Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Diversificare per proteggere il patrimonio

Dopo aver descritto uno scenario da economia del baratto –  eccessivamente catastrofico? – parlando dell’oro fisico, l’unico investimento alternativo che offre la possibilità di acquistarne e venderne quote anche molto piccole, anche un grammo (oggi pari a 40 euro), adattandosi quindi a tutte le dimensioni di patrimonio, ora prendiamo in considerazione una regola aurea degli investimenti, la diversificazione.

Con questo termine si indica la suddivisone del capitale su più tipi di investimento. Tale strategia si confronta con la dimensione complessiva del patrimonio; infatti, se, ad esempio, diversificare significa investire non più del 5% su ogni bene o prodotto, qualora il patrimonio complessivo (compresi immobili, ma esclusa l’abitazione principale, polizze assicurative, terreni, oggetti d’arte, partecipazioni societarie, brevetti…) fosse di 1 milione di euro, il 5% corrisponderebbe a 50mila euro. Quindi si tratterebbe di investire in ogni bene o prodotto 50mila euro al massimo.

Se trovate un immobile che sia in vendita a questa cifra, fatemelo sapere! Forse un box auto o un rudere in campagna, ma non di certo un appartamento di città! Ho reso l’idea?

Diversificare correttamente, in base alle risorse disponibili, è più difficile di quanto si pensi o di quanto vogliano farvi credere i venditori di prodotti o beni. In realtà non si possono fare generalizzazioni.

Bisogna prima capire quali sono i progetti di vita che portano la persona ad accantonare del denaro e poi stabilire come e quando raggiungerli. Non è così scontato che questi progetti di vita siano chiari al soggetto: la maggior parte delle volte vanno scovati nei meandri del cuore e della mente, con l’aiuto di un bravo life planner.

La diversificazione quindi è un modo per prevedere dei percorsi alternativi al raggiungimento delle mete prefissate, ma se si diversifica eccessivamente, il rischio è di non riuscire mai ad arrivare in meta, per usare un’espressione tipica di uno sport a me molto caro, il rugby. Se infatti ogni diversificazione conduce a risultati opposti, i benefici di un risultato positivo saranno annullati da un risultato negativo. Ci vengono in aiuto, come spesso avviene, i nostri antenati latini che dicevano “cum grano salis”, cioè diversificare con misura e buon senso. Magari facendovi aiutare da chi non deve vendervi nulla, se non i suoi consigli.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Aurea Cash, il franchising dell’oro

I compro oro crescono come funghi, perchè sono sempre di più le persone che, a causa della crisi, sono costretti a rinunciare a beni di famiglia per recuperare un po’ di liquidità.
Il dubbio sull’onesta di coloro che gestiscono questi negozi, però, spesso rimane.

Per questo, i franchising del settore stanno acquisendo un incremento dal punto di vista della clientela, perché considerati di gran lunga più attendibili.
Un esempio è il Gruppo Aurea Cash, nato nel 2007 ed ora presente su tutto il territorio nazionale.

Chi volesse, dunque, intraprendere una nuova avventura ed entrare a far parte del franchising Aurea Cash, potrebbe approfittare di questo momento, particolarmente proficuo e in fermento.
Il gruppo si basa su una politica aziendale orientata verso il cliente, al quale vengono offerti prodotti e servizi di alto livello. Ma anche i nuovi franchisee sono tutelati ed appoggiati continuamente da un team di supporto di esperienza.

Tra i requisiti che gli affiliti devono vere, c’è sicuramente l’empatia, poiché la fascia di clienti che si rivolge ad Aurea Cash è molto ampia e va dai 18 ai 70 anni.

Il programma di affiliazione commerciale Aurea Cash propone la formula compro/vendo oro in franchising, un’attività concreta, tra le più antiche del mondo, con interessanti prospettive di guadagno.
L’approccio alla valutazione della collaborazione tra Aurea Cash e il potenziale affiliato avviene attraverso uno studio di prefattibilità basata su un’approfondita analisi del territorio.

All’affiliato Aurea Cash, il Gruppo propone:

  • Zona di esclusiva
  • Nessuna fee d’ingresso
  • Nessuna royalty per il primo anno di attività al fine di facilitare lo start up del nuovo progetto
  • Formazione e assistenza per tutta la durata del contratto
  • Supporto nella progettazione e realizzazione del layout del negozio
  • Comunicazione e pubblicità
  • Ritiro del metallo presso il punto vendita e pagamenti immediati
  • Costi di gestione poco elevati

Aurea Cash mette a disposizione quattro proposte (Diamante, Platino, Oro, Argento), ognuna diversa in base alle esigenze dell’affiliato e ai servizi di cui lo stesso vuole usufruire. Le proposte partono da un minimo di 4.500 € fino ad un massimo di 10.000 €.

Per ricevere ulteriori informazioni, collegarsi al sito Aurea Cash.

Le alternative agli investimenti alternativi

Una volta si chiamavano beni rifugio. A me un rifugio fa venire in mente un pericolo da cui fuggire. Quale pericolo, nel caso del patrimonio? Una delle opzioni possibili nel prossimo futuro è il ritorno ad un’era di baratto, in cui la moneta cartacea non avrebbe più alcun valore.

Casi limite nella storia recente si sono già verificati: in Germania, durante la Repubblica di Weimar, la carta moneta valeva talmente poco che si pesava, invece di contarla. Per comprare qualcosa, era necessaria una carriolata di banconote, letteralmente. In un’ipotesi di questo genere, assumono valore solo poche cose, che in parte ho già trattato in un precedente articolo: oro, gioielli, auto d’epoca, oggetti d’arte, immobili.

Ce ne sono anche altri, tuttavia, ‘alternativi’, e vorrei trattarli brevemente uno ad uno, in questo e nei prossimi contributi. Inizio a parlarvi dell’investimento alternativo per eccellenza: l’oro.

Quali caratteristiche dovrebbe avere un bene rifugio? Deve essere anche facilmente vendibile, e anche facilmente divisibile in più lotti, senza che ne venga compromesso il valore. Non deve creare problemi di stoccaggio. Deve avere un valore riconosciuto a livello mondiale, quindi una quotazione ufficiale internazionale. Non deve essere soggetto a mode, gusti, tendenze. Deve mantenere il suo valore nel tempo, legato all’inflazione, pur potendo subire oscillazioni.

A me viene in mente un solo bene rifugio con tutte queste caratteristiche: l’oro fisico appunto. Preciso fisico, perché ora si possono acquistare etf e certificati sull’oro, che però hanno un difetto: sono dei pezzi di carta, che potrebbero diventare carta straccia in caso di catastrofe o crisi mondiale.

Inoltre l’oro, a differenza della altre materie prime, è anche considerabile una merce di scambio e una moneta (gli Stati detengono riserve aurifere come prova della loro solidità patrimoniale).

La richiesta di oro da parte degli Stati, soprattutto quelli emergenti, è in incremento, e l’oro non si consuma, quindi la sua scarsità deriva solo dal possesso di alcuni. A maggiori quantità che vengono trattenute e non commercializzate, corrispondono minori quantità in commercio, con un conseguente aumento del prezzo.

Per oro fisico intendo precisamente il lingotto o la moneta (non antica), perché questi hanno bassissimi costi di lavorazione e, in caso di rivendita, si recupera quasi per intero il loro valore. La stessa cosa non accade per i gioielli o gli orologi in oro, perché buona parte del loro prezzo di acquisto è costituito da costi di manifattura, che non vengono certamente pagati quando li si rivende (avete mai portato un anello ad un negozio di compro-oro? quanto ve la hanno valutato?).

Bene rifugio non significa però investimento speculativo: cioè, il prezzo può aumentare o diminuire, ma il bene non si vende per realizzare una plusvalenza (a meno che non sia  così elevate, come nel caso dell’oro, da consigliare una riduzione dell’esposizione complessiva). Inoltre, l’acquisto di oro come bene rifugio deve essere proporzionato al patrimonio complessivo e oggetto di opportune valutazioni sulle quantità necessarie allo scopo, in quanto la diversificazione rimane sempre un sano principio base nelle scelte sugli investimenti.

E’ vero che il prezzo dell’oro ha subito un forte incremento negli ultimi tempi ed è in costante crescita da dieci anni, quindi potrebbe avvicinarsi una bolla speculativa: però ha un suo valore intrinseco, che non dipende da mode o culture, e questo valore è collegato al costo della vita.

Un legionario romano comprava la sua divisa con un’oncia d’oro, più o meno quello che serve oggi per comprarsi un bel vestito.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Beni rifugio o gabbie?

Lo dice la parola: beni su cui rifugiarsi quando succede il peggio. E se invece non sono un rifugio ma solo un miraggio? Disastro!

Un bene rifugio deve proteggere da un evento infausto: la perdita di potere d’acquisto del denaro liquido, per qualunque causa si verifichi, prevedibile (inflazione) o imprevedibile.

Quindi la domanda da porsi è se tutti i beni o gli investimenti hanno questa caratteristica e come possano proteggere il capitale nel tempo.

L’elenco è lungo, farò solo qualche esempio nello schema seguente, ipotizzando di avere investito 100mila euro in uno solo di questi beni:

Bene

Protezione inflazione

Protezione catastrofe

Problemi rivendita

Vendita parziale

Problemi stoccaggio

Casa no no secondo il mercato locale No (molti anziani ora vendono l’usufrutto) no
Auto no no secondo il mercato no si
Arte si si secondo il mercato si si
Oro si si prezzo definito e quotato su mercati regolamentati internazionali si no
Gioielli no si prezzo di mercato, manodopera non rivendibile si no

Alcuni beni non sono divisibili e vendibili separatamente (una casa può essere venduta solo per intero, a meno che non sia possibile frazionarla in più unità abitative, con i relativi costi; un’auto d’epoca la si può vendere solo intera), quasi tutti (tranne l’oro) non hanno un prezzo definito da un mercato regolamentato, ma il prezzo si realizza dall’incontro tra domanda e offerta.

Ci sono beni che hanno bisogno di spazio adeguato dove conservarli (auto o quadri), altri incorporano un elevato valore di manodopera all’acquisto, che non è riconosciuto quando li si vuole rivendere (gioielli, orologi, a meno che non si tratti di oggetti da collezione, rari o antichi); alcuni sono soggetti a valutazioni “modaiole” (dipinti, sculture, arte) con le eccezioni di oggetti d’arte antichi.

Da chi farsi consigliare? Sicuramente non da chi vi deve vendere l’oggetto, che lo decanterà come il miglior bene rifugio esistente.

Un perito sarà in grado di stabilire un valore teorico, magari diverso dal valore di mercato, ma non potrà dirvi se è un bene rifugio e se è in grado di mantenere il suo valore nel tempo. Un consulente patrimoniale indipendente sarà in grado di affiancarvi e di aiutarvi nella scelta più opportuna, non avendo nulla da vendervi: l’importante è che conosca la vostra situazione patrimoniale da ogni punto di vista, poiché un bene rifugio deve essere considerato parte dell’intero patrimonio e acquistato nelle adeguate proporzioni.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Euro x Oro, il compro oro in franchising

In un periodo di crisi come questo, l’oro è diventato un bene di rifugio, dal quale, se necessario, ottenere buone liquidità.
Per questo motivo, i negozi di Compro oro stanno proliferando, approfittando di questa situazione.

Forse non tutti sanno che esiste anche un franchising dedicato al settore, che si chiama €uro x Oro.
Si tratta di una società che opera da anni nel settore del commercio all’ingrosso di metalli preziosi usati, che vengono destinati alla fusione e al recupero degli stessi.

Per coloro che volessero intraprendere questo tipo di attività e diventare franchisee di €uro x Oro è bene sapere che si tratta di un’azienda leader nel settore grazie all’adozione di strategie commerciali vincenti e all’esperienza nella gestione diretta.
€uro x Oro è in grado di acquistare qualsiasi quantitativo di metallo prezioso, ritira gioielli in oro, argento e platino, anche se rottamati, pagandoli direttamente in contanti.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi su EuroxOro.it.

Contro la crisi…compro oro

di Vera MORETTI

Con la crisi economica, possedere oggetti in oro significa poter fare affidamento su un bene di rifugio in casi di estrema difficoltà.
Per questo, in questo ultimo periodo, è sempre più frequente vedere, dalle vetrine di negozi e gioiellerie, la scritta “Compro oro”. E non si tratta di spazi lussuosi, ma anche di bugigattoli che, a dispetto dell’apparenza, stanno diventando vere e proprie realtà imprenditoriali.

Lo rende noto Nunzio Ragno, presidente del Comitato tecnico-scientifico dell’associazione nazionale Tutela i compro oro.
Siamo passati da un rapporto di un esercente ogni 13 mila abitanti, due anni fa, all’attuale rapporto mediamente calcolato in uno a 6-7 mila. Si tratta di un fenomeno in ascesa netta, tant’è che le Questure pullulano di richieste di licenze nuove“.

Si tratta, comunque, di un exploit destinato a finire, prima o poi, non tanto per la scarsità della materia prima, ma perché, dopo questo momento di paura e sfiducia nel futuro, tanti preferiscono conservare i propri averi e far fronte alle avversità in altro modo.

Nonostante ciò, comunque, ora il settore è ancora in ascesa, anche se non equamente distribuita sul territorio nazionale.
Spiega Ragno: “Nelle regioni del Nord, come Piemonte e Trentino, il fenomeno è minore perché è minore la detenzione di metallo, così come l’attitudine alla vendita. Le regioni più ‘aggredite’ dal fenomeno, invece, sono Lazio e Campania; aggredite anche a livello speculativo da parte dei privati che cercano di vendere per ricavare di più, a fronte di un minor guadagno degli esercenti. Questo proprio perché ci sono tantissimi ‘compro oro’. Il gap si spiega col fatto che, in sostanza, le realtà economiche sono differenti“.

Ma chi si rivolge ai “compro oro”? Non solo coloro che si trovano in vera difficoltà, ma anche coloro che, in possesso di gioielli obsoleti, preferiscono venderli e trasformarli in moneta corrente per poter fare acquisti più “alla moda”.

Ciò che preoccupa l’associazione presieduta da Nunzio Ragno è la mancanza di regole. A questo proposito, “l’associazione si sta muovendo perché al momento gli operatori non sono investiti da norme chiare, precise e condivise. Inoltre, sta passando il concetto che i ‘compro oro’ sono tutti ricettatori, ma non è vero, e deve essere colpito solo chi va fuori dai ranghi. Non è giusto sparare nel mucchio“.

Orafi penalizzati dalla scomparsa dell’ICE

di Vera MORETTI

Gli studi di settore permettono di capire l’andamento dell’economia italiana in ogni ambito commerciale ma, come proposto da Confindustria FederOrafi, per questo particolare settore occorrerebbe distinguere tra commercio al dettaglio, che comprende 22.000 negozi di vendita di oreficeria/gioielleria, e il comparto produttivo, con oltre 10.000 imprese e 50.000 dipendenti che vanta il sesto saldo commerciale attivo con l’estero.

Licia Mattioli, presidente di Confindustria FederOrafi, ha presentato, a questo proposito, un testo nel quale, oltre a presentare tale richiesta, viene fatto un bilancio dell’andamento produttivo.

La crisi si è fatta sentire, causando, tra il 2005 e il 2010, un abbassamento del quantitativo di oro lavorato del 58%. Se, infatti, nel 2001, si trasformavano in gioielli quasi 500 tonnellate di oro, nel 2010 le tonnellate erano scese a 116. Conseguenza di ciò, è stata la riduzione non solo della produzione, ma anche di addetti, tanto che molti sono statti mandati in cassa integrazione, e delle imprese, alcune delle quali hanno subito pensatissime perdite.

Considerando che da sette mesi orami in Italia non esiste più l’ICE, che aveva come compito principale quello di aiutare le imprese, soprattutto PMI, nell’internazionalizzazione, il rischio di rimanere indietro rispetto gli altri Paesi è concreto. A questo, poi, si aggiunge l’aumento dei prezzi delle materie prime, che negli ultimi due anni ha visto l’oro aumentare del 60%, l’argento del 142% e il platino del 41%.

Dice la Mattioli: “Le imprese non stanno a guardare ma stanno reagendo per rilanciarsi sul mercato interno e su quelli internazionali (l’Italia esporta il 70%), investendo in nuovi prodotti, in innovazione tecnologica, in ricerca e sviluppo. Per evitare un’indiscriminata, dannosa e generalizzata “caccia alle streghe” bisogna quindi leggere bene i numeri. L’evasione va combattuta e l’Agenzia delle Entrate ha i mezzi e le competenze per affrontarla all’interno però di un contesto di regole fiscali chiare, certe, non vessatorie e, soprattutto, armonizzate almeno a livello dei 27 Paesi dell’Unione Europea per non creare ulteriori discriminazioni per i gioielli made in Italy“.