Orizzonti temporali e profilo di rischio

Ecco come si smonta l’impostazione tradizionale delle asset allocation generate da banche e reti di promotori.

Una casa si costruisce dalle fondamenta, un piano finanziario anche.
Investire significa avere degli obiettivi, magari non troppo chiari a sé stessi, ma una motivazione per risparmiare ed investire c’è, altrimenti tanto varrebbe spendere tutto e godersi la vita.
Ad ogni obiettivo di vita, corrisponde una somma di denaro che serve alla sua realizzazione, e di solito una persona vuole raggiungere più obiettivi, distanziati nel tempo.

COSA SONO GLI ORIZZONTI TEMPORALI

Ecco che non ha senso definire un solo profilo di rischio ed un solo orizzonte temporale, poiché ogni obiettivo avrà una determinazione diversa per quanto riguarda: somma necessaria e tempo in cui sarà disponibile, quindi di conseguenza anche rischio sopportabile.
Faccio un esempio; sempre il nostro Nestore sta pensando alla sua pensione e tra dieci anni vorrebbe godersi i frutti del suo lavoro. Quindi ha un orizzonte temporale (10 anni) e deve stabilire quale somma gli serve per poter vivere decorosamente quando smetterà di lavorare. Fatte le dovute stime e analisi della situazione previdenziale, emerge che la pensione pubblica non sarà sufficiente a garantirgli il tenore di vita voluto e che sarà necessario integrare il reddito con altre entrate, per altri 12000 Euro annui (al valore attuale, tra dieci anni saranno di più). Quindi, calcolata l’inflazione attesa, sarà necessario avere o una rendita o un capitale che consenta di raggiungere questo primo obiettivo. Gli strumenti, le strade per raggiungere quanto sperato possono essere diverse: previdenza integrativa, capitale o immobile a reddito, investimenti speculativi o un mix di tutto questo.
E’ importante calcolare bene quanto sarà necessario, per evitare di eccedere ed avere risorse sovrabbondanti, che potevano essere usate per altri obiettivi.
Vi ricordate però gli altri obiettivi di Nestore? Università dei figli, avviare loro un’attività, comprare casa. Ogni obiettivo ha scadenza temporali e capitale a disposizione diversi, ma sopratutto ha diversa priorità. Verificato che tutti gli obiettivi siano raggiungibili, cioè che il patrimonio sia sufficiente, è necessario fare una graduatoria degli obiettivi. In particolare, quale di questi può mettere in difficoltà davvero Nestore?
Non c’è una risposta valida per tutti, ogni persona avrà una scala di priorità diverse, ma se un mancato raggiungimento comporta una vera difficoltà, allora questo sarà prioritario.
Nell’ esempio citato, non poter mantenere un tenore di vita decoroso quando Nestore andrà in pensione è prioritario, quindi sarà l’obiettivo numero 1.
La prossima volta confronteremo investimenti e prelievi di denaro nel tempo dai medesimi, per capire come influenzano il patrimonio complessivo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Orizzonti temporali

 

Sfatiamo uno dei tanti miti della finanza; l’orizzonte temporale non è quello che sembra!

Intendo dire che è necessario prima stabilire quali sono le cose e le persone veramente importanti per voi, per poter capire qual è l’orizzonte temporale, cioè quanto tempo siete disposti ad aspettare che il vostro investimento generi i suoi frutti.
Al di là di quanto dichiarate durante la raccolta delle informazioni necessarie a stabilire il vostro profilo di rischio, il limite al quale il vostro investimento deve tendere è in funzione sia delle necessità vostre sia di quelle dei vostri cari.
Si torna cioè a parlare di planning.
Ad esempio, se una persona ha dei figli e vuole provvedere a loro in qualche modo con il proprio patrimonio, l’orizzonte temporale si sposta in avanti di moltissimi anni.

Vediamo un caso pratico: Nestore ha due figli, di 14 e 16 anni.
Per loro vuole provvedere al mantenimento agli studi universitari per almeno 4 anni( tra 4 anni per il figlio più giovane, tra 2 per quello più vecchio).
Poi vuole aiutarli ad avviare un’attività (tra 7 e 10 anni), a comprare casa (tra 12 e 15 anni).
Quale sarà l’orizzonte temporale complessivo di Nestore? almeno 15 anni!
Ma con tappe intermedie; tra due anni, tra 4, tra 7 e così via.

Per ogni tappa fissata sul percorso, è necessario anche stabilire quanto sarà necessario per soddisfare l’obiettivo previsto. Quanto e quando viene prelevato dal patrimonio complessivo è fondamentale per determinare la corretta composizione dell’investimento. E per capire quanto rischio effettivo si può assumere.
Se avete mai fatto un investimento finanziario, certamente vi avranno chiesto quale orizzonte temporale avete, perché anche sulla base di quello è possibile determinare il profilo di rischio e di conseguenza impostare la corretta asset allocation, cioè quali prodotti inserire nel vostro investimento finanziario.
Siccome si è sempre proceduto in tal modo fatto, pensate che sia corretto…e invece non è così!

Capite quindi che chiedere ad una persone qual è il suo orizzonte temporale e quanto vuole rischiare, non ha nessun senso. Ogni investitore ha orizzonti temporali e profili di rischio diversi, che vengono determinati in base alle sue priorità, obiettivi e finalità.
Se si determinano a priori rischio e tempo, ci si dovrà poi accontentare di quanto prodotto dall’investimento sulla base di questi fattori e si potranno soddisfare solo parzialmente le proprie esigenze, magari neppure tutte.
Approfondiremo il discorso prossimamente, attraverso alcune tabelle comparative che aiutino a comprendere meglio.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Savings and Loans, una crisi dimenticata

Il congresso concesse alle S&L insolventi di non fallire, nel senso che tecnicamente fallirono ma i debiti non vennero ripianati dalle società, come invece accadeva per le banche Americane nelle stesse condizioni. La situazione venne risolta prelevando dalle casse dello stato 124 miliardi di dollari, provenienti dalle tasse degli americani. Solo la rimante parte di circa 29 miliardi di dollari venne effettivamente pagata dalle società fallite. Il totale della crisi fu quindi un buco di 153 miliardi di dollari.
Sono cifre di tutto rispetto, ma che fanno quasi sorridere se confrontate con l’enorme voragine della crisi dei mutui “subprime”. Vanno valutate per quello cui hanno condotto, cioè la terza grande crisi finanziaria in ordine di grandezza e che ha sostenuto la crisi dei mutui subprime che conosciamo.
La stessa FSLIC dichiarò fallimento, pesando per altri 20 miliardi di dollari sui contribuenti.
Tirando le somme, dal 1986 al 1989 la FSLIC chiuse 296 S&L association, la RTC (la compagnia assicurativa creata in seguito al fallimento della FSLIC) dal 1989 al 1995 chiuse 747 istituzioni , in totale furono chiuse 1043 Savings and Loans Assocation. Dal 1986 al 1995 le società di questo genere si ridussero da 3234 a 1645, cioè si dimezzarono circa.
La crisi si risolse abolendo la FSLIC e introducendo un ufficio del ministero del tesoro che ha l’incarico di sorvegliare gli istituti di credito, creando la Saving Association of Insurance and Fund che ha il compito di assicurare i conti bancari presso le S&L fino a 100.000 dollari, attribuendo a Freddie Mac e Fannie Mae (già, proprio loro!) compiti di sostegno alle famiglie con mutui.
Queste ed altre misure hanno riportato fiducia nei mercati, e soprattutto nella possibilità di contrarre i mutui per la casa, che ha fatto da base per il rilancio del settore immobiliare (fino a poco tempo fa, almeno!).
Le Savings and Loans Associations sono piccole banche, con compiti di sostegno alle famiglie. La maggior parte di esse si è trovata a far fronte a situazioni che non sapevano e non potevano gestire, ed hanno iniziato a cercare rendimenti facili che permettessero loro di sopravvivere.
Le misure adottate dal governo Usa non sono state la cura adatta, hanno dato solo una illusione di risoluzione ed invece hanno fatto avvitare sempre più le S&L su loro stesse, amplificando il debito. Probabilmente se fossero state fermate sul principio, il dissesto sarebbe stato di almeno 10 volte inferiore.
 Questa crisi è stata meno pesante di quanto avrebbe potuto ed inoltre non ha quasi intaccato le borse.
Questo non toglie che  la soluzione blanda e complice adottata dal governo americano e il fatto che sia ampiamente intervenuto per ripianare il debito, ha innescato un meccanismo di protezione delle savings and loans che ha portato alla crisi del 2009.
Ovvero si è fatto credere alle banche che possono permettersi di non fallire, facendo pesare i loro errori sui contribuenti.
Il coinvolgimento dei due colossi Freddie Mac e Fannie Mae nella risoluzione della crisi delle S&L non è un caso e non è un caso se proprio questi due pilastri dell’industria dei mutui americana si sono trovati in gravissime difficoltà più recentemente nel 2008, richiedendo l’intervento del governo americano a loro sostegno.
E per fortuna che negli states si parla di liberismo!
Se fossero propensi  all’intervento statale cosa pensate accadrebbe?

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Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Savings and Loans, una crisi dimenticata

 

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Durante l’amministrazione successiva di Reagan, alle S&L vennero concesse altre liberalizzazioni, con prerogative proprie delle banche, ma non si richiedevano le stesse garanzie alle S&L: pagare tassi d’interesse di mercato su depositi, prendere a prestito denaro della Federal Reserve, di contrarre mutui e prestiti commerciali, concedere credito al consumo, rilasciare carte di credito, possedere immobili.
Per riuscire a fornire ai loro depositanti tassi d’interesse di mercato e quindi uscire dal rischio di insolvenza, le S&L cercarono rendimenti elevati alternativi, investendo in fabbricati e terreni e contemporaneamente concedendo crediti commerciali facili.
Il patrimonio delle S&L Texane aumentò in media di oltre il 50%, alcune lo triplicarono. Anche le società Californiane ebbero un simile sviluppo.

Nel 1986, il Tax Reform Act stabilì di limitare numerose deduzioni fiscali sulle proprietà immobiliari e sugli affitti percepiti, causando la fine del boom degli immobili, poiché venivano acquistati proprio in funzione del vantaggio fiscale che ne derivava. Inoltre i possessori di proprietà furono spinti a svendere i loro immobili.
La costruzione di nuove case crollò da 1,8 milioni a 1 milione, il valore più basso dalla seconda guerra mondiale in poi.

Iniziarono i fallimenti delle S&L texane (14 delle maggiori S&L del paese erano in Texas), una recessione collegata anche alla diminuzione drastica del prezzo del petrolio (-50%) di cui il Texas è produttore. La – organo di supervisione- fu per la prima volta insolvente.

Nel 1988 viene eletto presidente Bush (padre) ma la crisi delle S&L non fa parte del suo programma elettorale. Vengono successivamente aboliti il FHLBB (che aveva compiti di vigilanza) e il FSLIC, creando un nuovo ufficio per la supervisione delle Saving and Loans Associations. Vengono inoltre stanziati 50 miliardi di dollari per far fronte alla crisi; questa sottovalutazione del problema sarà una costante e causerà l’allargamento della voragine. Solo nel 1995 sarà chiaro quanto era grande il buco, ma guardando al passato.

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 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Savings and Loans, una crisi dimenticata

 

Circa 20 anni fa, sul finire degli Anni ’80 e l’inizio dei ’90, una profonda crisi finanziaria scosse l’America. Anche questa crisi fu considerata peggiore di quella del ’29. Oltre 1000 Savings and Loan Associations fallirono, nel corso di una crisi che vide l’intervento del Congresso e del Governo degli Stati Uniti, per salvare il salvabile. 50 miliardi di dollari vennero immessi nel sistema attraverso un fondo appositamente costituito e la crisi costò circa 153 miliardi di dollari agli americani (124 miliardi furono pagati dai contribuenti, prelevati direttamente dalle loro tasse o con imposte successive). Solo 29 miliardi di dollari vennero pagati dalle società insolventi.

Non è chiaro a tutti perché le banche non concedono più tanto allegramente nuovi mutui o nuovi prestiti, anche a fronte di garanzie. Ci sono ragioni di bilancio, di redditività e di rischio, controllate attraverso i parametri stabiliti con il trattato di Basilea 2. In sostanza, più la banca rischia a prestare denaro, più deve accantonare e quindi meno è invogliata a prestare.
C’è anche una ragione legata alle crisi sui mutui, che mettono a repentaglio la stessa struttura finanziaria della banca.
Fu così che la crisi dei mutui subprime nel 2008 portò ad un tracollo delle economie di tutto il mondo.
C’è tuttavia una crisi poco conosciuta dal pubblico italiano e forse dimenticata dagli stessi americani, la crisi delle Saving and Loans Association (si potrebbe tradurre con Cassa di Risparmio), progenitrice delle attuali crisi sui mutui e che quindi può aiutare a interpretare meglio il presente. Le Saving and Loans Associations sono banche specializzate nel promuovere l’acquisto di case a condizioni favorevoli, ed esistono negli States dal 1800. Ecco che cosa accadde a queste S&L. Si vedrà come anche i governi dimenticano in fretta e cadono più volte nello stesso tranello.

Lo stesso governo degli States aveva dato loro nuovo impulso alla fine della seconda guerra mondiale, per promuovere la costruzione di nuove case, e aveva assicurato i depositi sui conti di risparmio attraverso la Federal S&L Insurance Corporation. I tassi erano alti ma i mutui trentennali abbattevano la rata e milioni di americani si erano comprati la casa con questo sistema.
Dal 1966 al 1979 i tassi d’interesse di mercato si alzarono progressivamente, e questo causò problemi alle S&L che vedevano i loro clienti ritirare i risparmi per investirli in prodotti più remunerativi. Fino alla fine degli Anni ’70, infatti, le S&L erano sottoposte a regolamenti abbastanza rigidi, potevano concedere solo piccoli prestiti e il tasso sui depositi aveva un tetto massimo.
All’inizio degli Anni ’80, durante l’amministrazione Carter, iniziò la deregulation; fu alzato sia il tetto massimo sui tassi di deposito, sia il massimale assicurato (da parte della FSLIC) sui depositi da 40.000$ fino a 100.000$, e furono concesse maggiori libertà per i mutui di acquisto, sviluppo e costruzione. Inoltre venne approvata una legge finanziaria che forniva incentivi all’investimento in immobili per i privati; questo contribuì al boom immobiliare degli anni ’80.
Tuttavia i tassi sui depositi delle S&L non offrivano più tassi competitivi rispetto ai fondi monetari; le istituzioni avevano molto denaro impegnato in mutui a lungo termine e a tasso fisso, e con il tasso del denaro che saliva, erano costretti a far fronte alle richieste dei depositari.

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Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

 

La terra ha un valore, in quanto bene scarso, ed il suo valore è tanto più rilevante quanto lo sono le potenzialità di sfruttamento che offre, in relazione alla richiesta di mercato attuale o prospettica. Maggiore è la capacità di comprendere l’evoluzione della richiesta, maggiore è la possibilità di ottenere plusvalore dal terreno acquistato.

Un terreno edificabile, oggi, può avere scarsa appetibilità per il futuro, considerando l’inflazione di offerta sul mercato immobiliare e la scarsezza di domanda. Con le dovute eccezioni, perché in zone ad elevato potenziale turistico o di sviluppo economico, le prospettive di incremento, anche a breve, del valore, sono molto incoraggianti.

I terreni, in generale, contraddicono un principio rilevante per gli investimenti alternativi, la loro facilità di trasporto; un appezzamento, quindi, subisce tutte le eventuali ripercussioni di problemi sociali e  politici che dovessero insorgere nel corso del tempo. Anche perché, altra caratteristica che contraddice i principi, il terreno ha un orizzonte temporale di lungo o lunghissimo periodo. Inoltre, gravano come  spade di Damocle, gli incrementi di tassazione o la possibilità di confisca, per ragioni pubbliche o per scelte politiche, dei possedimenti in questione.

Nonostante queste contraddizioni, ritengo utile diversificare il patrimonio anche con l’acquisto di terreni, sempre che ci si faccia aiutare, nella scelta, da consulenti che debbano vendervi nulla.

Considero un valido investimento alternativo sopratutto i terreni agricoli, per diverse ragioni.

Prima di tutto, un terreno agricolo può divenire terreno edificabile, quindi aumentandone il valore in maniera esponenziale. Non credo sia una condizione che si verificherà facilmente nei prossimi anni, considerata la crisi immobiliare attuale, la enorme quantità di offerta di immobili, la contrazione di domanda e di popolazione. Con le debite eccezioni di luoghi ad elevato potere di espansione, in grado di attirare investitori stranieri.

Ma nel lungo periodo, potrebbe accadere che torni una certa “fame di immobili nazionali” e di conseguenza di terreni su cui edificare.

In secondo luogo, i diritti di sfruttamento del sottosuolo, che normalmente rimane di proprietà dello Stato, possono far lievitare il valore nel caso di scoperte di giacimenti di materie prime utili all’industria.

In terzo luogo, è plausibile che ci sarà, nei prossimi anni, un ritorno alla coltivazione della terra; se pensate alle molte persone senza un lavoro e a quelle che potrebbe perderlo, l’unica soluzione sarà quella di coltivare, in proprio o conto terzi, prodotti necessari al mantenimento della popolazione.

Ancora, sta aumentando il consumo di legno pregiato da costruzione, sia per ragioni ecologiche che di costo, ed è plausibile che la tendenza continui nei prossimi 20 anni. Potrebbe essere un ottimo investimento possedere un terreno su cui è possibile coltivare teak, ad esempio.

Un problema può essere la reperibilità di terreni agricoli interessanti e non troppo estesi, perché esistono diritti di prelazione per i coltivatori  e per i confinanti, addirittura è difficile sapere che un determinato terreno è in vendita. Ma non è impossibile, basta riferirsi a professionisti seri ed affidabili.

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

 

Come già detto in precedenti occasioni, è importante assecondare gli interessi che ognuno di noi ha. Quindi, se le auto e i veicoli d’epoca sono la vostra passione, possono rappresentare un valido investimento alternativo.
Alcuni problemi sono comuni agli oggetti di arte e antiquariato; lo stoccaggio può richiedere spazi molto ampi, sopratutto se si possiedono molti veicoli, e gli spazi devono essere adeguatamente protetti da “incursioni” di potenziali ladri o vandali.
Ci sono anche costi da sostenere, collegati alla circolazione dei mezzi in questione (assicurazione e bollo, anche se ridotti rispetto alle auto recenti), alla protezione (assicurazione, impianti di allarme, sorveglianza), alla manutenzione o al restauro. Questi costi possono incidere anche pesantemente sul bilancio famigliare, quindi sono da valutare a priori e con attenzione.
In generale, come per altri beni rifugio già visti in precedenza, più un veicolo è raro, più ne aumenta l’appetibilità presso i collezionisti, e quindi il suo prezzo è stabilito da chi lo possiede, non dal mercato; questo perché non esiste un mercato se siete il proprietario dell’unica Bugatti rimasta al Mondo, ma esistono dei collezionisti interessati e disposti a spendere cifre folli per averla. O disposti a compiere atti folli per sottrarvela.
Nel mondo del collezionismo, entrano in gioco anche altri fattori. Ad esempio, un’auto che è stata guidata da un personaggio famoso, assume un valore maggiore rispetto alle altre, valore direttamente collegato alla notorietà del personaggio. Oppure una moto prodotta in un periodo limitato e con un motore ma più utilizzato. Cose così.
Queste considerazioni valgono un pò per tutti gli oggetti da collezione, che siano francobolli o fucili ad avancarica.
C’è però la possibilità di commisurare l’acquisto di oggetti da collezionismo in base alle proprie finanze. E’ un discorso già affrontato in precedenza: se il vostro patrimonio è di 1 milione di euro, e vi piacerebbe comprarvi un’auto d’epoca che vale 250 mila euro, forse non fa per voi, perché significherebbe investire il 25% del patrimonio in un solo bene.
Ma magari è possibile acquistare una moto altrettanto rara che però vale “solo” 50 mila euro, cioè il 5% del patrimonio complessivo.
Se ampliamo il discorso ad altri oggetti da collezionismo, la scelta si allarga molto e ci sono collezioni, rare ed interessanti, adatte a tutte le tasche. E diversificabili, cioè ne potete comprare di diverse tipologie.
MI vengono in mente i francobolli, le armi d’epoca, i dischi, i bastoni da passeggio, e ci saranno mille altre cose che si possono prendere in considerazione. Attenzione, però: sto parlando di oggetti da collezione veri, cioè rari o unici, con un valore certificato e riconosciuto. Quindi è da escludere tutto il ciarpame che potete trovare nelle varie fiere e mercatini dell’antiquariato. Perché? Devono essere beni che proteggono il patrimonio, quindi vendibili e il cui valore, possibilmente, cresca nel tempo.
In ogni caso, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Le alternative agli investimenti alternativi

Gli oggetti d’arte e di antiquariato sono una tra le tante possibili forme di investimento alternativo. Hanno il vantaggio di abbellire le case di chi li possiede, oltre a migliorare la qualità della vita e a coltivare il senso estetico del proprietario, cose che non guastano mai. Gli svantaggi spesso consistono nelle grandi dimensioni o il peso degli oggetti, che li rendono difficilmente trasportabili ed occultabili: vi ricordate cosa avevo detto a proposito dell’oro? In caso di necessità, l’oro è rapidamente e facilmente trasportabile ovunque. Ma un lingotto d’oro non trasmette nessun sentimento, a meno che non siate come Paperon de Paperoni che trascorre le giornate a nuotare tra le sue monete d’oro, rimirandole e compiacendosi. In sostanza, credo che vada assecondata anche la natura di ognuno di noi, coltivando le inclinazioni e le passioni. Quindi, se ci piacciono gli oggetti d’arte o d’antiquariato, bene, perché possono essere una buona forma di diversificazione degli investimenti. Ci sarebbero da definire alcune cose: arte e antiquariato sono termini generici, poiché ci sono molte declinazioni diverse per la stessa parola.

La sostanziale differenza sta nel tempo trascorso; più un oggetto è antico, più è facile che abbia un mercato di riferimento e un prezzo. Inoltre si può valutare l’evoluzione del suo valore nel tempo; quanto si è incrementato, se ha subito forti oscillazioni e diminuzioni di prezzo, qual è la richiesta nei diversi periodi storici…

Viceversa, un oggetto recente mette di fronte ad un’incognita: il prezzo che pago oggi, si manterrà nel tempo? Incrementerà? La produzione artistica è soggetta anche a mode e a quantitativi prodotti: ad esempio, le opere di un artista molto prolifico hanno un valore inferiore alle opere di un artista, dello stesso periodo e corrente, più “riservato” e restio a produrre in gran quantità. Però questa è una considerazione che si può fare solo ex post, dato che non è possibile sapere cosa accadrà.

E’ un po’ lo stesso discorso che può valere per l’acquisto di un titolo in borsa: nonostante i valori fondamentali ottimi, non siamo in grado di sapere come muterà il suo prezzo nel tempo. Quindi acquistare opere di un artista contemporaneo rappresenta un’incognita, che può regalare grandi soddisfazioni ma anche deludere. Per questo dicevo all’inizio che bisogna anche appagare il proprio senso estetico: se si acquista un’opera che piace, il suo valore estetico non avrà prezzo.

Basta essere consapevoli che l’arte moderna non sempre ripaga lo sforzo economico sostenuto per acquistarla: è una scommessa, sostenuta dal piacere di possedere qualcosa che appaga la vista e rasserena l’animo.

Discorso un pò diverso è quello degli oggetti di modernariato: alcuni sono diventati pezzi da collezione, e quindi assumono un valore riconosciuto e scambiabile, altri richiamano ricordi d’infanzia o di gioventù, ma non hanno nessun valore di mercato per i collezionisti. Occhio attento, quindi, a cosa si compra.

Per l’antiquariato, invece, esiste un mercato, locale o internazionale, a seconda della rarità e dell’appetibilità del pezzo. Anche nel mondo antiquario esistono le “sole” ovviamente, più che altro copie o falsi, a cui bisogna prestare la massima attenzione. I problemi legati  agli oggetti di antiquariato come beni di investimento sono principalmente due: le dimensioni e il prezzo. Pensiamo ad un comò del 1700, ad un quadro di due metri per tre, ad una statua  neoclassica in marmo di Carrara: sono grandi, pesanti, difficili da trasportare. Il prezzo, inoltre, di questi oggetti può essere molto elevato, decine o centinaia di migliaia di euro. Quindi in un ambito di pianificazione complessiva, è bene rivolgersi sempre ad un patrimonialista, che sia in grado di distribuire il patrimonio in maniera adeguata alle vostre reali esigenze di vita. Evitare di investire troppo in un unico bene è una regola base della corretta pianificazione e diversificazione.

In linea generale, sarebbe bene acquistare beni che si possano quantomeno riporre in un caveau di sicurezza: infatti un grosso problema degli oggetti d’arte e di antiquariato è il rischio di furti, da cui ci si può tutelare con assicurazioni, impianti di allarme, caveau bancari. Le precauzioni non sono mai troppe, in funzione anche del valore e della rarità dei beni posseduti. Per le assicurazioni, va considerato un aggiornamento costante dei valori assicurati e verificato se la compagnia risarcisce per intero il valore o in maniera proporzionale al danno complessivo subito. Per gli impianti di allarmi e altri sistemi di dissuasione, è necessario mantenere i sistemi funzionanti e tecnologicamente aggiornati.

Insomma, comunque vogliate proteggere i vostri oggetti preziosi, c’è un costo da sostenere, negli anni, che va valutato in detrazione rispetto al prezzo di mercato del bene, poiché il costo per la sua protezione ne riduce il valore reale nel momento in cui volessimo realizzare (vendere).

Nel mondo dell’arte e dell’antiquariato vige poi una regola: un oggetto è tanto più prezioso quanto è raro e ben conservato. La rarità può essere in funzione sia delle quantità prodotte, sia della sua reperibilità effettiva. Più un oggetto è antico e fragile, meno sopravvive al tempo, ai traslochi, agli imprevisti che ne minacciano l’integrità. Pensiamo ad antico vaso, oggetto delicato e fragile; è un miracolo se ci imbattiamo in un pezzo con 100 anni di età, se ha 200 anni pensiamo ad un miraggio e così via.

Più un oggetto è raro, non  solo più è alto il suo valore, anzi in alcuni casi il valore viene determinato a discrezione assoluta del venditore, ma aumenta in maniera esponenziale il suo interesse collezionistico. Questa è la condizione ideale per un investimento, in quanto sarà abbastanza semplice rivenderlo e il ricavo ottenuto sarà elevato.

Ma poche sono le persone che hanno disponibilità economiche tali da potersi permettere oggetti così rari da essere quasi “mitici” e oggetto del desiderio dei collezionisti di tutto il mondo. O meglio, poche persone hanno un patrimonio così elevato che permetta loro di ricomprendere in una attenta diversificazione e pianificazione oggetti di valore così elevato. Se un dipinto antico e raro vale 10 milioni di euro, quanto dovrà essere grande la ricchezza del suo proprietario perché questo oggetto sia equamente distribuito in un complesso di investimenti? Solo chi non deve vendervi il dipinto e conosce la situazione patrimoniale presente e futura del cliente, come un planner patrimoniale indipendente, sarà in grado di valutare l’adeguatezza dell’investimento rapportata al complesso del patrimonio, alle necessità della famiglia, alla realizzazione delle aspirazioni dei figli o dei nipoti.

 

 

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Le alternative agli investimenti alternativi

Le pietre preziose fanno parte dei gioielli, ma possono anche avere una vita autonoma, nel senso che possono essere commercializzati come oggetti a sè, senza per forza essere  incastonati in un gioiello. Sono un po’ l’equivalente del lingotto d’oro, ma solo un po’.

Per pietre preziose si intendono diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri e altri, meno conosciuti. I diamanti hanno una storia a parte, poiché sono gli unici ad avere un listino ufficiale.

I diamanti oltre i 10 carati sono fuori listino, nel senso che il prezzo è stabilito di volta in volta, tra acquirente e venditore. Che significa anche avere completo arbitrio sul prezzo, che diventa un accordo tra le due parti. Questo discorso vale in generale quando si possiede un bene unico o molto raro e che contemporaneamente sia molto ambito: infatti si si ha un bene raro ma che non vuole nessuno…non varrà nulla. Che si tratti di un immobile, di un gioiello, di un diamante o di una macchina d’epoca, più è raro e più ha compratori, più il suo valore sarà inestimabile.

Il problema, per tornare ai diamanti, è che una singola pietra da oltre 10 carati vale oltre un milione di euro, quindi, per suddividere equamente le “uova del paniere”, sarà necessario un patrimonio molto elevato. Altrimenti si rischia di investire troppo in un solo “uovo”, che sappiamo potrebbe risultare molto rischioso. Se invece ci dobbiamo accontentare di diamanti di peso inferiore ai 10 carati, esiste un listino ufficiale, il Rapaport, che classifica i diamanti in base a peso, colore, purezza e taglio. Negli ultimi anni sono anche sorti rilevanti scrupoli circa la provenienza delle pietre preziose, poichè spesso viene sfruttata manodopera infantile per l’estrazione o per le condizioni disumane in cui versano i minatori. La maggior parte dei diamanti proviene da zone fortemente sotto sviluppate e quindi la certificazione sull’eticità delle miniere è divenuta indispensabile.

Nonostante la quotazione ufficiale, va detto che il mercato mondiale dei diamanti è in mano a sole 6 aziende, di cui il 40% alla De Beers, e che ha subito incrementi costanti di prezzo dal 1993! Quindi mi viene da pensare che sia un mercato artificiale e che la quotazione è sostenuta dai produttori, più che dall’incontro tra domanda e offerta.

Questo rende abbastanza complicato capire quale sia il vero valore dei diamanti.

Discorso simile vale per le altre pietre preziose, rubini, smeraldi zaffiri per citare i più famosi, con l’aggravante che non esiste un listino ufficiale e che il colore è fondamentale per la valutazione, il che complica parecchio le cose quando si deve stimare la pietra. Inoltre le pietre di colore subiscono gli andamenti legati alle mode, per cui in alcuni periodi valgono di più e in altri meno. Il diamante, se non altro, ha maggiore costanza.

Altra differenza consiste nella perizia certificata e “imbustata” del diamante, cioè un ente riconosciuto, come la GIA, esegue la perizia e rilascia un certificato, e una parte del certificato è incluso in una bustina trasparente insieme al diamante, in modo da evitare equivoci. Per le altre pietre preziose non esiste questa forma di certificazione.

Quindi, se avete un patrimonio di 10 milioni di euro, forse un diamante da 10 carati fa al caso vostro. In tutti gli altri casi, sarà bene ponderare adeguatamente le scelte di investimento, con l’aiuto di un planner patrimoniale esperto ed indipendente, che non abbia nulla da vendervi.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

 

 

Le alternative agli investimenti alternativi: i gioielli

Qualcuno potrebbe sostenere che gioielli e oro sono in fondo la stessa cosa e quindi che in questo spazio l’argomento è già stato trattato, ma non è così. Il valore di un gioiello infatti sta nel materiale con cui è realizzato, che sia oro o argento o altro metallo, ma anche per esempio nelle pietre preziose incastonate in esso e nella stessa attività di realizzazione che comporta. Pertanto investire in oro o in gioielli presenta rischi e opportunità diversi.

A incidere sul valore di un gioiello sono dunque diversi fattori. Per quanto riguarda la lavorazione si deve distinguere tra lavorazioni a mano, semiindustriali e industriali, alle quali corrisponde spesso un diverso valore di mercato.

L’artigianalità in particolare porta con sé spesso il valore di esclusività, specie se il pezzo è unico. Il prezzo pagato all’acquisto del gioiello incorpora anche le ore necessarie alla sua costruzione, che incidono sensibilmente sul costo finale complessivo, talvolta più del valore delle materie prime. E’ chiaro che se questo costo non viene riconosciuto nel momento della rivendita, perdiamo quella parte di denaro relativa alla manodopera. Senza contare l’IVA, che si paga all’acquisto e non viene rimborsata alla vendita. L’oro puro, quello in lingotti o monete, invece è esente IVA.

Ricordo anche che i gioielli d’oro contengono solo il 75% di questo prezioso metallo, mentre per il 25% sono fatti di altri metalli, come argento e rame. Quindi pur contando di rivendere i gioielli a peso d’oro, non si realizza mai in base al peso totale dell’oggetto acquistato.

Per quanto riguarda le pietre preziose, è consigliabile chiedere la perizia di un gemmologo, per verificarne le caratteristiche e di conseguenza il valore. E anche la perizia comporta un esborso.

Per valutare quanto e se i gioielli possono essere un bene nel quale investire per salvare i nostri patrimoni si devono dunque considerare tutte queste variabili al fine di fissare il vero valore di rivendita, in caso di bisogno.

Diverso è il caso di gioielli pezzi unici, magari firmati da artigiani famosi o realizzati per personaggi o ricorrenze importanti, o gioielli antichi, che assumono un valore anche storico e collezionistico. In questo scenario, il gioiello può avere un costo perfino superiore a quanto pagato in origine, in relazione alla sua rarità e al valore estetico che il mercato gli riconosce.

Si presenta però un po’ lo stesso problema degli immobili: un gioiello unico, raro, di pregio costerà molto e quindi poche persone potranno utilizzarlo come efficace protezione e diversificazione (fattori che, ricordo, devono andare a braccetto). Se l’oggetto vale la metà del patrimonio complessivo, ad esempio, sbilancia troppo  e rischia di causare più danni che benefici.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis