Prestiti alle imprese, a quando la ripresa?

Anche il mese di gennaio conferma che il momento difficile per i prestiti alle imprese e famiglie non è ancora passato. Secondo il Centro studi Unimpresa, da gennaio 2014 a gennaio 2015, le sofferenze bancarie (dati Bankitalia) sono aumentate del 15% arrivando a oltre 185 miliardi di euro (+25 miliardi).

Secondo l’osservatorio di Unimpresa, la maggior parte dei finanziamenti non rimborsati arriva dai prestiti alle imprese, per un totale di 131 miliardi, e anche le cosiddette imprese familiari risultano in forte difficoltà, con un totale di insoluto che tocca i 15 miliardi.

Unimpresa rileva però che, nello stesso periodo, le banche hanno diminuito i prestiti alle imprese e alle famiglie per complessivi 30 miliardi (pari a un calo del 2%), ma i prestiti alle imprese per il medio periodo sono cresciuti di 9 miliardi.

Secondo lo studio di Unimpresa, nell’anno in esame le sofferenze sono passate dai 160,4 miliardi di gennaio 2014 ai 185,4 di gennaio 2015 (+16,6%). Di queste, la quota delle imprese è aumentata di ben il 17,3%, da 112,3 a 131,7 miliardi, mentre per le imprese familiari la crescita è stata più contenuta ma sempre preoccupante: +11,08%, da 13,6 a 15,1 miliardi.

A fronte di queste sofferenze, la stretta al credito e i tagli ai prestiti alle imprese e alle famiglie è fisiologica: nell’ultimo anno sono calati di 2,5 miliardi al mese, per un totale, da gennaio 2014 a gennaio 2015, di -30,6 miliardi (da 1.439,6 a 1.409,1).

I prestiti alle imprese sono scesi di 27,4 miliardi e del 2,13% nell’ultimo anno; sono calati quelli a breve termine per 9,8 miliardi (-3,16%) e quelli di lungo periodo di 26,5 miliardi (-6,55%). In controtendenza quelli fino a 5 anni: +8,9 miliardi (+7,50%).

Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, non ha mancato di commentare questa situazione: “Quella del credito resta una situazione gravissima e di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Ci sono le risorse del quantitative easing della Bce e non vanno sprecate”.

Prestiti bancari scesi di 70 miliardi in tre anni

Unimpresa ha reso noto che, negli ultimi tre anni, i crediti bancari hanno subito una contrazione di quasi 70 miliardi.

A seguito di questa brusca e preoccupante diminuzione, i finanziamenti alle famiglie si sono ridotti di ben 14 miliardi.
Da luglio 2011 a luglio 2014, infatti, i prestiti al settore privato da parte delle banche è diminuito complessivamente di 83,1 miliardi (-5,49%) passando da 1.513 miliardi a 1.430 miliardi.

A commento di questi risultati, Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Con questi dati, intendiamo rispondere ai banchieri che, per giustificare la stretta ai rubinetti del credito, puntano il dito contro le aziende, sostenendo che è colpa del cavallo che non beve: la realtà è diversa e racconta di una sistematica azione volta a ridurre drasticamente l’offerta di liquidità allo sportello. E il mezzo fallimento dell’asta Bce conferma che da parte degli istituti di credito non c’è alcuna intenzione di finanziare l’economia reale”.

Questa situazione ha fatto ridurre di 5,6 miliardi (-8,78%) passando da 63,8 miliardi a 58,2 miliardi; i mutui per l’acquisto di abitazioni sono calati di 3,8 miliardi (-1,05%) scendendo da 363,5 miliardi a 359,7 miliardi; i prestiti personali sono diminuiti di 4,6 miliardi (-2,51%) da 185,5 miliardi a 180,9 miliardi.

Non va meglio per le aziende, poiché nel trimestre preso in esame gli impieghi in questo comparto sono scesi di 69,08 miliardi (-7,67%) da 900,2 miliardi a 831,1 miliardi.
I finanziamenti di breve periodo (fino a 1 anno) si sono ridotti di 39,02 miliardi (-11,29%) passando da 345,7 miliardi a 306,t miliardi; i prestiti di medio periodo (fino a 5 anni) sono calati di 12,2 miliardi (-8,71%) scendendo da 140,1 miliardi a 127,9 miliardi; i prestiti di lungo periodo (oltre 5 anni) sono diminuiti di 17,8 miliardi (-4,31%) da 414,3 miliardi a 396,5 miliardi.

Alla luce di questi dati, Longobardi ha aggiunto: “La situazione è gravissima e per dare una svolta servono importanti misure da parte del governo sul versante delle garanzie, che richiedono un massiccio investimento di danaro pubblico. Alle attuali condizioni di mercato ottenere un finanziamento è un miracolo”.

Vera MORETTI

Banche: continuano le sofferenze dovute ai prestiti alle imprese

Continuano le sofferenze, da parte delle imprese, per quanto riguarda i prestiti da parte delle banche.
Se, da una parte, è ancora molto difficile ottenere un finanziamento, dall’altra, infatti, risulta altrettanto complesso riuscire a restituire il denaro ricevuto.

Secondo i dati di Bankitalia ripresi da una ricerca di Unimpresa, associazione delle imprese che ha il suo focus nelle pmi, nell’ultimo anno le sofferenze sono ancora cresciute del 25%, arrivando a superare il muro dei 166 miliardi di euro, in aumento di 33,1 miliardi.
Se si guarda al rapporto con il totale dei crediti, la percentuale è schizzata dal 9,14% all’11,6%.

Dal 2010 a oggi, inoltre, in valore assoluto le sofferenze sono più che raddoppiate, passando da 77,8 miliardi a 166,4.

Questo, per le banche, significa maggiori difficoltà nella concessione di crediti, anche a causa dei più stringenti requisiti patrimoniali.
Inoltre, con la crisi ancora in atto, l’ammontare complessivo dei crediti p in calo, anche se in termini minori rispetto agli anni precedenti.

Da aprile 2013 ad aprile 2014, il totale dei finanziamenti al settore privato è diminuito di 30,2 miliardi di euro passando da 1.458,07 miliardi a 1.427,7 miliardi.
Una riduzione che interessa sia le famiglie (-6,7 miliardi) sia le imprese (-23,5 miliardi). Le erogazioni degli istituti di credito sono scese, complessivamente, del 2,08%.

A questo proposito, Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Quella del credito resta una situazione gravissima e, di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni“.

Ha poi aggiunto Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: “Le banche italiane stanno effettuando dei colossali aumenti di capitale che sono utili non solo per l’asset quality review e per gli stress test ma per avere molta più capienza per effettuare nuovi prestiti. La stagione degli aumenti non sarà mai finita, perché questa crisi ha cancellato la logica del minimo capitale. Se non riusciamo ad ottenere regole uniformi in tempi ragionevolmente brevi, l’Ue invece di diventare una grande chance per l’Italia rischierebbe di far esplodere le contraddizioni fin qui sopite“.

Vera MORETTI

Imu, rischio collasso per i Caf

L’incertezza sulle modalità di pagamento della seconda rata dell’Imu è come una valanga che lungo la sua corsa trascina con sé tutto quello che trova e che si ingrandisce sempre di più, mano a mano che prosegue sul suo cammino. Un esempio? L’allarme arrivato da Unimpresa.

Secondo l’associazione che costituisce il sistema di rappresentanza delle micro, piccole e medie imprese così come individuate dalle norme dell’Unione Europea, è allarme nei Caf (i centri di assistenza fiscale) per il calcolo della seconda rata Imu. L’approvazione del decreto legge che cancella, solo parzialmente, il versamento di dicembre sulle abitazioni principali, è arrivata infatti troppo a ridosso delle scadenze.

Ma soprattutto la confusione generata dalla norma che consente ai comuni di far pagare la quota di imposta relativa all’eventuale aumento stabilito nel 2012 e nel 2013 rispetto all’aliquota ordinaria (4 per mille) rende molto probabili errori nella determinazione degli importi da pagare entro il 16 gennaio. Con l’elevatissimo rischio di dare il via a un contenzioso di grandi proporzioni tra contribuenti e amministrazioni locali. Sono 900 Centri di assistenza fiscale, distribuiti in 60 province in tutta Italia, che aderiscono a Unimpresa.

Il decreto legge approvato mercoledì, ricorda Unimpresa, prevede il pagamento per la quota di Imu superiore alla aliquota base fissata al 4 per mille; i proprietari di abitazioni principali dovranno corrispondere ai comuni il 40% di questa eccedenza mentre il restante 60% è a carico dello Stato. Su 8.000 comuni complessivi, finora sono stati approvati circa 4.000 regolamenti Imu: c’è tempo fino al 5 dicembre ed è molto probabile che si assisterà ad aumenti selvaggi. I bilanci delle amministrazioni locali sono in rosso e l’opportunità offerta dal Governo col decreto approvato mercoledì consente di fare cassa rapidamente. Il decreto, infatti, fa scattare il prelievo extra sia per i comuni che hanno deliberato l’aumento dell’aliquota nel 2013 o devono ancora farlo, sia per i comuni che hanno confermato una aliquota superiore a quella base approvata lo scorso anno.

L’altro grave problema ricordato da Unimpresa, è la determinazione degli importi, considerato che il decreto Imu prevede che solo una parte (il 40%) dell’imposta si effettivamente pagata. “Il decreto – osserva il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardiè una barzelletta. In un colpo solo sono stati spostati due termini, quello per le delibere comunali e quello per il versamento, ed è stata portata dal 16 dicembre al 16 gennaio la scadenza per i versamenti. E poi c’è l’aspetto politico. Il Governo di Enrico Letta si è rimangiato la promessa e alla fine, anche se per cifre non rilevanti, obbliga le famiglie a una ministangata”.

Crisi, 3 aziende su 5 destinate al fallimento

Un’agonia senza fine che vede protagoniste moltissime – troppe –  aziende italiane impegnate nella lotta alla sopravvivenza. Dall’esito di un sondaggio promosso dal centro studi Unimpresa, svolto prendendo in considerazione un cospicuo campione di 130mila imprese, risulta che nei prossimi 4 mesi 3 aziende su 5 prevedono il fallimento.

I problemi sono diversi: difficoltà con le banche per la concessione di credito, difficoltà nel rispettare scadenze e adempimenti fiscali, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, mancati incassi da clienti privati, impossibilità di pianificare investimenti, scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione. Una serie di problematiche che hanno un denominatore comune, la crisi economica.

Nel 62,2 % dei questionari quello che emerge è il medesimo scenario: il baratro, la chiusura per le aziende, il licenziamento per i lavoratori, la disperazione delle famiglie. Ad essere additato come la concausa del possibile e papabile fallimento da parte delle imprese, oltre ai problemi con gli istittui di credito, sono le tasse.

La tassazione che soffoca ogni forma di attività, impedisce la sopravvivenza, figuriamoci lo sviluppo delle nostre imprese, e oltre a superare del 50% il tetto massimo, prevede per le aziende termini e adempimenti tributari difficili, se non impossibili da rispettare. Altro fattore allarmante è il ritardo nel pagamento  da parte di Stato centrale ed enti locali.  Anzitutto per lo stock da 90-100 miliardi di debiti della pubblica amministrazione che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali, come recentemente denunciato dalle banche, a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese.

Altra fonte di apprensione per le imprese è lo stop agli investimenti. Le nuove regole varate lo scorso anno dal Governo tecnico non hanno migliorato la situazione e non hanno risposto alla esigenza di maggiore flessibilità chiesta dai datori di lavoro.

Eloquenti le parole di Polo Longobardi, presidente di Unimpresa che sostiene che “la  situazione sia da allarme rosso. La massa di imprese che alzano bandiera bianca si estende a vista d’occhio giorno dopo giorno e non si vede una via d’uscita. Le imprese sono stremate e il fallimento, in taluni casi, è inevitabile. Al Governo di Enrico Letta abbiamo posto più volte l’esigenza di varare riforme serie, volte a dare speranza agli imprenditori e pure alle famiglie. Per rimettere in moto l’economia, e quindi per far ripartire l’occupazione, si deve dare impulso al credito e vanno tagliate le tasse”.

Sempre secondo il parere di Longorbardi “senza la liquidità delle banche e senza un abbattimento drastico della pressione fiscale il nostro Paese non ha futuro ed è destinato a morire”.

Francesca RIGGIO

La difficoltà di accesso al credito fa calare la fiducia nelle banche

Come era prevedibile, nel 2012 i prestiti delle banche a imprese e famiglie sono diminuiti di quasi 50 miliardi di euro: questo significa che i 200 miliardi che il sistema creditizio ha preso in prestito dalla BCE a condizioni agevolate è finito per lo più in titoli di stato italiani, investiti nel debito pubblico.

A rivelare questi dati è il Centro Studi Unimpresa, che segnala invece l’aumento dei prestiti alla Pubblica Amministrazione.
A rimetterci maggiormente sono state le imprese, mentre, per quanto riguarda le famiglie, il “giro di vite” da parte delle banche ha riguardato per di più credito al consumo (-3,8 miliardi, il 6,06%), mutui (-1,1 miliardi, lo 0,33%), altre tipologie di prestito (-2,2 miliardi, l’1,21%).

Nel 2012 le banche italiane hanno usufruito di due operazioni di rifinanziamento della BCE assicurandosi liquidità in più per 201,7 miliardi di euro a un tasso dell’1%. Di questi 200 miliardi, circa 140 sono stati usati per acquistare titoli di stato.

Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Una fotografia che certifica come è nata la stretta al credito per imprese e famiglie. Proprio in banca si è inceppato l’ingranaggio principale per sostenere la ripresa dell’economia: da una parte non viene sostenuta la piccola liquidità dell’impresa, che corre il rischio così di non poter onorare i pagamenti coi fornitori e, soprattutto, di non pagare gli stipendi ai lavoratori; dall’altra non viene concesso denaro alle famiglie e così si bloccano i consumi”.

Secondo Unindustria, “proprio il credito deve essere, insieme con un piano per ridurre il peso del Fisco, il primo punto su cui deve intervenire il nuovo Governo nella prossima legislatura”.

Anche la Banca d’Italia ha registrato il calo dei prestiti, con una flessione, pari al 3,9% del novembre 2012, che non si riscontrava dal novembre 2009.
Ciò ha portato le aziende italiane ad aumentare la sfiducia negli istituti bancari, che ora a malapena raggiunge la sufficienza.
A pesare su questi giudizi è probabilmente la difficoltà di accesso al credito: il 6,8% delle imprese ha ricevuto un rifiuto da parte delle banche e, ovviamente, maggiormente penalizzate sono le pmi.

Secondo l’ultimo bollettino statistico della Banca d’Italia, dicembre 2012, le imprese sono pessimiste sulla situazione economica. Sale al 41,9% (dal 37,1 di settembre) la percentuale di imprenditori secondo i quali nei prossimi tre mesi, dunque entro marzo 2013, le condizioni economiche in cui operano le imprese peggioreranno. Scende al 545 (dal 57%) il numero di coloro che si aspettano una sostanziale stabilità, e scende anche, al 3,9% (dal 5,8%), il già esiguo gruppo di chi invece vede un miglioramento.

Il pessimismo non diminuisce nemmeno pensando al futuro, poiché sale il numero di aziende convinte che la liquidità sarà insufficiente (al 28,6% dal 24,8) e aumentano le imprese che segnalano condizioni peggiorate nell’accesso al credito, (30,5% dal 26,1%).

Vera MORETTI