Orizzonti temporali e profilo di rischio

Ecco come si smonta l’impostazione tradizionale delle asset allocation generate da banche e reti di promotori.

Una casa si costruisce dalle fondamenta, un piano finanziario anche.
Investire significa avere degli obiettivi, magari non troppo chiari a sé stessi, ma una motivazione per risparmiare ed investire c’è, altrimenti tanto varrebbe spendere tutto e godersi la vita.
Ad ogni obiettivo di vita, corrisponde una somma di denaro che serve alla sua realizzazione, e di solito una persona vuole raggiungere più obiettivi, distanziati nel tempo.

COSA SONO GLI ORIZZONTI TEMPORALI

Ecco che non ha senso definire un solo profilo di rischio ed un solo orizzonte temporale, poiché ogni obiettivo avrà una determinazione diversa per quanto riguarda: somma necessaria e tempo in cui sarà disponibile, quindi di conseguenza anche rischio sopportabile.
Faccio un esempio; sempre il nostro Nestore sta pensando alla sua pensione e tra dieci anni vorrebbe godersi i frutti del suo lavoro. Quindi ha un orizzonte temporale (10 anni) e deve stabilire quale somma gli serve per poter vivere decorosamente quando smetterà di lavorare. Fatte le dovute stime e analisi della situazione previdenziale, emerge che la pensione pubblica non sarà sufficiente a garantirgli il tenore di vita voluto e che sarà necessario integrare il reddito con altre entrate, per altri 12000 Euro annui (al valore attuale, tra dieci anni saranno di più). Quindi, calcolata l’inflazione attesa, sarà necessario avere o una rendita o un capitale che consenta di raggiungere questo primo obiettivo. Gli strumenti, le strade per raggiungere quanto sperato possono essere diverse: previdenza integrativa, capitale o immobile a reddito, investimenti speculativi o un mix di tutto questo.
E’ importante calcolare bene quanto sarà necessario, per evitare di eccedere ed avere risorse sovrabbondanti, che potevano essere usate per altri obiettivi.
Vi ricordate però gli altri obiettivi di Nestore? Università dei figli, avviare loro un’attività, comprare casa. Ogni obiettivo ha scadenza temporali e capitale a disposizione diversi, ma sopratutto ha diversa priorità. Verificato che tutti gli obiettivi siano raggiungibili, cioè che il patrimonio sia sufficiente, è necessario fare una graduatoria degli obiettivi. In particolare, quale di questi può mettere in difficoltà davvero Nestore?
Non c’è una risposta valida per tutti, ogni persona avrà una scala di priorità diverse, ma se un mancato raggiungimento comporta una vera difficoltà, allora questo sarà prioritario.
Nell’ esempio citato, non poter mantenere un tenore di vita decoroso quando Nestore andrà in pensione è prioritario, quindi sarà l’obiettivo numero 1.
La prossima volta confronteremo investimenti e prelievi di denaro nel tempo dai medesimi, per capire come influenzano il patrimonio complessivo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Orizzonti temporali

 

Sfatiamo uno dei tanti miti della finanza; l’orizzonte temporale non è quello che sembra!

Intendo dire che è necessario prima stabilire quali sono le cose e le persone veramente importanti per voi, per poter capire qual è l’orizzonte temporale, cioè quanto tempo siete disposti ad aspettare che il vostro investimento generi i suoi frutti.
Al di là di quanto dichiarate durante la raccolta delle informazioni necessarie a stabilire il vostro profilo di rischio, il limite al quale il vostro investimento deve tendere è in funzione sia delle necessità vostre sia di quelle dei vostri cari.
Si torna cioè a parlare di planning.
Ad esempio, se una persona ha dei figli e vuole provvedere a loro in qualche modo con il proprio patrimonio, l’orizzonte temporale si sposta in avanti di moltissimi anni.

Vediamo un caso pratico: Nestore ha due figli, di 14 e 16 anni.
Per loro vuole provvedere al mantenimento agli studi universitari per almeno 4 anni( tra 4 anni per il figlio più giovane, tra 2 per quello più vecchio).
Poi vuole aiutarli ad avviare un’attività (tra 7 e 10 anni), a comprare casa (tra 12 e 15 anni).
Quale sarà l’orizzonte temporale complessivo di Nestore? almeno 15 anni!
Ma con tappe intermedie; tra due anni, tra 4, tra 7 e così via.

Per ogni tappa fissata sul percorso, è necessario anche stabilire quanto sarà necessario per soddisfare l’obiettivo previsto. Quanto e quando viene prelevato dal patrimonio complessivo è fondamentale per determinare la corretta composizione dell’investimento. E per capire quanto rischio effettivo si può assumere.
Se avete mai fatto un investimento finanziario, certamente vi avranno chiesto quale orizzonte temporale avete, perché anche sulla base di quello è possibile determinare il profilo di rischio e di conseguenza impostare la corretta asset allocation, cioè quali prodotti inserire nel vostro investimento finanziario.
Siccome si è sempre proceduto in tal modo fatto, pensate che sia corretto…e invece non è così!

Capite quindi che chiedere ad una persone qual è il suo orizzonte temporale e quanto vuole rischiare, non ha nessun senso. Ogni investitore ha orizzonti temporali e profili di rischio diversi, che vengono determinati in base alle sue priorità, obiettivi e finalità.
Se si determinano a priori rischio e tempo, ci si dovrà poi accontentare di quanto prodotto dall’investimento sulla base di questi fattori e si potranno soddisfare solo parzialmente le proprie esigenze, magari neppure tutte.
Approfondiremo il discorso prossimamente, attraverso alcune tabelle comparative che aiutino a comprendere meglio.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Savings and Loans, una crisi dimenticata

Il congresso concesse alle S&L insolventi di non fallire, nel senso che tecnicamente fallirono ma i debiti non vennero ripianati dalle società, come invece accadeva per le banche Americane nelle stesse condizioni. La situazione venne risolta prelevando dalle casse dello stato 124 miliardi di dollari, provenienti dalle tasse degli americani. Solo la rimante parte di circa 29 miliardi di dollari venne effettivamente pagata dalle società fallite. Il totale della crisi fu quindi un buco di 153 miliardi di dollari.
Sono cifre di tutto rispetto, ma che fanno quasi sorridere se confrontate con l’enorme voragine della crisi dei mutui “subprime”. Vanno valutate per quello cui hanno condotto, cioè la terza grande crisi finanziaria in ordine di grandezza e che ha sostenuto la crisi dei mutui subprime che conosciamo.
La stessa FSLIC dichiarò fallimento, pesando per altri 20 miliardi di dollari sui contribuenti.
Tirando le somme, dal 1986 al 1989 la FSLIC chiuse 296 S&L association, la RTC (la compagnia assicurativa creata in seguito al fallimento della FSLIC) dal 1989 al 1995 chiuse 747 istituzioni , in totale furono chiuse 1043 Savings and Loans Assocation. Dal 1986 al 1995 le società di questo genere si ridussero da 3234 a 1645, cioè si dimezzarono circa.
La crisi si risolse abolendo la FSLIC e introducendo un ufficio del ministero del tesoro che ha l’incarico di sorvegliare gli istituti di credito, creando la Saving Association of Insurance and Fund che ha il compito di assicurare i conti bancari presso le S&L fino a 100.000 dollari, attribuendo a Freddie Mac e Fannie Mae (già, proprio loro!) compiti di sostegno alle famiglie con mutui.
Queste ed altre misure hanno riportato fiducia nei mercati, e soprattutto nella possibilità di contrarre i mutui per la casa, che ha fatto da base per il rilancio del settore immobiliare (fino a poco tempo fa, almeno!).
Le Savings and Loans Associations sono piccole banche, con compiti di sostegno alle famiglie. La maggior parte di esse si è trovata a far fronte a situazioni che non sapevano e non potevano gestire, ed hanno iniziato a cercare rendimenti facili che permettessero loro di sopravvivere.
Le misure adottate dal governo Usa non sono state la cura adatta, hanno dato solo una illusione di risoluzione ed invece hanno fatto avvitare sempre più le S&L su loro stesse, amplificando il debito. Probabilmente se fossero state fermate sul principio, il dissesto sarebbe stato di almeno 10 volte inferiore.
 Questa crisi è stata meno pesante di quanto avrebbe potuto ed inoltre non ha quasi intaccato le borse.
Questo non toglie che  la soluzione blanda e complice adottata dal governo americano e il fatto che sia ampiamente intervenuto per ripianare il debito, ha innescato un meccanismo di protezione delle savings and loans che ha portato alla crisi del 2009.
Ovvero si è fatto credere alle banche che possono permettersi di non fallire, facendo pesare i loro errori sui contribuenti.
Il coinvolgimento dei due colossi Freddie Mac e Fannie Mae nella risoluzione della crisi delle S&L non è un caso e non è un caso se proprio questi due pilastri dell’industria dei mutui americana si sono trovati in gravissime difficoltà più recentemente nel 2008, richiedendo l’intervento del governo americano a loro sostegno.
E per fortuna che negli states si parla di liberismo!
Se fossero propensi  all’intervento statale cosa pensate accadrebbe?

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Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Savings and Loans, una crisi dimenticata

 

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Durante l’amministrazione successiva di Reagan, alle S&L vennero concesse altre liberalizzazioni, con prerogative proprie delle banche, ma non si richiedevano le stesse garanzie alle S&L: pagare tassi d’interesse di mercato su depositi, prendere a prestito denaro della Federal Reserve, di contrarre mutui e prestiti commerciali, concedere credito al consumo, rilasciare carte di credito, possedere immobili.
Per riuscire a fornire ai loro depositanti tassi d’interesse di mercato e quindi uscire dal rischio di insolvenza, le S&L cercarono rendimenti elevati alternativi, investendo in fabbricati e terreni e contemporaneamente concedendo crediti commerciali facili.
Il patrimonio delle S&L Texane aumentò in media di oltre il 50%, alcune lo triplicarono. Anche le società Californiane ebbero un simile sviluppo.

Nel 1986, il Tax Reform Act stabilì di limitare numerose deduzioni fiscali sulle proprietà immobiliari e sugli affitti percepiti, causando la fine del boom degli immobili, poiché venivano acquistati proprio in funzione del vantaggio fiscale che ne derivava. Inoltre i possessori di proprietà furono spinti a svendere i loro immobili.
La costruzione di nuove case crollò da 1,8 milioni a 1 milione, il valore più basso dalla seconda guerra mondiale in poi.

Iniziarono i fallimenti delle S&L texane (14 delle maggiori S&L del paese erano in Texas), una recessione collegata anche alla diminuzione drastica del prezzo del petrolio (-50%) di cui il Texas è produttore. La – organo di supervisione- fu per la prima volta insolvente.

Nel 1988 viene eletto presidente Bush (padre) ma la crisi delle S&L non fa parte del suo programma elettorale. Vengono successivamente aboliti il FHLBB (che aveva compiti di vigilanza) e il FSLIC, creando un nuovo ufficio per la supervisione delle Saving and Loans Associations. Vengono inoltre stanziati 50 miliardi di dollari per far fronte alla crisi; questa sottovalutazione del problema sarà una costante e causerà l’allargamento della voragine. Solo nel 1995 sarà chiaro quanto era grande il buco, ma guardando al passato.

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 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Savings and Loans, una crisi dimenticata

 

Circa 20 anni fa, sul finire degli Anni ’80 e l’inizio dei ’90, una profonda crisi finanziaria scosse l’America. Anche questa crisi fu considerata peggiore di quella del ’29. Oltre 1000 Savings and Loan Associations fallirono, nel corso di una crisi che vide l’intervento del Congresso e del Governo degli Stati Uniti, per salvare il salvabile. 50 miliardi di dollari vennero immessi nel sistema attraverso un fondo appositamente costituito e la crisi costò circa 153 miliardi di dollari agli americani (124 miliardi furono pagati dai contribuenti, prelevati direttamente dalle loro tasse o con imposte successive). Solo 29 miliardi di dollari vennero pagati dalle società insolventi.

Non è chiaro a tutti perché le banche non concedono più tanto allegramente nuovi mutui o nuovi prestiti, anche a fronte di garanzie. Ci sono ragioni di bilancio, di redditività e di rischio, controllate attraverso i parametri stabiliti con il trattato di Basilea 2. In sostanza, più la banca rischia a prestare denaro, più deve accantonare e quindi meno è invogliata a prestare.
C’è anche una ragione legata alle crisi sui mutui, che mettono a repentaglio la stessa struttura finanziaria della banca.
Fu così che la crisi dei mutui subprime nel 2008 portò ad un tracollo delle economie di tutto il mondo.
C’è tuttavia una crisi poco conosciuta dal pubblico italiano e forse dimenticata dagli stessi americani, la crisi delle Saving and Loans Association (si potrebbe tradurre con Cassa di Risparmio), progenitrice delle attuali crisi sui mutui e che quindi può aiutare a interpretare meglio il presente. Le Saving and Loans Associations sono banche specializzate nel promuovere l’acquisto di case a condizioni favorevoli, ed esistono negli States dal 1800. Ecco che cosa accadde a queste S&L. Si vedrà come anche i governi dimenticano in fretta e cadono più volte nello stesso tranello.

Lo stesso governo degli States aveva dato loro nuovo impulso alla fine della seconda guerra mondiale, per promuovere la costruzione di nuove case, e aveva assicurato i depositi sui conti di risparmio attraverso la Federal S&L Insurance Corporation. I tassi erano alti ma i mutui trentennali abbattevano la rata e milioni di americani si erano comprati la casa con questo sistema.
Dal 1966 al 1979 i tassi d’interesse di mercato si alzarono progressivamente, e questo causò problemi alle S&L che vedevano i loro clienti ritirare i risparmi per investirli in prodotti più remunerativi. Fino alla fine degli Anni ’70, infatti, le S&L erano sottoposte a regolamenti abbastanza rigidi, potevano concedere solo piccoli prestiti e il tasso sui depositi aveva un tetto massimo.
All’inizio degli Anni ’80, durante l’amministrazione Carter, iniziò la deregulation; fu alzato sia il tetto massimo sui tassi di deposito, sia il massimale assicurato (da parte della FSLIC) sui depositi da 40.000$ fino a 100.000$, e furono concesse maggiori libertà per i mutui di acquisto, sviluppo e costruzione. Inoltre venne approvata una legge finanziaria che forniva incentivi all’investimento in immobili per i privati; questo contribuì al boom immobiliare degli anni ’80.
Tuttavia i tassi sui depositi delle S&L non offrivano più tassi competitivi rispetto ai fondi monetari; le istituzioni avevano molto denaro impegnato in mutui a lungo termine e a tasso fisso, e con il tasso del denaro che saliva, erano costretti a far fronte alle richieste dei depositari.

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Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Beni rifugio o gabbie?

Lo dice la parola: beni su cui rifugiarsi quando succede il peggio. E se invece non sono un rifugio ma solo un miraggio? Disastro!

Un bene rifugio deve proteggere da un evento infausto: la perdita di potere d’acquisto del denaro liquido, per qualunque causa si verifichi, prevedibile (inflazione) o imprevedibile.

Quindi la domanda da porsi è se tutti i beni o gli investimenti hanno questa caratteristica e come possano proteggere il capitale nel tempo.

L’elenco è lungo, farò solo qualche esempio nello schema seguente, ipotizzando di avere investito 100mila euro in uno solo di questi beni:

Bene

Protezione inflazione

Protezione catastrofe

Problemi rivendita

Vendita parziale

Problemi stoccaggio

Casa no no secondo il mercato locale No (molti anziani ora vendono l’usufrutto) no
Auto no no secondo il mercato no si
Arte si si secondo il mercato si si
Oro si si prezzo definito e quotato su mercati regolamentati internazionali si no
Gioielli no si prezzo di mercato, manodopera non rivendibile si no

Alcuni beni non sono divisibili e vendibili separatamente (una casa può essere venduta solo per intero, a meno che non sia possibile frazionarla in più unità abitative, con i relativi costi; un’auto d’epoca la si può vendere solo intera), quasi tutti (tranne l’oro) non hanno un prezzo definito da un mercato regolamentato, ma il prezzo si realizza dall’incontro tra domanda e offerta.

Ci sono beni che hanno bisogno di spazio adeguato dove conservarli (auto o quadri), altri incorporano un elevato valore di manodopera all’acquisto, che non è riconosciuto quando li si vuole rivendere (gioielli, orologi, a meno che non si tratti di oggetti da collezione, rari o antichi); alcuni sono soggetti a valutazioni “modaiole” (dipinti, sculture, arte) con le eccezioni di oggetti d’arte antichi.

Da chi farsi consigliare? Sicuramente non da chi vi deve vendere l’oggetto, che lo decanterà come il miglior bene rifugio esistente.

Un perito sarà in grado di stabilire un valore teorico, magari diverso dal valore di mercato, ma non potrà dirvi se è un bene rifugio e se è in grado di mantenere il suo valore nel tempo. Un consulente patrimoniale indipendente sarà in grado di affiancarvi e di aiutarvi nella scelta più opportuna, non avendo nulla da vendervi: l’importante è che conosca la vostra situazione patrimoniale da ogni punto di vista, poiché un bene rifugio deve essere considerato parte dell’intero patrimonio e acquistato nelle adeguate proporzioni.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La vita che vorremmo vivere

Vorrei raccontarvi una piccola storiella, accaduta ad una coppia di miei clienti.

La coppia era su un piccolo aereo e stava tornando a casa. Il tempo era terribile e l’aereo era strattonato ovunque per il cielo. Spaventato, uno si girò verso l’altro e disse: “Se l’aereo va giù oggi, quale sarebbe il tuo più grande rammarico? Cosa vorresti aver fatto nella tua vita e non hai fatto?”. La risposta fu: “Ho sempre voluto vivere in Toscana”. “Quella sarebbe stata anche la mia risposta!”, replico il coniuge. Improvvisamente, si resero conto che avevano in comune un sogno di libertà, che non si erano mai detti prima.

Dimenticata la turbolenza, il resto del viaggio fu speso a fare piani eccitanti per un eventuale realizzazione del loro sogno condiviso. Prima, ognuno di loro era preoccupato che i loro sogni individuali potessero portarli a condurre vite separate, mai pensando che volessero entrambi la stessa cosa. 

Il terribile momento portò loro un percorso condiviso, profondamente valutato da entrambi, di in un futuro dove ognuno poteva vivere il suo personale sogno di libertà, pur rimanendo insieme. 

Questa visione condivisa aveva implicazioni con il denaro? Certo che sì. Riallocare le carriere lavorative, spostare la famiglia, cambiare comunità, tutto ciò richiede un piano e una allocazione strategica delle risorse.

Questo è il momento in cui un consulente patrimoniale contribuisce alla realizzazione di un sogno. Con la visione di un obiettivo condiviso e pieno di significato, ora articolato in maniera soddisfacente, le preoccupazioni riguardo al denaro possono essere indirizzate in modo che supportino la realizzazione dell’obiettivo centrale più che essere semplicemente rivolte ad accumulare o acquisire denaro per il solo amore di farlo.

Vivere la vita che vorremmo veramente con tutto il cuore, soddisfacendo i nostri sogni di libertà, significa portare il tipo di benessere e di agiatezza che nessuna quantità di denaro potrebbe mai comprare ed eliminare un vuoto interiore che nessuna quantità di beni materiali potrebbe mai riempire.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Banche e tutela dei depositi: quali garanzie?

 

La liquidità, sia in azienda che sul conto personale, non dovrebbe rappresentare un problema, semmai la sua mancanza! Invece non è così; spesso la liquidità aziendale o personale non è detenuta in quantità ideali, se ne tiene troppa, rinunciando a possibili utili da investimento, o troppo poca, con conseguenze pesanti se si finisce “in rosso” sul conto corrente.

Quindi dove si parcheggia la liquidità?

Sul conto deposito, che è garantito. Da chi? E fino a quale importo?

Le banche italiane si sono accordate dal 1987 per creare un fondo interbancario (e sono obbligate ad aderirvi) che interviene nel caso una delle consorziate, autorizzate in Italia, venga posta in liquidazione coatta amministrativa, l’equivalente della procedura fallimentare che si attua per le aziende.

Se invece è una succursale di  banca comunitaria operante in Italia, l’adesione non è obbligatoria e la garanzia opera solo se il sistema di garanzia è intervenuto nel Paese di appartenenza.

Le succursali di banche extracomunitarie, invece, sono obbligate ad aderire a meno che non partecipino già ad un sistema di garanzia nel Paese di origine.

Quindi se sono banche non italiane, potrebbero non aderire al fondo.

Che cosa garantisce il fondo? In pratica i depositi che la banca si è obbligata a restituirci e gli assegni circolari. Quindi sono esclusi depositi e fondi rimborsabili al portatore, titoli, pagherò cambiari, accettazioni.

Fino a quale cifra il fondo rimborsa? 100.000 euro per depositante (non più 103.291,38), quindi se avete più conti, il limite massimo è sempre quello sulla somma dei depositi, non per ogni conto; se avete conti cointestati, vale per ogni intestatario, per cui un solo conto intestato a due persone avrà limite massimo 100.000 più 100.000. Se invece avete conti su banche diverse, non è chiaro se il limite è considerato per banca o per depositante, poiché il regolamento parla solo del caso del fallimento di un singolo istituto di credito.

Chi garantisce i depositi? Non lo Stato, ma le stesse banche consorziate, che intervengono “a chiamata”, cioè in caso di necessità, e per quote di contribuzione proporzionate a quanto “assicurano” presso il fondo, cioè all’ammontare dei depositi tutelati, non agli attivi in generale. Può accadere che una piccola banca abbia molti conti deposito e che una grande ne abbia pochi.

Il fondo quindi non ha una dotazione finanziaria propria, se non per le spese di funzionamento, ma interviene solo quando necessario, chiedendo alle consorziate di mettere a disposizione gli importi necessari a coprire il ‘buco’ creato dalla consorziata in difficoltà.

Quante volte è intervenuto il fondo? Raramente, solo nove in venticinque anni, sempre per banche a carattere locale e solo una volta la soluzione è stata il rimborso dei depositanti: negli altri casi si è proceduto alla cessione delle attività e delle passività, in pratica un altro istituto ne ha rilevato le quote.

Ecco una tabella che descrive lo scenario.


Una riflessione: se una banca con depositi molto elevati dovesse essere posta in liquidazione coatta, le altre banche riuscirebbero ad avere le risorse sufficienti per rimborsare i depositanti? E se le banche in crisi dovessero essere più di una contemporaneamente o a cascata? Il fondo garantirebbe i depositi per tutti? Non è mai accaduto, quindi non si può sapere. Di fatto, la tutela non è così forte come si potrebbe immaginare e presenta parecchi punti deboli, che in caso di grave crisi del sistema bancario potrebbe non reggere l’impatto e non riuscire a far fronte agli impegni presi. In un momento in cui tutte le banche stanno cercando di fare raccolta allettando i clienti con i rendimenti dei conti deposito, e non spiegano le lacune del fondo di tutela, sarebbe bene valutare questo rischio “emittente” esattamente come si dovrebbe fare quando si acquista un titolo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Euro in crisi? Ecco come salvare il patrimonio

Se, dopo lunga agonia, l’Italia verrà estromessa dalla Zona Euro oppure se altri Paesi meno critici decideranno di uscirne per non essere travolti dal disastro oppure, ancora, se si creeranno due Zone Euro “ a diversa velocità”, in ogni caso ci troveremo con una valuta più debole e un potere d’acquisto ridotto.

Quindi, tutto ciò che è prodotto in Italia varrà di meno, compresi i prodotti finanziari, anche se li acquisteremo all’estero; per esempio, un fondo di diritto lussemburghese, ma gestito da una SGR italiana, subirà la stessa sorte di un fondo di diritto italiano, poiché fa fede la valuta del Paese in cui è emesso o gestito.

Quali strumenti sono in grado di evitare la perdita del potere d’acquisto? Innanzitutto bisogna valutare quanto è concreto il rischio che si avveri l’ipotesi di uscita dall’Euro ed attribuire una percentuale al fatto che l’evento si verifichi. Poi è necessario ipotizzare di quanto potrebbe svalutarsi la nostra moneta; del 10%, del 50%…? Infine, è da considerare quanta parte del capitale è direttamente connesso al rischio Paese; ad esempio quanti titoli di Stato, quanti immobili sono posseduti in Italia, quanti titoli di società italiane sono attualmente in portafoglio. Fatte queste considerazioni, si può pensare di investire una parte del patrimonio a protezione del rischio. Quanta parte, dipende dalle variabili appena elencate.

Quali sono gli investimenti da prendere in considerazione? Valute non Euro e non collegate ad esso, beni reali, titoli emessi da società e Paesi non Euro. Sopratutto ciò che ha un valore di fondo concreto e non creato solamente dalla finanza. Titoli di Stato di Paesi ancora solidi e con valuta forte, titoli di aziende in utile e in crescita, beni reali non legati a mode o a Paesi specifici (se avete una casa, è vincolata all’andamento del Paese dove è costruita, se avete un lingotto d’oro è indifferente dove lo avete acquistato e dove lo volete vendere o portare).

La diversificazione è quanto mai opportuna anche in questo caso, quindi non concentrate tutte le uova nello stesso paniere, ma suddividete su mercati, Paesi, emittenti beni diversi, in proporzioni adeguate all’intero patrimonio e al rischio preso in considerazione.

Non è consigliabile fare un simile piano da soli, è opportuno farsi consigliare da chi, in maniera indipendente e senza conflitto di interesse, può dare un parere nel vostro esclusivo interesse. Insomma, non chiedete all’oste se il vino è buono, piuttosto assumete un sommelier che vi aiuti nella scelta migliore per voi.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Salverò il mio patrimonio?

Se e quando l’Italia uscirà dalla Zona Euro non ci è dato saperlo. Il problema è che, oltre alle difficoltà economiche di quasi tutti gli Stati “forti” (Cina compresa), stiamo vivendo una difficoltà di carattere politico. Cioè l’economia e la finanza sono in balia, sempre più, delle decisioni politiche europee.

Si diffonde anche il dubbio che questa classe politica sia veramente all’altezza della situazione e che sia davvero in grado di trovare soluzioni valide per il nostro futuro, non il solito rappezzo alla bell’e meglio. Che l’Unione Europea non abbia le idee chiare su come debba svolgersi la politica monetaria e fiscale, non è un mistero. Una “Unione” dovrebbe, come minimo, avere unità di intenti, altrimenti potremmo chiamarla “Separazione Europea”, forse calzerebbe meglio.

In questo clima totalmente incerto, cosa potrebbe accadere alla nostra moneta unica?

Gli scenari sono diversi:

1)  Si potrebbero creare due Zone Euro, una serie A, con i Paesi più virtuosi (sempre meno) e una serie B (molto più affollata), con due monete diverse, l’attuale Euro per la zona A e un Euro B (svalutato) per la zona B;

2)  Alcuni Paesi “virtuosi” potrebbero decidere di uscire dall’area Euro attuale, utilizzando la moneta d’origine (rivalutata);

3)  Alcuni Paesi potrebbero essere estromessi dall’area Euro e tornare alla propria moneta d’origine (svalutata).

Potrebbe anche esserci un mix delle diverse soluzioni.

Non credo che tutto questo possa accadere in tempi brevi, penso più che altro ad una lenta agonia, basta guardare alla Grecia per capire.

Certamente, il nostro Paese è tra quelli meno virtuosi, declassato dalle agenzie di rating, con prestiti obbligazionari che rendono percentuali da Paesi emergenti.

Che cosa succede se si verificano le ipotesi suggerite? In qualsiasi caso, gli Italiani perderanno potere d’acquisto. Quindi se si è investito del denaro in euro in Italia, si vedrà una riduzione dei valori reali. Anche se si comprata una casa, un’auto d’epoca, un quadro, in Italia tutto ciò varrà di meno. Solo alcuni beni reali saranno in grado di sostenere l’impatto, e ne parlerò prossimamente.

Ora vorrei concentrarmi sugli investimenti in azioni, obbligazioni, fondi, certificati, etf, conto deposito, conto corrente. Molti, spaventati da quanto accade e incerti sul da farsi, lasciano le proprie disponibilità economiche sul conto corrente o al massimo su un conto deposito: nel caso del conto corrente, se la banca fallisce, non ci sono tutele. Nel caso del conto deposito, la tutela esiste, ma è labile, e spiegherò prossimamente che cosa significa. Anche un investimento in un fondo di diritto lussemburghese, ma gestito in Italia, potrebbe seguire la stessa decurtazione di valore. Si salverebbero solo gli investimenti in valuta non Euro e non gestiti da SGR italiane.

Non sto suggerendo di investire tutto in valuta, ma sarebbe opportuno riflettere e farsi consigliare da qualcuno che non ha interessi in gioco, se non quello del cliente.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis