Pane, presto potrebbe mancare sulle tavole degli italiani

Il pane, l’elemento base di ogni alimentazione, potrebbe a breve non essere più quotidiano. Il suo prezzo è alle stelle e non solo.

Pane, il prezzo ormai è fuori controllo

Il pane fresco sta diventando un cibo per ricchi. Sia i consumatori che le associazioni di categorie lamentano da mesi un aumento senza precedenti e senza controllo. In particolare l’Eurostat, osservando l’andamento della curva del prezzo ha registrato una forte impennata. Ad agosto è cresciuto mediamente dell’18% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso 2021.

Il costo del pane è aumentato in tutta Europa, ed in Italia del 13%. Una spesa aggiuntiva sulle tavole degli italiani e sulle tasche già provate dall’aumento delle bollette, della benzina e del caro vita in generale. Mediamente ormai il costo di un chilo di pane si attesta tra i tre euro e i sei euro al chilo. La forbice cambia a seconda degli spostamento lungo lo stivale e di città in città.

Pane, le cause dell’impennata dei prezzi

I panificatori si difendono dicendo che hanno aumentato i prezzi a causa dei fornitori. Infatti tutto è da cercarsi proprio nel mercato delle materie prime. Il primo tra tutti è sicuramente il costo delle farine che è triplicato a causa della guerra tra Ucraina e Russia e della crisi del grano. Cruciale il braccio di ferro nei porti Ucraini dei mesi scorsi.

Ma hanno avuto degli incrementi anche altri elementi che compongono il pane. Ad esempio un cartone di lievito da 10 Kg ha un subito un aumento di circa 7 euro. A questo poi si vanno ad aggiungere le spese relative alle bollette che hanno degli importi fuori norma. E che dire dell’inflazione che continua ad alzare il livello generale dei prezzi, anche di oli, sale, verdure, frutta e carni.

Una panoramica in Europa e le conseguenze in Italia

Secondo quanto confermato da Eurostat il costo del pane è aumentato in tutti i paesi europei. Ad esempio sono stati registrati in Ungheria (+66%) in Lituania (+33%), in Estonia e Slovacchia (+32%). I Paesi meno colpiti dal fenomeno sono stati invece la Francia (+8%), l’Olanda e il Lussemburgo (+10%). In questo contesto l’Italia, nel grafico diffuso da Eurostat, si colloca al di sotto della media Ue.

Se si continua di questo passo un nucleo di 4 persone si troverà a spendere solo per pane e cereali circa 175 euro in più rispetto allo scorso anno. Eppure molti hanno già cominciato a ridurne il quantitativo di acquisto o evitarlo proprio. E questo potrebbe avere un ennesimo effetto negativo, con la chiusura anche di piccoli forni, che sono sempre stata l’anima dei quartieri.

 

 

 

Il pane di Milano è il più caro d’Italia

E’ Milano la città italiana dove il pane è più caro: minimo 3,9 euro al chilo. Mentre Napoli, con i suoi 1,7 euro, è la città dove ‘la mollica’ è più economica. Ma ci sono anche dei picchi, come nel caso di Bologna, dove chi vuole pane ‘speciale’ deve sborsare 6 euro. E’ quanto emerge da un’inchiesta di ‘Altroconsumo’ su 138 punti vendita, tra panetterie e supermercati e ipermercati in dieci grandi città: Bari, Bologna, Genova, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma e Torino.

Il 90% degli italiani – ricorda Altroconsumo – consuma pane tutti i giorni. Per averlo in tavola spendiamo fino a 270 euro l’anno a testa. Alimento sempre più costoso, se è di tipo speciale arriva a costare oltre 6 euro al chilo a Bologna. Solo Napoli resiste al caro-mollica. Per fotografare la varietà di prezzi attraverso la penisola Altroconsumo ha realizzato un’indagine sul prodotto-base della dieta mediterranea. L’inchiesta ha coinvolto 138 punti vendita, tra panetterie e supermercati e ipermercati in dieci grandi città: Bari, Bologna, Genova, Firenze, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma e Torino. Il prezzo varia anche da regione a regione, oltre che da un tipo all’altro – ne esistono diverse centinaia sul mercato italiano. Differenze notevoli emergono da città a città.

Milano è in assoluto il luogo dove la pagnotta costa di più, minimo 3,94 euro al chilo, mentre Napoli è la più economica: 1,70 euro per kg. Scegliendo il tipo più caro in metà delle città dell’inchiesta – Genova, Milano, Padova, Bologna e Firenze si arriva a spendere più di 5 euro al chilo. Al supermercato si risparmia; pur variando ampiamente il prezzo a seconda che si tratti di pane economico o costoso nella grande distribuzione i prezzi sono piu’ abbordabili: 1,96 euro in media al chilo, nei panifici il pane costa in media il 50% in piu’: 2,95 euro per kg. Ma il pane che compriamo è sempre all’altezza del suo costo? Con qualche trucco – spiegano da Altroconsumo – è possibile imparare a riconoscere un pane di qualità. Per esempio, il colore ideale della crosta dovrebbe essere tra il giallo ocra e il marrone. Deve essere leggera, croccante, non troppo spessa. La mollica deve aderire bene alla crosta, deve essere appena umida, non deve sbriciolarsi nè essere troppo compatta. In bocca deve essere soffice, leggermente elastica.

Fonte: ansa.it

Pane quotidiano: sì o no?

di Vera MORETTI

Pane fresco in tavola tutti i giorni, domenica e festivi compresi?

Il decreto semplifica-Italia potrebbe avere anche questa, come conseguenza. Ma cosa ne pensa l’associazione di categoria Assopanificatori?

Alla luce di quanto emerso in questi giorni, infatti, per i forni non ci sarebbe più l’obbligo di chiusura perciò: quali conseguenze comporterebbe questa novità?

In realtà, ci sono già molti esercizi, soprattutto nelle località turistiche, che offrono pane fresco anche la domenica, come ha riscontrato Mario Partigiani, presidente di Assopanificatori, il quale ha anche aggiunto: “Per i laboratori, l’apertura domenicale comporterebbe, e questo è solo il presupposto, un aumento del costo della manodopera dal 30 al 50%. Si tratta, innanzitutto, di un problema economico. Perché, di conseguenza, aumenterebbero i prezzi per la clientela: qualcuno, è ovvio, dovrà pur pagare gli aumenti“.

Pane sì, ma più caro, dunque? Questa sembra essere l’eventualità più concreta che, alla luce del calo di consumo del prodotto, non appare allettante per nessuno, né per i consumatori, che hanno dimostrato di poterne fare a meno, né per i fornai.
Se la liberalizzazione fosse avvenuta cinquant’anni fa, forse sarebbe stata accolta con animi diversi, perché, allora, il pane era ancora uno dei beni irrinunciabili, simbolo di benessere e vita. Ma oggi, ha davvero senso tutto ciò? Considerando, poi, tutti i cibi “alternativi” che hanno sostituito michette e sfilatini nei cuori, e anche sulla tavola degli italiani, sembra proprio di no. E se proprio è impossibile rinunciare al pane quotidiano, ci sono tanti centri commerciali che, grazie alle aperture festive, garantiscono pane a volontà senza aumento di prezzo.

Alla luce di ciò, quindi, sembra difficile che qualcosa cambi, anche se Partigiani avverte quanti sono pensano di fare il “grande salto”: “Abbiamo lottato per avere la festività, una giornata di riposo per recuperare, e oggi mi sembra che stiamo tornando indietro. Ci si ricrederà, però, perché lavorare 7 giorni su 7 è pesante, e solo in pochi possono permettersi personale per fare i turni“.

Fornaio, questo sconosciuto

Il pane tipico abruzzese? Una delizia, purché qualcuno lo prepari. Pare infatti che in Abruzzo ci sia una penuria di fornai che sta mettendo a rischio l’esistenza di uno dei prodotti tipici più apprezzati della regione. Secondo il presidente dell’associazione panificatori abruzzesi Vinceslao Ruccolo, sono almeno 100 gli artigiani che mancano all’appello, con gravi rischi per il settore; e il paradosso è che con questa nobile e antica professione si possono portare a casa fino a 3mila euro al mese. Certo, gli orari e il lavoro non sono dei più leggeri, ma in questi tempi di crisi chi non sarebbe disposto a sudare un po’ di più per avere la certezza di un reddito? Pochi, perché, secondo quanto ha dichiarato Ruccolo al Corriere della Sera, grande distribuzione e mancanza di manodopera sono i principali nemici della professione: “Come facciamo a combattere chi garantisce aperture domenicali e vende a prezzi ribassati il pane o addirittura se lo fa venire precotto dalla Puglia? Le istituzioni dovrebbero sostenerci maggiormente“.

Continua poi Ruccolo: “In Abruzzo sono tanti i forni artigianali che non trovano manodopera e il problema, che esiste da anni, ora si è accentuato. Un fornaio con la qualifica ottiene circa 2.500 euro netti al mese in busta paga. Uno stipendio che, con gli straordinari e la produttività, arriva facilmente a tremila. È vero che si lavora nelle ore notturne, di solito da mezzanotte alle otto, ma c’è anche chi finisce prima e inizia prima. Quasi sempre, invece, rispondono alle offerte di lavoro solo gli extracomunitari e, ultimamente, neanche quelli“.

Gli fa eco l’assessore regionale abruzzese alle Politiche del Lavoro Paolo Gatti: “È un retaggio del dopoguerra il fatto che i figli debbano essere per forza tutti diplomati o laureati e impiegati, possibilmente nella pubblica amministrazione. Bisogna superare i pregiudizi culturali legati a professioni considerate poco qualificanti. È vero, quello del fornaio è un mestiere duro ma, come accade anche per altre figure molto richieste, consentirebbe di avere uno sbocco lavorativo immediato e sicuro e uno stipendio non trascurabile”.

Secondo i dati forniti dall’associazione panificatori, in Italia i posti disponibili per gli aspiranti fornai sarebbero almeno quattromila: se sololo volessero…