Petrolio russo, stop al carburante: cosa c’è da sapere

In tempo di guerra, tra sanzioni e trattative diplomatiche, il petrolio russo è sempre più al centro dell’attenzione. Sembrerebbe essere definitivo lo sto al carburante, da parte dell’ unione europea. Vediamo, in questa rapida guida cosa c’è da sapere e cosa ci attende nel futuro immediato.

Stop al carburante: l’Europa prende posizione

La decisione di Ursula von der Leyen sembra ormai effettiva, dire stop al petrolio russo.

Potrebbero servire sei mesi per dire addio al carburante russo e altrettanti mesi per mettere al bando anche tutti i prodotti petroliferi: la roadmap avrà così la durata totale di un anno. Ma quali saranno gli effetti sui carburanti e per gli automobilisti? Non è semplice dirlo per il periodo a medio e lungo termine, ma cerchiamo di capire intanto cosa sta succedendo nell’immediato.

Aumento del petrolio

Diversi e molteplici sono i fattori da mettere in conto, ma è possibile fare alcune considerazioni guardando l’andamento del mercato.

Pare evidente che il prezzo del petrolio sia salito nell’immediato di circa il 4% e oltre sui mercati internazionali, attestandosi sui 109 dollari/barile, per poi continuare a crescere superando i 111 $/b, mentre nelle ultime settimane aveva viaggiato su una media di 100-105.

Rispetto al periodo precedente vi è una notevole differenza. Nel novembre 2021, ad esempio, ben prima che la Russia cambiasse il mondo, le quotazioni del petrolio si muovevano tra gli 80 e gli 85 dollari al barile. Mentre,ù se pensiamo che un anno fa, a maggio 2021, il costo del greggio era di 67-69 $/b vediamo un cambio ancora più netto.

Una serie di aumenti che si sono riversati sulle quotazioni dei prodotti petroliferi e sui prezzi dei carburanti alla pompa. Sarà, dunque, necessario essere subito in grado di riallineare le dinamiche di domanda-offerta per scongiurare degli scompensi in grado di incidere sui prezzi.

Per fortuna, il petrolio non presenta tutte le criticità fisiologiche del gas legate al trasporto via tubo. L’offerta non manca, ma sarà necessario essere bravi a coordinare il tutto, evitando che possano alimentarsi speculazioni a livello internazionale.

Le accise e le scorte: cosa c’è da sapere

La possibilità di un altro rilascio straordinario delle scorte di petrolio da parte dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) potrebbe essere un barlume di speranza. Sarebbe il terzo intervento dal tempo della invasione russa di Putin.

Un altro scenario possibile è stato già ufficializzato dal Governo, che ha prorogato il taglio delle accise fino all’8 luglio.

Non va nemmeno escluso che, se la situazione non dovesse normalizzarsi in tempi brevi, l’Esecutivo possa confermare la misura anche dopo la data segnata in calendario. Pure a causa che i prezzi di benzina e diesel continuano a salire e il taglio delle accise è ancora necessario.

Sul versante dei carburanti italiani si registra, invece, un incremento di circa 1,5 centesimi, da sommare ovviamente a quelli dei giorni precedenti, che portano in media la verde e il gasolio in Italia oltre gli 1,8 euro per litro. In autostrada si arriva persino a 2,3 €/l, con il diesel premium che tocca i 2,5 €/l.

Conclusioni

Per concludere, possiamo dire che nel lungo periodo, se la situazione non dovesse normalizzarsi, potrebbe essere necessario estendere ancora la misura del taglio o renderla addirittura strutturale, magari con modifiche ai provvedimenti già attuati.

Ad ogni modo, molto dipenderà dall’evoluzione della guerra in Ucraina. Per gli automobilisti, tuttavia, resta il rischio di possibili ulteriori incrementi del costo dei carburanti nel corso dei prossimi mesi. Secondo l’UE, infatti, l’embargo del petrolio russo è necessario ma “non sarà facile”. In sostanza, il provvedimento potrebbe comportare notevoli conseguenze per quanto riguarda la spesa per il rifornimento di famiglie e imprese, in Italia ed in Europa.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario da sapere in merito alla questione petrolio russo e carburante nel futuro immediato.

Saipem, nuovo accordo in Iran

La fine del regime di sanzioni economiche nei confronti dell’Iran ha scatenato la corsa dei Paesi manifatturieri a riallacciare rapporti economici con il Paese. L’Italia, per una volta, si è mossa per prima e durante la recente visita del premier Renzi a Teheran, l’amministratore delegato di Saipem Stefano Cao e Ali Yadghar, suo omologo per la compagnia iraniana Razavi Oil & Gas Development, hanno firmato un memorandum of understanding su un importante progetto da sviluppare nel Paese.

Un bel colpo per Saipem, dal momento che il memorandum è relativo a una possibile collaborazione tra le due aziende per i lavori di sviluppo del giacimento Toos Gas Field Development Project, a circa 100 chilometri a nordovest della città di Mashhad. Il giacimento potrebbe essere una miniera d’oro per Saipem: si stima infatti che disponga di più di 60 miliardi di metri cubi di metano, con una capacità di produzione di circa 4 milioni di metri cubi di gas al giorno.

Il progetto di sviluppo su cui si sono accordati Saipem e la compagnia iraniana prevede la perforazione di 5 pozzi oltre a 2 opzionali, nonché la progettazione e la realizzazione degli impianti collegati all’estrazione, al trasporto e al trattamento finale del gas.

La missione di Saipem in Iran fa seguito a quella del gennaio scorso, all’indomani della fine delle sanzioni, quanto la società firmò altri accordi con la National Iranian Gas Company e con la Persian Oil & Gas Development Company, quest’ultimo per i lavori di ammodernamento e potenziamento delle due raffinerie nel Paese.

Eni, che scoperta!

Le fonti energetiche non rinnovabili, finché quelle eco sostenibili non saranno in grado di sostituirle al 100%, e ci auguriamo che un giorno possa davvero accadere, rappresentano ancora la maggiore risorsa per la nostra vita quotidiana.

Tra esse, il gas è quello che ha visto aumentare il suo utilizzo nel mondo del 40% negli ultimi dieci anni, grazie alla sua efficienza, considerando che libera più del doppio dell’energia del carbone e il 50% in più del petrolio, nella versatilità, poichè usato da forni industriali, elettricità e trasporti, e nell’essere meno inquinante: le emissioni sono inferiori del 30% rispetto al petrolio e del 45% rispetto al carbone.

Per questi motivi, la scoperta, da parte di Eni, del più grande giacimento di gas nel Mediterraneo, e precisamente in Egitto, è da considerarsi sensazionale e capace di rivoluzionare lo scenario energetico mondiale.

Il giacimento nell’offshore egiziano, presso il prospetto esplorativo denominato Zohr, ha un potenziale di 850 miliardi di metri cubi di gas, equivalente a 5,5 miliardi di barili di olio, e potrà garantire la soddisfazione della domanda di gas naturale del Paese per molti decenni.

Ad oggi non si può prevedere quale quantità di quel gas verrà esportata in Europa e, di conseguenza, in Italia, ma Eni non ha potuto nascondere la sua soddisfazione, affidando all’amministratore delegato Claudio Descalzi i primi commenti: “È un giorno davvero importante per la nostra società, è la conferma delle nostre competenze e delle nostre capacità di innovazione tecnologica. Ora possono essere sfruttate importanti sinergie con le istallazioni esistenti permettendoci una rapida messa in produzione“.

L’Eni è presente in Egitto da oltre sessant’anni, è un Paese strategico per il Gruppo. Il Cane a sei zampe negli ultimi 7 anni ha scoperto 10 miliardi di barili di risorse e 300 milioni negli ultimi sei mesi.

Anche Matteo Renzi ha voluto mettersi in contatto con Eni e con il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, considerando che la scoperta acquista un significato strategico per i rapporti tra Italia ed Egitto, in un’ottica di partnership economica che riguarda non solo il singolo Paese ma più in generale l’intero continente africano.

Anche il vicepresidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha sottolineato l’importanza della scoperta: “Tutte le risorse energetiche sono utili all’Italia e sono fonte positiva. Per la competitività delle nostre imprese, con la crisi in Ucraina, la situazione in Libia e i costi dell’energia, è fondamentale trovare nuove risorse“.

Vera MORETTI

Nuovi record per Eni in Egitto

La minaccia dell’Isis non sembra frenare le attività esplorative ed estrattive di Eni in Nordafrica. La compagnia del cane a sei zampe è rimasta praticamente l’unico player internazionale pienamente attivo in Libia e anche in Egitto Eni macina un record dopo l’altro.

Nel deserto occidentale egiziano ha infatti toccato il livello top di produzione di 70mila barili di olio al giorno, raddoppiando in tre anni il livello produttivo nell’area. Un risultato ottimo per Eni, che deriva soprattutto dalla concessione di Melehia, località situata 290 chilometri a ovest di Alessandria d’Egitto, dove la produzione ha raggiunto quota 54mila barili al giorno in seguito ai successi esplorativi raggiunti nei temi geologici profondi.

La parte rimanente della produzione egiziana di Eni deriva dalle licenze di sviluppo di Ras Qattara, Raml e West Razzak, mentre lo scorso gennaio la società ha firmato un nuovo accordo di concessione per operare nel blocco Southwest Melehia. Entro il 2015, Eni avvierà nella zona l’attività esplorativa, poiché considera questa concessione come elemento chiave per la sostenibilità della crescita della propria produzione nel deserto occidentale egiziano.

Ricordiamo che Eni, attraverso la controllata International Egyptian Oil Company (IEOC), detiene il 76% nella concessione della zona di Melehia e che è presente in Egitto oltre 60 anno (dal 1954, per la precisione); nel Paese dove opera attraverso IEOC ed è il principale produttore con una produzione nel 2014 di circa 210mila barili al giorno.

Eni firma un accordo in Egitto

In un momento nel quale parte del nord Africa e dei Paesi arabi sono infiammati dalle scorribande dell’Isis, una minaccia non solo per la pace e la civiltà ma anche per l’economia, Eni punta a rafforzare la propria presenza in un Paese chiave come l’Egitto.

Nei giorni scorsi infatti, durante l’Egyptian Economic Development Conference che si è tenuta a Sharm el-Sheikh l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e il ministro del Petrolio e delle Risorse minerarie egiziano, Sherif Ismail hanno firmato un accordo quadro per sviluppare le risorse petrolifere egiziane e salvaguardare il ritorno degli investimenti di Eni nel Paese.

L’accordo siglato dal Cane a sei zampe sulle rive del Mar Rosso prevede investimenti per un valore di circa 5 miliardi di dollari con i quali Eni finanzierà la realizzazione di progetti nei prossimi quattro anni, con l’obiettivo di raggiungere una capacità produttiva di 200 milioni di barili di petrolio e 37 miliardi di metri cubi di gas.

Ora si tratta di effettuare, da entrambe le parti, le valutazioni di fattibilità tecnica ed economica degli impegni presi. Descalzi resta comunque ottimista sull’operazione, per Eni e per l’Italia: “È un investimento che facciamo con i nostri investitori per rendere la società più robusta e autonoma e la risposta per il momento non è stata così negativa. Non è un passo prudente ma un passo appropriato per essere più resistenti in futuro. Lavoriamo per il lungo termine”.

Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis