Gli stranieri tornano ad investire nel Made in Italy

Il Made in Italy sta ricominciando ad essere appetibile agli investitori internazionali.
Dopo un periodo nero, con gli investimenti ridotti all’osso, che aveva determinato, tra il 2007 e il 2013, un crollo del 58%, il 2014 ha finalmente registrato una ripresa, con un’impennata di acquisizioni di imprese italiane per un controvalore di 20 miliardi di euro.

Questi dati sono stati resi noti dal rapporto Italia Multinazionale dell’agenzia Ice, in cui, comunque, si evidenzia ancora un gap da recuperare con gli altri paesi europei.
Se, infatti, il rapporto tra investimenti esteri e Pil del nostro Paese è di circa il 20%, meno della metà rispetto alla media Ue, che è assestata al 49%.

Ma secondo Riccardo Monti, il presidente dell’Ice, questi segnali di ripresa rappresentano una rinnovata fiducia nei confronti dell’Italia.

Le premesse ci sono, e sembrano molto chiare: il 2015 è iniziato con l’acquisizione di Pirelli da parte di ChemChina, una maxi opa da 7,5 miliardi di euro, e quella del progetto urbanistico di Milano Porta Nuova, 2 miliardi di valore ora in mano al fondo del Qatar.

Ma, se questi sono investitori orientali, la maggior parte di coloro che sono interessati al Made in Italy provengono da Nord America ed Europa, circa l’85% del totale.
Ma potrebbe trattarsi di una percentuale destinata a scendere, in favore proprio dei Paesi emergenti, come Cina, India, Russia e altri Paesi asiatici, i cui investimenti sono cresciuti del 255% dal 2000 a oggi, contro il +17,5% di Usa e Ue.

Lo stesso trend si nota negli investimenti in Borsa: in 20 società nazionali quotate, è presente almeno un investitore rilevante, con più del 20% delle azioni, che arriva da Paesi Arabi, Cina e Russia.

Altri esempi illustri sono Dainese, lo storico brand di abbigliamento per motociclismo ceduto al fondo d’investimento del Bahrain Investcorp, e la casa di moda vicentina Pal Zileri venduta al fondo del Qatar Mayhoola for Investment.

A farla da padrone, comunque, rimane il settore della manifattura, che è interessato da un terzo degli investimenti. Alcuni pezzi importanti dell’industria tricolore sono, infatti, finiti in mani esperi, come la società di compressori per elettrodomestici Acc di Belluno, passata sotto il controllo dei cinesi di Wanbao Group; Mangiarotti SpA, produttore di componenti per l’industria nucleare, petrolio e gas con sede a Pannellia di Sedegliano (Udine) e stabilimento a Monfalcone, finita nel perimetro degli americani di Westinghouse.

L’interesse degli investitori, inoltre, è sempre più pressante nei confronti di Generali, dove Blackrock, colosso americano del risparmio gestito, ha in mano il 2,61% del capitale, e People Bank of China possiede il 2,2%.

C’è da dire, a onor del vero, che le imprese italiane non fanno esclusivamente la parte delle prede, poiché il saldo entrate-uscite è ancora favorevole al Made in Italy. Sono 11.325 le imprese italiane con partecipazioni all’estero per 1,537 milioni i dipendenti e un fatturato di 565,3 miliardi di euro.
Nel 2013 i maggiori gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale hanno prodotto il 67% dei loro beni all’estero e solo il 9% del fatturato è realizzato in Italia contro il 91% all’estero.

Vera MORETTI

Mayhoola acquisisce anche Pal Zileri

All’estero il Made in Italy ha un notevole appeal, soprattutto quando si tratta di moda.
E’ passato solo un anno da quando Mayhoola, gruppo proveniente dal Qatar, ha comprato, per la cifra di 700 milioni di euro, la maison Valentino, ma ora torna alla carica con un brand che fa capo alla vicentina Forall, ovvero Pal Zileri e i suoi abiti sartoriali.

Mayhoola for Investment è un veicolo che fa capo ai reali del Qatar ed è una società di partecipazioni che punta a comprare brand noti del lusso e del fashion. In questo campo, si sa, l’Italia non ha eguali, e in Qatar lo sanno bene.

Per la moda Made in italy, infatti, non si tratta certo di una novità, poiché sono tanti, ormai, i gruppi di investitori stranieri ingolositi dall’idea di accaparrarsi dei maggiori marchi nostrani, che spesso, grazie a tradizione e manifattura, non hanno bisogno di presentazioni.

Così hanno pensato i due colossi francesi Lvmh e Kering, che hanno messo le mani sul lusso italiano, impossessandosi rispettivamente di Bulgari e Gucci, tra gli altri.
Queste manovre finora hanno portato un notevole flusso di denaro in Italia ma, data la situazione attuale, si rischia che altri marchi storici che hanno fatto la storia d’Italia vengano venduti in saldo.
E questo sarebbe un male, per l’economia italiana ma anche per il Made in Italy.

Vera MORETTI

Il settore tessile vicentino sfida la crisi

La tradizione tessile vicentina è oggi ancora molto forte e, soprattutto, sempre molto presente.

Alcuni autorevoli esempio sono quelli di Marzotto S.p.A, il primo gruppo italiano del tessile, l’innovazione di Diesel, che a Breganze ha inaugurato nel 2010 una vera e propria “cittadella” completa di asili e palestra, ma anche Bottega Veneta che, nonostante ora sia di proprietà del francese PPR, rimane solidamente radicata in territorio veneto, tanto da creare qui una scuola che tramandi il mestiere.

Non sono solo i grandi nomi a testimoniare l’importanza del comparto in terra veneta, ma anche la voce di Michele Bocchese, presidente della sezione Moda degli industriali veneti: “Qui si trova il “monte” della produzione, ovvero la tessitura, la filatura, le diverse fasi che nobilitano i tessuti, e anche la “valle”, l’industria della confezione e della maglieria. Due mondi diversi, ma collegati, a diverse intensità di capitale e lavoro“.

Nonostante ciò, la crisi si è fatta sentire nella zona, tanto da aver contato, in tre anni, la perdita di ben 100mila addetti, ma ancora oggi il comparto dà lavoro a 70mila famiglie.
A proposito di famiglia, lo stesso Bocchese arriva da una tradizione tessile familiare, che proprio negli ultimi anni ha ripreso la sua piena attività: “Noi vendiamo la seta ai cinesi: una seta reinterpretata, mescolata al cotone o a fibre sintetiche per effetti moderni, capace di reggere gli utilizzi più sportivi, trattata per essere anti-pioggia e anti-vento. Abbiamo recuperato i telai del passato, ma creato effetti e lavorazioni innovative“.

Alla base di ogni successo, oltre alla tradizione e alla qualità, c’è l’innovazione, e sono proprio questi valori che hanno portato in Veneto committenti del calibro di Vuitton, Gucci, Moncler, Dior e Chanel che, come conferma Stefano Stenta, presidente del Sistema Moda Vicenza di Confartigianato, “qui cercano, e trovano, qualità del prodotto, puntualità, creatività, innovazione”, ma anche lui riconosce che il periodo è difficile: “Negli anni Ottanta l’Europa ha annullato le protezioni a difesa del tessile, mentre altri Paesi alzavano le proprie barriere. E in questo contesto si sono susseguiti i diversi cicli economici, nei quali l’export del tessile e abbigliamento è sempre rimasto trainante per l’economia nazionale, dietro alle macchine utensili“.

Oggi i dati parlano di circa 700 aziende artigiane associate, il 65% delle quali ha un’età media di 30 anni, dunque con un passaggio generazionale ancora da affrontare.
Per questo, uno dei rischi maggiori è quello di non riuscire a “catturare” l’attenzione e l’interesse delle nuove generazioni, anche perché non possono beneficiare di una corretta formazione e un adeguato apprendistato.

Le altre sfide del tessile vicentino riguardano la concorrenza sleale, la politica del prezzo combattuta con la responsabilità sociale e la collaborazione stretta fra cliente e fornitore. I dati mettono in evidenza quello che viene definito “effetto sostituzione“: in Veneto nel 2002 gli imprenditori cinesi nella moda erano 624, nel 2012 sono diventati 2.155; nello stesso tempo gli italiani sono scesi da 5.547 a 3.023, una diminuzione di 2.524 unità.

A questo proposito, Manuela Miola, presidente della sezione Moda Industria di Confindustria Vicenza e nel cda di Forall Confezioni, azienda di Quinto Vicentino che produce Pal Zileri , ha dichiarato: “Questo sapere di prodotto è una delle caratteristiche del nostro distretto. Le nostre aziende hanno saputo creare e sviluppare prodotti con la sapienza artigiana e hanno saputo migliorarli nel tempo fino a farli diventare ricercati e sofisticati. Negli ultimi anni si è sviluppata una contaminazione internazionale con diversi Paesi e tra diversi settori: ci sono molti esempi di noti designer internazionali che hanno collaborato e collaborano tuttora con aziende del nostro territorio, portando nuove idee e l’entusiasmo di chi entra in contatto con una realtà dove in pochi chilometri trova una densità di esperienza, di artigianalità e di tradizione che in pochi altri contesti è possibile trovare“.

Vera MORETTI