Il cane a sei zampe a caccia di petrolio in Congo

E’ stato annunciato dalla stessa Eni la scoperta di un miliardo e duecento milioni di barili di petrolio e 30 miliardi di metri cubi di metano in una concessione a una quindicina di chilometri dalla costa del Congo.

Per ora si tratta solo di pozzi esplorativi ma i tecnici dell’Eni pensano che il complesso delle trivellazioni in quella zona di mare potrà portare il totale delle riserve in loco a 2,5 miliardi di barili di “olio equivalente”, ovvero l’unità di misura che omogeneizza petrolio e gas.

La produzione partirà nel 2016. L’Eni è in Congo dal 1968 e attualmente produce nel Paese circa 105.000 barili di olio equivalente al giorno.

Oggi il gruppo ha annunciato i dati di bilancio del 2013 con un aumento dell’utile a 5,2 miliardi (+24% rispetto al 2012, quando i prezzi del petrolio furono particolarmente bassi). Il dividendo proposto è di 1,1 euro per azione (contro i precedenti 1,08).

Paolo Scaroni, l’amministratore delegato, ha presentato il Piano Strategico che prevede una crescita della produzione di circa il 3% all’anno nel quadriennio 2014-2017 e del 4% all’anno dal 2017 al 2023. Dal 2008 la società ha scoperto 9,5 miliardi di barili di olio equivalente.
Le principali zone di esplorazione sono e saranno Mozambico e Kenya in Africa orientale, Congo, Angola e Gabon in Africa occidentale, il bacino del Pacifico, il Mare di Barents e Cipro. Nel gas è prevista la rinegoziazione di tutti i contratti di approvvigionamento.

Vera MORETTI

Eni si ingrandisce ad Est

Rotta verso il Pakistan per Eni, decisa ad incrementare nel Paese asiatico la propria produzione di gas.
A dire il vero, Eni è presente laggiù dal 2000 e vi ricava già 57mila barili di olio equivalente al giorno.

La via, per la società del cane a sei zampe, sembra sia spianata, poiché la strategia di espansione è condivisa dal ministro del petrolio del Paese asiatico, Shahid Khaqqan Abbasi, che ha già incontrato l’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, per fare il punto sui progetti nell’area della multinazionale italiana.

Durante l’incontro, si è posto l’accento sullo sfruttamento dello shale gas e l’esplorazione in acque ultra profonde, ambiti dove Eni può apportare il proprio know how.
Le parti hanno inoltre evidenziato l’importanza di ulteriori iniziative di cooperazione tra Eni e le compagnie energetiche nazionali pakistane.

Vera MORETTI

Eni, dopo la Libia si punta sull’Asia

 

L’amministratore delegato di Eni, Paolo Scaroni, annuncia la nuova frontiera del gruppo nel sud-est asiatico: il golfo del Bengala, il Vietnam e l’ex Birmania. Al momento l’azienda produce in Libia solo un terzo del suo potenziale: «La Libia – spiega l’ad – spende circa 5 miliardi di dollari al mese per pagare stipendi e sussidi. Finché produce 1,6 milioni di barili all’anno non c’è nessun problema, ma se ne produce 200 o 400 mila cominciano a mancare i fondi necessari».

Come detto la nuova frontiera per il gruppo è il sud-est asiatico. «Negli ultimi tre-quattro anni abbiamo sviluppato una strategia asiatica. Siamo già i primi produttori in Africa, ora cominciamo a esplorare il golfo del Bengala», ha spiegato Scaroni, senza dimenticare però la Cina e il Pakistan dove Enel «è il primi produttore, e siamo molto felici di essere lì».

Quanto al prezzo del petrolio, in costante ascesa negli ultimi anni, che dal 2011 costa mediamente 110 dollari al barile, arriverà a costare, secondo le stime dell’Agenzia internazionale dell’energia, la bellezza di 128 dollari nel 2035.

JM

Inaugurato in Venezuela Junin-5

E’ stato siglato un importante accordo in Venezuela, tra Rafael Ramirez, Ministro del Petrolio e Presidente della società di stato PDVSA, e una delegazione Eni composta dai membri del Consiglio di Amministrazione, guidata dall’Amministratore Delegato Paolo Scaroni e dal Presidente Giuseppe Recchi, che ha portato all’inaugurazione del primo oleodotto per l’evacuazione dell’olio dal campo Junin-5, situato nella Faja petrolifera dell’Orinoco.

L’oleodotto ha una lunghezza di 25 chilometri ed è composto da due condotte, una del diametro di 8″ che trasporterà il diluente al campo, e una di 12″ che trasporterà olio pesante diluito ai vicini impianti di trattamento di PDVSA.

Durante l’incontro, inoltre, è stato fatto il punto sullo stato di avanzamento del campo Junin-5 e dei progetti relativi al super giant Perla, uno dei più grandi giacimenti di gas scoperti negli ultimi anni a livello mondiale.
Eni è considerata un partner strategico di PDVSA e del Venezuela, dato l’importante impegno futuro sia in termini di investimenti che di produzione a lungo termine.

Junin-5 è gestito congiuntamente da due joint venture (Imprese Miste), entrambe formate da PDVSA (60%) ed Eni (40%): PetroJunín per lo sviluppo e la produzione del campo e PetroBicentenario per la costruzione e la gestione di una raffineria nel complesso industriale di Jose, con una capacità di 350.000 barili al giorno.

Inoltre Eni in Venezuela è anche co-operatore di Cardon IV, la società operativa che gestisce il giacimento a gas di Perla, le cui riserve di gas in posto sono stimate in circa 480 miliardi di metri cubi di gas (3,1 miliardi di barili di olio equivalente). Il picco di produzione di Perla è attualmente previsto in 216.000 barili di olio equivalente al giorno (70.200 in quota Eni).

Gli azionisti di Perla, dopo l’ingresso di PDVSA nel progetto, saranno PDVSA (35%), Eni (32,5%) e Repsol (32,5%).Eni detiene inoltre una partecipazione in Petrosucre, che opera il giacimento offshore di Corocoro (PDVSA 74%, Eni 26%), con una produzione giornaliera in quota Eni di circa 10 mila barili di olio al giorno.

Vera MORETTI

Eni: avanti con lo shale oil

Passo avanti importante da parte di Eni nell’ambito della ricerca dello shale oil, petrolio che si ricava con le nuove tecniche di trivellazione, che frantumano l’argilla per raccogliere il greggio conservato nelle rocce.

La società del cane a sei zampe, infatti, ha firmato un accordo con Quicksilver Resources per valutare, esplorare e sviluppare congiuntamente giacimenti di shale oil negli Stati Uniti.
Nello specifico, Eni parteciperà con la quota del 50%, investendo fino a 52 milioni di dollari, in un’area di 21.246 ettari detenuta da Quicksilver nella Leon Valley, in Texas.

Da Washington, l’ad del gruppo, Paolo Scaroni, ha voluto laciare un messaggio affinché l’Europa non chiuda a priori le porte allo shale, il gas scisto, perché “è inaccettabile” che continui a pagare l’energia il triplo di quello che pagano gli americani.

A proposito di shale gas, l’argomento è stato di stretta attualità a Bruxelles, dove si trovava Flavio Zanonato, invitato ad un convegno: era trapelata la notizia che il ministro avesse dato il via libera all’estrazione di shale gas in alcune aree in Italia.

Ma subito Zanonato ha voluto dare la sua secca smentita: “Come stabilito dalla Strategia Energetica Nazionale e come affermato dal ministro stesso in Parlamento, non è mai stato preso in considerazione“.
Ed ha poi aggiunto: “E’ necessario rilanciare la produzione nazionale di oil&gas tradizionale“.

Vera MORETTI

La nuova Perla di Eni

Eni tenta fortuna in Venezuela. L’amministratore delegato Paolo Scaroni ha concordato la costituzione di una nuova impresa mista (Pdvsa 60%, Eni 40%) per lo sviluppo delle riserve di condensati del super giacimento venezuelano di Perla, che ammontano a circa 170 milioni di barili.

Non è il primo investimento in America Meridionale per Eni, presente in Venezuela dal lontano 1998 dove è anche co-operatore di Cardon IV, la società operativa che gestisce il giacimento a gas di Perla, le cui riserve sono stimate in circa 480 miliardi di metri cubi di gas (3,1 miliardi di barili di olio equivalente).

Gli azionisti a Perla, dopo l’ingresso di Pdvsa nel progetto, saranno: Pdvsa (35%), Eni (32,5%) e Repsol (32,5). Eni detiene inoltre una partecipazione in Petrosucre, che opera il giacimento offshore di Corocoro (Pdvsa 74%, Eni 26%), con una produzione giornaliera in quota Eni di circa 10 mila barili di olio al giorno.

Sergio Marchionne il manager più pagato d’Italia

Gli appelli che chiedono agli italiani di stringere i denti e di adeguarsi al clima di austerity, ormai abbondantemente recepiti, se non altro dalla concreta scarsità di contanti nel portafoglio, certo non sembrano destinati a tutti, né tantomeno ai manager delle grandi aziende.

Da una classifica stilata dal Sole 24 Ore, che segnala i 100 manager più pagati delle società italiane, emerge non solo che i loro stipendi sono distanti anni luce dai quelli dei loro dipendenti, ma che non hanno risentito per nulla della crisi, poiché, anzi, sono aumentati rispetto al 2011.

Tra le società quotate in Borsa, il primo classificato, ma c’era da aspettarselo, è Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, che ha guadagnato 47,9 milioni di euro complessivi, al lordo delle tasse, di cui 4,27 milioni come ad Fiat, 2,89 milioni come presidente della Fiat industrial, ma il grosso del guadagno deriva dalle azioni gratuite che gli sono state assegnate all’inizio del 2012, in base al piano del 2009.
Le azioni valevano 40,7 milioni di euro: in questo caso il premio ha superato di gran lunga il salario annuale.

Il numero uno di Fiat è seguito da Luigi Francavilla, il primo dei 4 manager di Luxottica che occupano i primi sei posti della classifica. Dal Sole 24 Ore: “Luigi Francavilla ha guadagnato 28,8 milioni di euro lordi, in larga parte plusvalenze e controvalore di azioni gratuite, i compensi monetari sono limitati a 799 mila euro”.

Al terzo posto Federico Marchetti, fondatore e azionista di Yoox, azienda bolognese che gestisce su internet negozi online per i grandi marchi di moda che ha guadagnato 22, 6 milioni di euro: in larga parte plusvalenze a fini fiscali.

Per trovare i manager pubblici, occorre scendere, ma non più di tanti, ed ecco l’ex ad della Saipem, Pietro Franco Tali con 6,94 milioni, l’ad di Eni Paolo Scaroni con 6,77 milioni e Fulvio Conti dell’Enel con 3,97 milioni.

Luca Cordero di Montezemolo, presidente della Ferrari, è “slo” 14esimo, con 5,7 milioni.
Il numero uno della Pirelli Marco Tronchetti Provera è 24esimo con 3,77 milioni di euro, 27esimo John Elkann con 3,42 milioni e 78esimo Diego Della Valle, patron della Tod’s con 1,64 milioni di euro.

Il presidente Mediaset Fedele Confalonieri è 33esimo con uno stipendio di 2.700 milioni di euro, seguito da Alberto Bombassei, presidente Brembo, con circa 20 mila euro in meno.
L’ad e dg di Intesa San Paolo, Enrico Cucchiani, è 38esimo con 2 milioni e 6.
Franco Bernabè di Telecom guadagna 2,4 milioni di euro e Flavio Cattaneo, Ad e dg Terna, poco meno: 2,356 milioni di euro.

Nei primi 100, sono solo due le donne: Giulia Ligresti, 67esima con 1,74 milioni di euro e Monica Mondardini, ad Espresso, 76esima con 1,64 milioni di euro guadagnati.
Marina Berlusconi, attualmente presidente Mondadori è oltre il 200esimo posto e ottava tra le donne con 634 mila euro.

Vera MORETTI

Per il Presidente dell’Eni pagare cara la benzina ha effetti positivi

Secondo l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, il caro benzina “non è solo uno svantaggio”, a ben guardare infatti rappresenterebbe un vantaggio su più fronti, primo tra tutti l’effetto positivo sull’ambiente e secondo in termini di risparmio “di una materia prima come il petrolio che un bel giorno finirà“.

Scaroni sostiene che “In Europa i carburanti sono tassati dal dopoguerra“. Come risultato un cittadino europeo più attento al risparmio di uno statunitense brucia ogni anno 11 barili di petrolio, contro 26 dei cittadini oltreoceano (dove non ci sono accise sui carburanti).

Secondo l’amministratore delegato di Eni, 80 dollari al barile potrebbero rappresentare una cifra ragionevole per permettere una giusta crescita economica, e garantire una buona competitività. Scaroni prosegue con le spiegazioni sugli aumenti (fino a 120 dollari il barile): l’aumento globale del consumo di petrolio (in particolare  paesi asiatici), il venir meno di qualche produzione (come in Libia), la speculazione di chi “vive le crisi internazionali come un’opportunità per rialzare i prezzi“.

Mirko Zago