione senza procedere con l’interruzione dell’attività lavorativa.

Chi prende la pensione può riprendere a lavorare?

Può riprendere a lavorare anche chi prende la pensione. Esiste, dunque, la possibilità di cumulo tra redditi da pensione e quelli da lavoro. La regola è fissata dal decreto legge numero 112 del 2008 che ha abolito la non cumulabilità tra le due fonti di reddito. Pertanto, il vincolo dell’assenza di attività lavorative per accedere alla pensione vige nel momento in cui si accede alla pensione stessa. Successivamente, il neopensionato può riprendere a lavorare.

Il pensionato può riprendere a lavorare presso lo stesso datore di lavoro?

Diverso è il caso in cui il pensionato si faccia assumere nuovamente dallo stesso datore di lavoro presso il quale era dipendente prima di andare in pensione. Sull’opportunità di farsi riassumere dallo stesso datore di lavoro è intervenuta anche la sentenza della Corte di Cassazione, la numero 14417 del 2019. Per la Giurisprudenza la cessazione del rapporto di lavoro deve essere effettiva. La situazione nella quale il neopensionato venga assunto nuovamente presso lo stesso datore di lavoro farebbe cadere, infatti, la certezza di un’effettiva interruzione del rapporto di lavoro.

Pensionato riassunto dallo stesso datore di lavoro: quando si configura la simulazione?

La situazione nella quale il contribuente che ha interrotto il rapporto di lavoro e sia andato in pensione e venga poi assunto nuovamente dallo stesso datore di lavoro farebbe presumere la possibilità di simulazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Soprattutto se le condizioni di lavoro e la mansione risultassero essere le stesse esercitate prima dell’interruzione per la pensione.

Cosa fare per essere riassunti dallo stesso datore di lavoro di prima della pensione?

È altrettanto presumibile che il lavoratore che sia andato in pensione, per riprendere a lavorare presso lo stesso datore di lavoro, debba far trascorrere un ragionevole lasso di tempo per non incorrere nella simulazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Diversamente, l’assunzione presso lo stesso datore di lavoro potrebbe avvenire con un effettivo e nuovo rapporto di lavoro, diverso da quello precedente la pensione. In ogni caso, anche nel caso di un nuovo e diverso rapporto di lavoro, è consigliabile far passare un lasso di tempo ragionevole prima di iniziare la nuova attività lavorativa.

Cosa avviene con l’interruzione del lavoro per la pensione?

Affinché non si verifichi la simulazione del rapporto di lavoro, il lavoratore deve aver percepito tutte le spettanze della fine del precedente rapporto. Dunque, deve essere stato versato al dipendente il Trattamento di fine rapporto (Tfr) e il saldo delle ferie maturate e non utilizzate. Nel momento in cui si instauri un nuovo rapporto di lavoro, i redditi della nuova attività sono cumulabili con quelli della pensione. Entrambi i redditi andranno a sommarsi e a costituire il reddito complessivo del contribuente, fiscalmente soggetto alle imposte.

Quando la pensione non è cumulabile con i redditi da lavoro?

Per i lavoratori del sistema contributivo, ovvero che abbiano iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995, il decreto legge numero 112 del 2008 pone altre condizioni per l’incumulabilità dei redditi da lavoro e da pensione. In particolare, i “contributivi puri” per il cumulo dei redditi devono avere almeno l’età di 65 anni (uomini) o di 60 anni (donne) oltre a 40 anni di contributi versati. Il requisito viene mitigato a 61 anni di età in presenza di almeno 35 anni di versamenti.

Casi di incumulabilità parziale e totale di redditi da lavoro e da pensione

È da ritenersi totalmente incumulabile il reddito da lavoro con le pensioni ottenute mediante lo strumento dell’opzione donna. La ragione risiede nel fatto che i requisiti richiesti alle lavoratrici sono inferiori rispetto ai limiti di cumulo dettati dal decreto 112 del 2008. Caso parziale di incumulabilità è quello di chi va in pensione con quota 100. In questa situazione, non è consentito svolgere, da pensionato, un lavoro alle dipendenze o autonomo. La cumulabilità è consentita solo per un lavoro autonomo meramente occasionale per un reddito limite di 5 mila euro lordi all’anno.

Cosa succede se cumulo il reddito da lavoro con la pensione da quota 100?

Il lavoratore andato in pensione con quota 100 che violi il divieto di cumulo dei redditi da pensione e da lavoro, si vedrà sospendere dall’Inps l’assegno erogato come pensione. Lo stesso Istituto previdenziale provvederà a recuperare il trattamento erogato nell’anno in cui si sia verificata la violazione dell’incumulabilità dei redditi. Il divieto di cumulo per un lavoratore andato in pensione con quota 100 cessa alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

Pensione anticipata con quota 41, quanto dura l’incumulabilità tra pensione e lavoro?

Un limite di incumulabilità parziale simile a quello di quota 100 ma meno netto è quello dei lavoratori andati in pensione con la quota 41 dei precoci. In questo caso, il divieto di cumulo vige dal momento della maturazione dei 41 anni di contributi e quindi di uscita dal lavoro, al momento (prospettico) in cui il lavoratore avrebbe maturato i contributi necessari per la pensione anticipata. Nel dettaglio, il pensionato da quota 41 dovrà attendere un anno e 10 mesi (maturazione dei 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata), mentre la lavoratrice 10 mesi (maturazione pensione anticipata a 41 anni e 10 mesi).

Riforma pensioni e dopo quota 100, per l’Acli occorre più flessibilità e uscita a 63-65 anni

Un sistema previdenziale più equo, flessibile e stabile è quanto chiede l’Acli per la riforma delle pensioni e il dopo quota 100. Una misura, quest’ultima, che terminerà la sua sperimentazione il 31 dicembre 2021 senza che possa essere rinnovata. Ma, al di là dei numeri e delle modalità di uscita, è necessario anche analizzare le motivazioni che hanno spinto i contribuenti a scegliere quota 100 per andare in pensione negli ultimi anni. Interessanti sono, a tal proposito, i risultati dello studio condotto proprio dall’Osservatorio del Patronato Acli sulla quota 100.

Pensioni, quanti sono stati i pensionati con quota 100 nel 2019-2021?

Non si può parlare di un ritorno alle pensioni della riforma Fornero in quanto i requisiti della legge del 2011 sono tutt’ora in vigore e lo sono stati anche negli anni in cui è rimasta in vigore quota 100. Tuttavia, nell’analisi dell’Acli, solo una minima parte dei pensionati degli ultimi anni ha beneficiato della misura. Nel primo anno, il 2019, le domande di quota 100 accolte sono state 193 mila. Poi si il numero si è ridotto progressivamente: 74 mila circa nel 2020 e un dato ancora da calcolare per l’anno in corso. Ma molto difficilmente si arriverà all’obiettivo della misura, ovvero a un milione di pensionati in tre anni.

Pensioni, si esce prima con quota 100 per avere più tempo per la famiglia

Più dei numeri è interessante avere il polso della situazione di chi ha scelto di andare in pensione con quota 100. Nello studio dell’Osservatorio Acli, infatti, quasi la metà del campione degli intervistati ha affermato di aver aderito a quota 100 “per dedicare più tempo alla famiglia” o per “avere più tempo libero”. Molto più bassa (il 12%) è stata la percentuale dei neopensionati che hanno scelto la misura di uscita dai 62 anni di età per le preoccupazioni legate alle “prospettive occupazionali del mercato del lavoro”.

Pensioni e riforma, qual è la giusta flessibilità?

Lo studio condotto dall’Osservatorio porta, dunque, a delle riflessioni su come intendere il sistema delle pensioni. La domanda da porsi è: “Perché oggi non si può scegliere di andare liberamente in pensione?”. Il quesito è direttamente legato a quanto richiesto dalle parti sociali in merito alla flessibilità in uscita dal lavoro. Ovvero, il contribuente deve aver libertà di decidere quando andare in pensione utilizzando il montante contributivo accumulato durante gli anni di attività. Anche a costo di avere una pensione più bassa.

Pensioni, un sistema più equo e stabile

Nella scelta di andare in pensione si rivendica, dunque, la possibilità da offrire al lavoratore il giusto bilanciamento tra la diminuzione dell’assegno di pensione e le esigenze di prepensionamento. È un cambio di prospettiva che l’Acli sente di poter appoggiare in vista di una riforma delle pensioni più equa, più flessibile e più stabile.

Equità delle pensioni, perché quota 100 non è stata la misura ‘per tutti’

Nell’analisi dell’Acli, il sistema previdenziale al quale i governanti dovranno giungere dovrà assicurare l’equità che quota 100 non ha garantito. Innanzitutto perché chi ha potuto beneficiare della misura sono soprattutto gli uomini con carriere lavorative più continue, situazione non replicabile per le donne per via delle interruzioni lavorative dovute alle gravidanze e al lavoro domestico. Arrivare a delle pensioni davvero eque significa assicurare trattamenti pensionistici per tutti, senza discriminazioni o situazioni di partenza che impediscano a chiunque di poter maturare i requisiti per una determinata misura.

Pensioni anticipate: troppi circa 43 anni di contributi per uscire da lavoro

In una situazione di carriere frammentate e discontinue, perfino i requisiti attuali di prepensionamento o di futura pensione delle giovani generazioni appaiono da riformare. È impensabile richiedere requisiti di pensione anticipata con circa 43 anni di contributi divenuti ormai un traguardo quasi irraggiungibile, così come i 71 anni di età ai quali andranno incontro i giovani come requisito aggiornato dalla speranza di vita dei prossimi anni.

Flessibilità delle pensioni, proposta di uscita tra 63 e 65 anni

In questo scenario, la flessibilità delle pensioni potrebbe risolvere varie situazioni. Intanto perché gli strumenti che dovrebbero garantire un’uscita agevolata ai lavoratori con particolari disagi economici o sociali (come l’opzione donna, l’Ape sociale o la stessa quota 100) si sono rivelati sistemi “rigidi” oppure “troppo selettivi”. La flessibilità dovrebbe assicurarsi con la libertà per il lavoratore di andare in pensione tra i 63 e i 65 anni, con un minimo contributivo che potrebbe essere fissato a 20 anni di versamenti.

Riforma pensioni, purché sia un sistema stabile e di regole certe

Infine, la riforma delle pensioni dovrà garantire la stabilità delle norme. Non è possibile accedere al mercato del lavoro con determinate regole pensionistiche e ritrovarsi le stesse stravolte dal passare degli anni, delle leggi e dei meccanismi di uscita. In tal senso dovrà essere superata anche la logica degli interventi sperimentali. Misure frammentarie, episodiche, valide per qualche anno hanno caratterizzato la materia previdenziale per troppi anni, soprattutto negli ultimi decenni.

Pensioni integrative in soccorso dei lavoratori del contributivo

E, da ultimo, tra le proposte dell’Acli figura quella di rendere obbligatoria l’iscrizione alla previdenza complementare. Uno strumento che potrebbe risolvere molte delle situazioni penalizzanti dei contribuenti, soprattutto dei giovani. Con un sistema previdenziale che tra qualche anno sarà costituito da soli lavoratori del contributivo, costruirsi una “pensione di scorta” non potrà che rafforzare la scelta flessibile per andare in pensione prima.

I pensionati possono lavorare o riprendere la propria attività? Casi e limiti di cumulo di pensione

Si può lavorare dopo la pensione? La risposta è affermativa ma occorre prestare attenzione al cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro, tra vincoli e divieti. Infatti, se da un lato chi matura i requisiti per andare in pensione non vi è obbligato ad andarci subito, dall’altro un pensionato può non rinunciare alla possibilità di continuare a svolgere un’attività lavorativa.

Pensioni e cumulo con redditi da lavoro, la regola generale

Una norma di riferimento, in tal senso, è il decreto legge numero 112 del 2008. Il provvedimento sancisce la totale cumulabilità delle pensioni di anzianità, di vecchiaia e anticipate ai redditi prodotti dal lavoro. Pertanto, è possibile cumulare l’assegno previdenziale mensile con redditi da lavoro senza incorrere in penalità o sanzioni. Ma occorre fare distinzioni sulla prestazione previdenziale di uscita: il cumulo per alcune misure è vincolato a determinate condizioni.

Si può lavorare con la pensione di vecchiaia o anticipata?

Se il contribuente percepisce la pensione di vecchiaia o quella anticipata può cumulare il suo reddito previdenziale con quello di un eventuale lavoro. La totale cumulabilità dei due redditi è confermata dal decreto legge 112 del 2008 che permette, dal 1° gennaio 2009, la possibilità di svolgere un’attività lavorativa anche da pensionato. Questo vale sia per i lavoratori provenienti dal sistema retributivo o misto, che per i lavoratori del contributivo puro, ovvero i lavoratori che hanno iniziato a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996.

Chi percepisce un assegno ordinario di invalidità può lavorare?

I contribuenti che percepiscono un assegno ordinario di invalidità possono lavorare ma con dei limiti consistenti in tetti di reddito. Nello specifico, sono previste delle decurtazioni dell’assegno ordinario di invalidità per le seguenti misure:

  • taglio del 25% se il reddito complessivo (da lavoro e invalidità) superi di 4 volte il trattamento minimo dell’Inps;
  • decurtazione del 50% se il reddito complessivo risulta di 5 volte superiore al trattamento minimo dell’Inps.

Ulteriore trattenuta per chi percepisce l’invalidità e lavora

Per i percettori dell’assegno ordinario di invalidità è prevista un’ulteriore decurtazione nel caso in cui svolgano un’attività lavorativa. Infatti, nel caso in cui l’assegno di invalidità sia superiore al trattamento minimo dell’Inps (per il 2021 pari a 515,58 euro per tredici mensilità), la parte che eccede il trattamento minimo può subire un ulteriore taglio per anzianità contributiva inferiore ai 40 anni del:

  • 50% della parte eccedente il trattamento minimo per lavoro subordinato;
  • 30% della quota eccedente il minimo per attività di lavoro autonoma.

Pensione di inabilità e possibilità di lavorare

Diversa dall’assegno ordinario di invalidità è la pensione di inabilità. La prestazione viene elargita solo nell’impossibilità accertata di svolgere un’attività lavorativa. Per questa ragione, lo svolgimento di un’attività lavorativa, sia alle dipendenze che in maniera autonoma, è incompatibile (e dunque non cumulabile) con l’assegno stesso di inabilità.

Si può lavorare con la pensione di reversibilità?

Lo svolgimento di un’attività lavorativa è parzialmente compatibile con il beneficio della pensione di reversibilità. Infatti sono previsti vincoli reddituali con taglio dell’assegno in caso di lavoro. Nel dettaglio, la decurtazione è del:

  • 25% dell’importo della pensione di reversibilità per un reddito complessivo tra tre e quattro volte l’importo minimo dell’Inps;
  • 40% per reddito complessivo oltre le 4 volte il trattamento minimo Inps;
  • 50% per reddito superiore di cinque volte.

Chi va in pensione con opzione donna può continuare a lavorare?

La risposta è positiva e il reddito da pensione ottenuto con la misura dell’opzione donna ed eventuali redditi da lavoro sono pienamente cumulabili. La ragione risiede nel fatto che le lavoratrici che scelgono l’opzione donna, accettano la decurtazione della pensione dettata dal ricalcolo dei contributi con il metodo contributivo. Ricadendo, quindi, nel contributivo, la pensionata con opzione donna può lavorare e i redditi dell’attività lavorativa sono cumulabili al 100% come per le pensioni di vecchiaia, anzianità e anticipata.

Pensioni, con quota 100 si può lavorare?

Chi è andato in pensione o ci andrà maturando i requisiti entro il 31 dicembre 2021 è soggetto a limiti importanti sulla possibilità di continuare a lavorare. Infatti, non è ammessa la cumulabilità del reddito da pensione con un’attività lavorativa alle dipendenze o autonoma. L’unico concessione è rappresentata dalla possibilità di svolgimento di un’attività meramente occasionale per un reddito annuo lordo complessivo di 5 mila euro.

Si può lavorare dopo la pensione? È possibile chiedere il riscatto dei relativi contributi con il supplemento

Ultima situazione in merito al cumulo dei redditi di pensione e quelli da lavoro riguarda l’utilità dei contributi versati dopo la pensione. In questo caso, per i contributi aggiuntivi rispetto a quelli rientranti nel montante necessario per andare in pensione, si può richiedere all’Inps il supplemento di pensione. L’Istituto previdenziale procede con il ricalcolo dei contributi aggiuntivi dopo cinque anni dalla prima rata di pensione, andando quindi ad aggiornare e aumentare l’importo della pensione stessa.

Richiesta del supplemento di pensione

La domanda di supplemento di pensione va presentata direttamente all’Inps che procederà con il ricalcolo della prestazione previdenziale. La richiesta può essere fatta ogni cinque anni, e la prima nello stesso termine dall’uscita da lavoro. Fa eccezione il caso in cui il pensionato sia uscito da lavoro con la vecchiaia (a 67 anni di età) con richiesta anticipabile dopo due anni e successiva dopo cinque. La richiesta anticipata di due anni può essere presentata anche dopo la prima richiesta decorsi cinque anni dalla pensione.

 

Riscatto laurea agevolato: domanda contestuale alla pensione con opzione donna

Oggi andremo a scandagliare un’opzione di pensionamento su cui sapere qualcosa in più. Il riscatto laurea agevolato, cosa vuol dire e come fare la domanda contestuale per la pensione con opzione donna? A queste ed altre domande cercheremo di dare risposta.

Riscatto laurea agevolato, cosa vuol dire

Dunque, partiamo col dire subito che il riscatto della laurea agevolato permette di raggiungere la pensione riscattando gli anni di studio universitario a fini contributivi. Lo stesso discorso vale per chi voglia accedere alla Quota 100, ovvero quella misura che permette di andare in pensione anticipata con 62 anni di età e 38 di contributi.

Quindi, in pratica stiamo parlando di una sorta di indennizzo, di reintegro, per coloro che hanno speso una bella fetta del proprio tempo, nei migliori anni della propria vita, per laurearsi prima di poter accedere al lavoro, al fine di riscattare quegli anni per il proprio pensionamento.

Pensione opzione donna, di cosa si tratta

Opzione Donna non è altro che una modalità di pensionamento anticipato che la Legge di Bilancio 2021 ha esteso alle lavoratrici che abbiano maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2020, indipendentemente dal momento della decorrenza della pensione, la quale dovrà comunque avvenire successivamente a tale data.

In sostanza definitiva, dunque, l’opzione donna è un meccanismo che consente alle lavoratrici (ovviamente di sesso femminile) di anticipare la propria uscita dal lavoro, andando in pensione già al compimento di 58 o 59 anni di età, a seconda che si tratti di lavoratrici subordinate o autonome.

Riscatto laurea e domanda contestuale alla pensione, come funziona

Partiamo subito col dire che il riscatto agevolato della laurea,  qualora venisse richiesto prima della pensione, impedirebbe l’accesso alla pensione con opzione donna.

Questo è il motivo per cui chi vuole accedere alla pensione con il regime sperimentale col riscatto laurea dovrà richiedere il riscatto contestualmente alla domanda di pensione.

Dunque, il riscatto agevolato della laurea, laddove gli anni di studio si collochino anteriormente al 1996, va a richiedere la scelta dell’opzione contributiva della pensione, che per molti è una scelta penalizzante ma non per chi utilizza opzione donna datosi che anche in questo caso l’assegno è calcolato interamente con il sistema contributivo.

Il tutto, però, presenta una importante differenza: ovvero che l’opzione contributiva va a spostare fisicamente tutti i contributi presenti nel sistema contributivo. Mentre, l’opzione donna, non è considerata una pensione contributiva visto che, pur prevedendo un ricalcolo contributivo, lascia i contributi nel sistema misto.

Tutto ciò permette alle lavoratrici che scelgono il regime sperimentale di ricevere l’integrazione al trattamento minimo, non riconosciuta, invece, a chi ha una pensione contributiva.

Ciò che dunque è determinante per chi ha necessità di raggiungere i 35 anni di contributi necessari all’accesso al regime sperimentale, è richiedere o il riscatto laurea agevolato contestualmente alla domanda di pensione opzione donna. Nell’ eventualità di caso contrario non sarà più possibile, poi, veder accolta la propria domanda di pensione.

Dunque, questo è quanto vi fosse di più necessario ed indispensabile da sapere e approfondire in merito alla questione del riscatto laurea agevolato e conseguente domanda contestuale di pensionamento per l’opzione donna.

Pensioni anticipate: ecco quali sono gli strumenti per lasciare il lavoro prima

Quali sono gli strumenti di pensione anticipata per andare via prima dal lavoro? È importante identificare i meccanismi previdenziali conoscendo, innanzitutto, l’età prevista per la pensione di vecchiaia ordinaria, attualmente fissata a 60 anni di età unitamente ad almeno 20 anni di contributi. Gli strumenti di pensione anticipata consentono di abbreviare l’uscita lavorativa rispetto, proprio, a questo limite di età. Nel dettaglio, rientrano tra gli strumenti di anticipo previdenziali la quota 100, l’opzione donna, l’anticipo pensionistico (Ape) sociale, la quota 41 dei lavoratori precoci e alcuni altri.

Pensione anticipata dei soli contributi: quanti ne servono per uscire?

La prima formula di uscita prima è la pensione anticipata dei soli contributi. Si esce a qualsiasi età purché i lavoratori maturino almeno 42 anni e 10 mesi di contributi. Per le donne è previsto lo sconto di un anno sui contributi (36 anni e 10 mesi). I requisiti contributivi resteranno in vigore senza variazione fino al 2026.

Pensione anticipata con quota 100, ma la scadenza dei requisiti è per il 31 dicembre 2021

Una delle ultime in ordine di tempo tra le misure di pensione anticipata e, molto probabilmente destinata a durare fino al 31 dicembre, è la quota 100. Ciò significa che i requisiti richiesti – l’età minima di 62 anni e almeno 38 anni di contributi versati – devono essere maturati entro la fine di quest’anno. Chi rientra nelle possibilità di uscita con la quota 100 può decidere di andare in pensione anche successivamente: con il diritto cristallizzato nel 2021, è possibile posticipare l’uscita effettiva da lavoro anche nel corso del 2022 o successivamente.

Con l’anticipo pensionistico Ape sociale uscita dai 63 anni

Più articolata, e con maggiori requisiti richiesti, è la pensione con Anticipo pensionistico (Ape) sociale. Introdotta nel 2017 insieme all’Ape volontaria, la versione sociale dell’anticipo permette di andare in pensione a partire dai 63 anni di età unitamente a 30 o a 36 anni di contributi, a seconda della situazione socio-economica nella quale rientra il richiedente. La misura riguarda tanto i lavoratori dipendenti (sia statali che del settore privato) che i lavoratori autonomi, a esclusione dei professionisti iscritti alle Casse previdenziali.

Requisiti pensione Ape sociale: uscita dei disoccupati

La pensione Ape sociale è stata introdotta per andare incontro a  determinate situazioni di disagio socio-economico dei lavoratori. La prima categoria tutelata è quella dei disoccupati a seguito della cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento. Sono necessari almeno 30 anni di contributi previdenziali versati. Con lo stesso numero di anni di contributi escono i caregiver, ovvero i contribuenti che assistano, da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente convivente entro il primo grave che si trovi in situazione di handicap grave o di non autosufficienza.

Ape sociale, la pensione per gli invalidi e per addetti ad attività gravose

Sono richiesti 30 anni di contributi anche agli invalidi con una percentuale di almeno il 74% per andare in pensione con l’Ape sociale. Il requisito contributivo sale a 36 anni per gli addetti ad attività gravose o a lavori usuranti. In particolare, sono 15 le categorie riconosciute come gravose. Il meccanismo, inoltre, richiede lo svolgimento del lavoro gravoso per almeno 6 degli ultimi 7 anni o per 7 degli ultimi 10.

Pensione anticipata per i lavoratori precoci: la quota 41

Anche per tutto il 2021, in attesa della legge di Bilancio 2022, è stata confermata la pensione anticipata dei lavoratori precoci con la quota 41. Il meccanismo previdenziale è stato introdotto nel 2017 a favore dei lavoratori che abbiano iniziato a lavorare in età adolescenziale. Infatti, nei 41 anni di contributi deve rientrare un anno di contributi versato entro i 19 anni di età. I lavoratori che possono ricorrere alla quota 41 sono i dipendenti del settore privato, gli iscritti alla Gestione separata Inps e gli aderenti alle forme sostitutive ed esclusive dell’Assicurazione generale obbligatoria (Ago).

Pensione precoci: i requisiti comuni con l’Ape sociale

Oltre ai 41 anni di contributi, chi presenta domanda di uscita pensionistica (a qualsiasi età) con la quota 41 deve rientrare nelle stesse situazioni di disagio economico e sociale dell’Ape sociale. Pertanto, è da dimostrare la situazione di disoccupazione, di assistenza a persona non autosufficiente, di riduzione della capacità lavorativa almeno del 74% o di svolgimento di attività usuranti o gravose, con lo stesso numero di anni continuativi di lavoro prima della pensione previsti per l’Ape sociale.

Pensione anticipata per le lavoratrici: opzione donna

Fino al 31 dicembre 2021, in attesa della proroga, sarà in vigore la pensione anticipata con opzione donna. La misura consente alle lavoratrici di 58 anni di età (59 per le autonome) di anticipare la pensione con 35 anni di contributi versati. La condizione essenziale per le donne che presentino richiesta per l’opzione donna è accettare il ricalcolo dell’assegno di pensione interamente con il meccanismo contributivo. Il ricalcolo comporta un taglio del futuro assegno di pensione tra il 20 e il 30%, per sempre.

Pensioni anticipate, con il contratto di espansione uscita dai 62 anni

Introdotto nel 2019, il contratto di espansione consente di anticipare la pensione di vecchiaia a 62 anni rispetto ai 67 anni previsti. Oppure, se l’obiettivo è anticipare rispetto alla pensione anticipata dei soli contributi, lo sconto di 5 anni è sui versamenti. Infatti, gli uomini escono con 37 anni e 10 mesi di contributi, le donne con 36 anni e 10 mesi. Ma per questa formula è necessario che il datore di lavoro trovi l’accordo con i sindacati da siglare per ricorrere all’esodo volontario dei dipendenti.

Chi può accedere al contratto di espansione?

L’anticipo di 5 anni sulla pensione con il contratto di espansione è consentito ai lavoratori che lavorino in realtà aziendali con almeno 100 unità lavorative. Il requisito dimensionale è stato abbassato nel corso del 2021 dal decreto “Sostegni bis”: la legge di Bilancio 2021, infatti, aveva abbassato il tetto a 250 addetti. Per ottenere maggiori benefici, anche per l’indennità Naspi che accompagna i lavoratori alla pensione (fino a 3 anni), le aziende devono procedere al ricambio generazionale e alla ristrutturazione del personale mediante nuove assunzioni. La misura sicuramente verrà confermata anche nel prossimo anno con la legge di Bilancio 2022.

Con l’isopensione si va in pensione in anticipo fino a 7 anni

Si può beneficiare dell’uscita anticipata fino a 7 anni con l’isopensione. Il meccanismo, già in vigore con la riforma delle pensioni di Elsa Fornero, consente ai lavoratori del settore privato impiegati in imprese di almeno 15 dipendenti, di usufruire di uno scivolo già dai 60 anni di età con oneri interamente a carico dell’azienda. Il periodo di prepensionamento, dunque, dura fino a 7 anni, in attesa della pensione di vecchiaia. È proprio durante questi anni che il datore di lavoro si impegna a versare l’indennità al lavoratore. Tale indennità corrisponde alla pensione maturata fino al momento dell’uscita con l’esodo. I sette anni di anticipo saranno in vigore fino al 2024, poi si tornerà a un limite di anticipo di 4 anni.

Opzione donna 2022: si potrà andare in pensione a 59 anni

Opzione donna 2022 è prorogata anche il per 2022. Pertanto si potrà  andare in pensione con il compimento di 59 anni di età.

Opzione donna 2022: andare in pensione con meno penalizzazioni

La riforma delle pensioni è in continua evoluzione. Una cosa certa è che Quota 100 verrà definitivamente abolita. Mentre l’opzione donna è stata rinnovata per il 2022. Rispetto alla sua introduzione che prevedeva il pensionamento a 58 anni, si andrà in pensione a 59 anni. Ma di controprova ci saranno meno penalizzazioni in merito al trattamento pensionistico. Quindi l’Opzione Donna è un vantaggio per tutte le lavoratrici, perché dà la possibilità di ritirarsi dal lavoro all’età di 59 anni se dipendenti e 60 anni se autonome, avendo all’attivo 35 anni di contributi versati. Si pensa così di facilitare l’uscita del mondo del lavoro di queste lavoratrici. Ma non rientrano in questa opzione le lavoratrici iscritte alla  gestione separata INPS.

Opzione donna 2022: cos’è?

La cosiddetta “Opzione donna” è un trattamento pensionistico calcolato secondo le regole di calcolo del sistema contributivo ed erogato, a domanda, in favore delle lavoratrici dipendenti e autonome che hanno maturato i requisiti previsti dalla legge. Pertanto i beneficiari di questa opzione sono le donne lavoratrici iscritte all’assicurazione generale obbligatoria o a fondi sostitutivi o esclusivi. L’assegno previdenziale è calcolato attraverso il principio contributivo. Si ricorda infine che l’opzione è stata introdotta dalla Legge Maroni 243/04, ripresa dalla Riforma Pensioni Fornero 2011 e prorogata dalla Legge di Bilancio.

Come calcolare la somma garantita?

Per calcolare la somma della pensione bisogna tenere conto dei contributi versati a partire dal 1 gennaio 1996. Tuttavia non sono ammessi tutti i contributi. Ad esempio non valgono i contributi percepiti per maternità, malattia, aspettativa e disoccupazione. Sono invece ammessi i contributi:

  • obbligatori;
  • da riscatto;
  • volontari;
  • a ricongiunzione.

Come presentare la domanda?

Non si può ancora presentare la domanda per accedere all’opzione donna, perché l’ultima finestra prevista si è chiusa. Ma non appena sarà nuovamente possibile, la domanda si presenta all’INPS attraverso il servizio dedicato. In alternativa si può fare domanda tramite Contact center al numero 803 164. Ma anche chiedendo ad enti di patronato e intermediari dell’Istituto attraverso i servizi telematici.

Pensione 2022: senza una riforma quali modi restano per accedere?

Quali saranno le alternative per andare in pensione nel 2022 in assenza di una riforma e nell’anno della fine della sperimentazione della quota 100? Ecco dunque la descrizione di quelli che sono, ad oggi, le possibilità di uscita del prossimo anno. Oltre alla pensione di vecchiaia, i lavoratori prossimi alla pensione potranno scegliere tra le alternative della pensione anticipata, Ape sociale, quota 41 dei lavoratori precoci, isopensione, opzione donna e contratto di espansione.

Pensione di vecchiaia, i requisiti di uscita del 2022

La classica formula di pensione, quella di vecchiaia, anche nel 2022 manterrà inalterati i requisiti di uscita. Per andare in pensione anche l’anno prossimo servirà l’età anagrafica di 67 anni unitamente ad almeno 20 anni di contributi, sommati anche presso più gestioni previdenziali, Inps e Casse professionali. Quest’ultimo passaggio è possibile grazie a una delle misure adottate negli ultimi anni, ovvero il cumulo contributivo. La pensione di vecchiaia assicura una prestazione della quale beneficiano tutti i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), agli aderenti alla Gestione separata Inps e ai lavoratori aderenti ai fondi pensione esclusivi e sostitutivi dell’Assicurazione generale obbligatoria.

Pensione anticipata, anche nel prossimo anno requisiti contributivi invariati

Per chi ha un alto numero di anni di contributi avendo iniziato a lavorare in giovane età, è possibile sperare nella pensione anticipata. Anche per il 2022 i requisiti contributivi rimarranno invariati (e lo saranno fino al 2026). Per l’uscita anticipata occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Non vi è differenza tra lavoratori dipendenti del settore privato o pubblico e nemmeno per gli autonomi.

Quota 100 nel 2022 solo per chi matura il diritto di pensione entro il 31 dicembre 2021

La quota 100 terminerà la sperimentazione triennale al 31 dicembre 2021. Tuttavia,  i contribuenti che abbiano maturato o matureranno i requisiti entro la fine di quest’anno potranno scegliere di uscire nel 2022 o anche negli anni successivi. Occorre, dunque, maturare l’età minima di 62 anni entro il 31 dicembre prossimo unitamente ad almeno 38 anni di contributi. La possibilità di differire l’uscita anche nel 2022 dipende dal fatto che il diritto al pensionamento anticipato con quota 100 rimane “cristallizzato”.

Quota 100, diritto cristallizzato, ma valgono le finestre mobili di 3 o 6 mesi

Conta dunque il momento in cui si maturano i requisiti della misura. Invariato rimane, invece, il meccanismo delle finestre mobili. L’introduzione della misura nel 2019 ha previsto una finestra di 3 mesi per i lavoratori del settore privato e di 6 mesi per quelli del pubblico. Ciò significa che dal momento in cui si può inoltrare la domanda di pensione a quello in cui effettivamente si inizia a ricevere l’assegno mensile passano 3 o 6 mesi.

Ape sociale, uscita per la pensione dai 63 anni ma attenzione ai requisiti richiesti

Verrà confermato ancora l’anticipo pensionistico Ape sociale, la misura di pensione anticipata che consente ai lavoratori di uscire a partire dai 63 anni. Tuttavia, è necessario prestare attenzione ai requisiti richiesti. La misura, fin dall’inizio, è stata ideata per andare incontro a determinate categorie di lavoratori in condizioni disagiate dal punto di vista economico e sociale. E, pertanto, è necessario rientrare tra i disoccupati, tra gli inabili con almeno il 74% per invalidità o tra i caregivers, ovvero tra coloro che si occupano dell’assistenza di un familiare in condizione di disabilità. Gli anni di contributi minimi sono 30 o 36 a seconda delle condizioni individuali.

Pensioni, l’Ape sociale potrebbe essere potenziata

Proprio la pensione Ape sociale è una delle misure deputate a essere potenziate per il 2022. In particolare, l’uscita a 63 anni per le persone in condizioni lavorative di disagio potrebbe riguardare più categorie rispetto a quelle attuali dei lavoratori impiegati in attività usuranti. Attualmente, le categorie previste sono in numero di 15 e vi rientrano, a titolo di esempio, gli infermieri per la sanità e le maestre e gli educatori per la scuola. Tuttavia, una delle due Commissioni istituite dall’allora ministro del lavoro Nunzia Catalfo, potrebbe procedere a includere nuove categorie lavorative tra gli usuranti, mansioni precedentemente escluse.

Precoci con quota 41, la pensione è una corsa a ostacoli tra i requisiti

Non è una ‘quota 41 per tutti‘ la misura di pensione anticipata prevista dalla normativa attuale per i precoci. Si tratta, piuttosto, di una misura che implica il possesso di specifici requisiti per lasciare prima il lavoro. Innanzitutto occorrono 41 anni di contributi previdenziali, dei quali almeno uno versato prima dei 19 anni. Nel raggiungimento dei requisiti sono validi anche i periodi di lavoro all’estero riscattati e i periodi riscattati per omissioni contributive.

Pensioni precoci, come si calcolano i contributi per la quota 41?

Inoltre, i 41 anni di contributi possono essere stati versati anche in maniera non continuativa, ma è necessario (e anche matematico) che i lavoratori precoci debbano avere l’anzianità contributiva anche prima del 1996. Infine, per andare in pensione è necessario rientrare in una delle categorie tutelate dall’Ape sociale (disoccupazione, caregivers, disabilità). La maturazione di tutti i requisiti permette al contribuente di uscire indipendentemente dall’età anagrafica.

Con l’isopensione si può andare in pensione fino a 7 anni prima

Tra le possibilità di andare in pensione prima dei 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia c’è l’isopensione. Si tratta di una formula di prepensionamento che può essere attivata dai datori di lavoro, con costi unicamente a carico dell’azienda. Il risparmio in anni di uscita da lavoro arriva fino a 7 per gli esodi collocati entro la fine di novembre del 2023 (dal 2024 l’isopensione si potrà fare per un massimo di 4 anni di anticipo). Dunque con l’isopensione si può uscire anche a 60 anni, ma è necessario l’accordo sindacale per favorire l’uscita dei lavoratori aziendali.

Come viene calcolato l’assegno di pensione con l’isopensione?

Con l’isopensione, l’azienda riconosce al lavoratore in uscita un assegno dello stesso importo della pensione maturata fino al momento dell’uscita. Inoltre, il datore di lavoro assicura anche una contribuzione previdenziale piena calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi due anni di lavoro. Nel periodo di isopensione, quindi fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia, è possibile svolgere qualsiasi lavoro da dipendente o da autonomo. Cosa che non è possibile nel periodo di anticipo con la quota 100: è possibile cumulare la pensione con redditi da lavoro purché siano occasionali, non alle dipendenze e dal valore lordo massimo di 5.000 euro annuali.

Pensioni con opzione donna, uscita dai 58 anni anche nel 2022

La misura di pensione anticipata per le lavoratrici nota come “Opzione donna” è stata confermata per tutto il 2021 dalla scorsa legge di Bilancio. Per il 2022 la misura potrebbe registrare una ulteriore proroga. Anzi, è possibile che l’Opzione donna diventi proprio strutturale, almeno da quanto trapela sulle intenzioni del governo Draghi. In ogni modo, i requisiti richiesti sono l’età di 58 anni per le lavoratrici alle dipendenze e 59 per le autonome. Inoltre, sono necessari 35 anni di contributi. Tuttavia, in tema di futuro assegno mensile, è necessario che le lavoratrici accettino il ricalcolo al 100% della pensione con il meccanismo contributivo. Ciò comporta un taglio che, mediamente, si attesta tra il 20 e il 30% e dura per tutta la vita da pensionate.

Pensione anticipata, le possibilità del contratto di espansione

Infine, tra le misure che consentiranno ai lavoratori di andare in pensione anticipata nel 2022 ci sarà anche il contratto di espansione. La formula prevede il prepensionamento con 5 anni di anticipo, sia che si punti a uscire prima rispetto alla pensione di vecchiaia (62 anni anziché 67 anni), sia che l’obiettivo diventi quello di anticipare cinque anni di contributi rispetto alla pensione anticipata. Il meccanismo, dunque, permettere ai lavoratori di andare in pensione con 37 anni e 10 mesi di contributi. Rimane in vigore l’anno di sconto per le donne (36 anni e 10 mesi di contributi).

Contratto di espansione, cosa serve per andare in pensione 5 anni prima?

Il contratto di espansione, già in vigore dal 2019, ha visto nel tempo modificare i requisiti di uscita, soprattutto quelli riguardanti l’azienda datrice di lavoro. Inizialmente potevano accedere alla misura le aziende con almeno 1.000 unità lavorative. Con la legge di Bilancio 2021, il requisito dimensionale minimo è stato abbassato a 250 unità lavorativa, ulteriormente ridotto a 100 unità con il decreto Sostegni bis di Mario Draghi. Serve l’adesione volontaria del lavoratore, l’accordo sindacale e la presentazione della lista dei lavoratori in uscita con la misura all’Inps.