Avvocatesse madri: categoria debole?


Dare attuazione al precetto costituzionale che impone di rimuovere gli ostacoli che limitano l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, significa sapere dare il giusto rilievo e peso a situazioni ed eventi (più o meno felici) che ciascuno di noi si trova a dover affrontare nel corso della propria esistenza.

La maternità è una di queste condizioni! Dare la possibilità alle avvocatesse madri di continuare ad esercitare la professione anche nei primi anni di vita dei figli (periodo certamente più critico sotto il profilo della necessità di una presenza costante del genitore), è un grande gesto di civilità e di democrazia.

Per realizzare tale progetto è necessario ridurre al minimo ogni spostamento e concentrare i servizi erogati a favore dei bambini in età prescolare (nido, scuola materna, ecc) all’interno della stessa struttura o quanto meno in strutture adiacenti il Tribunale (qualora vi siano oggettive ed insormontabili carenze di spazio all’interno degli attuali Immobili destinati ad Uffici Giudiziari). Il problema dovrebbe essere affrontato innanzitutto a livello politico, esortando i nostri “governanti” a destinare parte dei fondi erogati per la Giustizia, alla realizzazione di un progetto che preveda la concessione in appalto ad enti privati o, ancor meglio la realizzazione diretta attraverso enti pubblici, dell’attività di asilo nido e scuola materna all’interno del Tribunale, garantendo un accesso agevolato a favore dei figli delle colleghe e dei colleghi.

Il progetto, in caso di concessione in appalto dell’attività a privati, dovrà comunque contemplare l’erogazione di contributi pubblici che coprano, quanto meno parzialmente, i costi di gestione delle strutture (personale, assicurazioni, materiale didattico, ecc). Indire un bando che sia opportunamente reso pubblico e che consenta la presentazione del maggiore numero di offerte, consentirà di poter effettuare una valutazione tra una rosa di candidati più ampia, e ciò sia per assicurare un alto livello qualitativo del servizio ma anche per consentire un risparmio in termini di costi.

L’istituzione di scuole ed asili nido all’interno degli uffici giudiziari, rappresenterebbe la migliore realizzazione del concetto di welfare tipico di Nazioni più progredite quali la Svezia, la Norvegia e la Danimarca, ma soprattutto rappresenterebbe la pena realizzazione dell’articolo 3 della costituzione. Uguaglianza formale, ma anche sostanziale, affinchè il solenne principio secondo cui È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, non resti solo nobile lettera morta.

A dire il vero, gran parte del lavoro potrebbe già essere avviato mediante un protocollo di intesa o attraverso una convenzione tra i singoli consigli dell’ordine ed il Tribunale. Ovviamente, sarà necessario destinare, nell’ambito del bilancio preventivo, parte delle risorse economiche alla realizzazione del progetto. Non ritengo che i costi siano proibitivi e ciò anche qualora non vi fossero inizialmente finanziamenti pubblici da destinare al progetto (l’erogazione di finanziamenti pubblici presuppone procedure che richiedono molto tempo e, subordinare l’avvio del progetto all’erogazione dei finanziamenti rischierebbe di paralizzarne la realizzazione.

Ritengo che si tratta di qualche cosa di assolutamente realizzabile. Ho sentito parlare di questo progetto ormai da tanti anni, ma non ho mai conosciuto qualcuno che sapesse indicarmi il nome di chi si è realmente e fattivamente prodigato per realizzarlo.

Le pari opportunità si costruiscono non solo quando viene meno una discriminazione, ma soprattutto, quando l’impegno effettivo si sostituisce all’indifferenza o ancor peggio alle demagogiche e propagandistiche buone intenzioni.

Avv. Matteo SANTINI | m.santini[at]infoiva.it | www.studiolegalesantini.com | Roma
È titolare dello Studio Legale Santini (sede di Roma). Il suo Studio è attualmente membro del Network LEGAL 500. || È iscritto come Curatore Fallimentare presso il Tribunale di Roma; Presidente Nazionale del Centro Studi e Ricerche sul Diritto della Famiglia e dei Minori; Membro dell’AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Consigliere Nazionale AGIT (associazione avvocati Giusconsumeristi); Responsabile per la Regione Lazio dell’Associazione Avvocati Cristiani; Membro dell’I.B.A. (International Bar Association); Membro della Commissione Osservatorio Giustizia dell’Ordine degli Avvocati di Roma; Segretario dell’Associazione degli Avvocati Romani; Conciliatore Societario abilitato ai sensi del Decreto Legislativo n. 5/2003; Direttore del “Notiziario Scientifico di Diritto di Famiglia”; Membro del Comitato Scientifico dell’ A.N.A.C. || Autore del Manuale sul trasferimento dell’Azienda edito dalla Giuffré (2006); Co-autore del Manuale sul Private Equity (2009 Edizione Le Fonti). || Docente di diritto e procedura penale al Corso in Scienze Psicologiche e Analisi delle Condotte Criminali (Federazione Polizia di Stato 2005). || Collabora in qualità di autore di pubblicazioni scientifiche con le seguenti riviste giuridiche: Diritto & Giustizia (Giuffré Editore); Corriere La Tribuna (Edizioni RCS); Notiziario Giuridico Telematico; Giustizia Oggi; Associazione Romana Studi Giuridici; Il Sole 24 Ore; Studium Fori; Filo Diritto; Erga Omnes; Iussit; Leggi Web; Diritto.net; Ius on Demand; Overlex; Altalex; Ergaomnes; Civile.it; Diritto in Rete; Diritto sul Web; Iusseek.

Quote rosa: il 60% delle donne-manager è favorevole

Giovanna Boschis, Presidente del Gruppo Donne Confapi (Confapid) ha espresso soddisfazione per “L’approvazione da parte del Governo dell’introduzione delle quote rosa nei Cda delle aziende quotate in borsa è in linea con quello che chiedono anche le donne alla guida delle piccole e medie imprese”. Secondo un recente sondaggio  somministrato a 400 imprenditrici è emerso che per sette su dieci essere donna non ha mai rappresentato un handicap nel corso della propria attività imprenditoriale.

Il 60 % delle nostre imprenditrici sostiene che i ruoli di potere in Italia non siano tutti potenzialmente accessibili alle donne e per questo, la stessa percentuale, si dichiara favorevole all’introduzione delle “quote rosa”” – ha aggiunto la Boschis. Paolo Galassi, Presidente Confapi ritiene che “si stanno facendo passi da gigante verso la strada delle pari opportunità. L’accordo sulla conciliazione firmato nei giorni scorsi da Confapi con il Ministero del Lavoro e le altre parti sociali rappresenta un traguardo importante a sostegno di tutte le donne, protagoniste indiscusse di ogni sistema economico la forza e la creatività delle donne si fanno sentire in ogni contesto; sia in ambito familiare che in quello lavorativo. Per questo l’intesa con il Ministro Sacconi rappresenta la base ideale per l’avvio di politiche economiche e sociali tali da sostenere le donne che decidono di investire in una carriera professionale di tipo manageriale o in una storia imprenditoriale“.

Donne Avvocato: per avere successo serve una formazione adeguata.

“Poiché, come tutti concordano, l’acquisizione delle pari opportunità delle donne nell’ambito delle professioni legali è, innanzitutto, un fatto culturale, il Consiglio nazionale forense ha istituito in questa ultima consiliatura, una commissione ad hoc per studiare il problema e per assumere le iniziative più adeguate”.  Così il presidente del Consiglio nazionale forense, Prof. Guido Alpa è intervenuto al convegno organizzato dal Consiglio superiore della magistratura dal titolo “Le donne nelle professioni legali di domani”, tenutosi a Roma nella scorsa settimana. Sono intervenute al convegno anche Carla Guidi, coordinatrice esterna della commissione Pari opportunità del Cnf e Ilaria Li Vigni, una delle componenti.
“La promozione culturale però costituisce solo l’avvio delle iniziative necessarie” che potranno partire dai risultati della recente ricerca promossa dal Cnf (tramite la Commissione pari opportunità) e Aiga e affidata al Censis. La ricerca ha evidenziato come le iscritte alle facoltà di Giurisprudenza e le laureate battono per numero i loro colleghi maschi. Ma una volta intrapresa la carriera di avvocato, sono gli uomini a farsi strada prima e con maggior facilità. Secondo il 67,7% delle professioniste, infatti, nell’ambito dell’avvocatura non esistono pari opportunità. Le 401 professioniste intervistate sono convinte che nell’avvocatura siano impiegate poche donne (91,1%)e che per loro esistano forme di discriminazioni (88,8%). Ammettono anche che i figli e la famiglia possono essere un ostacolo alla carriera (58,9%) ma per avere successo serve una formazione adeguata (46,3%, contro il 28,8% degli uomini) piuttosto che tanto tempo a disposizione (necessario solo per il 18,4%, contro il 30% degli uomini). Le donne avvocato vengono contattate dalla clientela per questioni che hanno a che fare con la famiglia e i minori (68,5%), con la proprietà/locazioni e condomini (55,2%), con la contrattualistica (52,1%), l’infortunistica (50,25%) o le esecuzioni (46,5%). Al contrario, un numero esiguo risulta coinvolto per quanto riguarda i reati societari (2,6%), i reati contro o i conflitti con la pubblica amministrazione. (rispettivamente il 3,8% e l’8,2%), le questioni bancarie (8%) e le società in generale (12%). Più consistente, ma sempre piuttosto ridotta, la percentuale delle donne avvocato che si occupano di fallimenti (17,1%), di reati contro la persona (18,1%) o di lavoro (27,9%). “Si vede che la materia praticate sono ancora in un certo senso viziate dal pregiudizio della minore preparazione tecnica o dalla maggiore sensibilità per temi considerati di natura femminile”, spiega Alpa.
La disparità di trattamento rispetto ai colleghi maschi passa anche attraverso una marcata asimmetria nelle retribuzioni. Sono infatti addirittura l’85,7% (ma si arriva a una percentuale dell’87% nel caso delle sposate, dell’88,5% nel caso delle associate e del 90,6% nel caso delle professioniste che esercitano nell’Italia centrale) le donne avvocato intervistate che denunciano una capacità di guadagno nettamente differente (e in generale inferiore) rispetto agli uomini. Il fattore che più contribuisce a rendere critica la condizione professionale dell’avvocatura viene individuato dalla maggioranza delle intervistate (56,7%) nel «numero crescente dei colleghi». L’insufficienza o la mancanza di risorse materiali può essere poi di impedimento per una professionista, sia pure preparata e motivata, a svolgere, se non addirittura ad avviare, la sua attività. Così al secondo posto della graduatoria dei fattori che rendono critica la condizione professionale dell’avvocatura si trova «la difficoltà a far crescere lo studio» (lo afferma il 32,7% delle intervistate) o, al quinto, «la difficoltà di aprire uno studio» (15,5%). “La parità nel mondo forense non è ancora raggiunta”, commenta Alpa.

fonte: Ufficio Stampa del Consiglio nazionale forense