Batterie non ricaricabili spariranno entro il 2027. Tutte le novità per il consumatore

Il Green Deal prevede che l’Unione Europea diventi neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Tra i punti del piano per raggiungere questo obiettivo vi è prima la riduzione e poi l’abolizione dell’uso delle batterie non ricaricabili.

Passi per arrivare al divieto di vendita delle batterie non ricaricabili

Le norme in scrittura sono contenute nel documento “EU regulatory framework for batteries”. Lo stesso ha già superato diversi step ed è in via di approvazione sotto forma di Regolamento. Il regolamenti dell’Unione Europea sono atti normativi di portata generale, ma soprattutto sono direttamente applicabili negli Stati Membri. Ciò implica che non è necessario attendere che gli Stati procedano a emanare norme di attuazione e di dettaglio.

Il primo passo verso l’eliminazione delle batterie non ricaricabili è davvero vicino infatti entro il 2023 dovrà essere modificata l’etichettatura. Sulle pile dovrà essere presente la dicitura “non ricaricabili” in modo chiaro ed inequivocabile. Il secondo passo dovrà invece essere compiuto entro il 2027, infatti proprio a partire da tale data dovrebbe essere vietata la vendita di pile non ricaricabili.

Novità per le batterie di smartphone e computer: sostituibili e sul mercato per almeno 10 anni

Questa però non è l’unica novità, infatti viene introdotto anche l’obbligo per i costruttori di impiegare nei vari dispositivi elettronici delle batterie che assicurino parametri minimi di qualità e durata e che siano facilmente sostituibili dai proprietari senza rovinare la batteria o il dispositivo.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione per quando riguarda dispositivi di uso comune come gli smartphone. I cellulari di vecchia generazione avevano tutti delle batterie ricaricabili facilmente sostituibili e così capitava che se la batteria era per un qualche motivo fuori uso, poteva comunque essere sostituita in modo semplice ed economico. Oggi invece i vari dispositivi hanno la batteria incorporata e nella maggior parte dei casi un intervento professionale per la sostituzione è economicamente poco vantaggioso. Lo stesso vale anche per i pc portatili di nuova generazione che non hanno la batteria facilmente staccabile dal proprietario, ma incorporata.

Le batterie ricaricabili per smartphone e altri dispositivi dovranno inoltre essere in vendita per almeno 10 anni. Questa importante norma dovrebbe entrare in vigore già dal 2024, quindi manca davvero poco.

Batterie ricaricabili e realizzate con materiali di riciclo

Queste non sono le uniche novità, infatti dal 2030 dovrebbe entrare in vigore la normativa che prevede l’uso di una percentuale minima di prodotti riciclati per la realizzazione di batterie. Tale percentuale è destinata a salire nel tempo. I materiali da recuperare sono piombo, cobalto e nichel. Particolare severità dovrà essere utilizzata anche nel sistema di raccolta delle batterie usate.

Il progetto normativo prevede anche che sia inserita una nuova categoria di batterie, cioè quella per i veicoli elettrici, e in particolare per le biciclette e i veicoli leggeri. Questa nuova categoria risponde all’esigenza di creare norme specifiche da applicare a una tipologia di batteria che sarà di uso sempre più frequente nei prossimi anni.

Queste norme si uniscono a quelle previste per il caricatore unico. Per saperne di più su tale normativa, leggi l’articolo: Unione Europea: arriva la proposta di legge per il caricabatterie universale

Cresce il BYOD nel mondo

Il BYOD – Bring Your Own Device, ovvero l’utilizzo dei propri mobili per accedere alle informazioni messe a disposizione dall’azienda – è sempre più diffuso nel mondo e le aziende dovranno attrezzarsi di conseguenza.

Secondo i dati contenuti nel quarto rapporto annuale di Ovum sulla cosiddetta “enterprise mobility”, elaborato alla fine del 2015, il BYOD è così diffuso che il 60,5% degli impiegati utilizza almeno uno dei propri device mobili per lavorare.

Nello specifico, il 47,2% di loro usa il proprio smartphone, il 25,1% il proprio tablet e il 7,8% i cosiddetti wearable devices, come gli smartwatch. Il pc portatile personale è utilizzato in BYOD a fini lavorativi dal 4,1% degli impiegati.

Il commento sui dati dell’analisi su BYOD è affidato all’Enterprise mobility & IT service management research analyst di Ovum, Adam Holtby. “I risultati sono il frutto delle risposte di lavoratori, con mansioni differenti, provenienti da una grande varietà di regioni e di aziende, con l’obiettivo di capire meglio le loro abitudini di lavoro, e come i nuovi hardware e applicazioni stiano supportando i loro obiettivi di produttività”.

E ancora: “Come dimostrano i dati, le persone sono decisamente orientate ad affrontare il proprio lavoro utilizzando numerosi device, e non accettano di buon grado limitazioni che non consentano loro di raggiungere questo obiettivo. Si avverte dunque il bisogno di servizi di desk e IT per riconoscere le nuove opportunità che potranno derivare da questi nuovi comportamenti del lavoratori, e come rendere possibile e supportare il modello di spazio di lavoro digitale verso il quale si sta muovendo il mondo del lavoro”.

Le tematiche calde dell’Automotive Dealer Day

Alla fine di febbraio si è tenuto l’Automotive Dealer Day Network Meeting, evento riservato alle aziende leader della filiera dell’automotive che si è preposto l’obiettivo di fornire informazioni e spunti utili per la pianificazione dell’edizione 2014 dell’Automotive Dealer Day.

I temi trattati sono stati tanti, a cominciare dalle misure da osservare per far evolvere il settore fino all’evoluzione del sistema distributivo passando per l’importanza del corretto utilizzo del web e degli strumenti digitali, senza dimenticare una previsione sui nuovi format comunicativi.

Tra gli argomenti trattati:

  • le reti delle concessionarie nel contesto globale;
  • innovazione del marketing e distribuzione con integrazione fisica e digitale;
  • l’Automotive Dealer Day 2014;
  • il potenziamento della comunicazione;
  • il mercato e lo status delle reti di distribuzione italiane.

Ha dichiarato Gabriele Maramieri, di Quintegia: “Nel 2013 nel mondo c’è stato un record di vendite auto: più di 80 milioni di vetture sono infatti state consegnate. Di queste 21.902.056 sono state quelle consegnate in Cina, ove si è registrata una crescita del 14,9% a fronte delle 19.067.224 unità consegnate nel 2012. 15.581.519 sono invece stati gli esemplari immatricolati negli USA lo scorso anno, facendo così segnare una crescita del 7,5% rispetto all’anno precedente, quando il mercato si è chiuso con 14.492.411 di veicoli consegnati. In calo India e Italia, che diminuiscono rispettivamente del 5,4 e del 7,2%. Degno di nota in Europa il mercato inglese, che cresce dell’11,0% con 2.535.973 di esemplari immatricolati. Per quanto concerne il CADA, l’associazione dei concessionari cinesi, si punta verso una crescita qualitativa attraverso un percorso di crescita sostenibile. Notevole il numero di consumatori attivi nei canali digitali, con operatori dinamici in tutte le aree di business. Ci si attende una forte crescita in India, ove il mercato può raggiungere i 10 milioni, anche se il reddito pro-capite è ancora basso e solo il 44% dei concessionari ha chiuso il 2013 con un utile netto positivo. Per quanto concerne invece l’Italia è possibile notare un andamento ciclico del settore. Ci sono quindi buone opportunità per sostenere i concessionari in un mercato in cui l’età media del parco circolante ha circa 10 anni“.

Leonardo Buzzavo, dell’Università Ca’ Foscari, ha aggiunto: “In Italia vantiamo molti primati: dal 1° motore a combustione interna con Matteucci e Barsanti sino ad arrivare al primo PC con la Olivetti. Si può fare tantissima innovazione. Si possono sfruttare le piattaforme social per far crescere un mercato che dal 2007 al 2013 ha fatto segnare un calo del 48%. Si necessita di veicolare conoscenza“.

Gli ha fatto eco Tommaso Bortomiol, Quintegia: “Da quest’anno Quintegià analizzerà anche il mercato moto. Molte le iniziative previste: si possono sfruttare i QR-Code per raccogliere i contatti; ci saranno delle possibilità di workshop per le aziende, dei meeting dedicati e tante Case auto con cui dialogare“.

Daniele Bonomi, di MediaCom Italia, dal canto suo ha voluto commentare: “Rispetto a 5 anni fa ci sono state sensibili crescite nei campi dei social network, dei video e delle news on line. Gli utenti di Internet sono il 52% della popolazione italiana. In crescita anche l’utilizzo dei tablet e degli smatphone. Sono 22,3 milioni gli utenti delle piattaforme social (Facebook e Twitter), mentre l’80% dell’utenza usa Internet. Bisogna presidiare i canali web. Negli ultimi ultimi tre mesi stiamo assistendo a un lieve ridimensionamento degli utenti da PC, mentre gli smatphhone sono diventati una realtà ormai consolidata. Internet mobile diventa predominante fuori casa ma non solo. Anche in casa si accede ad Internet sempre più da smarthpone e tablet. Molto importante il fenomeno dei social network, che a volte influenzano anche la scelta dei prodotti. Grazie alla possibilità di confrontare i prezzi il web è diventato sempre più spesso una fonte privilegiata per le informazioni commerciali“.

Così ha concluso Luca Montagner, Quintegia ICDP: “Sul mercato italiano le immatricolazioni di autovetture sono crollate dal 2007 al 2013, passando da 2.493.819 a 1.303.382 unità, anche se l’inizio del 2014 sembra indicare una lieve crescita, mentre per quanto concerne le tipologie di vetture notiamo che dal 2007 al 2013 l’unico segmento a crescere è stato quello dei crossover insieme a quello delle piccole monovolume. In calo le Station Wagon e i monovolume compatti. Più stabile, anche se in calo, il mercato dell’usato in Italia rispetto al nuovo. Per quanto concerne le reti di vendita notiamo una continua crescita delle concessionarie multi-brand. Gli automobilisti si informano sempre di più sul web e vengono utilizzate diverse fonti nel corso di svariati momenti del processo d’acquisto“.

Vera MORETTI

Professionisti? Al mare col pc

Professionisti e manager non staccano mai, nemmeno in vacanza. Sarà la crisi, saranno le responsabilità, ma pare che anche in ferie chi ha un’attività o una professione non riesce a fare a meno di lavorare.

Lo sostiene una ricerca del gruppo Hays, secondo la quale il 77% dei manager italiani non smette di lavorare neanche al mare. Buona parte di loro utilizza netbook, smartphone e tablet per controllare almeno la posta aziendale (46%), i manager si dedicheranno al lavoro nel 12% dei casi e solo due professionisti su dieci intervistati si concederanno uno stacco vero dal lavoro.

Merito soprattutto delle novità tecnologiche, anche ridotte di dimensioni, con le quali si può essere come in ufficio e si possono svolgere alcune semplici operazioni giornaliere, oppure portare avanti progetti di business.

Ma cosa utilizzano maggiormente professionisti e manager? Secondo la ricerca di Hays, tra i device maggiormente utilizzati dominano gli smartphone, usati dal 75% delle persone; seguono i pc e netbook (69%) e tablet (28%).

Ma quanto durano le vacanze di questi forzati del lavoro? Nove intervistati su dieci, nonostante il periodo di crisi, non rinunciano ad almeno due settimane di ferie, come nel 2011.

Canone Rai alle aziende. Ma vogliamo dire basta?

di Davide PASSONI

Ah! Lo aspettavamo, lo aspettavamo! Ci mancava solo questo! Uno dei tributi più odiosi di questo Paese, il canone Rai (secondo, forse, solo al bollo auto), oltre a essere inviso a milioni di privati cittadini ora diventa uno spauracchio anche per i professionisti e i lavoratori autonomi, che in questi giorni si sono visti recapitare da mamma Rai la richiesta di pagamento del canone per il possesso di apparecchi come pc e simili, persino smartphone, normalmente non finalizzati alla ricezione di programmi tv. Perché? Perché in base a un Regio Decreto del 1938 sono sottoposti a canone tutti gli “apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo”. Del 1938! Quando la tv era la fantascienza e internet l’inimmaginabile.

Eppure, professionisti e autonomi, già tartassati e additati dai più come sporchi evasori, si sono trovati nella cassetta delle lettere questo avviso: “La informiamo che le vigenti disposizioni normative impongono l’obbligo del pagamento di un abbonamento speciale a chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive al di fuori dell’ambito familiare, compresi computer collegati in rete indipendentemente dall’uso al quale gli stessi vengono adibiti”. Importo minimo: 200,91 euro. Per uno scherzetto che, secondo Rete Imprese Italia, costerà alle imprese stesse 980 milioni. E allora sul web (twittate? Seguite l’hashtag #raimerda) monta la protesta – giusta, giustissima -, il mondo delle imprese protesta, le associazioni dei consumatori s’incazzano e persino i parlamentari dei vari schieramenti (di cui la Rai è espressione ed estrusione malata – paradosso nel paradosso…) si dicono allibiti.

Una follia. Totale. Visto che, estendendo l’interpretazione del decreto, anche tablet e smartphone finirebbero nel gorgo. Visto che i computer in rete utilizzati da aziende e professionisti a tutto servono fuorché a guardare la tv (chi ha tempo di guardare le porcherie della Rai mentre lavora a un bilancio o a un armadio a 8 ante?). Visto che, di norma, un tributo si paga per avere in cambio dallo Stato servizi all’altezza e che, diciamolo senza essere qualunquisti, il servizio che Rai eroga è in media piuttosto mediocre.

E naturalmente, come al solito, se non si paga entro i termini sono more su more, minacce, sigilli, ganasce, pignoramenti. Come al solito. Come al solito in uno Stato che pretende da noi rigore e puntualità nei pagamenti ma che, quando è lui a doverci dei soldi (perché si è sbagliato e, di fatto, ce li ha rubati), si fa tempi, leggi e procedure da se stesso, per prendersela comoda, prendere tempo e persino di evitare di pagare. Chiedete a quelle imprese, poveracce, che vantano crediti inesatti nei confronti della PA.

Uno stato presunto etico che applica due pesi e due misure nel dare e nell’avere, che sanziona (giustamente) chi sbaglia ma non ammette di sbagliare, che si nasconde dietro al potere delle leggi per spremere i cittadini-sudditi nei modi più assurdi. Anche chiedendo loro i soldi con questa porcheria del canone e dei pc, con un decreto dell’anno di grazia 1938, XV E.F. Ma vogliamo dire basta una buona volta?