Debiti Pa, segnali positivi

Il presidente del Consiglio Renzi si dimostra ottimista (lo è per natura, pare…) sulla situazione del saldo dei debiti Pa: entro il 21 settembre sarà pagato tutto, dice. Ma qual è la situazione attuale dei debiti Pa? Come va l’andamento del saldo?

In realtà non così male. Secondo Cerved Group, nei primi tre mesi del 2014 ci sono i segnali positivi sul fronte dei pagamenti dei debiti Pa, delle partecipate pubbliche e dei fornitori della Pa stessa: cala il numero delle fatture non saldate e si accorciano i tempi di pagamento.

Secondo le ultime stime di Bankitalia, nel 2013 i debiti Pa sono scesi a 75 miliardi dai 90 stimati per il 2012 (ma qualcuno parlava di 120). Un’analisi sui dati in payline dai fornitori della Pa su un numero importante di fatture ha rilevato che nel trimestre gennaio-marzo 2014 è rimasto non stato saldato il 53,9% delle fatture, pari al 60,1% in termini di importi; si tratta, rispettivamente di -5,2% e -5,5% rispetto alla quota dello stesso trimestre del 2013. Sono miglioramenti più contenuti rispetto a quelli registrate nei due trimestri precedenti: la quota di debiti Pa scaduti si era infatti ridotta di oltre il 10% su base annua.

Si registra anche un miglioramento nei pagamenti da parte delle partecipate dalla Pa: nel primo trimestre 2014 risulta non pagato il 39,1% delle fatture (36,5% come importi), con un calo rispettivamente dell’1,3% e del 4% rispetto al dato dato di gennaio-marzo 2013. Le partecipate da regioni e autonomie locali restano le peggiori pagatrici per i debiti Pa, nonostante la percentuale di scaduto scenda dal 71,8% a un sostanziale 57,7%. Cala la quota di fatture inevase nelle partecipate comunali (-5,5%), mentre aumenta sensibilmente in quelle provinciali (dal 9,1% al 30,2%).

Rispetto ai primi tre mesi del 2013, scende il numero di fatture non pagate ai fornitori (dal 36,5% al 32,3%), così come quello degli importi inevasi (dal 31,2% al 27,6%) da parte dei partner commerciali della Pa. Lo scaduto relativo ai debiti Pa si riduce sia tra i fornitori di grandi dimensioni sia tra quelli più piccoli: calo sensibile tra le microimprese (-4,6%) e tra le grandi società (-4,4%), meno marcato per le Pmi (-2%).

Per una volta, poi il miglioramento dello stato dei debiti Pa unisce l’Italia, o quasi. Cala la percentuale di scaduto tra i fornitori del Sud (dal 43,9% del primo trimestre 2013 al 23,7%), del Nord Ovest (dal 27,4% al 19%) e del Centro (-1,2%). Nell’operoso Nord Est, invece, cresce, dal 32,2% del primo trimestre 2013 al 38,7%.

Approvato il decreto sui debiti delle PA

Il decreto per il pagamento dei debiti da parte della Pubblica Amministrazione nei confronti delle imprese è stato finalmente approvato: i voti a favore alla Camera sono stati 508, e nessun contrario.
Il secondo tentativo, dunque, dopo che, passato alla Camera, il decreto era stato modificato radicalmente dal Senato, è andato a buon fine, non senza qualche preoccupazione e timore.
L’approvazione, infatti, è arrivata quasi al fotofinish, poiché la scadenza era stata fissata per il 7 giugno.

Il via libera al decreto non è stato dato a cuor leggero, poiché i deputati, dopo le modifiche apportate dal Senato, si sono lamentati di aver avuto poco tempo per studiare a fondo il testo modificato. Per questo, si sono rivolti al presidente della commissione Bilancio Francesco Boccia, per avere un maggior raccordo tra i due rami del Parlamento.

Le critiche, dunque, nei confronti dei cambiamenti che il Senato ha voluto fare al decreto, non sono certo mancate, e questo ha portato sia Boccia sia Alberto Giorgetti, sottosegretario
all’Economia, ad annunciare nuovi provvedimenti futuri del governo o del Parlamento su alcuni nodi del decreto.
In particolare Giorgetti ha annunciato nuovi interventi sulle garanzie dello Stato per i pagamenti e patto di stabilità.

Vera MORETTI

Debiti PA, la revisione del decreto in 9 punti

Abbiamo visto ieri le prime osservazioni dell’Ance sul decreto sbloccacrediti. Oggi proseguiamo nell’analisi dei rilievi posti dall’Associazione nazionale dei costruttori edili.

Per evitare la formazione di nuovi debiti degli enti locali e garantire, anche nei confronti dell’Unione Europea, che l’operazione di pagamenti dei debiti pregressi sia “una tantum”, è necessario modificare le regole del patto di stabilità interno, introducendo il principio dell’equilibrio di parte corrente e un limite all’indebitamento, in modo da evitare l’accumulo di debiti di parte capitale della PA in presenza di risorse di cassa disponibili. La necessità di evitare la formazione di nuovi debiti è sottolineata anche dalla Commissione Europea e non può essere risolta solo con l’applicazione della nuova direttiva sui pagamenti.

Rispetto al contenuto del decreto-legge, secondo l’Ance appare opportuno:
1- Incrementare l’importo dell’allentamento del Patto di stabilità interno da 5 a 11 miliardi di euro nel 2013 per consentire l’utilizzo dei fondi già disponibili;
2- Per il 2014, prevedere l’esclusione dal Patto di stabilità interno dei pagamenti in conto capitale per almeno 10 miliardi di euro (il deficit 2014 aumenterebbe di 0,7% e salirebbe al 2,5% del Pil, invece dell’1,8%);
3- Spostare la data di riferimento per il pagamento dei debiti pregressi dal 31 dicembre 2012 al 31 marzo 2013;
4- Escludere dal Patto di stabilità interno delle Regioni anche gli importi dei trasferimenti in favore degli enti locali a valere sui residui passivi di parte capitale;
5- Accelerare il pagamento di risorse già disponibili degli enti locali, ampliando il ricorso a meccanismi automatici;
6- Evitare di rimettere in discussione il meccanismo previsto per gli enti locali, che risulta quello più semplice. Semplificare i meccanismi per l’accesso al fondo per la liquidità da parte delle Regioni. Il problema, però, è soprattutto quello della mancanza di risorse per pagare tutti i debiti;
7- Prevedere specifiche misure per le società partecipate dagli enti locali che risultano escluse dall’ambito di applicazione del decreto-legge;
8- Obbligare le Pubbliche Amministrazioni a registrare tutte le fatture inevase, anche quelle successive alla data del 31 dicembre 2012, sulla piattaforma telematica di certificazione dei crediti PA;
9- Introdurre con urgenza una norma che, senza ulteriori adempimenti attuativi, preveda il rilascio del Durc regolare in presenza di una certificazione attestante la sussistenza di crediti certi, liquidi ed esigibili, vantati nei confronti della PA, di importo almeno pari agli oneri contributivi previdenziali ed assistenziali accertati e non ancora versati da parte di un medesimo soggetto.

Per chiudere, secondo l’Ance va risolto il problema delle centrali di committenza differendo l’obbligo della centrale di committenza al 31 dicembre 2013 (invece del 31 aprile 2013), in allineamento con la definizione delle gestioni associate obbligatorie delle funzioni fondamentali degli enti interessati.

Debiti PA, Ance: allentare il patto di stabilità

Dopo aver visto le proposte di modifiche al decreto sbloccacrediti varato dal governo da parte di Confprofessioni, oggi vediamo quali sono i rilievi avanzati dall’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, in un’audizione dinanzi alle commissioni speciali di Camera e Senato.

Intanto, secondo l’Ance, il decreto rappresenta un primo segnale importante e positivo, ma non è sufficiente e presenta alcune importanti criticità che rischiano di compromettere i risultati che si attendono dall’operazione di immissione di liquidità nel sistema economico e produttivo nazionale. L’associazione sottolinea che “il problema dei ritardati pagamenti in Italia – 19 miliardi di euro nel settore delle costruzioni – sta letteralmente stritolando il tessuto produttivo, mettendo a rischio la sopravvivenza delle imprese ed estendendo i suoi effetti devastanti su tutta la filiera. Le soluzioni adottate fino ad oggi non sono state in nessun modo adeguate alla drammaticità della situazione perché hanno continuato ad alimentare una finzione contabile che occulta il debito pur in presenza di crediti vantati dalle imprese“.

Secondo l’Associazione dei costruttori, l’impostazione del Piano di pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione non è accettabile poiché sussiste un problema di suddivisione degli importi delle somme da sbloccare tra spese in conto capitale e spese correnti. Secondo il decreto, solo 7,7 miliardi di euro sui 40 totali riguarderanno il pagamento di spesa in conto capitale e, inoltre, non è previsto alcun pagamento in conto capitale nel 2014: il Governo ha infatti stimato un deficit pari all’1,8% del Pil. Una dinamica che, nel settore delle costruzioni, porterà ad avere almeno 11 miliardi di euro non pagati.

Secondo l’Ance, appare necessario ribadire che circa 11 miliardi di euro sono già disponibili nelle casse di enti locali virtuosi; si tratta di risorse che vanno pagate subito e, sotto questo profilo, un allentamento del Patto di stabilità interno degli enti locali per soli 5 miliardi di euro, a fronte di 11 miliardi di euro già disponibili, non è accettabile. Sarebbe invece opportuno garantire che queste risorse si traducano in misure a favore degli investimenti produttivi, capaci di rilanciare crescita e occupazione. Sarebbe bene fare in modo che la flessibilità concessa da Bruxelles, rispetto alla disciplina di bilancio applicata finora, si traduca nel pagamento del massimo importo possibile di spese in conto capitale.

Allentare il rigore a favore soprattutto delle spese correnti rischierebbe invece di alimentare nuove spinte rigoriste da parte dell’Europa, compromettendo anche future aperture di credito all’Italia. Per questi motivi, il pagamento delle spese in conto capitale deve assumere carattere prioritario e rappresentare l’elemento centrale del piano di pagamenti dei debiti pregressi in corso di predisposizione.

L’Ance ricorda anche che il Patto di stabilità interno, così come disciplinato oggi in Italia, impedisce la trasformazione degli impegni di parte capitale in pagamenti alle imprese e provoca l’accumulo di debiti anche in presenza di risorse di cassa disponibili. Una dinamica che fa crescere l’importo dei debiti non conteggiati, consentendo solo il rispetto formale dei parametri fissati dai trattati europei.

“Debiti PA, snellire pratiche e procedure”

Abbiamo visto ieri come Confprofessioni abbia mosso importanti e sensate critiche al decreto sbloccacrediti. Oggi vediamo in che modo la Confederazione italiana delle libere professioni ha proseguito nella sua critica costruttiva al testo ministeriale.

Secondo Confprofessioni è necessario semplificare le procedure finalizzate al pagamento, alla certificazione e alla compensazione dei crediti. Per quanto riguarda la procedura relativa alla registrazione sulla piattaforma elettronica delle Amministrazioni, il timore della confederazione è che si continuino a verificare le carenze nella programmazione e gestione di tale adempimento da parte delle Amministrazioni coinvolte, in particolar modo quelle di modeste dimensioni strutturali ed organizzative. Queste carenze sono state riscontrate negli ultimi mesi, da quando a fine 2012 la piattaforma è stata attivata.

Quanto alle compensazioni tra certificazioni e crediti tributari, il decreto stabilisce che i crediti possano essere compensati con le somme dovute a seguito di accertamento con adesione, acquiescenza, definizione agevolata delle sanzioni, conciliazione giudiziale, mediazione.

Questa disposizione normativa, secondo Confprofessioni, suscita non poche perplessità in ordine al corretto rapporto tra fisco e privato. Così come scritta, la norma non consentirebbe al contribuente che non ha alcuna pendenza con il fisco la possibilità di compensare i propri debiti con la pubblica amministrazione con i crediti tributari, mentre il contribuente che ha ricevuto un accertamento e definisce con il fisco le richieste può compensare. È necessario perciò includere nella compensazione tutti gli importi dovuti al fisco, rendendo compensabili non solo le somme accertate e definite a seguito di adesione o definizione agevolata ma bensì anche i debiti che emergono dalle dichiarazioni periodiche o liquidazioni periodiche e annuali di imposte.

Un’ulteriore criticità evidenziata riguarda la possibilità data agli Enti locali “di non indicare una data di pagamento nei certificati di credito” ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, facoltà che limita il ricorso agli strumenti utilizzabili dalle imprese quali la compensazione con somme iscritte a ruolo e la cessione pro soluto. Il comma 9 dell’art. 6 del Decreto in esame dispone, invece, che “entro il 30 giugno 2013 le Pubbliche Amministrazioni comunicano ai creditori l’importo e la data entro la quale provvederanno ai pagamenti”. Ci si chiede, dunque, se gli Enti locali, al pari delle Amministrazioni statali, dovranno anch’essi indicare necessariamente la data del pagamento, e in caso affermativo, se lo dovranno fare nei limiti ovviamente dell’importo complessivo di 5 milioni di euro, previsto nel primo comma dell’art. 1 per l’esclusione dei pagamenti dal vincolo di stabilità interno.

Confprofessioni rileva poi una contraddizione tra il nono comma dell’art. 6 in cui viene fatto riferimento al termine del 30 giugno 2013 per la comunicazione da parte delle Amministrazioni dell’importo e della data entro la quale provvederanno ai pagamenti dei debiti, ed il quarto comma dell’art. 7 in cui viene fatto riferimento al lasso di tempo tra il 1 giugno e il 15 settembre 2013 come termine per la comunicazione dell’elenco completo dei debiti con l’indicazione dei dati identificativi del creditore, senza però alcuna indicazione della data del pagamento, a differenza del citato comma nono dell’art. 6.

L’ultima osservazione di Confprofessioni è relativa alla mancata previsione della possibilità di rilascio automatico del Documento unico di regolarità contributiva (Durc) pur in presenza di crediti certificati ai sensi del comma 3-bis dell’art. 9 del DL 185/2008, di importo pari almeno agli oneri contributivi non pagati. Ai sensi del comma 5 dell’art. 13-bis della Legge 94/2012, che ha convertito il DL 52/2012, si è in attesa del Decreto attuativo del Ministro dell’Economia e delle Finanze che fissi le modalità attuative di tale disposizione. Senza attendere tale ultimo provvedimento, si potrebbe nell’ambito del presente decreto-legge già prevedere un meccanismo automatico di rilascio del Durc che tenga conto del credito certificato dall’Amministrazione per un importo almeno pari agli oneri contributivi non pagati. Il contribuente, quindi, dovrebbe ricevere il Durc regolare nei casi in cui i debiti contributivi siano inferiori alle proprie posizioni creditorie.

Proprio i ritardati pagamenti da parte della PA hanno contribuito ad aggravare le difficoltà delle imprese nella regolarizzazione degli adempimenti contributivi: il meccanismo compensativo proposto da Confprofessioni rappresenterebbe quindi un doveroso riequilibrio.

Debiti PA, le proposte di Confprofessioni

Una delle voci critiche nei confronti del decreto sbolccacrediti è quella di Confprofessioni, la Confederazione italiana delle libere professioni. La confederazione, però, ha anche avanzato ha presentato delle proposte di buon senso per modificare in senso migliorativo il testo del decreto; lo ha fatto davanti alle Commissioni parlamentari speciali, istituite per l’esame degli atti urgenti del Governo.

Confprofessioni accoglie con favore l’emanazione del provvedimento, “il segnale di un doveroso rispetto degli impegni sottoscritti dallo Stato con i suoi cittadini, nonché, nell’attuale fase recessiva dell’economia italiana, un utile strumento di sviluppo e ripresa“. Tuttavia, come anticipato, ritiene che il decreto “debba essere perfezionato, affinché rappresenti effettivamente una misura economica di sviluppo e crescita in grado di incrementare la produzione e l’occupazione“. Confprofessioni richiama poi l’attenzione su alcune criticità presenti nel testo che potrebbero essere superate in sede di conversione parlamentare.

Intanto, nel parere depositato in commissione, Confprofessioni spiega di aver apprezzato la tecnica normativa scelta dal Governo, che ha considerato le “obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a prestazioni professionali” nell’ambito dei debiti immediatamente solvibili da parte delle Amministrazioni dello Stato, evitando la distinzione tra imprese e professionisti nel momento in cui si esaminano i soggetti che hanno diritto al pagamento da parte degli Enti locali.

Secondo Confprofessioni, però, non è chiaro per quale ragione l’articolo 7 (certificazione dei debiti ai fini della ricognizione degli stessi), l’articolo 8 (cessione dei crediti), e l’articolo 9 (compensazione dei crediti con somme dovute in base agli istituti definitori della pretesa tributaria), non menzionino in maniera esplicita le obbligazioni relative alle prestazioni professionali ma solo richiamino le obbligazioni relative a somministrazioni, forniture e appalti. Strano, dice la confederazione, dal momento che l’articolo 5 ha ritenuto indica in modo esplicito le “obbligazioni giuridicamente perfezionate relative a prestazioni professionali“, che sono assimilate alle “obbligazioni relative a somministrazioni, forniture e appalti“.

Svista o malafede? Svista, secondo Confprofessioni,in quanto non avrebbe senso, dopo aver incluso tali obbligazioni nell’ambito di quelle oggetto di pagamento da parte della PA, escludere le stesse dalla disciplina della certificazione, cessione e compensazione, anche alla luce dell’orientamento europeo“. Ecco dunque la proposta di annullare l’ambiguità e indicando in modo esplicito quelle obbligazioni negli articoli 7, 8 e 9, evitando così interpretazioni arbitrarie del testo.

Confprofessioni ha poi una proposta concreta per superare la complessità delle procedure burocratiche necessarie ad attivare i pagamenti: coinvolgere direttamente il mondo dei professionisti, che potrebbe giocare un ruolo chiave specialmente nella gestione delle procedure di certificazione e interlocuzione tra pubbliche amministrazioni. Un coinvolgimento che troverebbe senso nel principio di sussidiarietà che informa l’ordinamento costituzionale.

A domani per le altre proposte di Confprofessioni

Debiti della PA, continua il viaggio tra le contraddizioni del decreto

di Davide PASSONI

Abbiamo passato una settimana a raccogliere notizie e testimonianze sulle mille contraddizioni che accompagnano il decreto che dovrebbe dare il via al pagamento di una prima parte dei debiti che la pubblica amministrazione vanta nei confronti delle imprese. Nel frattempo è stato persino eletto il nuovo presidente della Repubblica ma le cose, sul fronte del decreto, non sembrano migliorate. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare un’altra settimana all’approfondimento di questo argomento, tanto vitale per la sopravvivenza delle nostre imprese quanto superficialmente affrontato da chi ha approntato il decreto.

Del resto, basti pensare che tra passaggi formali centrali e locali, sono ben 36 i provvedimenti attuativi necessari a far partire la macchina che erogherà i pagamenti. Inoltre, la soglia per la compensazione tra crediti e debiti fiscali prevista dal decreto, che è passata da 516mila a 700mila euro risulta nei fatti discriminatoria per molte delle aziende che vantano crediti nei confronti dello Stato.

E vogliamo mettere i molti casi di comuni virtuosi che, paradossalmente, sono penalizzati anziché favoriti da questo decreto? Infatti, con il decreto in oggetto, lo Stato anticipa di liquidità a enti che hanno assunto impegni senza accantonare le somme necessarie a coprirli e che, ora che non hanno soldi, vengono finanziati dallo Stato tramite la Cassa Depositi e Prestiti con prestiti trentennali; intanto, però,e i comuni virtuosi che hanno già saldato i loro debiti con le imprese e vorrebbero un allentamento del patto di stabilità per mettere in cantiere nuove opere pubbliche, non lo fare e nemmeno possono accendere mutui per farlo perché i limiti imposte dalle finanziarie dell’ultimo periodo sono pressoché proibitivi per tutti”.

Come si vede, quindi, sono molti gli aspetti di criticità che ancora persistono nella attuazione del decreto che dovrebbe ridare un po’ di ossigeno alle imprese soffocate dalla crisi. Perché proprio questo è il punto: le imprese hanno bisogno di soluzioni rapide ed efficaci, non burocratiche; hanno bisogno di liquidità immediata e non di fare la fila agli sportelli, perché il tessuto produttivo italiano è ormai una tela lisa e qualunque peso le si metta sopra ha l’unica conseguenza di stracciarla. Ecco perché Infoiva si concentrerà ancora su questo argomento; per capire come dare a non stracciarla perché di tempo per ricucirla non ce n’è davvero più.

Debiti PA e Pil, qual è la relazione?

Come abbiamo visto durante l’arco di questa settimana, il decreto sbloccacrediti, partito tra grandi rulli di tamburi, proclami e squilli di trombe, mano a mano che passavano i giorni ha raccolto più fischi che applausi.

Qualcuno che, però, che ancora prova a vederne i lati positivi (che ci sono, solo che il governo è riuscito a camuffarli molto bene) c’è. Si tratta di Bankitalia, nel cui Bollettino economico riporta alcune valutazioni incoraggianti sul decreto. Secondo le analisi dell’istituto di Via Nazionale, il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese “potrebbe contribuire alla crescita del Pil nei due anni per un ammontare complessivo compreso tra cinque e sette decimi di punto percentuale“. Più o meno quello che il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha detto poco meno di un mese fa.

Secondo Bankitalia, “nel complesso l’impatto macroeconomico del pagamento dei debiti è certamente positivo“, purché non si trascuri di “monitorare regolarmente l’attuazione delle norme, così da introdurre i cambiamenti eventualmente necessari per assicurarne l’efficacia“. Salvo poi tirare il freno a mano quando dice che “le previsioni degli effetti sulla crescita del provvedimento sono molto incerte, in quanto è difficile prefigurare la rilevanza relativa delle diverse destinazioni dei fondi“.

In effetti, spiega Bankitalia, la crescita del Pil nel biennio 2013-2014 oscillerebbe tra lo 0,5 e lo 0,7% “nell’ipotesi prudenziale in cui le risorse aggiuntive destinate al finanziamento di nuovi investimenti nel biennio 2013-14 fossero il 12% del totale e che la quota residua fosse destinata in parti uguali al finanziamento del capitale circolante (ad esempio il pagamento di salari arretrati) e ad accantonamenti per finalità precauzionali“.

Ecco quindi che il pagamento in tempi brevi di una quota rilevante dei debiti, si legge ancora nel Bollettino, sarebbe positivo perché potrebbe “contenere la dinamica della mortalità di impresa, con un impatto potenzialmente rilevante sull’attività economica“. Se fosse fatto in tempi brevi, appunto. Ma per come il decreto è stato concepito, ogni cosa si può dire tranne che sia orientato alla velocità. Vedremo come uscirà dopo l’esame del Parlamento.

Debiti PA, se le imprese sono critiche…

Sono loro, le imprese, quelle che per prime dovrebbero beneficiare del decreto sbloccacrediti della PA. E sono loro una delle voci più critiche nei confronti del decreto in questione. È infatti una bocciatura su tutta la linea quella che Rete Imprese Italia fa alle risorse previste del decreto: secondo l’associazione, le risorse in questione sono considerate insufficienti e, nella loro inapplicabilità fanno il paio con la disciplina di Imu e Tares, i cui adempimenti per le aziende sono, secondo Rete Imprese, insostenibili.

Secondo il portavoce di Rete Imprese Italia Ivan Malavasi, sentito in audizione alla Camera sul decreto, i fondi previsti sono “insufficienti” rispetto “all’esigenza di pagare l’ammontare dei debiti accumulati verso il sistema delle imprese“. Secondo Rete Impresa Italia, dunque, “è fondamentale che le risorse stanziate entrino quanto prima nel ciclo produttivo e che le risorse trasferite dalle Regioni agli enti locali siano utilizzate esclusivamente per pagare i debiti commerciali“.

Parole che rischiano di restare un grido inascoltato, in un momento nel quale la situazione è estremamente pesante e delicata, come traspare dalle parole che Malavasi ha utilizzato durante la sua audizione: “La capacità di resistenza delle imprese è allo stremo. Non hanno più disponibilità finanziarie e le banche stanno forzando la richiesta di rientro dalle anticipazioni su fatture scadute. A queste imprese il decreto avrebbe dovuto dare risposte certe che invece non arriveranno“.

L’attacco di Malavasi coinvolge anche la filosofia che sta alla base del provvedimento; secondo il portavoce di Rete Imprese Italia, questa è “alquanto complessa e non mette mai al centro dell’attenzione il diritto delle imprese ad essere pagate, ma anzi si fonda sulla regolazione degli scambi tra Pa“. Ecco perché Malavasi ha anche sottolineato la ratio che sta alla base della richiesta di una clausola di salvaguardia da parte dell’associazione delle piccole e medie imprese: questa nasce infatti dalla convinzione che la nomina di un commissario ad acta, qualora non vi fosse una risposta da parte dell’amministrazione all’istanza del creditore, “non offra certezza in ordine ai tempi di risposta“, ha detto Malavasi. Di qui, ha concluso, nasce la proposta di equiparare “l’eventuale silenzio dell’amministrazione all’atto di certificazione del credito“.

Malavasi non ha poi risparmiato critiche alla Tares e all’Imu, per le quali Rete Imprese Italia chiede sensibili modifiche alla disciplina. “Le imprese, oltre ad essere sottoposte ad una pressione fiscale insostenibile, devono subire anche pesanti oneri burocratici dovuti alla numerosità e complessità degli adempimenti amministrativi, in particolar modo di quelli fiscali, spesso, dipendenti dalla necessità di soddisfare esigenze di contabilità pubblica“, ha concluso Malavasi. Un’audizione dai toni accesi e accorati. Qualcuno avrà fatto lo sforzo di ascoltarla?

Debiti PA, le proposte di modifica del CUP

Dopo aver analizzato le criticità che il CUP rileva nel decreto legge che dovrebbe sbloccare i crediti della pubblica amministrazione verso le imprese, vediamo oggi quali sono le proposte del Comitato unitario degli ordini e dei collegi professionali per modificare in meglio il decreto.

1) Estensione della possibilità di compensazione dei crediti vantanti nei confronti della PA con tutte le imposte, tributi, contributi previsti dall’articolo 17 del D.lgs.241/1997. Vanno comprese, in particolare, le somme vantate periodicamente ed annualmente e non solo quelle previste dagli art. 28 quater (imposte iscritte a ruolo) e 28 quinquies (accertamenti con adesione, ecc.) del DPR 602/1973;
2) Estensione della possibilità di compensazione anche alle somme dovute alle Casse Edili in quanto determinanti ai fini della regolarità del DURC;
3) Considerare regolare ai fini del DURC/agevolazioni quella impresa che registra debiti in misura inferiore ai crediti vantati nei confronti della PA; a tale scopo costituire una banca dati dei creditori della PA consultabile dagli enti preposti al rilascio del DURC;
4) Riduzione dell’aggio dovuto ad Equitalia considerato che l’agente della riscossione è di proprietà pubblica. Le somme richieste attraverso l’iscrizione a ruolo sono già maggiorate di sanzioni ed interessi e pertanto gli aggi si traducono in nuove somme aggiuntive calcolate anche sulle sanzioni. Quantomeno l’aggio dovrebbe essere minimo per quanto concerne somme iscritte a ruolo dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps;
5) Aumentare la possibilità di rateazione dei debiti maturati dalle imprese con Equitalia;
6) Destinare un accesso al credito garantito dal Tesoro in misura pari al credito (certo, liquido ed esigibile) vantato dall’impresa e dai professionisti nei confronti della PA.
7) Anticipazione dell’innalzamento a 700mila euro della compensazione mediante F24.

Naturalmente, il CUP si impegna a portare nelle sedi istituzionali le sue proposte di modifica, in modo da accelerare il processo di modifica di un decreto che, è ormai chiaro, ha in sé più luci che ombre.