La pizza napoletana eletta patrimonio dell’Unesco

La pizza napoletana, e in particolarmente l’arte napoletana di fare la pizza, è diventata patrimonio dell’Unesco.
Il Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO, riunito in sessione sull’isola di Jeju in Corea del Sud, ha valutato positivamente la candidatura italiana, sostenuta anche da Confesercenti, che in tre mesi ha raccolto ben 50mila firme in favore della petizione #PizzaUnesco.
L’Italia raggiunge così il 58esimo bene tutelato, e il settimo appartenente al patrimonio immateriale riconosciuto, e in generale il nono in Campania.

L’annuncio è stato dato in diretta su Facebook, tramite la delegazione italiana che ha seguito i lavori del Comitato Unesco. A seguire la proclamazione c’erano l’ambasciatore Vincenza Lomonaco, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’UNESCO, il Presidente della Fondazione UniVerde Alfonso Pecoraro Scanio, Pierluigi Petrillo, curatore legale del dossier di candidatura.

A spiegare l’importanza di questo riconoscimento è stato Alfonso Pecoraro Scanio, promotore della World Petition #pizzaUnesco: “L’inserimento dell’Arte del pizzaiuolo napoletano nella prestigiosa Lista del Patrimonio immateriale dell’UNESCO è la riaffermazione di una tradizione storica che per il nostro Paese rappresenta, da secoli, un vero elemento d’unione culturale. Sono veramente entusiasta del risultato ottenuto perché. seppur la candidatura fosse forte e credibile, si tratta di un successo affatto scontato ma perseguito dopo anni di intensa attività e dedizione, al fine di poter garantire la valutazione positiva da parte del Comitato UNESCO. L’Arte del pizzaiuolo napoletano è un patrimonio di conoscenze artigianali uniche tramandato di padre in figlio, elemento identitario della cultura e del popolo partenopeo che ancora oggi opera in stretta continuità con la tradizione. Dedico questa vittoria agli amici pizzaiuoli, alla loro arte e alla loro creatività, al loro cuore e alla loro passione, alla città di Napoli, ai napoletani, all’Italia”.

La campagna è cominciata nel 2014 sulla piattaforma di petizioni on-line Change.org, ed ha raccolto il sostegno di più di 600 ambassador, e tra questi anche Confesercenti, con un totale di oltre 2 milioni di adesioni mondiali grazie alla firma di cittadini appartenenti a 100 e oltre diversi Paesi. Questa partecipazione ha fatto di #pizzaUnesco il movimento popolare d’opinione più imponente nella storia delle candidature di tutte le agenzie delle Nazioni Unite.

Vera MORETTI

I numeri della pizza made in Italy

Che cosa c’è di più italiano di una bella pizza fumante? Forse solo un piatto di spaghetti, ma non ne saremmo così sicuri. Quello che è certo è che la pizza made in Italy non è solo sapore e tradizione ma anche importante giro d’affari. Lo ha certificato anche una ricerca curata da Doxa/Assobirra, dalla quale sono emersi numeri interessanti.

Intanto le quantità che fa registrare la pizza made in Italy. Secondo Doxa/Assobirra, sono 56 milioni le pizze consumate nel nostro Paese ogni settimana, pari a circa 3 miliardi all’anno. Una cifra per difetto, nella quale non è compresa la pizza made in Italy sfornata dalle pizzerie da asporto o al taglio e le pizze surgelate. Quest’ultimo è un comparto economico in crescita, positivo da una parte ma segno, dall’altra, che la crisi ha toccato anche la pizza made in Italy.

Interessanti anche i numeri sulle pizzerie in Italia: sono 42mila e danno lavoro a 100mila addetti, in gran parte italiani (65%); seguono gli egiziani (20mila), i marocchini (10mila), asiatici ed extraeuropei in genere (5mila). Il tutto per un giro d’affari complessivo della pizza made in Italy che, nel 2014, è stato di 6 miliardi di euro.

Passando all’analisi dei gusti e delle abitudini legate al consumo di pizza made in Italy, secondo la ricerca di Doxa/Assobirra, per il 63% degli italiani la pizza è un piatto unico, mentre del 37% rimanente il 17% lo accompagna ad un antipasto e il 18% a un dolce. La Margherita rimane la preferita dal 50% degli intervistati, seguita da quella al salame piccante (6%), dalla Capricciosa e dalla Prosciutto e funghi (5%). Il 57% degli intervistati non ha una vera preferenza, ma cambia sapori e condimenti.

Quello che invece non cambia, nella pizza made in Italy, è la qualità: per gli intervistati deve essere sempre alta e molto ricercata, soprattutto grazie alla mozzarella utilizzata (53%), alla levitazione ottimale (49%), al pomodoro utilizzato (43%), alla farina (41%), alla cottura (42%) e all’abilità del pizzaiolo (39%).

La pizza? Quasi mai è Made in Italy

Quello che sembrava impossibile sta accadendo.
La pizza, il simbolo per eccellenza dell’Italia più vera, bella e povera, il prodotto inimitabile e unico grazie all’utilizzo di materie prime doc, rischia di scomparire.

Incredibile? Ma vero, perché ben due pizze su tre, anche tra quelle che gustiamo nei ristoranti, non derivano da ingredienti Made in Italy ma, al contrario, da un mix di prodotti che arrivano dall’estero e che, di quelli nostrani, sono solo una brutta copia.

A portare a galla questo grave problema è stata una ricerca di Coldiretti, che spiega come, nelle pizzerie, la nostra amata pizza viene cosparsa di mozzarella non derivante da latte, ma da semilavorati industriali, le cagliate, provenienti dall’est Europa.

E che dire del resto? Il pomodoro è cinese o americano, l’olio di oliva quando viene usato, arriva dalla Tunisia o, se siamo fortunati, dalla Spagna, anche se, sempre più spesso, viene usato l’olio di semi.
Neppure la farina si salva, poiché nella maggior parte dei casi è francese, tedesca o ucraina.

A risentirne è la qualità e il gusto di un prodotto al quale finora i consumatori non vogliono rinunciare, anche se il rischio che accada in futuro c’è.

Secondo il dossier, nel 2013, in Italia sono stati importati 481 milioni di chili d’olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 milioni dalla Cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20% nei primi due mesi del 2014.

C’è da sperare che questa consapevolezza renda gli italiani più esigenti e che li porti a chiedere maggiori garanzie circa la qualità e la provenienza di ciò che mangiano, come sta accadendo con la pasta.
L’altro prodotto simbolo dell’Italia più genuina, infatti, ha visto aumentare in maniera esponenziale i marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%.

Vera MORETTI