Canone Rai in bolletta, ci siamo

Il governo tira dritto sull’ipotesi di inserire il canone Rai nella bolletta elettrica degli italiani. Una misura che, secondo l’Esecutivo, potrà essere il modo più efficace per ridurre l’evasione di una delle imposte meno pagate dagli italiani.

L’alta evasione del canone Rai è un fatto endemico, dovuto probabilmente alla difficoltà di effettuare controlli efficaci sugli evasori, ma anche alla visione che molti hanno di questa imposta come di un anacronismo inutile, nato in un periodo nel quale le condizioni del mercato televisivo erano del tutto diverse e rimasto con l’unico obiettivo di foraggiare un carrozzone nelle mani dei partiti, farcito di raccomandati e la cui offerta solo con l’introduzione del digitale terrestre ha ricominciato a sfiorare la decenza, dopo anni di scandalosa insipienza.

Le prime ipotesi che circolano sulle modalità di pagamento del canone Rai in bolletta parlano di una divisione in sei rate da 16,66 euro ciascuna, per un totale di 100 euro all’anno circa. Chi vorrà essere esentato dal pagamento del canone Rai dovrà dimostrare di non possedere televisori o connessioni internet, mentre i morosi incorreranno in una sanzione da 500 euro.

Per evitare di fare più danni di quanti, comunque, farà, il canone Rai in bolletta sarà inserito solo nelle utenze elettriche domestiche relative all’abitazione di residenza. Il che significa che pagheranno il canone Rai i proprietari delle prime case ma anche gli affittuari. Sono escluse le utenze commerciali e industriali, ma scommettiamo che, a breve, non si faranno mancare nemmeno quelle, che si ritroveranno tra i piedi il canone Rai. Come una persecuzione.

Canone Rai alle aziende. Ma vogliamo dire basta?

di Davide PASSONI

Ah! Lo aspettavamo, lo aspettavamo! Ci mancava solo questo! Uno dei tributi più odiosi di questo Paese, il canone Rai (secondo, forse, solo al bollo auto), oltre a essere inviso a milioni di privati cittadini ora diventa uno spauracchio anche per i professionisti e i lavoratori autonomi, che in questi giorni si sono visti recapitare da mamma Rai la richiesta di pagamento del canone per il possesso di apparecchi come pc e simili, persino smartphone, normalmente non finalizzati alla ricezione di programmi tv. Perché? Perché in base a un Regio Decreto del 1938 sono sottoposti a canone tutti gli “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo”. Del 1938! Quando la tv era la fantascienza e internet l’inimmaginabile.

Eppure, professionisti e autonomi, già tartassati e additati dai più come sporchi evasori, si sono trovati nella cassetta delle lettere questo avviso: “La informiamo che le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”. Importo minimo: 200,91 euro. Per uno scherzetto che, secondo Rete Imprese Italia, costerà alle imprese stesse 980 milioni. E allora sul web (twittate? Seguite l’hashtag #raimerda) monta la protesta – giusta, giustissima -, il mondo delle imprese protesta, le associazioni dei consumatori s’incazzano e persino i parlamentari dei vari schieramenti (di cui la Rai è espressione ed estrusione malata – paradosso nel paradosso…) si dicono allibiti.

Una follia. Totale. Visto che, estendendo l’interpretazione del decreto, anche tablet e smartphone finirebbero nel gorgo. Visto che i computer in rete utilizzati da aziende e professionisti a tutto servono fuorché a guardare la tv (chi ha tempo di guardare le porcherie della Rai mentre lavora a un bilancio o a un armadio a 8 ante?). Visto che, di norma, un tributo si paga per avere in cambio dallo Stato servizi all’altezza e che, diciamolo senza essere qualunquisti, il servizio che Rai eroga è in media piuttosto mediocre.

E naturalmente, come al solito, se non si paga entro i termini sono more su more, minacce, sigilli, ganasce, pignoramenti. Come al solito. Come al solito in uno Stato che pretende da noi rigore e puntualità nei pagamenti ma che, quando è lui a doverci dei soldi (perché si è sbagliato e, di fatto, ce li ha rubati), si fa tempi, leggi e procedure da se stesso, per prendersela comoda, prendere tempo e persino di evitare di pagare. Chiedete a quelle imprese, poveracce, che vantano crediti inesatti nei confronti della PA.

Uno stato presunto etico che applica due pesi e due misure nel dare e nell’avere, che sanziona (giustamente) chi sbaglia ma non ammette di sbagliare, che si nasconde dietro al potere delle leggi per spremere i cittadini-sudditi nei modi più assurdi. Anche chiedendo loro i soldi con questa porcheria del canone e dei pc, con un decreto dell’anno di grazia 1938, XV E.F. Ma vogliamo dire basta una buona volta?